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Autore: Indygodusk    07/09/2005    12 recensioni
Durante un’ondata di caldo Kaoru si ritrova sola, frustrata ed estremamente accaldata. Scoraggiata dal comportamento amichevole di Kenshin, decide di rinunciare al suo amore. Però rifiuta di arrendersi al sole. I vestiti iniziano a volare, ma tanto non c’è nessuno che potrebbe vederla, giusto? Battosai/Kaoru. (Scritta da Indygodusk e tradotta da Quenya)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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HK cap 1

Hakama dake

By Indygodusk

Traduzione by Quenya

Durante un’ondata di caldo Kaoru si ritrova sola, frustrata ed estremamente accaldata. Scoraggiata dal comportamento amichevole di Kenshin, decide di rinunciare al suo amore. Però rifiuta di arrendersi al sole. I vestiti iniziano a volare, ma tanto non c’è nessuno che potrebbe vederla, giusto? Battosai/Kaoru.

Capitolo 1 : Ondata di caldo

Scostandosi dal viso le ciocche di capelli umide dal sudore, Kaoru lanciò con la coda dell’occhio un’altra occhiata all’entrata principale.

‘Ancora niente’

Non che ci fosse qualcuno ad osservarla girarsi ancora verso il portone, ma se quel qualcuno ci fosse stato, non voleva dargli l’impressione sbagliata – tipo che si sentisse sola. Perché non era vero, stava benissimo così. ‘Giusto, quindi non c’è nessun bisogno di andare di nuovo fin là e lasciare quest’ombra bella fresca …er quasi-fresca’ pensò, cercando di convincersi dalla sua posizione di molle abbandono contro il muro del dojo.

Con gli occhi leggermente socchiusi, riusciva quasi ad immaginarsi in piedi sul ponte di pietra del laghetto di un giardino, invece del portico di legno di un dojo. Con la coda dell’occhio, poteva perfino vedere i capelli rosso scuro dell’uomo che premeva il torace muscoloso contro la sua schiena, mentre il suo respiro le sfiorava l’orecchio e le indicava con le sue dita eleganti le carpe koi che nuotavano sotto di loro.

Momentaneamente ipnotizzata dai suoi pensieri, Kaoru fissò sognante il vuoto fino a che la prosaica sensazione del sudore che le colava su una tempia la riportò al suo solitario presente, ricordandole che dietro la sua schiena c’era un muro, non un uomo. Tornando di colpo alla realtà, riportò l’attenzione sul portone.

“Soltanto un’altra occhiata, ok?” si disse Dopotutto non vorrei essere scortese e ricominciare il mio allenamento poco prima del loro arrivo, perché poi mi dovrebbero interrompere, e quando a loro dispiace, dispiace anche a me e sarebbe… spiacevole. Quindi darò solo un’altra occhiata, tanto per essere educata’. Soddifatta dalla sua giustificazione, Kaoru uscì dal portico.

Affrettandosi a percorrere il bruciante cortile fino alla minuscola ombra del portone principale, lei si schermò gli occhi socchiusi con una mano callosa nella speranza di trovare qualcosa di differente rispetto alle ultime cinque volte e cinque scuse che aveva usato per scrutare la strada che portava al centro di Tokyo.

‘Vuota’

Il cielo terso di un blu metallico sembrava prendere in giro i suoi sforzi, anche se non riusciva a spiegarsi come un cielo potesse prendere in giro qualcuno. Però avrebbe potuto giurare che era così!

Osservando con gli occhi incrociati una goccia di sudore scivolarle lungo il naso, Kaoru imprecò per quel caldo atroce. Era una parola che una signorina non avrebbe dovuto conoscere, tantomeno usare. L’aveva imparata da Sano, ovviamente.

Per tre settimane tutti quanti erano stati costretti a sopportare la peggiore ondata di caldo che avesse MAI colpito la città, almeno secondo la personale opinione di Kaoru. Perfino l’anziana Hanaike-san che vendeva fiori ormai appassiti al mercato, e che sembrava così appassita lei stessa che Kaoru temeva non sarebbe sopravvissuta per vedere la prossima estate, aveva detto che non riusciva a ricordare un’estate altrettanto calda.

Naturalmente Ishida-san, l’acido venditore di verdura della bancarella accanto, aveva avuto da ridire. Le aveva definite delle deboli donnicciole che non riuscivano a sopportare nemmeno un’estate un po’ calda. ‘Un po’ calda’ un accidente! Se è soltanto ‘un po’ calda’ come mai allora tutta la sua mercanzia sembra così pallida e molliccia? E deboli donnicciole poi!’. Kaoru avrebbe voluto tirarsi su le maniche e fargli vedere come impastare il mochi con la sua faccia. L’avevano fermata soltanto il suo autocontrollo e la consapevolezza che i soldi risparmiati comprando le sue verdure a buon mercato rendevano possibile comprare abbastanza cibo da sfamare tutti gli ospiti del suo dojo. Quello e le mani di Hanaike-san che le fermavano il braccio. Bè, ok, erano state più che altro le mani che la trattenevano. Comunque non l’aveva picchiato e quello era l’importante.

Dalla parte opposta dell’orizzonte alcune nuvole si ammassavano, come il miraggio di una spiaggia lontana davanti agli occhi di naufraghi. Ovviamente i naufraghi volevano soltanto sfuggire all’acqua, mentre lei sperava intensamente che le nuvole ne portassero a secchiate, visto che la pioggia avrebbe portato un po’ di refrigerio da quella calura estiva.

“Andiamo nuvolette, lo so che volete venire qui” le lusingò “Vi farò anche la cena se ci porterete un po’ di pioggia”. Non notando nessun movimento apprezzabile, incrociò le braccia e fece il broncio. “Mou! D’accordo, allora costringerò Kenshin a farvi la cena “. E in quel momento lo sentì, un soffio di vento che le scompigliò le ciocche della frangetta e le solleticò le guance.

“SI! Andata!” gridò facendo un salto con il pugno alzato. Canticchiando il nome di Kenshin si girò verso la casa, alzò il piede, fece una pausa e poi lo rimise giù.

‘Ah, è vero, sono ancora in città. Da Megumi’

Voleva bene alla vivace dottoressa, questo era certo. Ma non aveva forse sentito che le persone finivano uccise più facilmente dalla famiglia e dagli amici, piuttosto che da stranieri? Perché Kaoru personalmente riteneva che Megumi avrebbe dovuto preoccuparsi meno dei pericoli di tornare a casa da sola la notte, e un po’ più di essere gentile con una certa istruttrice di kenjutsu.

Uno di quei giorni la Volpina avrebbe passato il limite con le sue provocazioni e il suo civettare, e Kaoru non sarebbe più riuscita a controllarsi.

Kaoru aveva escogitato una specie di mantra, per cercare di controllarsi quando il comportamento di Megumi minacciava di farle saltare i nervi, come una specie di perfetta tecnica di meditazione. Ma prima che riuscisse ad intonare il ‘Megumi è una brava persona. Non devo far male a Megumi”, immagini della Volpe che passava le mani lungo e cuciture del gi magenta di Kenshin mentre tubava qualcosa di seducente, lampeggiarono nella mente di Kaoru. E invece di pensare tranquilli pensieri Zen, la sua mente deviò sul strappare capelli, rompere dita, e sbattere labbra rosso rubino nelle strade fangose. Con quell’ondata di caldo naturalmente non era possibile, il fango apparteneva alla felice e umida stagione passata, ma se le fosse stata data l’opportunità, Kaoru era certa che avrebbe trovato un appropriato sostituto.

Voltando le spalle alla strada, Kaoru finalmente ammise a se stessa che probabilmente i suoi ragazzi avevano deciso di mangiare qualcosa in città. ‘Sii onesta Kaoru, è solo questione di buon senso. Perché avrebbero voluto farsi una camminata fino alla periferia della città sotto questo caldo allucinante, se potevano evitarlo? Specialmente visto che avrebbero dovuto fare anche tutta la strada di ritorno alla clinica dopo aver mangiato. E prepararsi pure il pranzo da soli, dato che a nessuno piace la tua cucina’.

‘Però ci sono alcuni piatti che ho imparato a fare bene’ ribattè a se stessa.

‘Bene?’

‘Ok, forse ‘bene’ è una parola grossa, ma non tutto quello che faccio ha un sapore terribile…solo la maggior parte’ si concesse con un sospiro.

‘Si, probabilmente avranno mangiato alla clinica con Megumi, la quale scommetto che non discute mai con se stessa”

“Questo non lo sappiamo, ha avuto una vita difficile. Solo perché non parla da sola ad alta voce come fai tu…”

“Oh, stà zitta” urlò a se stessa.

Aveva sperato che almeno Kenshin avesse pensato o voluto tornare a casa per mangiare con lei. Se gliel’avesse chiesto, lei sarebbe andata fino in città per mangiare insieme a lui. Sarebbe andata ovunque, se solo gliel’avesse chiesto. Non che lui le avesse chiesto nulla, o che lei gli avesse chiesto di tornare a casa per pranzo, ma l’aveva sperato, come aveva sperato che ci tenesse abbastanza da pensare a lei.

“Kaoru-baka, lo sai che tiene a te…come una sorellina”, sbuffò a se stessa con disgusto.

A volte diceva o faceva qualcosa di così dolce, che lei si lasciava andare alla speranza. Ogni tanto avrebbe quasi giurato di aver visto nei suoi occhi una strana espressione, il tipo di espressione che un uomo riserva alla donna che desidera, che brama molto di più che come semplice padrona di casa e amica. Ma prima che avesse potuto perfino trattenere il fiato dalla sorpresa, l’espressione era sparita, lasciando soltanto il suo educato rurouni dagli occhi color ametista.

Un fraintendimento avvenuto la settimana prima, combinato con un incontro fortuito, erano stati l’ultima goccia. Era stata una cosa da niente, riguardante Kenshin che le aveva comprato un presunto regalo al mercato, che invece era risultato essere un pesce incartato, che lei aveva ordinato giorni prima e che aveva poi dimenticato di ritirare. Era stato stupido da parte sua credere alle chiacchere di Tae sul pacchetto che aveva visto in mano a Kenshin. Tae aveva scherzato sull’averlo visto con un regalo di corteggiamento e Kaoru c’era caduta con tutte le scarpe. Quando i due si erano incontrati per tornare a casa, lei era arrossita e si era comportata così stupidamente che lui aveva emesso un “oro” dalla confusione e aveva cambiato argomento, per passare al menu di quella sera – pesce. Soltanto allora lei aveva fatto il collegamento tra la conversazione, l’odore di pesce e il pacchetto che lui aveva in mano.

Continuando a parlare del crescente aumento del prezzo del pesce, aveva pregato che lui non si fosse ancora reso conto della sua stupidissima supposizione.

Pochi minuti dopo quella situazione imbarazzante, erano stati salutati da una donna palesemente incinta e dal suo raggiante marito Masuhiro, un ex-vicino di casa del Dojo Kamiya, che erano andati a trovare i genitori di lui. La moglie di Masuhiro aspettava il loro terzo figlio, nonostante fosse soltanto di un anno più giovane della stessa Kaoru. Dopo una breve conversazione, entrambe le coppie si erano salutate. Ma Kaoru aveva ricordato a se stessa che soltanto una delle coppie che si allontanavano era davvero tale. Kenshin doveva aver notato il suo silenzio mentre tornavano a casa, il suo imbarazzante disagio che si era ingrandito sempre di più da quando si erano incontrati fuori il mercato, ma per fortuna non aveva fatto nessun commento a parte alcune occhiate interrogative.

A casa, Yahiko era tornato dal suo lavoro all’Akabeko giusto in tempo per la cena, con a seguito Megumi e Sano. Di solito Kaoru adorava le cene che riunivano tutti i suoi amici. Di solito, perchè - visto che Tae era la padrona dell’Akabeko e che spesso spettegolava con Yahiko delle sue supposizioni - lui l’aveva naturalmente detto a tutti e le aveva chiesto del presunto regalo.

Kaoru aveva cercato di mascherare la verità con una risata e un rapido cambio di argomento, ma non aveva funzionato. Yahiko e Megumi l’avevano presa in giro a sangue, ridendo del suo errore, mentre Sano, masticando la sua lisca di pesce e sorridendo, aveva preso in giro equamente un po’ tutti, fino a che la conversazione si era finalmente spostata su un altro argomento. Kaoru aveva discusso e agitato minacciosamente la sua shinai come al solito, ma senza molta convinzione. Subito dopo la domanda di Yahiko, Kenshin aveva avuto un’aria sorpresa e un po’ strana. Per un solo momento aveva avuto un’espressione mai vista prima. Come se si sentisse in colpa e in imbarazzo per il fatto che si fosse aspettata da lui un regalo di corteggiamento. Il fatto che per lei non fosse stata la prima volta ad aver commesso quell’errore, rendeva il tutto ancora peggiore.

Quella notte non era riuscita ad addormentarsi. Perfino l’oscurità non offriva un sollievo decente dal caldo. Quello, unito ai suoi pensieri, le avevano reso impossibile dormire. Almeno sotto il portico avrebbe potuto godersi un’occasionale brezza che altrimenti avrebbe perso, restando a letto. Quella notte, seduta fuori ad osservare pensosamente la luna crescente, Kaoru aveva sentito qualcosa dentro di lei cambiare.

Amava Kenshin. La faceva davvero impazzire a volte, ma lo amava veramente tanto. Amava la sua gentilezza e le sue risate, la sua integrità morale e il suo fiero senso di protezione, ed amava anche il suo lato oscuro, quella parte del suo passato che era Battosai, quando aveva appassionatamente consacrato se stesso ad un ideale che lo aveva quasi distrutto.

Kaoru aveva visto raramente quell’intenso lato della sua personalità. La spaventava un po’, per l’incredibile distruzione di cui era capace. Tuttavia, fin quasi da subito, si era fidata di lui. Aver saputo del suo passato non aveva cambiato questo fatto. Aveva sempre cercato di accettare le persone per quello che stavano cercando di essere al momento, non per quello che erano state.

Si fidava di Kenshin e della sua capacità di contenere la propria violenza, non permettendole di sfuggirgli di mano arbitrariamente. Il suo comportamento nello scontro con nemici come Jinnei, Aoshi, Soujirou, Shishio, ed Enishi non aveva forse provato il suo controllo? A volte c’era andato vicino, ma alla fine aveva sempre mantenuto il suo voto di non usare la sua spada per uccidere (Kaoru aveva deciso che Shishio non contava. Secondo lei, la sua morte era stata una specie di auto-immolazione con un po’ d’aiuto e una gran liberazione).

A volte, quando si svegliava nelle ombrose ore prima del chiarore dell’alba, Kaoru si era chiesta come sarebbe stato aver concentrate su di se la passione e l’intensità di Battosai. Immaginando quegli occhi dorati divorare i suoi, e le sue dita callose tracciarle i contorni del viso, lei aveva rabbrividito, e aveva sentito il proprio corpo bruciare, pulsando e fremendo in punti segreti.

Nonostante quei pensieri, Kaoru sapeva che non tutte le speranze e i sogni si avveravano. Quando da bambina correva con le ginocchia sbucciate a portare a sua madre gli uccellini feriti che trovava, ed osservando suo padre sorridere gentilmente ad entrambe, Kaoru si era immaginata se stessa a quell’età. Quella visione includeva un marito amorevole, bambini e un dojo affollato abitato da genitori orgogliosi. La Kaoru bambina non avrebbe mai potuto immaginare la situazione in cui si trovava adesso. Poteva pure non avere nessuna delle cose che sperava una volta, ma aveva la sua famiglia adottiva. Loro avevano scacciato la sua solitudine e si prendevano cura l’uno dell’altro. Sarebbe morta per loro. ‘Certo, se non ne ammazzo uno prima io’ aveva pensato allora con un sorriso.

Ma nel profondo del suo cuore, dove non l’avrebbe mai confessato ad alta voce, lei desiderava disperatamente avere un marito e un bambino. Aveva cercato di non lasciar trapelare agli altri la gelosia, la voglia tremenda di cullare un bimbo che provava ogni volta che vedeva qualcuno come la moglie incinta di Masuhiro. Era uno dei sogni che aveva sperato Kenshin la aiutasse a realizzare. Aveva ancora tempo, ma non poteva continuare a sprecarlo. Se voleva avere un bambino, avrebbe dovuto cercare qualcuno a parte Kenshin che diventasse suo marito, non importava quanto facesse male quel pensiero.

Kaoru aveva deciso di smettere di cercare di farsi amare da Kenshin. Questa volta voleva superare la cosa definitivamente ed accettare l’amicizia che lui le offriva. Non era giusto che lo facesse sentire in colpa per non essere in grado di darle quello di cui aveva bisogno. Finchè lui fosse stato felice, lei sarebbe andata avanti, e forse un giorno, avrebbe trovato per se un po’ di felicità.

Kaoru odiava oziare. Le dava troppo tempo per pensare a cose deprimenti. Si era aspettata di essere impegnata quella mattina, insegnando nei corsi del dojo di Tomoaki-Sensei, e conseguentemente guadagnando abbastanza soldi per sfamare tutti nel prossimo mese. Invece, i corsi erano stati cancellati. Tutti gli studenti erano stati impiegati per scavare un nuovo pozzo d’acqua vicino al fiume. Osservando le nuvole scorrere nel cielo, si chiese se avrebbero finito il pozzo se avesse piovuto, o se lo avrebbero abbandonato fino alla prossima stagione secca. Gli augurava buona fortuna, ma rimpiangeva la perdita di quello stipendio.

Senza molti studenti al dojo, la nuova famiglia di Kaoru era stata sull’orlo della fame diverse volte, anche se lei era riuscita a nasconderlo con successo. Farsi regalare gli avanzi da Tae ed implorare per un lavoro dal dojo rivale erano state alcune delle esperienze più degradanti della sua vita, ma ne era valsa la pena vedendo Kenshin, Yahiko, Sano, ed anche Megumi mangiare allegramente tutti insieme a cena.

Naturalmente quando Yahiko iniziava a chiamarla busu, le faceva venire voglia di chiedersi perchè continuasse a tenersi in casa quel moccioso.

Ma nel profondo sapeva che non avrebbe scambiato nessuno dei suoi protetti per nulla al mondo. Però, certe volte, desiderava che ci fosse un fondo a quelle voragini che Sano e Yahiko chiamavano stomaco. O forse desiderava che fossero un pochino più bravi ad intuire cose non dette.

C’erano molte cose che non aveva nessun problema a dire, perfino ad urlare. Ma chiedere aiuto per qualcosa come il denaro era diverso. Questa famiglia che aveva attirato verso di se, era arrivata dietro suo invito. Come padrona del dojo, sentiva che era sua responsabilità nutrirli e occuparsi dei loro vestiti come meglio poteva. Solo che ogni tanto sperava che uno di loro prendesse l’iniziativa di portare a casa un po’ di cibo o di soldi extra. Bè, non certo Kenshin, lui lavorava sodo e si preoccupava anche troppo. Se si fosse ritenuto un fardello, avrebbe potuto andarsene, e quella era l’ultima cosa che lei voleva.

Nessuno di loro era ricco, e lei cercava di non strappare agli altri quel poco che erano riusciti ad accumulare per conto loro. Anche certe volte, quando Sano buttava tutti i suoi soldi in scommesse o sake, e poi arrivava a scroccare un pranzo, si sentiva così frustrata che le veniva voglia di urlare e picchiarlo con la sua shinai. Il che spesso avveniva, ora che ci pensava. Però di solito, si sentiva soddisfatta soltanto sapendo che si era presa cura di tutti. Avrebbe passato sopra a tutto pur di tenere unita la sua nuova famiglia.

Yahiko era iniziato a crescere così velocemente ultimamente, che prima che potesse accorgersene, si era ritrovata a spendere la maggior parte dei suoi limitati risparmi per un nuovo hakama e gi che contenessero le sue esuberanti membra. Il ragazzino aveva bisogno di nuovi vestiti molto di più di quanto lei necessitasse un nuovo kimono. Rattoppando i punti strappati del suo liso kimono con il tessuto di un obi leggermente meno consumato, era riuscita a rimandare l’inevitabile per un altro po’ di tempo.

La prima volta che aveva sfoggiato la sua creazione a colazione, Kenshin le aveva chiesto perchè non le aveva permesso di modificarlo per lei. Il concetto inespresso era che, oltre ad essere un cuoco migliore di lei, Kenshin cuciva anche meglio di Kaoru. Inespresso fino a quando Yahiko non aveva aperto la sua boccaccia. Però dietro la presa in giro, Kaoru aveva visto un lampo di incertezza negli occhi di Yahiko, mentre cincischiava la manica del suo nuovo gi. Così dopo un paio di affettuose botte in testa con un mestolo da cucina, lei aveva dichiarato che non sopportava ancora di separarsi dal suo kimono, e che non voleva sentire un’altra parola sulla sua abilità con il cucito. Anche se i punti non erano perfetti, almeno erano dritti, mou! La sua spiegazione e le sue botte sembravano aver fatto sparire la preoccupazione dagli occhi di Yahiko, e così Kaoru era stata contenta. Sperava soltanto di aver sviato anche Kenshin.

Riscuotendosi da quei pensieri, Kaoru tornò al dojo. Se doveva restare sola, avrebbe usato quel tempo lavorando per perfezionare la sua arte, sperabilmente zittendo il suo cervello troppo attivo.

Kaoru aprì tutti gli shoji per cercare di catturare qualsiasi alito di vento mentre si allenava. Per anni aveva lottato con un kata di livello avanzato di cui conservava solo un tenue ricordo. Delle persone non esperte avrebbero potuto pensare che fosse completo, ma lei poteva quasi sentire che mancava qualcosa mentre si allenava. Suo padre era morto prima che lei finisse di perfezionare le sue mosse…entrambi pensavano di avere molto più tempo. Asciugandosi il sudore dal viso e dal collo un’ultima volta prima di iniziare, Kaoru prese il suo bokken e si mosse verso il centro del pavimento di legno.

Un vecchio studente di suo padre di nome Tomoaki si era sposato con la figlia del proprietario di un altro dojo ed aveva abbandonato il Kamiya Kasshin Ryu dietro le insistenze del suo nuovo suocero. Da bambina Kaoru aveva idealizzato Tomoaki-senpai. Pieno di pazienza, le aveva permesso di seguirlo ovunque senza chiedere spiegazioni, e le aveva corretto la postura e i fendenti. A volte lei aveva sbirciato attraverso lo shoji aperto per osservare sospirando le sue lezioni private con suo padre, e la fossetta che aveva sulla guancia sinistra. ‘Probabilmente è stata la mia prima cotta’ pensò Kaoru con un sorriso nostalgico mentre prendeva posizione nella prima figura.

Quando si era sposato, lei aveva pianto ed era stata depressa per giorni. Poi, quando era diventato troppo impegnato con la sua nuova famiglia e responsabilità, in particolare ad apprendere la nuova tecnica dhe avrebbe dovuto insegnare al dojo del suocero, le loro famiglie avevano gradualmente perso i contatti. Kaoru si era rassegnata, anche se personalmente riteneva che il suocero fosse un crudele e acido tiranno per proibire a Tomoaki di venire al Dojo Kamiya, ed aveva deciso che se mai avesse incontrato la sua nuova famiglia gli avrebbe tirato del fango. Dopo il funerale di suo padre, non l’aveva più visto per diversi anni.

Poi, un paio di mesi prima, si era scontrata (letteralmente) con lui alla clinica di Megumi. Tomoaki aveva portato alla clinica uno studente ferito e lei stava inseguendo un ridente Yahiko, che stava cercando di nascondersi dietro la figura pacificatrice di Kenshin. Forse era stato per il bokken selvaggiamente brandito, o forse per i fuoriosi occhi da tanuki, ma lui l’aveva immediatamente riconosciuta. Per un momento, vedendo quella fossetta, si era sentita di nuovo come una bambina di dieci anni ed era rimasta leggermente stordita.

Lui l’aveva invitata a cena con la sua famiglia la sera seguente. Suo suocero era morto un paio di anni prima, e così Kaoru non avrebbe dovuto preoccuparsi di nascondere la sua infantile antipatia se lo avesse incontrato a cena. In effetti l’unico momento brutto in tutta la serata era stato quando aveva quasi svelato la sua curiosità su come sua moglie si fosse rivelata una persona così gentile con un uomo così orribile come suocero. Per fortuna era riuscita a mordersi le labbra appena in tempo, quasi strozzandosi con un sorso di tè nel tentativo. Dopo aver incontrato la sua adorabile moglie e figlio, Kaoru aveva sentito sparire l’ultima ombra di risentimento verso la famiglia di Tomoaki, rimpiazzato da un crescente affetto. Durante quella settimana lo aveva incontrato di nuovo. Invece del forte rossore che in passato le aveva scottato il viso, Kaoru aveva sentito ormai solo una sensazione di calore, come il conforto di un tè caldo durante una notte fredda. Come se ritrovare un vecchio amico non fosse stato abbastanza per farla sentire esuberante, Tomoaki le aveva fatto un’offerta – voleva che lo aiutasse ad insegnare nel suo dojo. Sembrava che uno dei suoi migliori studenti si fosse trasferito, lasciandolo senza un istruttore che lo aiutasse con le classi meno avanzate.

Ricordando il passato tra una lezione e l’altra, Kaoru si era lasciata sfuggire un po’ della sua frustrazione per non esssere stata in grado di padroneggiare completamente i segreti del Kamiya Kasshin Ryu prima della morte di suo padre. Quei pochi passi sgraziati nel kata di livello avanzato, forse notati solo da lei, la stavano facendo impazzire. Se solo fosse riuscita a ricordare!

Il viso di Tomoaki aveva assunto un’espressione seria durante quella conversazione. Kaoru aveva provato vergogna dopo avergli rivelato una simile mancanza, e il discorso era tornato ai ricordi, mentre entrambi ricordavano il grand’uomo che era stato suo padre.

Dal centro del dojo, Kaoru cercò di concentrarsi mentre si muoveva velocemente nel turbine del kata avanzato che quel giorno era determinata a perfezionare. Sentiva la punta dei piedi flettersi sul pavimento di legno mentre spingeva il bokken giù e sulla sinistra in un fendente orizzontale che sibilò attraverso l’aria.

Il giorno dopo Tomoaki era passato al Dojo Kamiya. “Per la gioia che una volta ho ricevuto da tuo padre e dal suo dojo, sarei onorato se mi permettessi di aiutarti a perfezionare le figure più avanzate che mi sono state insegnate” le aveva offerto formalmente.

Imbarazzata e stupita Kaoru aveva istintivamente reagito scuotendo la testa, ma lui non si era scomposto.

“Anche se non pratico più il Kamiya Kasshin Ryu, e non potrei certo rendere giustizia al mio Sensei, mi sentirei a disagio se non accettassi questa offerta. Per favore, accettala”

Facendo un profondo respiro, Kaoru aveva alzato gli occhi dalla tazza di te leggermente fumante che teneva nelle sue mani tremanti, per fissare fuori dallo shoji aperto. Non poteva permettere che il suo orgoglio e la sua indipendenza le facessero rifiutare la possibilità di padroneggiare in modo completo la tecnica di famiglia, per quanto fosse diventata per lei un’abitudine lasciare che questi sentimenti si intromettessero. I suoi antenati non avrebbero pensato male di lei solo per aver avuto bisogno di un aiuto esterno per ristorare l’onore del dojo.

Incapace di proferire parola, era riuscita soltanto a posare la tazza, inchinarsi profondamente sul pavimento e segnalare il suo consenso con una parola, “Sensei”.

Ieri, le aveva mostrato l’ultima mossa che doveva insegnarle, l’ultima che riusciva a ricordare per perfezionare la sua tecnica. Piroettando velocemente sui talloni mentre alzava il bokken, Kaoru finì il kata, si mantenne immobile contando fino a dieci, e poi si lanciò di nuovo a ripetere la figura. Avvertiva la differenza, la perfezione mentre tutte le sue membra sembravano scivolare al posto giusto. Con gli aggiustamenti al kata con cui aveva lottato per anni che finalmente possedeva, Kaoru era determinata ad usare quell’allenamento extra per rendere i suoi movimenti fluidi.

‘Anche se mi sto allenando da sola ormai da ore senza sosta, e senza che nessuno si faccia vivo’ pensò, un pochino di malumore. Yahiko stava lavorando di nuovo all’Akabeko quel giorno, e probabilmente non sarebbe tornato che al tramonto. Megumi voleva fare alcune riparazioni al tetto della clinica ed era riuscita a convincere Sano e Kenshin ad andare da lei quella mattina per farlo. Kaoru le era sfuggita solo perché avrebbe dovuto insegnare al dojo di Tomoaki.

Ma adesso sembrava che fosse riuscita a trattenerli per tutta la giornata, dato che nessuno di loro era tornato al dojo per pranzo, nonostante la speranzosa ronda di Kaoru alla strada. Non poteva certo prendersela con loro. La volpe cucinava dei piatti che perfino Kaoru era costretta ad ammettere – a denti stretti e solo quando era sola – facevano veramente venire l’acquolina in bocca. Dopotutto avevano Megumi tutta per loro, quindi che bisogno c’era di imbarcarsi in un inferno di sudore solo per vedere una tanuki? Kaoru si ritrovò con un’espressione corrucciata a quei pensieri. ‘Va bene, allora posso prendermela con loro, quei traditori’

L’allenamento era importante, ma restare da sola per tutto il giorno le faceva ricordare i brutti tempi prima dell’arrivo di Kenshin, quando era sempre sola. Agitando il boken ancora più forte, Kaoru continuò a pensare ai suoi amici in città. Megumi avrebbe probabilmente tenuto impegnati Kenshin e Sano tutto il giorno a fare lavoretti di casa, nonostante il caldo. Quella volpe riusciva sempre a manipolare gli altri per farli fare il suo lavoro pesante.

“Probabilmente voleva soltanto vederli tutti e due sudati ed a petto nudo sopra di lei” borbottò Kaoru tra se e se nel mezzo di un fendente. Ripensando a quello che aveva appena detto, Kaoru diventò leggermente rossa ed inciampò su un passo che poco prima aveva eseguito perfettamente. Ora che ci pensava, non sarebbe dispiaciuto nemmeno a lei una visione del genere. ‘Loro due che lavorano senza casacca sul tetto, voglio dire! Non l’altra cosa, bè almeno non con Sano

‘Kenshin invece…no no, così non va Kaoru! Lo sai che pensieri di questo genere ti lasciano solo accaldata e irritata, bè più accaldata ed irritata di quanto non lo sia già con questo caldo, e contrariata dalla tua nuova decisione riguardo un certo sexy rurouni dai capelli rossi. Non sexy, non disponibile! Non disponibile rurouni volevi dire, giusto?’

Il kata era rovinato, e lei tornò al muro dove aveva lasciato una brocca d’acqua e un mestolo. Kaoru bevve un lungo sorso, cercando di riguadagnare il controllo, ma l’acqua era calda e non serviva a molto per spegnere la sua vera sete. Il gi inzuppato di sudore le si incollava alla schiena ed al petto in appiccicose pezze e lei si era liberata già da precchio dei pesanti tabi.

Se questa calura non si attenuerà presto, pensò, potrei impazzire. Avrebbe iniziato ad urlare al sadico sole, si sarebbe spogliata ed avrebbe cercato di affogarsi nel fiume. ‘Andiamo nuvoloni carichi di pioggia, venite qui!’ si lamentò verso il cielo.

Una leggera ed intermittente brezza soffiò per un attimo nel dojo, portando un momento di sollievo. Scostandosi il tessuto umido dal petto nel tentativo di rinfrescarsi, Kaoru aggrottò le sopracciglia. Se gli uomini potevano restare a torso nudo sopra un tetto alla vista di tutti, perché lei non poteva farlo nell’intimità del suo dojo?

Dopo tutto Megumi si era offerta di offrire ai ragazzi anche la cena, nel caso le riparazioni del tetto fossero andate per le lunghe (come se li avesse lasciati andare prima), e in ogni caso Sano non era il tipo da lasciarsi sfuggire l’occasione di gustare la cucina di Megumi. Con Yahiko all’Akabeko, Kaoru calcolò che avrebbe avuto il dojo tutto per se per parecchie ore. Il pensiero era un po’ deprimente, ma poteva usarlo a suo vantaggio. Se avesse chiuso gli shoji che davano sul cortile principale, nessuno sarebbe riuscito a vedere l’interno del dojo, e se chiudeva anche il portone, nessuno sarebbe riuscito ad entrare e circolare senza che lei lo sapesse.

Kaoru sussultò quando una goccia di sudore le andò in un occhio. “Ahia, ora basta” borbottò, strofinandoselo mentre marciava verso il portone per chiuderlo a chiave. Esitando, lanciò un’occhiata ad entrambi i sensi della strada, ma non riuscì a vedere nessun passante. Nessun Kenshin, Sano o Yahiko, nessun politico o viaggiatore munito di spada, nessuno. Così chiuse a chiave il portone con decisione, tornò al dojo, e chiuse i pochi shoji che davano sul cortile. Lasciò però aperti quelli di lato e sul retro del dojo per far entrare un po’ d’aria.

Forse era stato il caldo a darle alla testa, o forse era stato il ricordo di come fosse sopravvissuta solo con le sue forze in quanto unica insegnante donna di kendo in tutta Tokyo. Fatto sta che Kaoru aveva deciso di agire d’impulso per provare a se stessa che, nonostante il fallimento con Kenshin, era ancora quella stessa donna forte e non convenzionale in grado di risolvere i suoi problemi da sola – a partire dal caldo soffocante del suo gi inzuppato di sudore.

Sfilare il gi dagli hakama richiese un po’ più sforzo di quello che si fosse aspettata, specialmente visto che si era rifiutata di sciogliere prima gli hakama. Con uno sbuffo finale di sforzo, lo liberò e se lo tolse. Senza il volume del gi i suoi hakama blu le scivolarono pericolosamente bassi sui fianchi, rivelando due fossette alla base della schiena. Se ne accorse di sfuggita però, troppo estasiata dalla sensazione della lieve brezza che le rinfrescava la pelle accaldata. “Mmmm” mormorò ‘che bello’.

Soltanto la fasciatura intorno al petto interrompeva la sensazione. Sollevandosi i capelli dal collo con una mano, toccò con l’altra l’orlo della fasciatura ai seni. Oh, era seriamente tentata di toglierla dalla fresca carezza del vento sulle spalle. ‘Lo faccio?’ si chiese maliziosamente, osservando il tessuto color crema.

‘Ma devo allenarmi, e senza la fasciatura che me li tiene fermi i seni mi farebbero male, anche se non ho granchè da tenere fermo, al contrario di una certa volpe’. Lasciò stare il bordo delle fasciature e si diede uno scappellotto. ‘stupida, basta pensare o fare paragoni con Megumi per oggi…o almeno per un’ora’. Kaoru decise che era importante fissare degli obbiettivi realistici.

‘Ora pensa a qualcosa di positivo per tirarti su. Um...almeno le mie tette non sono piccole come quelle di Misao!’. Si sentì un po’ in colpa a denigrare Misao solo per sentirsi meglio, anche solo nella sua mente. ‘Bè Misao è giovane e potrebbero ancora crescere’ pensò nel tentativo di essere positiva.

‘E di sicuro rispetto alle altre io ho un bellissimo, um, un grazioso, ah…’ osservandosi da capo a piedi (non pensava che avere un robusto e lucido bokken contasse) Kaoru notò due cose. Primo, ‘Ma i miei hakama sono sempre stati così bassi?’ e secondo, ‘Ho un ombelico veramente carino, sembra una piccola tazza da tè!’. Soddisfatta, Kaoru decise che il suo piccolo discorsetto d’incoraggiamento fosse sufficente, ed andò fino al centro del dojo per ricominciare i kata. Ma la sua mente, tuttavia, aveva in serbo altri commenti. ‘Perchè una tazza da té? Ti aspetti forse che qualcuno beva dal tuo ombelico?’

A questo pensiero estemporaneo Kaoru ebbe l’improvvisa visione di una lingua che le tracciava lenti circoli sullo stomaco, avvicinandosi sempre di più al suo centro pieno di liquido. Quando la bocca finalmente si chiuse sul suo ombelico, sentì le labbra solleticarla, succhiando leggermente. “Tè al gelsomino, il mio preferito” affermò la sua voce roca, prima di mordicchiarle lo stomaco, lasciandole sulla pelle un piccolo succhiotto ed alcuni capelli rossi.

Con un sospiro affannato, si riscosse dalla sua fantasticheria. Lasciando andare I capelli, si asciugò le palme delle mani sul davanti degli hakama, e poi riprese il bokken dal pavimento, dove lo aveva appoggiato poco prima di togliersi il gi. Quando si raddrizzò, i capelli le scivolarono sensualmente lungo la pelle nuda delle spalle e della schiena. Kaoru rabbrividì. Non era abituata a quella sensazione, dato che l’unico momento in cui aveva la schiena scoperta era mentre si cambiava o stava per farsi un bagno. Di solito era troppo distratta o stanca per notarlo. Concentrandosi sulla sensazione però, la trovò molto… sensuale. La faceva sentire languida e molto femminile.

Mettendosi in posa per eseguire la prima figura, Kaoru piegò le ginocchia e alzò il bokken sopra la testa. Questo fece si che gli spacchi laterali dell’hakama, che andavano dalla vita fino a metà coscia, si aprissero. Kaoru arrossì per la sensazione dell’aria che le sfiorava le cosce. ‘Oh, me n’ero dimenticata’. Con un attimo di trepidazione, guardò il gi inzuppato di sudore gettato a terra, ma poi il refrigerio della brezza vinse su tutto. ‘Nessuno potrebbe vedermi, visto che ho chiuso a chiave il portone e accostato le porte che danno sul cortile. Quindi rilassati’.

Sentendo il caldo pavimento di legno del dojo sotto i suoi piedi, fece un lento respiro e si concentrò. Piroettando lentamente sulle punte dei piedi, mosse il bokken verso il basso, poi orizzontalmente. Ogni movimento era controllato, preciso, e fluiva nella mossa successiva con scioltezza.

Dopo una lenta esecuzione del kata, Kaoru la ripetè un po’ più veloce e poi sempre di più, fino a che non divenne un turbine nel dojo, con i capelli che ogni tanto le colpivano gli avambracci nudi e le cosce come piccole fruste. Il sudore le colò lungo le guance, seguendole la linea del collo, facendo una piccola pausa nell’incavo della gola, prima di buttarsi a capofitto lungo il petto e sparire nella fasciatura che copriva le morbide curve dei suoi seni. Quando si girava di scatto il sudore gocciava fino al pavimento. Infine, dopo l’ultimo affondo, lei si fermò, ansimando udibilmente nel dojo inondato dal sole. Abbassando il bokken e rilassando la sua posa, Kaoru si girò e lo rimise a posto nel suo apposito sostegno.

Ritornando al centro del dojo, sollevò le mani sopra la testa per stirarsi. Arcuando la schiena e sollevandosi sulle punte dei piedi, emise un mugolìo di soddisfazione. Durante quella stiratina gli hakama le scivolarono ancora qualche dita più in basso, restandole a mala pena sui fianchi, ma lei era troppo soddisfatta di se stessa per notarlo. Ritornando nella posizione originale con un sospiro di beatitudine, udì un basso ringhio, o forse era un tuono? Aprendo gli occhi, Kaoru si ritrovò a fissare direttamente un paio di splendenti occhi dorati.

AN: Che ne dite, è solo un’altra fantasticheria di Kaoru o c’è veramente qualcuno? Ho una mezza idea di quello che potrebbe accadere subito dopo, ma se volete farmi sapere cosa volete VOI, potrei lasciarmi convincere…

Dizionario :

Hakama una spece di gonna-pantalone indossata da alcuni praticanti di jujitsu. Ha degli spacchi che vanno dalla vita fino a metà coscia. Kaoru li indossa al posto del kimono per allenarsi, e Kenshin e Yahiko li portano sempre.
Shoji : porte scorrevoli di legno tipiche delle abitazioni tradizionali giapponesi.
Busu : racchia
Bokken: spada di legno usata per il kendo.
Gi : casacca indossata dagli uomini sopra gli hakama (pantaloni).
Obi : alta fascia di seta da portare intorno alla vita, che le donne usano per chiudere il kimono.
Tanuki : i tanuki, ossia procioni, sono degli animali molto presenti nelle leggende giapponesi e si credeva che avessero il potere di trasformarsi, come le volpi. E’ stato Saito ad affibbiare questo nomignolo a Kaoru.
Shinai : spada di bambù per la scherma giapponese (kenjutsu).
Tabi : tradizionali calzini con la cucitura al centro per poterli indossare con i sandali infradito.
Mochi: dolce giapponese ottenuto impastando energicamente farina di riso e acqua. Gli vengono date varie forme e varianti, tra cui il sakura-mochi, una versione rosata che ricorda il colore dei petali di ciliegio (sakura appunto).

(mi sono divertita a giocare con nomi)
Hanaike – laghetto fiorito
Ishida – campo roccioso
Masuhiro – ampio profitto
Tomoaki – amico del villaggio

Per questa storia ho fatto un collage di alcune fichissime immagini di hakama. Se vi interessano, mandatemi un’email e ve le spedirò (Sono davvero sexy, ve l’assicuro!)

  
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