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Autore: Blackbutterfly1994    12/06/2010    2 recensioni
Tendo le mani al tuo indirizzo, pregandoti col cuore di abbracciarmi fortissimo.
Eccomi qui, amore.
Adesso rimani con me per sempre.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Now remain with me forever

Mmmm…non so da dove sia uscita questa corta fic.

Forse è il caldo che gioca brutti scherzi, insieme al troppo tempo libero.

Conoscendomi, è probabile XD

Comunque sia, questo è l’ennesimo parto della mia mente malata.

Vi prego ardentemente di lasciare un segno del vostro passaggio, qualunque sia il vostro parere.

Detto questo,

via auguro una buona lettura.

 

Now remain with me forever.

 

Ho freddo.

Si, ho decisamente tanto freddo.

La mia mente, al momento, è piuttosto annebbiata, ma questa consapevolezza mi giunge chiara.

Sto gelando e, nonostante mi stringa nella coperta di lana, il mio corpo non smette di tremare.

Sento vagamente un campanello suonare, ma non ho intenzione di aprire: voglio solo rimanere rannicchiato qui, nella nostra casa, avvolto nei suoi vestiti troppo grandi, il suo profumo sprigionato dalle lenzuola che mi circondano.

Si… voglio restare così per sempre, in questo limbo ovattato ed indolore in cui posso lasciare il mondo fuori dalla porta di questa camera.

Delle mani calde sfiorano la mie pelle gelida e io mi ritraggo di scatto, come un animale spaventato.

- Keith – una voce dolce sussurra il mio nome – Keith, sono io, Alex –

- Alex? – sillabo a fatica.

Vedo la figura indistinta davanti a me salire a cavalcioni sul letto fino a raggiungermi – Sei gelato –

- Alex – ripeto di nuovo, quasi fossi incapace di dire qualcos’altro – Alex, dov’è Mark? –

- Keith… - il suo tono è quasi supplicante – Keith, ti prego, devi reagire –

- No, lui mi ha detto che sta tornando, è solo andato a fare la spesa, sta tornando – farfuglio a voce bassissima – Si, sta tornando. Tornando da me –

Le mani calde adesso mi accarezzano il viso – Mark è morto. Morto –

Sbarro i miei occhi vuoti – No! – grido, scacciando via la figura bruscamente – Lui non è morto, capito? Lui è qui con me, sta tornando, lui mi detto che sta tornando, è solo uscito un attimo, ma tornerà, tornerà da me – la mia voce si è abbassata progressivamente fino a diventare un fievole bisbiglio quasi inudibile.

- Keith, non puoi lasciarti andare così! – la voce dolce adesso si è fatta veemente – Da quanto tempo non mangi, non ti fai una doccia, non ti alzi da questo letto? –

- Lui sta tornando, tornando, tornando… - continuo a ripetere ossessivamente quest’ultima parola dondolandomi come un pazzo.

E forse, è proprio questo che sono diventato: un folle. So che l’uomo con cui ho diviso la vita è stato vittima di un pirata della strada, ma una parte di me non ha ancora accettato tutto questo, e a volte nutro la seria speranza che niente di ciò che la gente intorno a me dice sia vero, che sia tutto un orribile scherzo.

- Keith, ti prego: Mark non avrebbe mai voluto vederti così – mormora colui che dice di chiamarsi Alex, e che al momento non ricordo essere il mio migliore amico – Lui ti amava più della sua stessa vita. Non ti avrebbe mai voluto sapere in questo stato –

- Tu non capisci, tu non puoi capire – gemo, le parole che escono dalle mie labbra come lunghi gemiti di dolore. Proprio questa, d’altronde, è la sensazione che sento bruciarmi dentro: ogni azione, fatta senza lui accanto, è tremendamente sbagliata – Io senza di lui non valgo niente. Io senza Mark neanche esisto

Alex mi prende le mani – Non è vero Keith –

Mi ritraggo bruscamente – Non toccarmi – sibilai, quindi odorai la mia pelle – Lo senti? C’è ancora il suo profumo su di me – sussurro.

Attraverso il velo che costantemente offusca la mia vista da quando lui se n’è andato, vedo la figura quasi afflosciarsi su se stessa – Keith… - continua a ripetere il mio nome con tono disperato.

Riprendo a dondolarmi, gli occhi fissi nel vuoto e la voce che mormora ossessivamente, in continuazione, il suo nome, l’unica parola che per me abbia realmente senso. Quanto tempo è passato da quando un ufficiale di polizia mi ha dato l’assurda e impossibile notizia che Mark era morto, investito da una macchina?

Non ne ho la minima idea: ho chiuso la porta in faccia al poliziotto, non credendo assolutamente alle sue parole.

Poi mi sono seduto al tavolo della cucina e l’ho aspettato, sicuro che sarebbe tornato da un momento all’altro e che ci saremmo fatti due risate su quel macabro sbaglio di persona.

Ma il tempo passava, e lui non tornava.

Sono rimasto immobile in quella posizione, senza muovere un muscolo, per quasi tre giorni. Ogni minuto che passava mi strappava un pezzo di cuore e lo disperdeva nella grandezza della sofferenza che, ogni attimo più acuta, mi attanagliava il cuore.

All’alba del quarto giorno mi alzai, misi i suoi vestiti e mi raggomitolai sul letto nel quale mi trovo adesso: da allora, non mi sono più mosso.

Gente diversa è entrata e uscita da questa stanza, qualcuno mi è parso blaterasse di un funerale o qualcosa del genere, ma io non mi sono mosso: Mark non era morto.

Non era possibile.

O no?

Non era possibile, vero?

Vero?

Da allora ho perso il senso del tempo, e non saprei quantificare i giorni che ho passato immobile in questo letto senza mangiare, bere o lavarmi: ho tuttavia la vaga impressione che siano tanti.

E quell’Alex che adesso non riconosco davvero benché io sia praticamente cresciuto con lui, improvvisamente scoppia a piangere.

E so che ha anche lui definitivamente perso le speranza di farmi tornare realmente vivo.

E so che ha definitivamente capito che con Mark sono morto anche io.

 

 

La notte scura cala su questa casa silenziosa.

Alex dorme vicino a me che guardo il buio ad occhi sbarrati, nella stessa identica posizione della mattina. Silenzioso come un gatto, mi alzo per la prima volta dopo settimane, e sento le mie gambe cedere un attimo, disabituate a reggere il mio peso; tuttavia, dopo un attimo d’incertezza, ritrovo saldamente l’equilibrio, e mi aggiro per la casa come uno spettro.

Arrivo fino allo sgabuzzino e prendo ciò di cui ho bisogno: non so nemmeno perché ho aspettato tanto per decidermi.

Sempre con espressione vuota e movimenti stanchi mi dirigo fino in salotto, osservando il soffitto di legno con le travi a vista.

E’ stato Mark ad insistere affinché venisse edificato in quel modo: diceva che gli dava un senso di calore.

Salgo su uno sgabello e preparo tutto il necessario: faccio passare la corda intorno alla trave, faccio un nodo perché non scivoli via, quindi ne opero un altro in corrispondenza dell’altra estremità, lasciando però abbastanza spazio.

Infilo dentro la testa, respiro profondamente un’ultima volta, quindi calcio via lo sgabello sopra cui mi trovo.

Il senso di soffocamento è subito molto forte, ma non emetto un suono, limitandomi a chiudere gli occhi.

Ascolto i miei respiri farsi sempre più veloci e spezzati, poi mi manca il fiato.

 

Aspettami, Mark.

Sto tornando da te, e mi dispiace solo di averti fatto aspettare tanto.

Me lo dicevi sempre che ero un tremendo ritardatario, te lo ricordi?

Abbiamo litigato spesso per questa cosa, perché tu non sopportavi che qualcuno ti facesse aspettare, mentre io adoravo farmi attendere, proprio come fanno le prime donne.

Adesso, amore mio, me ne pento tanto: avrei sempre dovuto accorrere da te immediatamente, in modo da non sprecare neanche un attimo del nostro tempo insieme, così poco ma così felice.

Aspettami, Mark.

Ti seguirò fino alla morte.

 

Sento le ultime riserve d’aria uscire dal mio corpo.

C’è un attimo di dolore acutissimo, poi reclino lentamente la testa, la vista già offuscata che mi si oscura del tutto.

 

Eccomi qui, anche se non sono sicuro esista realmente un “qui”.

Vedo una luce risplendere: essa è tanto forte che per un attimo devo chiudere gli occhi, accecato.

Quando mi abituo a questo bagliore, sento un dolce calore sulla pelle, e intravedo il tuo sorriso.

Tendo le mani al tuo indirizzo, pregandoti col cuore di abbracciarmi fortissimo.

 

Eccomi qui, amore.

Adesso rimani con me per sempre.

   
 
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