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Autore: Erik Winterking    13/06/2010    3 recensioni
Breve one-shot malinconica. Un ragazzo viene scaricato... come reagisce?
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Allora, prima di tutto, grazie a tutti coloro che hanno letto! Grazie anche a chi recensice... anche se scrive romanzi! Mi è piaciuta molto come recensione, Erica_8 - posso usarla come pezzo aggiuntivo? XD Grazie anche a Chiara_96, che ha recensito ogni capitolo di Nemo. Sono contento che ti sia piaciuta la sua storia. Confesso che all'inizio non avevo pensato al lieto fine! L'hanno deciso i personaggi! O_O (è grave quando succede così?) buffo però, non sei la prima a scambiare Shade per un maschio XD le ho sempre detto che era poco femminile... sto scrivendo anche la sua storia, forse un giorno riuscirò a finirla! Ma è difficile mettersi nei panni di una ragazza! E per i baci, non preoccuparti, non c'è problema ^^
Ok, ora per le notizie serie. Ultimamente non posso connettermi regolarmente ad internet, perciò non aspettatevi troppi aggiornamenti (ma mi sa che si era notato questo ^-^")... comunque rinnovo i ringraziamenti, e trovandomi a corto di tempi faccio i complimenti per tutte le storie che sto seguendo, e che procedono molto bene! Quando avrò più tempo spero di riuscire a fare anche delle recensioni più specifiche...
P.S: consiglio a tutti di cercare la canzone "I Walk Alone" di Tarja Turunen (ex-Nightwish) e usarla come colonna sonora per "Il Re d'Inverno". Secondo me, ci sta tutta U_U. Per questa invece... uhm... "Baby", di Serj Tankian, oppure "Saving Us", sempre sua. Alla prossima!


Piccola storia di amore e follia


«È finita.»
«È finita? Ma se non è neanche cominciata...»
«Molto divertente. Credi come vuoi... se per te è meglio così; vorrà dire che non comincerà.»
«Davvero? Così, senza un vero e proprio perché? Io...»
«Addio.»

Abbastanza stranamente, queste parole non hanno su di lui alcun effetto. Non piange, non urla, non minaccia, non fa assolutamente niente. Né rimane paralizzato, incapace di intendere o di volere – no, va avanti come se niente fosse. Ammirevole sopportazione del dolore, diranno alcuni. Vuol dire che non l'amava poi così tanto, commenteranno altri. Eppure, la verità è molto più semplice...
Il fatto è che non ha capito cosa è successo. Be', allora è stupido, diranno tutti. E così facendo dimostrerebbero di essere di scarse vedute... scusatemi; mi lascio trascinare dai commenti e perdo di vista la storia vera e propria. Allora, riprendiamo. A grandi linee lui ha capito cosa è successo, ma non vuole accettarlo. Nel contempo, però, ha anche accettato quello che è successo («È la sua scelta... va bene così se va bene per lei»), anche se una parte di lui non vuole accettarlo. Signori, la follia va in scena.
Continua a mormorare le ultime frasi dentro di sé, sottovoce, come se le stesse masticando. Le lascia sprofondare in lui, inghiottendole, assaporandole in ogni loro sfumatura. Fanno male, lo tagliano, e allo stesso tempo è un dolore cui è piacevole abbandonarsi. Immagina che inghiottire frammenti di vetro dovrebbe dare le stesse sensazioni, ed è così piacevole...
Tutto questo non ha senso, si dice. Si domanda, ho fatto qualcosa di sbagliato? Dev'essere così, si risponde. Pensa, ricorda – o cerca di ricordare – come si è comportato con lei, se per caso ha detto una parola sbagliata, è stato sgarbato, o qualunque altra cosa possa averla offesa. La sua memoria è ingannevole e fragile – o forse sta svanendo per non ricordare la sua figura e le sue ultime dure parole – e non può essere sicuro di quello che ricorda. Ma dai frammenti che pesca dal torbido stagno formato dalle sue memorie non emerge niente di significativamente accusatorio – sì, si era sempre comportato come meglio poteva, a parte qualche innocua stranezza – ma lei ne aveva riso, perché non era niente di serio, erano i giochi di un bambino felice – e poi, era così facile comportarsi bene con lei! Anzi, bastava che fosse sé stesso – e si sentiva forte... – mentre con gli altri c'era sempre quel disagio, quel fastidio per la loro vacuità, la tensione per non diventare come loro, e forse sì, anche un pizzico d'invidia, se non odio... ma con lei era diverso, stava finalmente bene con lei. Oh sì, bene...
Lei l'ha lasciato.
Il pensiero colpisce come un maglio. Lei, l'unica che sentisse davvero vicina, che lo capisse, l'unica a cui avesse mostrato completamente la sua anima... così, senza un perché, all'improvviso, l'ha lasciato, senza nemmeno voltarsi, come se non valesse niente. Ma può davvero essere così? Si era sempre considerato un nulla, nonostante le proteste degli altri – proteste ipocrite; chi mai si era curato di lui? La risposta viene subito – lei. Lei che l'ha lasciato. Perché, allora, perché? Quelle parole, quelle frasi di consolazione, anche nel suo caso erano ipocrite? Non può crederlo. Le vuole ancora bene – e difficilmente cambierà idea. Se lo richiamasse accorrerebbe subito, dimenticando tutto – davvero? Un dubbio c'è...
Si ricorda... di quando lei aveva indovinato subito il suo tormento. Appena conosciuti, non le aveva detto niente – e poi perché avrebbe dovuto? Non aveva detto niente a nessuno, ma lei l'aveva indovinato. Come aveva fatto? Non potrà mai chiederglielo. E lei non gli aveva mai detto che aveva qualcosa che non andava come facevano gli altri. Lo incoraggiava sempre – forse si era stufata di essere un bastone per uno zoppo? Allora poteva capirla, sì. Perché purtroppo è vero che è uno zoppo lamentoso. E nonostante tutte le sue belle parole è un mostro di avidità, pronto a prendere senza dare nulla in cambio, e a consumare tutto quello che gli capiti a tiro.
Sì, dev'essere così. È lui il colpevole, lo è sempre. Ma quanto avrebbe voluto dare per lei! Però non ha altro che parole, e parole e parole e parole... cosa valgono? Niente, come lui. Sorride. Se lei l'avesse sentito l'avrebbe rincuorato in ogni modo, anche con la durezza – ma ora non può più parlargli... In effetti, che intenzioni aveva? Di passare il resto del tempo a farsi consolare? No, avrebbe fatto per lei il doppio di quello che lei faceva per lui, davvero! Ma non era bravo nel portare conforto... un inetto, come era sempre stato.
Sta parlando da solo. Borbotta tra sé e sé come una pentola d'acqua, nessuno lo nota e gli va bene così. Smette. Si dice di non parlare da solo – ma mentre lo dice si rende conto che sta continuando. Smette di nuovo – ci prova. Le voci sono nella sua testa, e non lo lasciano... e non sono le voci degli altri, dei morti, o di chiunque sia. Se fosse così, saprebbe di essere diventato pazzo... ma le voci sono le sue. I suoi tanti, piccoli io che parlano urlano litigano piangono ridono...
Un ronzio incessante. Deve fuggire da quella confusione. Non può sopportarla. Ascolta la musica con la voracità di un drogato che consuma la sua dose. Le canzoni sono piacevoli, ma i testi gli richiamano troppi ricordi. Serve un altro tipo di musica. Così si abbandona agli allegro di Mozart, i fortissimo di Beethoven, le fughe di Bach, lasciando che le note, le legature, gli staccato, riempiano la sua testa cacciando ogni pensiero, e il dolore e la tristezza, e canta senza parole facendo scivolare la sua voce insieme alle melodie che ascolta...
Anche il mondo non è altro che una grande melodia, vero? Sì, decisamente. Per un certo tempo lo sentiva. Lo sente ancora, e come prima sente un piccolo... cosa? Rumore? Un rumore in sottofondo? Sì... no, non è in sottofondo, è nella melodia stessa, una stonatura, un'incrinatura nel perfetto accordo della creazione... la stonatura degli esseri umani. Non ci sono più le voci nella sua testa. O meglio, ci sono ancora – sono sempre lì, non può fuggire da sé stesso – ma adesso tacciono. Sono silenziate da quello che sente, sempre più forte, e adesso sa che nessuna musica lo coprirà... il grido della Terra che soffre. Perché non lo sentono? PERCHÉ? E adesso cosa farà, impazzirà? Certo sarebbe più facile... tutto, pur di non sentire quell'urlo...
Si sente troppo irreale in quello che scrive. Ma cosa può farci? Ha forse mai imparato a parlare davvero con gli altri? No, era sempre da solo – volontariamente e non – e i libri sono stati gli unici con cui abbia mai dialogato – i libri e sé stesso. E con sé stesso parla in modo letterario. Non può sembrare vivo, neanche con lei riusciva ad esserlo dopo diciotto anni di letteratura... prigioniero dei personaggi che ha creato. È colpa sua, lo sa.
Cosa può fare adesso? Anzi, cosa dovrebbe fare? Si sente stufo di andare avanti, stufo. Suicidio? Troppo melodrammatico. Rigetta l'idea, nonostante continui ad accarezzarla ogni tanto. Si domanda, come posso descrivere me stesso? Una colonna. Certo, solido, vero? Lo ero... a testa bassa contro la vita, vedendo chi si facesse più male. Stupido... la vita è infinitamente più forte. E tutte le botte che hai preso? Ti hanno consumato? Sì, molto, all'interno... posso sembrare forte fuori, ma ormai mi manca davvero poco per spezzarmi. Non posso negarlo... avevo bisogno di lei per rinforzarmi, ma avrei fatto tutto per lei... se solo mi avesse aiutato...
Lei l'ha lasciato.
E si sente spezzato, ma c'è ancora qualcosa di intero dentro di lui... qualcosa che si fa forte, che può renderlo forte... È sempre più lunatico e scontroso. La frase che sente più spesso verso di lui è una domanda sul perché abbia una faccia così sconvolta. Evade con una risposta vaga – è un maestro in questo. Ha assimilato bene l'indifferenza ed è facile restituirla – non sta sbagliando? Forse potrebbe far male a qualcuno... al diavolo, agli altri si è dedicato abbastanza. Marciscano tutti. Sente sempre meno comprensione e pietà per loro. Riesce a stento a riconoscersi in quello che sta diventando...
Si guarda allo specchio. Da tempo non riesce più a collegare il volto che vede con la sua persona. È uno sconosciuto per sé stesso. Si guarda sotto l'occhio destro. Prende una lama da rasoio, la appoggia sullo zigomo e preme. Non sente niente. La fa scorrere, sente un pizzicore leggero. Toglie la lama e la rimette a posto. Guarda la ferita. È appena visibile e ne escono poche gocce di sangue. Fa la doccia, va a dormire. Il giorno dopo controlla la ferita sullo zigomo, ma c'è solo un leggero arrossamento della pelle. Si taglia più in profondità. Non fa male, sorprendentemente. Assapora il sangue, quel sapore così dolce. Gli piace, e ne vorrebbe ancora...
Cosa sto diventando? Non sa rispondere. È inquietante. Lascia correre la fantasia, e spesso si ritrova ad immaginarsi mentre azzanna qualcuno... sensazioni così forti... la carne sotto i suoi denti, il dolore e la paura dell'altro, i muscoli che si strappano e il sangue a fiotti... rabbrividisce per un misto di adrenalina ed eccitazione. Si lecca le labbra come se avesse gustato un piatto prelibato. Non si domanda neanche se sia giusto o sbagliato, l'unico commento che può fare è sulla cattiva qualità che deve avere la carne umana. Degli esseri così non possono avere un buon sapore. Non vale la pena.
Una parte di lui sta gridando, la sente. Non vuole diventare così, svuotato di ogni cosa... scuote la testa, cercando di mettere a tacere tutte le voci. No, il malvagio non prenderà il controllo. Non ancora, e forse mai. Contrae i muscoli, come per recuperarne il controllo. Digrigna i denti fino a tirare il tendine allo spasimo. Piega il piede finché non comincia il crampo, sentendo pienamente il dolore nel suo corpo... ma il dolore non è suo. Non fa male. È piacevole, invece.
Lei l'ha lasciato.
Sfoglia pigramente le pagine del quaderno dove raccoglie i suoi scritti, i suoi pensieri, le idee del momento. Il suo cuore, lo chiama. Un paragone azzeccato – grande, pieno di sorprese, anche se cade a pezzi. Neanche lui sa bene cosa ci possa essere dentro. E all'improvviso ha una specie di illuminazione. In fondo, la mente umana è famosa perché pensa per simboli, giusto? Una cosa può essere più vera della realtà stessa, se lo crede la mente. E lui è umano – più di quanto vorrebbe ammetterlo, ma troppo poco perché possa trovarsi a suo agio tra gli altri. Ha davanti a sé il suo cuore, e sta soffrendo proprio perché ha un cuore, giusto? Oh, la soluzione è così facile...
Un cuore di carta... bene, lo purificherà. Si purificherà da quel veleno che lo sta corrodendo dall'interno – è diventato questo l'amore che aveva per lei? Veleno? No, l'amore è sempre puro. È la sofferenza che sta avvelenando lui. Bene, sa cosa deve fare. Prende il quaderno e lo mette nel camino spento. Prende un accendino e gli dà fuoco. Una voce urla dentro di se, piangendo. Non doveva farlo, non doveva, non doveva... ma è solo il pentimento di un secondo, ed è subito passato. Guarda mentre le fiamme bruciano, distruggendo i suoi scritti, che erano i suoi sogni, le sue speranze, le sue gioie, i suoi dolori.
Brucia! Il suo cuore brucia e lui non sta facendo niente! Sente una stretta al petto, poi una morsa allo stomaco. Un senso di nausea, sempre più forte. Corre in bagno e vomita. Si tocca la fronte. Sì, anche lui sta bruciando, e non si regge in piedi. Gli tremano le gambe. Dare fuoco ad una parte così importante di sé stessi è un trauma terribile. Tutto il suo corpo è percorso da brividi.
Torna nella stanza da pranzo, dove i resti del quaderno si stanno spegnendo. Non ne è rimasto nulla, eccetto un foglio. Lo legge, quel che può, visti i pezzi bruciati e anneriti. Ma ricorda bene quello che c'era scritto. Era una lettera per lei. Forse il mio errore è stato questo, pensa. Avrei dovuto spedirle questa lettera. E invece, quando aveva finito la brutta copia che adesso teneva in mano, era cambiato qualcosa tra loro. Due, tre settimane prima che gli dicesse che era finita. E non le aveva più consegnato niente... bene, allora troverà un modo per fargliela avere. Se è scampata alle fiamme, forse deve riceverla. Chissà cosa ne penserà?
Il giorno dopo si sente bene. Nessun segno di febbre, o di nausea. Si sente forte, pieno di energie. Respira a pieni polmoni. Da quanto tempo non si sentiva così libero! Ride, ma è un suono vuoto. Eppure, in quel momento, quella risata gli sembra una musica bellissima. Si guarda allo specchio. Continua a non riconoscersi, ma nei suoi occhi ora vede quello che avrebbe sempre dovuto esserci. Una luce, una luce di vita. Ma il suo sguardo è freddo, come ghiaccio. Lo sostiene senza paura – dicono che gli esseri umani non possano guardare i propri occhi a lungo, ma lui resta lì finché non crede di star perdendo troppo tempo. Sì, finalmente è forte.
L'incontra di nuovo. Inevitabile, frequentano gli stessi posti. La saluta appena. La sera si imbatte di nuovo in lei – questo è impossibile! Sfida ogni legge della probabilità... in compenso segue tutte le leggi di Murphy. Lo invitano ad unirsi alla compagnia. Accetta, ma si mette in disparte nell'angolo più scomodo della stanza – apposta. Resta tutto il tempo seduto a braccia incrociate, borbottando qualche parola ogni tanto. Osserva. Osserva lei e i suoi... dovrebbe chiamarli amici? Osserva. Alcuni sì. Pochi. Forse due o tre. Osserva. Non ha mangiato niente, non ha partecipato. Escono e li segue mentre passeggiano per la città. Osserva. Lei deve andarsene, la salutano. Non passano cinque minuti, e qualcuno commenta... «Era ora.»
Parlano di lei. Sono felici che se ne sia andata. Non reagisce – e dentro di lui nessuno commenta. Le voci se ne sono andate, ma restano i dubbi. Allora... è questo che ha scelto? Non capisce. Non pretenderebbe mai di poter essere l'unico a capirla – ma era quasi quello che aveva detto lei. Sì, lei aveva detto quasi la stessa cosa, e se quasi non è la stessa cosa, è qualcosa che ci si avvicina. Comunque, non pretenderebbe di poter essere l'unico capace di capirla o apprezzarla, ma certo la apprezzava. Credeva anche che fosse riuscito a farglielo capire. E nonostante tutto – certo, forse si sbaglia e non è riuscito a farsi capire – ma nonostante tutto... lei ha scelto loro? Gente che non la vuole? Non capisce.
Una volta l'avrebbe difesa. L'ha fatto per un certo tempo anche quando lei l'aveva respinto. Anche adesso non la accusa pienamente. Ma non capisce. Con lui si era lamentata spesso che gli altri non la apprezzassero – qualche volta anche lui aveva dovuto consolarla, e aveva provato a farlo al meglio – e allora le aveva detto quanto invece secondo lui fosse perfetta, e come la capisse perché in fondo era successo anche a lui – e gli era successo, sì! Non aveva mai mentito a lei, mai!
Lei l'ha lasciato.
Sì, non sopporta gli altri perché non la accettano, ma comunque resta con loro? Nulla da dire sul fatto che l'abbia respinto, ma se ti lamenti di una cosa fai di tutto per cambiarla. Lui l'aveva fatto. Pur di non dover sopportare gente che non lo accettava aveva tagliato ogni ponte con gli altri. Al diavolo tutti! si era detto. E così era andato avanti da solo. Chi mi ama mi segua, si dice... certo, però, se qualcuno ti segue logica vorrebbe che non lo si cacci. Ma la logica è un'illusione. A lei sta bene così? D'accordo, sta bene anche a lui. Ormai gli va bene ogni cosa. A questo punto però deve vederla un'ultima volta.
Già, vederla un'ultima volta... non vuoi fare niente di maligno, vero? Non vuoi dire quello che hai sentito, quello che hai osservato – erano così volgari gli altri... e lei lo accettava... perché? Lui non l'avrebbe mai trattata così, non l'aveva mai fatto – non vuoi vendicarti, vero? Tu... non vuoi cercare di farla soffrire, vero? No, troppo grezzo. Personaggi del mio calibro sanno andarsene con classe. E comunque non sto più soffrendo, perché dovrebbe soffrire lei? Sappi che non mi fido di te. Anche se tu sei me – io non mi fido molto di me.
Lei l'ha lasciato.
Alla fine si presenta un'occasione per rivederla. Non ha reazioni. Non più quel nervosismo quando ritardava, anche solo per cinque minuti – diventavano i cinque minuti più lunghi della giornata – non più quella morsa al petto quando vedeva il suo volto, i suoi capelli – niente, più niente! È libero e forte! Va dritto al punto. Che importa ormai? Questo è davvero un addio, e dopo averlo pronunciato scomparirà per sempre. Forse si incontreranno di nuovo – del resto, frequentano gli stessi posti – ma di sicuro a lui non importerà nulla. Anzi, forse non la saluterà nemmeno. Intanto, però, deve parlare...
«Non ho molto da dire. Solo, ti devo dare questa, l'ultima pagina del mio cuore – poetico, non è vero? Ma c'è un motivo per cui si chiama così – è sempre stata per te, e finalmente riesco a fartela avere. Poi, un messaggio dall'uomo che conoscevi sotto il mio aspetto... addio. Se n'è andato, e non tornerà più. Buona fortuna... non ti rimprovero la tua scelta. Spero che tu sia felice.»
Parla spedito, sicuro, senza balbettare come aveva fatto l'altra volta – quasi gli viene da ridere, se ci pensa! – ma anche senza lasciar passare alcuna emozione – perché, in effetti, non ha emozioni da trasmettere – con un tono piatto, calmo, quasi meccanico. Prima che lei possa replicare, le si avvicina e le sfiora la fronte con le labbra – il fantasma di un bacio, dato dal fantasma di un uomo – poi si gira e si allontana. La sente che lo chiama. Non si volta. Quello che rimaneva dell'uomo in lui muore, ma non si volta, perché così aveva deciso. Doveva essere un addio, ed è stato un addio.
Lei lo chiama ancora, lo insegue, ma lui è troppo veloce. Si infila tra la folla scivolando tra le persone senza incontrare alcuna resistenza, senza neanche correre, con il suo passo normale – e appena gira il primo angolo scompare.
L'unico pensiero nella sua testa è un addio.
   
 
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