Rieccomi!
Così
presto? Sì, avete capito bene :3!
Le
vostre meravigliose recensioni mi hanno spinta a scrivere, scrivere e
scrivere,
e dare un senso al mio
sabato. Come shot
è un po’ lunghetta, ma serve a spiegarvi bene
tutto ciò che ho immaginato.
Ora,
due parole: La storia di base di questa shot – un incidente e
il trasferimento,
ma soprattutto la rilocalizzazione- sono idee del grande King e solo
sue. Lui,
mia ispirazione, mi ha dato la base per questa bellissima shot. Se vi
è
piaciuta vi consiglio il suo libro, Duma Key, la trama di base
è quasi la
stessa ma vira sul fantasy.
Altre
note:
*Cherry
Key è inventata ma le altre isolette esistono sul serio.
**
Casey Key è una delle isolette.
I Jonas non mi
appartengono e questa shot non ha alcuno scopo di lucro.
A King, il mio
grande maestro
E Joe, che si è
prestato benissimo
Alla stesura di uno
dei miei migliori lavori.
I
Si
chiama Cherry Key.*
E’
una delle
isolette che fanno da cornice alla costa occidentale della Florida, un
minuscolo agglomerato di nuvole, sabbia e piante secche lungo solo otto
chilometri e per lo più disabitato, ed è
più precisamente il posto dove andai a
sbattere dopo l’incidente, ma andiamo pure con ordine.
Fu
Lucy Sheldon,
la mia psicologa,a parlarmi della rilocalizzazione
per la prima volta. Venne a trovarmi a casa appena il mio cervello mi
permise
di emettere due suoni di fila che non fossero esclusivamente grugniti o
gemiti
di dolore- certo, erano ancora lì a interrompere i miei
‘discorsi’, ma adesso
riuscivo perfino a chiedere a Nick di portarmi un bicchiere
d’acqua senza
innervosirmi e/o tentare di strozzarlo.
Giunse
al piccolo
appartamento che mio fratello minore aveva acquistato a Fort Worth fin
da Austin,
affrontando un viaggio non indifferente appositamente per me, ma sul
momento
non ero nelle condizioni adatte per rendermene conto. Fu una fortuna
che quel
giorno fossi di buon umore e accettai di riceverla.
Entrò
nella camera
dove Nicholas mi aveva sistemato con l’andamento sicuro di
una che viene a casa
tua per un’allegra cenetta del sabato sera in compagnia, con
un grande sorriso
luminoso e i capelli biondi tirati su. Lucy era sempre stata una donna
attraente, e per di più all’epoca nemmeno sposata.
Certe volte, quando mi
capita di ripensare a lei, ancora mi chiedo se Nick avesse avuto
ragione ad
esortarmi a chiederle di uscire. Prima che ciò che
è accaduto accadesse,
intendo.
Si
sedette su una
sedia accanto al mio letto dopo aver sistemato la borsa sulla scrivania
in noce
e mi guardò coi suoi occhi verdi a forma di mandorla.
“Come va, Joe?” Fu la
prima cosa che mi chiese.
Provai
un senso di
smarrimento assoluto, sul momento. Sentii le forze venirmi meno mentre
cercavo
affannosamente di riprendere fiato. “M-meglio.”
Balbettai, completamente ignaro
di ciò che stavo dicendo.
Nicholas
ci
raggiunse poco dopo con un vassoio e del caffè. Ne
versò una tazzina per Lucy,
poi una per sé, nel
frattempo la donna
riprese a parlare. “Mi fa molto piacere.”
Affermò, bevendo un sorso con una
lentezza calcolata che cominciava ad irritarmi. “Sai, per
qualche giorno avevo
temuto il peggio. Ma ero comunque sicura che ti saresti
ripreso.”
Ero
entrato in
cura da lei in seguito alla morte di mia madre, qualche mese dopo che
avevo
cominciato a bere. Nello stesso periodo –lo ricordo bene- frequentavo in base a un
suo suggerimento
anche un circolo di alcolisti anonimi. Ci fu un minuto di silenzio, che
Nick
interruppe con una stupida osservazione.
“Certo
che lo eri.
Lo eravamo tutti.” Lanciò un’occhiata
non troppo convinta alle lenzuola che mi coprivano
dal ventre in poi. Lì sotto si nascondeva il cuore del mio
infinito e logorante
dolore.
Lucy
annuì. “Sì,
ma bando alle ciance. Non sono affatto venuta qui per compatire
Joe.” Nick
vacillò, come si fosse sentito tagliare le gambe.
“Non mi sarei messa in
macchina per così tanto tempo, sennò. Odio
l’auto.” La fissammo con aria
interrogativa. “Se sono qui è perché
voglio darti una speranza.” Spiegò. “
Dopo
la prima fase, che è abbastanza tranquilla, comincerai a
pensare di suicidarti.
E’ la seconda fase. Ma
io voglio che tu
la superi senza attraversarla.”
Mio
fratello
aggrottò le sopracciglia. “Come
…?”
Lucy
si alzò di
scatto e afferrò la sua borsa di pelle. Ne estrasse dei
fogli e poi tornò a
sedersi. “Si chiama rilocalizzazione.”
Accavallò le gambe. “Ci è
già passato un
mio paziente, prima di te. Consiste nel ricostruirsi una vita.
Prenderne le
redini e ricominciare.” Tentai di aprir bocca ma lei fu
più veloce a
schiaffarmi quelle carte sotto il naso. “Qui.”
Indicò un punto in mezzo a quelle scritte nere che ai miei
occhi apparivano
sfocate e confusionarie. Non sarei mai riuscito a leggerle. Nick si
avvicinò
per sbirciare. “Si chiama Cherry Key. Ed è
perfetta. E’ un’isoletta della
Florida ed io ti ho già trovato un posto dove
stare.”
Ero
spiazzato ed anche
mio fratello, che incrociò le braccia. “Aspetta
Lucy, Joe non è affatto in
grado di …”
“Lo
è.” Replicò
lei con tono caparbio. “
O meglio,
presto lo sarà e non avete tempo da perdere.”
Si morse il labbro. “Guarda.” Mentre
scorreva le pagine, potevo vedere
il mare e le foto di vecchio un edificio bianco su cui si arrampicavano
foglie
verdi e minuscoli fiorellini viola. “Non è lontana
da Casey** e ho già trovato
una ragazza disponibile a rifornire il frigo e fare le pulizie due
volte a
settimana. Lì non dovrai far altro che rilassarti. Il prezzo
è anche
conveniente. Riflettici.”
Nicholas
le
strappò letteralmente i fogli di mano. “Grazie
Lucy. Ci penseremo e daremo
un’occhiata a queste carte.” Le gettò
sul piano più vicino e lei gli si
avvicinò, sospirando.
“Per
favore, non
essere sciocco Mr. Jonas.” Raccattò la giacca e si
avvicinò all’uscita con mio
fratello alle calcagna. “E’ la prima e
l’ultima speranza se vuoi che Joe torni
a vivere in maniera rispettabile. Ricorda che si è salvato
per miracolo, niente
di più. Avrebbe potuto lasciarci le penne, contro quella Mustang.”
II
Uscirono,
continuando a parlare, ma per me la tortura non era ancora finita.
Quell’ultima
parola, ‘Mustang’,
mi trascinò a una splendente
giornata di Febbraio, esattamente due mesi prima.
Il
sole era alto e
il cielo blu e terso, non tirava un alito di vento. Se qualcuno avesse
guardato
attraverso i finestrini senza sapere in che periodo dell’anno
fossimo, avrebbe
pensato sicuramente ad Aprile e ad una bella primavera, quando invece
eravamo
appena in inverno. L’oceano alla mia destra splendeva di blu
e di verde, e
perfino l’asfalto pareva di un grigio più chiaro
del solito. Nonostante stessi
viaggiando per lavoro la mia giornata si prospettava estremamente
meravigliosa
e non potevo fare a meno di sorridere.
Christofer
Redleaf, il direttore, mi aveva assunto come agente di commercio non
molto tempo
prima, affascinato dalla mia ars oratoria,
e la mia vita economica andava a gonfie vele. Per quanto riguardava
quella
sentimentale, beh ... c’era stata Miranda, prima che mi
mollasse a dicembre, ma
in quel momento non m’importava un fico secco di lei.
“C’è
un’intera
cassa di birre nel cofano.” Pensavo. “Chi ha
bisogno di quella vacca?”
Massima
velocità e
dritto verso l’orizzonte, era quello il motto. Fare in
fretta, tornare a casa e
magari festeggiare con del Malibu. Che avrei potuto desiderare di
più dalla
vita?
Sicuramente
non
quello che accadde qualche attimo dopo, immagino. Perso nei miei
pensieri, non
avevo minimamente notato una grossa auto nera sfrecciare verso di me
come su
una pista da corsa. Quando lo feci, fu troppo tardi. Né io,
né quel fottuto
cretino alla guida della Mustang frenammo in tempo.
Un
rumore, un
frastuono, un boato mi squarciarono i timpani come se mi avessero
infilato uno
stiletto nelle orecchie. Una nuvola nera appannò il
parabrezza e la mia visione
delle cose divenne sfocata; Io e l’altro squilibrato ci
eravamo scontrati nel
punto più stretto della strada. Non riuscii a percepire
altro che un liquido
caldo bagnarmi le gambe schiacciate –sangue-
che quel buio incombente sull’auto avvolse anche me in una
morsa strettissima.
Caddi in trance.
Naturalmente
ci
furono altri suoni, dopo. Prima il silenzio, poi frenate. Un assordante
urlo di
donna e, poco dopo, delle sirene. Prima di svenire del tutto
riuscì a catturare
una sola frase.
“E’
una Mustang” Disse la
vigilessa.
{MUSTANG,
MUSTANG, MUSTANG, MUSTANG, MUSTANG.}
Gridai
furiosamente di dolore e paura. Quando mi svegliai, piangevo come un
poppante.
Nick
accorse poco
dopo, affannato. Mi vide agitarmi e io lo odiai fortemente. Lo odiai,
lo odiai
così tanto che se avessi davvero potuto alzarmi non so se
sarebbe ancora vivo,
adesso.
Lo
odiai perché
aveva ventisei anni ed era un giovane affascinante, alto e in piena
forma
fisica. Lo odiai per quei suoi muscoli e la forza che dimostrava di
avere
quando doveva spostarmi sulla sedia a rotelle. Lo odiai per la sua
bellezza
fresca e intatta. Era un giovane attraente con una marea di donne che
gli
correvano dietro e con un lavoro fantastico, e io oramai un vegetale
col viso sfigurato.
Lo odiai perché lui poteva lavorare alla radio ed essere
felice e io
intrappolato in un fottuto letto nel suo appartamentino del cazzo.
Lo
odiai, lo odiai
e lo odiai.
Mi
si avvicinò con
un panno e tentò di asciugarmi il sudore dalla fronte
– mi ero praticamente
fatto un bagno. Preso da un istinto irrefrenabile, gli morsi il braccio
facendolo
gemere di dolore.
(E’
una MUSTANG!)
Mio
fratello non
batté ciglio. Ripulì il vassoio del
caffè e tornò poco dopo con la mia dose
giornaliera
di antidolorifici.
III
Fu
così che decise
di spedirmi a Cherry Key.
Non
per sé stesso,
perché oltre ad essere tutto ciò che era, aveva
anche un animo dannatamente
altruista, ma prese questa decisione proprio per me. Ci
provò.
Preparò
le mie
valigie e mi parlò molto, prima che partissi. Mi disse che
mi avrebbe scritto
una mail ogni sera, mi ricordò delle pillole che avrei
dovuto prendere e delle
dosi, mi rassicurò sul fatto che se non mi fossi trovato
bene la sua porta
sarebbe stata sempre aperta, per me. Mi accompagnò fino a
destinazione assieme
a Kelly Fox, la ragazza che Lucy aveva assunto come aiutante.
Kelly
era una
tipica studentessa di ventidue anni coi capelli neri e niente grilli
per la
testa. Era pragmatica, ma non severa. La apprezzai fin da subito per i
suoi
modi educati ma non pietosi nei miei riguardi.
L’edificio
–bianco
e coi fiori viola proprio come l’avevo visto sulla foto- era
abbastanza grande
e si trovava in prossimità del mare. Nick
mi accompagnò fin nell’interno e si
offrì di disfare le mie valigie ma
Kelly glielo impedì, affermando che ci avrebbe sicuramente
pensato lei.
Non
ci misi molto
ad ambientarmi; Quando mio fratello mi salutò, ero convinto
di aver abitato in
quella casa per anni. Mi abbracciò e mi avvisò
che sarebbe tornato il venerdì
successivo.
Non
so perché, ma
quando sia Kelly che Nicholas se ne furono andati, mi venne da pensare
a Kevin;
Non era venuto a trovarmi, dopo l’incidente, mai
più. Mi aveva telefonato una
volta e mi aveva anche schiaffato nelle orecchie le voci dei suoi
figli. Zio Joe, piagnucolavano, con
quelle loro
vocine stridule.
Franklin,
il più
piccolo, aveva preso l’abitudine di venire un paio di volte a
settimana e mi
aveva anche scritto qualche lettera, ma Kev sembrava essere sparito del
tutto
dalla mia vita. E, per quanto di me non fosse rimasto altro che una
sottospecie
di mostro deturpato, mi mancava.
Mi
avvicinai allo
specchio con un po’ di fatica –era molto doloroso
per me spingere quelle
dannate ruote- e mi osservai attentamente per la prima volta; Mi venne
da
piangere per ciò che potei vedere.
Era
un uomo,
quello lì, un uomo distrutto con un sopracciglio spaccato e
una barba nera e
fitta, da cui spuntava un labbro gonfio. Gli occhi, due goccioline di
petrolio,
erano cerchiati da un alone violaceo. Le braccia erano piene di graffi
e quella
maglia troppo grande. E le gambe, ovviamente, stavano adagiate su
quella
maledetta sedia a rotelle. Era un uomo, ero io.
Era zio Joe, che stava iniziando una nuova vita.
IIII
Non
ho mai
ricominciato a camminare ma ho la sensazione che Cherry Key mi abbia
davvero
salvato la vita. Il mare, dolce culla delle mie angosce, allevia col
suo canto
il mio dolore e ho detto addio agli antidolorifici. Kelly viene ancora
ad
aiutarmi, abbiamo molta confidenza ed oramai è per me una
specie di sorella.
Certe volte si ferma addirittura a cena o a studiare. Mi tiene
compagnia.
Ho
anche ripreso a
farmi la barba e a lavarmi i denti senza che ogni volta i mille
pezzettini di
vetro che ho conficcati nelle gambe mi facciano contorcere; Mi ci sono
abituato
e riesco addirittura a prepararmi un pranzo completo da solo. Nick e
Frankie mi
fanno visita rispettivamente il martedì e il
giovedì, ma il più grande tra i
due mi telefona o mi manda mail tutti i giorni.
Ho
ritrovato la
serenità; Sono così sereno che potrei perfino
innamorarmi. Le rose bianche nel
mio giardino ogni tanto mi ricordano del sorriso di mia madre e di
Kevin; Di
quando eravamo ancora una famiglia unita.