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Autore: Sheep    12/06/2010    6 recensioni
Si chiama Cherry Key.
E’ una delle isolette che fanno da cornice alla costa occidentale della Florida, un minuscolo agglomerato di nuvole, sabbia e piante secche lungo solo otto chilometri e per lo più disabitato, ed è più precisamente il posto dove andai a sbattere dopo l’incidente, ma andiamo pure con ordine.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Kevin Jonas, Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Rieccomi!

Così presto? Sì, avete capito bene :3!

Le vostre meravigliose recensioni mi hanno spinta a scrivere, scrivere e scrivere, e dare un senso al  mio sabato. Come shot è un po’ lunghetta, ma serve a spiegarvi bene tutto ciò che ho immaginato.

Ora, due parole: La storia di base di questa shot – un incidente e il trasferimento, ma soprattutto la rilocalizzazione- sono idee del grande King e solo sue. Lui, mia ispirazione, mi ha dato la base per questa bellissima shot. Se vi è piaciuta vi consiglio il suo libro, Duma Key, la trama di base è quasi la stessa ma vira sul fantasy.

 

Altre note:

*Cherry Key è inventata ma le altre isolette esistono sul serio.

** Casey Key è una delle isolette.

 

I Jonas non mi appartengono e questa shot non ha alcuno scopo di lucro.

 

A King, il mio grande maestro

E Joe, che si è prestato benissimo

Alla stesura di uno dei miei migliori lavori.

I

Si chiama Cherry Key.*

E’ una delle isolette che fanno da cornice alla costa occidentale della Florida, un minuscolo agglomerato di nuvole, sabbia e piante secche lungo solo otto chilometri e per lo più disabitato, ed è più precisamente il posto dove andai a sbattere dopo l’incidente, ma andiamo pure con ordine.

Fu Lucy Sheldon, la mia psicologa,a parlarmi della rilocalizzazione per la prima volta. Venne a trovarmi a casa appena il mio cervello mi permise di emettere due suoni di fila che non fossero esclusivamente grugniti o gemiti di dolore- certo, erano ancora lì a interrompere i miei ‘discorsi’, ma adesso riuscivo perfino a chiedere a Nick di portarmi un bicchiere d’acqua senza innervosirmi e/o tentare di strozzarlo.

Giunse al piccolo appartamento che mio fratello minore aveva acquistato a Fort Worth fin da Austin, affrontando un viaggio non indifferente appositamente per me, ma sul momento non ero nelle condizioni adatte per rendermene conto. Fu una fortuna che quel giorno fossi di buon umore e accettai di riceverla.

Entrò nella camera dove Nicholas mi aveva sistemato con l’andamento sicuro di una che viene a casa tua per un’allegra cenetta del sabato sera in compagnia, con un grande sorriso luminoso e i capelli biondi tirati su. Lucy era sempre stata una donna attraente, e per di più all’epoca nemmeno sposata. Certe volte, quando mi capita di ripensare a lei, ancora mi chiedo se Nick avesse avuto ragione ad esortarmi a chiederle di uscire. Prima che ciò che è accaduto accadesse, intendo.

Si sedette su una sedia accanto al mio letto dopo aver sistemato la borsa sulla scrivania in noce e mi guardò coi suoi occhi verdi a forma di mandorla. “Come va, Joe?” Fu la prima cosa che mi chiese.

Provai un senso di smarrimento assoluto, sul momento. Sentii le forze venirmi meno mentre cercavo affannosamente di riprendere fiato. “M-meglio.” Balbettai, completamente ignaro di ciò che stavo dicendo.

Nicholas ci raggiunse poco dopo con un vassoio e del caffè. Ne versò una tazzina per Lucy, poi una per sé,  nel frattempo la donna riprese a parlare. “Mi fa molto piacere.” Affermò, bevendo un sorso con una lentezza calcolata che cominciava ad irritarmi. “Sai, per qualche giorno avevo temuto il peggio. Ma ero comunque sicura che ti saresti ripreso.”

Ero entrato in cura da lei in seguito alla morte di mia madre, qualche mese dopo che avevo cominciato a bere. Nello stesso periodo –lo ricordo bene-  frequentavo in base a un suo suggerimento anche un circolo di alcolisti anonimi. Ci fu un minuto di silenzio, che Nick interruppe con una stupida osservazione.

“Certo che lo eri. Lo eravamo tutti.” Lanciò un’occhiata non troppo convinta alle lenzuola che mi coprivano dal ventre in poi. Lì sotto si nascondeva il cuore del mio infinito e logorante dolore.

Lucy annuì. “Sì, ma bando alle ciance. Non sono affatto venuta qui per compatire Joe.” Nick vacillò, come si fosse sentito tagliare le gambe. “Non mi sarei messa in macchina per così tanto tempo, sennò. Odio l’auto.” La fissammo con aria interrogativa. “Se sono qui è perché voglio darti una speranza.” Spiegò. “ Dopo la prima fase, che è abbastanza tranquilla, comincerai a pensare di suicidarti. E’ la seconda fase.  Ma io voglio che tu la superi senza attraversarla.”

Mio fratello aggrottò le sopracciglia. “Come …?”

Lucy si alzò di scatto e afferrò la sua borsa di pelle. Ne estrasse dei fogli e poi tornò a sedersi. “Si chiama rilocalizzazione.” Accavallò le gambe. “Ci è già passato un mio paziente, prima di te. Consiste nel ricostruirsi una vita. Prenderne le redini e ricominciare.” Tentai di aprir bocca ma lei fu più veloce a schiaffarmi quelle carte sotto il naso. “Qui.” Indicò un punto in mezzo a quelle scritte nere che ai miei occhi apparivano sfocate e confusionarie. Non sarei mai riuscito a leggerle. Nick si avvicinò per sbirciare. “Si chiama Cherry Key. Ed è perfetta. E’ un’isoletta della Florida ed io ti ho già trovato un posto dove stare.”

Ero spiazzato ed anche mio fratello, che incrociò le braccia. “Aspetta Lucy, Joe non è affatto in grado di …”

“Lo è.” Replicò lei con tono caparbio. “        O meglio, presto lo sarà e non avete tempo da perdere.”  Si morse il labbro. “Guarda.” Mentre scorreva le pagine, potevo vedere il mare e le foto di vecchio un edificio bianco su cui si arrampicavano foglie verdi e minuscoli fiorellini viola. “Non è lontana da Casey** e ho già trovato una ragazza disponibile a rifornire il frigo e fare le pulizie due volte a settimana. Lì non dovrai far altro che rilassarti. Il prezzo è anche conveniente. Riflettici.”

Nicholas le strappò letteralmente i fogli di mano. “Grazie Lucy. Ci penseremo e daremo un’occhiata a queste carte.” Le gettò sul piano più vicino e lei gli si avvicinò, sospirando.

“Per favore, non essere sciocco Mr. Jonas.” Raccattò la giacca e si avvicinò all’uscita con mio fratello alle calcagna. “E’ la prima e l’ultima speranza se vuoi che Joe torni a vivere in maniera rispettabile. Ricorda che si è salvato per miracolo, niente di più. Avrebbe potuto lasciarci le penne, contro quella Mustang.

 

II

Uscirono, continuando a parlare, ma per me la tortura non era ancora finita. Quell’ultima parola, ‘Mustang’, mi trascinò a una splendente giornata di Febbraio, esattamente due mesi prima.

Il sole era alto e il cielo blu e terso, non tirava un alito di vento. Se qualcuno avesse guardato attraverso i finestrini senza sapere in che periodo dell’anno fossimo, avrebbe pensato sicuramente ad Aprile e ad una bella primavera, quando invece eravamo appena in inverno. L’oceano alla mia destra splendeva di blu e di verde, e perfino l’asfalto pareva di un grigio più chiaro del solito. Nonostante stessi viaggiando per lavoro la mia giornata si prospettava estremamente meravigliosa e non potevo fare a meno di sorridere.

Christofer Redleaf, il direttore, mi aveva assunto come agente di commercio non molto tempo prima, affascinato dalla mia ars oratoria, e la mia vita economica andava a gonfie vele. Per quanto riguardava quella sentimentale, beh ... c’era stata Miranda, prima che mi mollasse a dicembre, ma in quel momento non m’importava un fico secco di lei.

“C’è un’intera cassa di birre nel cofano.” Pensavo. “Chi ha bisogno di quella vacca?”

Massima velocità e dritto verso l’orizzonte, era quello il motto. Fare in fretta, tornare a casa e magari festeggiare con del Malibu. Che avrei potuto desiderare di più dalla vita?

Sicuramente non quello che accadde qualche attimo dopo, immagino. Perso nei miei pensieri, non avevo minimamente notato una grossa auto nera sfrecciare verso di me come su una pista da corsa. Quando lo feci, fu troppo tardi. Né io, né quel fottuto cretino alla guida della Mustang frenammo in tempo.

Un rumore, un frastuono, un boato mi squarciarono i timpani come se mi avessero infilato uno stiletto nelle orecchie. Una nuvola nera appannò il parabrezza e la mia visione delle cose divenne sfocata; Io e l’altro squilibrato ci eravamo scontrati nel punto più stretto della strada. Non riuscii a percepire altro che un liquido caldo bagnarmi le gambe schiacciate –sangue- che quel buio incombente sull’auto avvolse anche me in una morsa strettissima. Caddi in trance.

Naturalmente ci furono altri suoni, dopo. Prima il silenzio, poi frenate. Un assordante urlo di donna e, poco dopo, delle sirene. Prima di svenire del tutto riuscì a catturare una sola frase.

“E’ una Mustang” Disse la vigilessa.

 

{MUSTANG, MUSTANG, MUSTANG, MUSTANG, MUSTANG.}

 

Gridai furiosamente di dolore e paura. Quando mi svegliai, piangevo come un poppante.

Nick accorse poco dopo, affannato. Mi vide agitarmi e io lo odiai fortemente. Lo odiai, lo odiai così tanto che se avessi davvero potuto alzarmi non so se sarebbe ancora vivo, adesso.

Lo odiai perché aveva ventisei anni ed era un giovane affascinante, alto e in piena forma fisica. Lo odiai per quei suoi muscoli e la forza che dimostrava di avere quando doveva spostarmi sulla sedia a rotelle. Lo odiai per la sua bellezza fresca e intatta. Era un giovane attraente con una marea di donne che gli correvano dietro e con un lavoro fantastico, e io oramai un vegetale col viso sfigurato. Lo odiai perché lui poteva lavorare alla radio ed essere felice e io intrappolato in un fottuto letto nel suo appartamentino del cazzo.

Lo odiai, lo odiai e lo odiai.

Mi si avvicinò con un panno e tentò di asciugarmi il sudore dalla fronte – mi ero praticamente fatto un bagno. Preso da un istinto irrefrenabile, gli morsi il braccio facendolo gemere di dolore.

 

(E’ una MUSTANG!)

 

Mio fratello non batté ciglio. Ripulì il vassoio del caffè e tornò poco dopo con la mia dose giornaliera di antidolorifici.

 

 

 

III

Fu così che decise di spedirmi a Cherry Key.

Non per sé stesso, perché oltre ad essere tutto ciò che era, aveva anche un animo dannatamente altruista, ma prese questa decisione proprio per me. Ci provò.

Preparò le mie valigie e mi parlò molto, prima che partissi. Mi disse che mi avrebbe scritto una mail ogni sera, mi ricordò delle pillole che avrei dovuto prendere e delle dosi, mi rassicurò sul fatto che se non mi fossi trovato bene la sua porta sarebbe stata sempre aperta, per me. Mi accompagnò fino a destinazione assieme a Kelly Fox, la ragazza che Lucy aveva assunto come aiutante.

Kelly era una tipica studentessa di ventidue anni coi capelli neri e niente grilli per la testa. Era pragmatica, ma non severa. La apprezzai fin da subito per i suoi modi educati ma non pietosi nei miei riguardi.

L’edificio –bianco e coi fiori viola proprio come l’avevo visto sulla foto- era abbastanza grande e si trovava in prossimità del mare. Nick  mi accompagnò fin nell’interno e si offrì di disfare le mie valigie ma Kelly glielo impedì, affermando che ci avrebbe sicuramente pensato lei.

Non ci misi molto ad ambientarmi; Quando mio fratello mi salutò, ero convinto di aver abitato in quella casa per anni. Mi abbracciò e mi avvisò che sarebbe tornato il venerdì successivo.

Non so perché, ma quando sia Kelly che Nicholas se ne furono andati, mi venne da pensare a Kevin; Non era venuto a trovarmi, dopo l’incidente, mai più. Mi aveva telefonato una volta e mi aveva anche schiaffato nelle orecchie le voci dei suoi figli. Zio Joe, piagnucolavano, con quelle loro vocine stridule.

Franklin, il più piccolo, aveva preso l’abitudine di venire un paio di volte a settimana e mi aveva anche scritto qualche lettera, ma Kev sembrava essere sparito del tutto dalla mia vita. E, per quanto di me non fosse rimasto altro che una sottospecie di mostro deturpato, mi mancava.

Mi avvicinai allo specchio con un po’ di fatica –era molto doloroso per me spingere quelle dannate ruote- e mi osservai attentamente per la prima volta; Mi venne da piangere per ciò che potei vedere.

Era un uomo, quello lì, un uomo distrutto con un sopracciglio spaccato e una barba nera e fitta, da cui spuntava un labbro gonfio. Gli occhi, due goccioline di petrolio, erano cerchiati da un alone violaceo. Le braccia erano piene di graffi e quella maglia troppo grande. E le gambe, ovviamente, stavano adagiate su quella maledetta sedia a rotelle. Era un uomo, ero io. Era zio Joe, che stava iniziando una nuova vita.

 

IIII

Non ho mai ricominciato a camminare ma ho la sensazione che Cherry Key mi abbia davvero salvato la vita. Il mare, dolce culla delle mie angosce, allevia col suo canto il mio dolore e ho detto addio agli antidolorifici. Kelly viene ancora ad aiutarmi, abbiamo molta confidenza ed oramai è per me una specie di sorella. Certe volte si ferma addirittura a cena o a studiare. Mi tiene compagnia.

Ho anche ripreso a farmi la barba e a lavarmi i denti senza che ogni volta i mille pezzettini di vetro che ho conficcati nelle gambe mi facciano contorcere; Mi ci sono abituato e riesco addirittura a prepararmi un pranzo completo da solo. Nick e Frankie mi fanno visita rispettivamente il martedì e il giovedì, ma il più grande tra i due mi telefona o mi manda mail tutti i giorni.

Ho ritrovato la serenità; Sono così sereno che potrei perfino innamorarmi. Le rose bianche nel mio giardino ogni tanto mi ricordano del sorriso di mia madre e di Kevin; Di quando eravamo ancora una famiglia unita.

 

 

  
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