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Autore: XShade_Shinra    14/06/2010    6 recensioni
A causa di un disagio ferroviario, Amelia è costretta a prendere un altro treno rispetto al solito. Lì incontrerà una ragazza cieca ed il suo fidanzato sordomuto, i quali le mostreranno che l'amore può superare ogni barriera: anche quella di una comunicazione all'apparenza impossibile.
[ Vincitice degli awards come "Best Couple", "Best Female"x2 e "Best Ficlet"x2 al tredicesimo turno dei Never Ending Story Awards ]
[ Partecipante alla Challenge "2010: a year together", indetta dal Fanfiction Contest ~ { Collection of Starlight } ]
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Il metodo Malossi- 
A causa di un disagio ferroviario, Amelia è costretta a prendere un altro treno rispetto al solito. Lì incontrerà una ragazza cieca e il suo fidanzato sordomuto, i quali le mostreranno che l'amore può superare ogni barriera: anche quella di una comunicazione all'apparenza impossibile.
Vincitice degli awards come "Best Couple", "Best Female"x2 e "Best Ficlet"x2 al tredicesimo turno dei Never Ending Story Awards 
Partecipante alla Challenge "2010: a year together", indetta dal Fanfiction Contest ~ { Collection of Starlight }



-Title: Il metodo Malossi 
-Autor: XShade-Shinra
-Fandom: Originale
-Rating: Verde
-Genre: Sentimentale, Romantico, Slice of Life
-Tema NESA: Treno
-Prompt C.o.S.: # 217 - «Quattro euro per un espresso? È un furto!» (14 Giugno)
-Chapter: One-Shot
-Disclaimer: Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come d’altronde i fatti in essa narrati.  



- Il metodo Malossi -


"Se impari la strada a memoria, non troverai certo granché,
se invece smarrisci la rotta, il mondo è lì tutto per te."
[Mercanti di Liquore - "Il viaggiatore"]
 

«Si avvisano i signori viaggiatori che il treno regionale delle ore sei e quindici, diretto a Napoli Centrale, partirà dal binario uno con due ore di ritardo a causa di un guasto tecnico».
«No…», mugolai sommessamente, sbattendo la testa contro la borsa che tenevo sulle ginocchia, depressa.
Avete presente il detto "Vedi Napoli e poi muori", tratto dall'omonimo film di Riccardo Freda? Beh, io stavo per uccidermi in quella stazione ferroviaria ancora prima di prendere il treno per la città in questione.
Ogni volta che quel maledettissimo nastro riempiva l'area della stazione con la sua insopportabile voce da prima donna, il ritardo di quel treno – del mio treno – veniva sempre maggiorato: in poco meno di mezz'ora era arrivato a collezionare ben centoventi minuti!
"Dannazione…", pensai, ad un passo dal marcare il primo controllore che fosse malauguratamente passato per di lì e minacciarlo di morte se non avesse trovato una soluzione.
Non potevo permettermi di aspettare così tanto: dovevo assolutamente essere in Facoltà per le otto spaccate ed essere presente all'appello, altrimenti quell'arpia di Analisi non mi avrebbe permesso di sostenere l'esame quel giorno e mi sarebbe toccato aspettare alla luna seguente (Luglio!).
Mi alzai dalla scomoda panchina – in… pietra? cemento? marmo? bah, non era la mia priorità saperlo! – e mi trascinai a controllare gli orari dei treni.
«Che palle…», sospirai, facendo scorrere il dito lungo il vetro della bacheca che teneva il tabellone giallo al riparo dai teppistelli. «Oh, miracoloso... c'è un altro treno!», notai, fermando il dito alla voce "espresso" «Formia - Napoli Centrale... parte alle sei e ventisei e arriva alle sette e trentacinque…», lessi, riacquistando un poco il buon umore.
Forse ce l'avrei fatta!
Corsi in biglietteria per comprare il biglietto dell'espresso e, incredibilmente, trovai uno sportello libero.
Che la dea bendata avesse finalmente iniziato a sorridermi?
«Buongiorno!», salutai, fingendo cordialità. Se avessi potuto dire cosa pensavo di loro e dei loro treni, probabilmente mi avrebbero denunciata per oltraggio.
«'Giorno…», fece l'uomo dall'altra parte del vetro, in tono scazzato, completando lo smangiucchiato saluto con un sonoro sbadiglio.
Cercando di contenere la mia ira funesta, feci buon viso a cattivo gioco:
«Un biglietto espresso per il treno delle sei e ventisei per Napoli, grazie», dissi, porgendogli la tessera studenti.
«Sono quattro euro», mi disse svogliato.
Ed ecco la goccia che fece traboccare il vaso.
«Quattro euro per un espresso? È un furto!», tuonai. Nemmeno per un regionale spendevo così tanto, e loro volevano farmi pagare l'ira di Dio per una vecchia e sporca caffettiera nella quale non avrei nemmeno dormito?!
«Il biglietto costa cinque euro e ottanta centesimi, in realtà. Ringrazia che sei una studentessa pendolare, ragazzina», disse con aria di sufficienza.
Ringhiai appena, passandogli da sotto il vetro una banconota accartocciata da cinque euro.
Senza nemmeno ringraziare, mi porse il rettangolo di cartoncino, e mi allontanai per cercare un'obliteratrice.
Avevo un diavolo per capello…
«Dannati strozzini…», li maledissi, andando verso il sottopassaggio per il binario cinque, dal quale partiva il treno. Era il più lontano, ovviamente.
Dopo aver obliterato il biglietto lungo il percorso, sentii la voce metallica dell'altoparlante annunciare la partenza dell'espresso:
«Attenzione. Il treno espresso delle ore sei e ventisei diretto a Napoli Centrale, è in partenza dal binario uno».
«UNO?!», urlai, correndo lungo il sottopassaggio per tornare indietro. «Non ne posso più!», urlai in corsa, raggiungendo le scalinate e salendo i gradini a due a due con ampie falcate. «Oops, scusa!», urlai a un ragazzo che scendeva, al quale dovevo aver dato una sonora botta con a spalla; non mi girai nemmeno per sincerarmi di non averlo travolto e ucciso con la mia mole: non potevo perdere quel treno! Ne andava di due mesi di studio!
Col fiato corto, raggiunsi il binario e mi catapultai dentro le porte aperte di quel macinino.
Finalmente ce l'avevo fatta!
Mentre rifiatavo, mi guardai intorno e mi misi alla ricerca del posto assegnatomi. Ancora solo pochi minuti e avrei potuto posare le mie regali terga su uno di quei sudici sedili.
«Allora... dovrebbe essere…», borbottai. «Ah, eccolo!», esclamai.
Era un posto a salottino, rivolto dalla parte della testa del treno, e c'erano già altre due persone, una coppietta, seduti l'uno davanti all'altra, che si tenevano le mani in silenzio. Che sfortuna! Non avrei potuto poggiare il bagaglio nel sedile accanto al mio…
Sbuffando appena, presi posto a sedere e tenni la borsa in grembo, aprendola e prendendo un manga per leggere: avevo bisogno di distrarmi un po' prima dell'esame.
Mentre ero intenta a cercare il volumetto in quella borsa che avrebbe fatto invidia a Mary Poppins per la sua capienza, il convoglio partì e ringraziai il cielo che non avesse fatto ritardo. Ormai mi sarei potuta aspettare di tutto da loro… Scuotendo il capo, estrassi il nuovo numero di Berserk dal bagaglio, ma, senza accorgermene, tirai fuori anche il coltellino svizzero, che cadde a terra, ruzzolando sotto il sedile della ragazza accanto a me.
«Ehm, scusami…», mi girai verso di lei. «Mi è caduta una cosa sotto il tuo sedile…», le dissi, con un'espressione mortificata.
«Prego», disse con tono tranquillo, alzandosi.
«Grazie», borbottai, mentre raccoglievo da terra il coltellino, accucciata a terra. Che imbranata!
Una volta trovato e raccolto (insieme a un batuffolo di polvere color grigio topo), sollevai lo sguardo verso la ragazza e mi accorsi di una cosa alla quale non avevo fatto caso prima di quel momento: aveva lo sguardo fisso davanti a sé, ma non come una persona che era persa tra i propri pensieri…
«Trovato», la avvisai, tornando al mio posto.
«Ok», rispose lei, copiando il mio gesto con lentezza e riprendendo le mani al ragazzo, che continuò ad accarezzare. Cercando di non apparire troppo cafona, le ricontrollai gli occhi e notai che avevano la stessa ed immutata espressione di poco prima.
«Sono cieca, se è questo che ti stai chiedendo», mi disse l’interessata.
Ecco un'altra brutta figura da annoverare tra le mie performance da Premio Oscar…
«Perdonami!», scattai, mettendo una mano davanti alla bocca. Non mi aspettavo di essere colta in flagrante. Lanciai un'occhiata al ragazzo: probabilmente era stato lui a dirglielo. Già, ma come?
«Non preoccuparti», disse lei, sorridendo in maniera piuttosto stiracchiata. «È colpa mia: ho dimenticato gli occhiali da sole a casa», sembrava quasi si stesse scusano lei. «Mi chiamo Sabrina, e tu?», domandò.
«Amelia», risposi. «Molto piacere».
«Piacere mio e anche del mio ragazzo. Si chiama Roberto», lo presentò.
Mi girai verso di lui e sorrisi:
«Ciao», lo salutai, stringendogli la mano.
La prima cosa che notai di lui fu il pendente che portava al collo: era la foglia di Konoha, il simbolo del villaggio di Naruto!
«Wow! Anche a te piacciono i manga?», gli chiesi entusiasta.
Roberto guardò la ragazza, che rispose per lui:
«Sì, gli piacciono moltissimo: a casa ha un sacco di volumetti! Prima o poi dovremmo comprare una nuova libreria!», disse ridacchiando. «Non pensare che sia maleducato o che non ti voglia parlare, ma lui è sordomuto».
Spalancai gli occhi.
«Eh?», esclamai, sorpresa. Non me lo sarei mai immaginata…
«Se conosci la lingua dei segni, può risponderti così…».
«No…», mormorai mogia. «Non conosco il LIS…».
«Tranquilla, nemmeno io lo conosco, ma se volete chiacchierare, vi farò da interprete», si offrì. «Ti ho sentito entusiasta».
«Sì, perché non ho mai incontrato nessun altro appassionato come me, almeno dal vivo».
«Anche lui ha molti penfiends con i quali chatta di questi argomenti», spiegò, scambiandosi carezze con il ragazzo, sempre utilizzando solo le mani. «Proprio ieri sera è passato per la fumetteria di Roma e ha preso l'ultimo numero di… di… Uan Piis… penso si pronunci così… Dice che somigli ad Albida, dai capelli».
«Ma… come…», borbottai, non capendo quello che stava succedendo.
Come facevano a comunicare tra loro?
«Sei sorpresa?», mi domandò Sabrina, mentre Roberto ritirava le mani e cercava un qualcosa nel suo zaino.
«Beh... non capisco… Com'è possibile che…», farfugliai.
«Se tendi a Roberto la tua mano sinistra, ti facciamo vedere», disse, restando ferma, immobile.
Annuii, facendo come mi era stato detto.
Nel frattempo mi immersi nei miei pensieri. Non riuscivo a capire... Non potevano scrivere tra loro, perché uno non avrebbe potuto leggere, ma non potevano nemmeno parlare, poiché l’altro era sordo e muto.
Eppure riuscivano a comunicare tra loro anche abbastanza velocemente. Com’era possibile?
Le domande mi tormentavano. Stavo quasi iniziando a pensare alla telepatia, quando vidi Roberto trovare finalmente la penna che cercava e prendermi la mano, scrivendo sul palmo le lettere dell'alfabeto, dalla A alla Z, partendo dai polpastrelli per arrivare alla base e poi proseguire a scrivere, continuando il senso orario.
«Cos’è?», borbottai, guardandomi la mano pasticciata.
«Si chiama "metodo Malossi"», spiegò Sabrina, certa che il ragazzo avesse completato la propria opera.
Mi fissai il palmo, cercando di trovare un senso a quelle lettere.
«Uhm…», feci, spremendomi le meningi, senza cavarne piede.
«Ti facciamo vedere», si offrì la ragazza, prendendomi la mancina e cominciando a spiegare quello strano pasticcio. «Devi immaginare che la tua mano sia la tastiera di un computer. Ogni volta che tocco una parte scritta della tua mano, allora significa che devi leggere le prime quindici lettere dell'alfabeto, quando invece te la pizzico leggermente, allora devi leggere le rimanenti undici; a pare la "W" che è scritta qui», mi indicò il punto nel palmo tra indice e medio.
Ascoltai la sua spiegazione, capendo il procedimento di quello strano metodo.
«Ok…», sussurrai, sperando che andasse avanti.
«Ora ti faccio vedere», sorrise a stento, toccando e pizzicando con delicatezza il mio palmo.
Rimasi basita dalla velocità con la quale mi comunicava il messaggio, e finalmente capii perché non mi ero accorta di nulla, inizialmente: quelli che ai miei occhi ignoranti sembravano essere semplici gesti d’affetto, in realtà erano dei veri e propri codici di comunicazione.
«Vai troppo veloce», borbottai, non riuscendo a stare al passo con lei.
«Scusa…», si scusò, dispiaciuta. «Volevo solo mostrartelo. Mi dimentico che non è facile da apprendere, né da capire sul momento».
«Niente, figurati», risposi, mentre Sabrina mi lasciava le mani e spiegava poi l’accaduto al ragazzo.
Li fissai sbalordita. Il loro botta e risposta era incredibile.
«Wow…», sospirai.
Il palmo diventava come la tastiera di una macchina da scrivere, e i due ragazzi dei segretari – degli sbobinatori di discorsi in un’aula legale – impeccabili, puliti e veloci.
«Esistono anche i guanti appositi per i vedenti, ma non ne abbiamo, altrimenti avremmo evitato di pasticciarti la mano», mi spiegò poi, una volta terminato di raccontare al ragazzo che la lezione aveva dato frutti positivi.
«Nessun problema», la tranquillizzai. «Tanto ho solo un esame orale, dopo».
«Ah, davvero? Che cosa studi?».
«Sono iscritta in Ingegneria», sorrisi. «Anche voi andare a Napoli?».
«No», rispose senza scuotere il capo, come una bellissima e perfetta statua. «Noi scendiamo prima: stiamo andando ad Aversa a trovare i suoi genitori», mi spiegò.
«Capisco», sorrisi, sentendo poi la mano di Roberto sulla mia. Lentamente iniziò a toccare e pizzicare i punti dove c’era l’inchiostro, che cominciava a sbiadirsi a causa del caldo.
«C-H-E   E-S-A-M-E   D-E-V-I   D-A-R-E», lessi a voce alta, per poi capire il senso della frase – della domanda – e rispondere, prendendo la mancina del ragazzo e provando ad applicare il metodo Malossi, controllando lo schema sul mio palmo.
«A-N-A-L-I-S-I   E   L-A   P-R-O-F-E-S-S-O-R-E-S-S-A   E   U-N-A   A-R-P-I-A», gli risposi, e Sabrina, sentendo la mia voce, si mise a ridere.
Lui mi prese la mano e mi chiese, lentamente:
«C-O-M-E   S-I   C-H-I-A-M-A», bisbigliai, per poi rispondere. «O-R-S-O-R-A   S-P-A-D-A».
«Orsora Spada?», ripeté la ragazza, stupita.
«Sì, perché?», domandai, e fu nuovamente Roberto a rispondermi. «E   S-T-A-T-A   I-N-S-E-G-N-A-N-T-E   D-I   M-I-O   P-A-D-R-E… È stata insegnante di mio padre… COSA!?», esclamai sconvolta.
Roberto doveva avere almeno una trentina d’anni, quindi il padre ne avrà avuto minimo cinquanta… ma quanti anni aveva la mia professoressa?! Non sarà stata mica riesumata da qualche necropoli?! 
Così cominciammo a parlare tutti e tre attraverso quello strano metodo, cercando di non lasciare in disparte nessuno nella nostra strana conversazione, che si dimostrò essere abbastanza semplice.

A ventitré minuti da Napoli, la voce metallica dell’altoparlante del treno ci distolse dalla nostra chiacchierata.
«Aversa. Stazione di Aversa».
«Noi siamo arrivati», mi disse Sabrina, ritirando le mani, mentre Roberto prendeva il proprio zaino e la valigia dalla cappelliera.
«Va bene», annuii. «Grazie per la chiacchierata», senza che me ne accorgessi, erano già passati circa tre quarti d’ora .
«Grazie a te, Amelia», disse cordiale, facendosi prendere per mano dal ragazzo, che mi salutò con un cenno. «Passa una buona giornata, e manda una mail a Roberto per farci sapere com’è andato l’esame».
«Certo», sorrisi, salutandoli ancora con la mano. Poiché avevamo una passione in comune con il ragazzo, avevamo deciso di scambiarci il contatto MSN. Un gesto molto carino da parte loro, che si erano dimostrati colti, cordiali e simpatici, nonostante tutte le difficoltà che sicuramente si ritrovavano a dover affrontare ogni giorno ed i mostri del loro passato.
Continuai a seguirli con lo sguardo e li vidi scendere dal treno, sempre mano nella mano.
Roberto era gli occhi di Sabrina.
Sabrina era la bocca e le orecchie di Roberto.
Ed ero certa che, insieme, avrebbero potuto superare qualsiasi difficoltà. Perché quello che li univa era amore puro e sincero; e lo testimoniava il bacio mozzafiato che si scambiarono sulla banchina, prima di prendersi di nuovo per mano e camminare verso l'uscita della stazione.
E, ancora oggi, penso che se non avessi preso quel treno espresso al posto del regionale, non li avrei mai incontrati… A tirar le somme, quel biglietto se li era davvero valsi quei quattro euro… 
 

§Fine§
XShade-Shinra




-Note:
-Tutti gli orari, i costi, le destinazioni e i tipi di treno sono stati presi dal sito delle Ferrovie Italiane, e sono, dunque, veritieri.
-L.I.S. è l’acronimo di: Lingua dei Segni Italiana, la comunicazione gestuale.
-Uan Piis: Ovviamente Sabrina intendeva il famoso "One Piece" di Eiichiro Oda.
-Il metodo Malossi è il principale sistema di comunicazione tra o con sordociechi in Italia e nasce dalle intuizioni del maestro Francesco Artusio, nei suoi tentativi di trovare un modo per comunicare con il suo allievo sordocieco Malossi. La sua efficacia resta però legata all’utilizzo da parte di persone che hanno appreso la lettura e la scrittura prima di diventare sordocieche.
La comunicazione con il metodo Malossi avviene l’uso delle mani: per indicare una lettera si tocca un determinato punto della mano aperta, per scrivere una parola si toccano in sequenza diversi punti.
Diversi significati, inoltre, vengono associati a seconda che le lettere vengano semplicemente toccate o pizzicate.
La distribuzione delle lettere avviene in forma sequenziale dal pollice al mignolo secondo i seguenti gruppi e posizioni:
- dalla A a E nella zona dei polpastrelli (tocco)
- da F a J nella falange media (tocco)
- da K a O nella zona dell’articolazione delle dita (tocco)
- da P a T nella zona dei polpastrelli (pizzico)
- da U a Z nella zona dell’articolazione delle dita (pizzico)
- la lettera W si rappresenta pizzicando il punto situato tra l’indice e il medio.
[fonte]


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