Be’, che dire…
avevo promesso, qualche tempo fa, che avrei scritto e dedicato proprio questa fan fiction alle amanti o
simpatizzanti del pairing Spock/McCoy!
Come ormai tutti
sapranno, io sono una Kirk/Spock, ma devo questo mio diverso tentativo a Eerya e
Rowen, che con la loro dolce raccolta mi hanno spinta ad esplorare altri punti
di vista, mettendo così alla prova anche la mia caratterizzazione di questo
pairing per me ancora sconosciuto =)
Il pezzo che
andrò a narrare, viene soprattutto estratto dall’episodio “The Immunity Syndrome”, il famoso La
Galassia In Pericolo. Perché questo episodio? Perché racchiude forse il
miglior confronto fra i due amici/antagonisti, che io ritengo essere uno dei più
significativi delle serie.
Se ciò che
leggerete sarà di vostro gradimento, e me lo auguro davvero, sarò contenta di
tentare ancora :)
Bando alle
ciance.
A voi la lettura
e a voi il verdetto!
~ x ~ x ~
Non
era cominciato affatto tutto all’improvviso: sempre che un solo giorno potesse
essere definito diversamente ma, di certo, non si era trattato di un lampo
fatale che ti rapisce alla svelta e ti fa perdere totalmente la testa:
piuttosto, era stato senz’altro un fulmine a ciel sereno proveniente
dall’inconscio, dove il cielo sereno era l’abituale routine e l’abituale
battibecco giornaliero, e il fulmine… be’ il fulmine, era stato realizzare.
C’era
stata l’Intrepid, c’erano stati 400 morti, una spaventosa ameba di dimensioni
cosmiche che rischiava di moltiplicarsi e…
«…cosa
c’è Spock, si sente male?»
Che
strano che era stato quel suo punto di domanda. Non c’era stato il solito
sarcasmo, la classica rivalità, la più che conosciuta amicizia decisamente ben
celata.
Al
contrario, c’era stata pura e vera preoccupazione, quando McCoy si era
avvicinato alla console scientifica assieme a Jim per comprendere per quale
motivo il vulcaniano soffrisse piegato sui propri
strumenti.
E
poi, quell’assurda dichiarazione…
«Capitano…
l’Intrepid. So che è… finita.»
Testuali
le parole del razionale vulcaniano, che come perso nel vuoto e quasi smarrito
comunicava quella sua esperienza che sfiorava
l’incredibile.
«Venga
Spock, scendiamo in infermeria.»
Stavolta
era stato molto più determinato il tono del medico: forse perché, dopo quel che
aveva detto Spock, si era ritrovato a sollevare scettico il
sopracciglio?
«Dottore…
lo so con certezza.»
Si
permetteva più pause della norma, il fragile vulcaniano.
Ma
non bastò la sua certezza riguardo la fine dei 400 membri vulcaniani, non bastò
la sua silente ma egualmente cortese protesta: quel primo round, si vide concluso col
generoso ausilio di uno scorbutico medico di campagna, che incoraggiò il cammino
di un quasi shockato Spock verso l’infermeria.
—
Round
Two
—
«Le
assicuro dottore che sto benissimo, il dolore è stato…»
Per
come poteva apparire, il tono ora molto più greve e serio di Spock stava forse
rivolgendosi al vento, in quanto il testardo dottore altro non era che
concentrato sul monitor e sul suo tricorder.
Pochi
accertamenti, poi McCoy prese una via d’intercettazione verso un fulmineo Spock
che già s’era rimesso in piedi, e davanti gli si parò: «Spock, come fa ad essere
sicuro che l’Intrepid sia andata distrutta?» Appena un poco scettico; forse
indagatorio?
«L’ho
sentita morire.» Serio il tono, seria la postura, serio lo sguardo. Di
pietra.
«Ma
credevo che dovesse stabilire un contatto fisico col soggetto.» Poca
inclinazione vocale, non era stata una domanda quanto non era stata
un’affermazione, ma ciò che era certo era un ora conclamato scetticismo,
sbandierato dalla più che cristallina, molteplice e appena accennata processione
di indizi facciali.
Scetticismo
perfettamente captato, in quanto Spock fu quasi ipersonico nel rispondere:
«Dottore, persino io vulcaniano per metà ho udito le grida di morte di 400 menti
vulcaniane, nonostante l’enorme distanza.»
Piano:
quella non era solo serietà. Che fosse… irritazione?
Ah!,
ma fu ancor più palese il rovescio del dottore, che non solo non si trattenne
dallo sfoggiare il suo esorbitante atteggiamento contrariato, ma si preoccupò
persino di sottolineare un particolare…
«…ma
è impossibile che un vulcaniano senta
morire un’astronave!»
C’era
quasi sconcerto negli occhi sempre vispi di Spock. Sconcerto che si evolse in
qualcosa di molto più vicino all’irrazionale, che al
logico…
«Lei
dottore è padrone di credere o non credere alle mie parole,» un attacco, sguardo
severo «ma io so, che nessuno, nemmeno un computer a bordo dell’Intrepid sapeva
cosa li stesse uccidendo,» una realtà, oggettiva «è la mia natura vulcaniana a
dirmelo.» punto.
«Ma
400 individui sono tanti!» furore egregiamente celato.
«Ho
già notato questo in voi umani,» occhi umani di medico quasi sgranati in ascolto
«vi è più facile piangere la morte di una sola persona, che la morte di un
milione.»
Una
pausa, e ora un rimprovero: «Lei parla sempre dell’insensibilità del cuore
vulcaniano… ma che poco spazio sembra
esserci… nel vostro.» una difesa.
Oh,
come lo guardava l’emotivo dottore… faceva forse finta di non capire, sfoggiando
quello sguardo, o magari manifestava quello che era un reale stupore a quelle
così appassionate parole, ma McCoy seppe solo che non ebbe abbastanza tempo per
ribattere. Spock era di pietra, e come una pietra gli diede le spalle, pronto a
congedarsi senza una parola, prima che lo stesso McCoy, forse in un tentativo di
rivincita –o chissà, magari comprensione?— bloccò lui la strada con una domanda
retorica: «Soffrire per la morte del vicino, eh Spock?» sorriso strano, appena
accennato, un’espressione quasi di sfida «…è quello che noi non sappiamo fare,
vero?» con la piccola aggiunta, nel fondo, di un pizzico di cosciente amarezza
che mai sarebbe stata dichiarata.
«Se
ne foste capaci, la vostra storia sarebbe un po’ meno sanguinosa.» fu la placida
quanto neutra risposta; non c’era più traccia di irritazione, ne di passione, e
nemmeno di giudizio nella sua voce: era semplicemente neutro: era semplicemente
sulla difensiva. Non avrebbe rivelato
più nient’altro.
Rimase
un pensoso McCoy, lì nell’infermeria.
—
Round
Three
—
“Ma...
quale di questi amici… devo condannare a morte?”
~
«…mi
dispiace Signor Spock.»
Eccolo
lì: uno sguardo glacialmente neutro, ed uno forse un poco tronfio –ma ansioso,
soddisfatto—.
«B-bene!,
e… vado a prendere quel che mi serve e—»
«Non
lei Bones…»
Pietrificato,
interdetto: si volta verso il capitano.
«…mi
dispiace Signor Spock. E’ lei il più adatto a questo
compito.»
Ah!,
che dire?
Ciò
che vide il capitano, fu uno Spock che riassettava la propria colonna vertebrale
in modo da rimpettirsi con estrema dignità, e un dottor McCoy che aveva già
puntato i suoi occhi scrutatori all’indirizzo di questo,
scocciato.
Ma
poi Bones allacciò le mani dietro la schiena, e quasi guardò a
terra.
—
Round
Four
—
«…adoperi
l’analizzatore del DNA, le consentirà di raccogliere il maggior numero possibile
di informazioni, anche l’analizzatore enzimatico le sarà di
grande—»
Venne
interrotto quasi bruscamente davanti
i pannelli che avrebbero aperto le porte dell’hangar.
«So
quali sono gli strumenti necessari dottore.»
McCoy
bloccò la mano di Spock che andava verso il pannello,
serio.
«Stiamo
sprecando tempo, la capsula è già pronta.»
Un’insinuazione
ironica: «Lei è decisissimo a volermi escludere vero?»
«Questa
non è una competizione dottore, e poi la mia dignità non mi consentirebbe di
lasciarmi andare a simili rivalità.»
Imbronciato,
quasi sospettoso: «La dignità vulcaniana… le assicurò che è qualcosa che proprio
non capisco.»
«E
allora mi auguri semplicemente… buona fortuna.»
Cosa
si era detto dei fulmini a ciel sereno?
Non
c’era dubbio che tutto quel che era accaduto sino a quel momento altro non era
stato che il loro personale, privato, intimo ciel
sereno.
Ma
negli occhi di Spock si rifletteva ancora l’esitazione che aveva usato nel
pronunciare la semplice affermazione “buona fortuna”, e il fulmine, e se non
lui, ma tuoni in lontananza, furono lo sguardo di McCoy.
McCoy,
che lo guardava quasi con aria di sfida, quando in realtà, semplicemente non
trovava un modo per rispondere. Semplicemente non trovava il coraggio di
farlo.
Quella
era la sua Nemesi.
Un’ingarbugliata
rete di neuroni perennemente attivi e forse chissà, anche in sovraccarico, che
si nascondevano dietro la maschera di un volto del tutto neutrale e solo rare
volte incrinato da umana incomprensione.
Ma
Spock aveva già capito. E come aveva fatto quello stesso giorno in infermeria,
non s’era sprecato in parole di protesta degli usuali battibecchi, non aveva
sfoggiato quelle sfaccettature di umana curiosità o umana incomprensione.
Semplicemente, nel gelido dolore della difensiva, dopo aver visto gli occhi
limpidi e azzurri del medico abbassarsi, aveva chiuso i propri, e dato per la
seconda volta le spalle alla sua personale nemesi.
Fu
McCoy stesso ad aprire il portello, e ancora lo inchiodava con gli occhi, mentre
Spock dissimulava il suo stesso rifiuto sollevando il sopracciglio, e spariva
poi inghiottito nell’hangar.
Spariva
dove McCoy seguì ogni suo passo verso la navetta, prima di trovarsi ora davvero
solo, ancor privo di coraggio, quando le porte si chiusero e pronunciò quel mai
detto ma dovuto “buona fortuna”, che
non era più un augurio, ma solo rimpianto.
E
cosa accadde dopo?
Niente.
Niente
perché Spock non era lì, niente perché quel mostro gigantesco era stato
abbattuto, niente perché quando McCoy sorrideva sul ponte ad ogni nuova notizia
della sopravvivenza di Spock, il vulcaniano non era lì. Niente contava, se non
poteva farlo davanti a lui.
Ma
quel fulmine alla fine giunse, proprio quando la navetta entrò nell’hangar,
quando McCoy sorrise Raggiante per l’ultima e girò intorno alla sedia del
capitano, guardando a terra, distratto, o forse guardando le proprie mani, le
proprie dita, che si torturavano a vicenda.
Come
trasformare quel rimorso che era sfuggito all’evoluzione a rimpianto in qualcosa
che potesse contare veramente?
McCoy
non lo sapeva, perché McCoy era emotivo e impulsivo.
Ma
se c’era qualcosa di cui poteva vantarsi, era la testardaggine, quella parte
della determinazione priva di raziocinio ponderato, che portava avanti le idee
senza aver prima fatto… un apposito piano.
E
fu difatti senza un piano che McCoy approcciò gli alloggi di
Spock.
Che
fare?
Stava
lì, col dito a mezz’aria, incerto sul se segnalare la propria presenza o meno,
indugiando, esattamente come aveva fatto davanti quelle porte
dell’hangar.
Eppure,
non voleva cancellare il rimorso?
Cliccò.
Le porte si aprirono.
E,
senza preavviso, il processo del fulmine a ciel sereno si completò in
quell’ultima visione.
Quando
entrò, e vide il volto calmo, serio, ma ricco di chissà quale altra diavoleria
mezza umana-mezza vulcaniana di Spock, il dottore percepì a pieni ritmi il rombo
del tuono.
E
lì, realizzò.
Realizzò
perché, mentre le porte scivolavano alle sue spalle chiudendosi, lui rimaneva
immobile e quasi sconvolto davanti il vulcaniano tranquillamente seduto sulla
sua sedia.
Si
pose la domanda più saggia del mondo: davanti a quale emozione non si è in grado
di avere il coraggio di dire semplicemente “buona fortuna…” –“perdonami…”—
…?
Quale,
se non la più potente.
La
mia nemesi?
Si
dovrebbe parlare d’astio, in questo senso.
Ma
la sola parola nemesi, non era mai stata sufficiente a McCoy per descrivere quel
che Spock era per lui.
E
se prima lo ignorava sebbene lo percepisse, ora lo comprendeva a pieno, senza
negarlo più.
Distolse
lo sguardo, vagando per la stanza.
Sapeva
che gli occhi del vulcaniano lo seguivano.
Era
così calmo… sapeva già tutto?
Osò
sbirciare nella sua direzione, e vide solo due occhi scuri e profondi, di una
tristezza quasi infinita.
Possibile
che Spock fosse così dannatamente adamantino, e così dannatamente cristallino
dai soli occhi?
Ogni
lato del suo essere, era una continua contraddizione in
termini.
Pensava
questo il dottore, mentre perso nel turbine dei pensieri lasciava che stavolta
fosse Spock a concedergli il beneficio della sconfitta, il beneficio di non
dover raccogliere coraggio e dire semplicemente ciò che era. E gli si avvicinò
con tranquillità, dapprima camminando con le mani dietro la schiena, per poi
scioglierle quando fu davanti la sua nemesi, che si tormentava i pensieri
guardando a terra, solo apparentemente pensoso, e il labbro con le proprie
dita.
Come
convincere un uomo spaventato di ciò che aveva appena scoperto ad abbandonare
tutti i dubbi, le paure, i timori e permettere che la sua attenzione si
convogliasse davvero all’unica cosa che adesso avesse un
senso?
Be’,
Spock lo sapeva.
«Leonard.»
Come
poteva Leonard sottrarsi a
quell’incantesimo?
Sollevò
gli occhi, smise di torturarsi il labbro.
La
guardava davvero adesso, la sua dolce nemesi. E non sapeva ora grazie a quale
miracolo conosceva le parole da pronunciare.
Fece
un altro passo avanti, e con lo sguardo di chi nasconde un rimorso appena nato
nel cuore, semplicemente disse: «Sai cosa ho fatto appena le porte dell’hangar
si sono chiuse…? Ho detto—»
«Lo
so, Leonard.»
Anche
ora, era neutrale. Ma stavolta non si difendeva più. Non c’era alcun nemico da
cui difendersi.
Per
anni, tante discussioni, tanti battibecchi, tanto orgoglio e tanta
sfacciataggine: tutto per cosa? Per l’unico motivo plausibile che spingeva due
creature, che fuggivano dall’ovvio, a nascondere la
realtà.
Ed
era servita un’ameba gigante, per farglielo capire.
«…perdonami.»
Avevi ragione. Per me, sarebbe stato più
facile piangere la tua perdita, che
quella di un milione…
Non
si accompagnò con le semplici parole. Le sue braccia non erano più schiave della
forza di gravità, ora levitavano verso la figura austera di un nemico fantasma:
in un abbraccio, caldo, di scuse eterne, di imbarazzo di anni, di
ammissione.
Lo
abbracciò chiudendo gli occhi, ed emotivamente, stringendo quanto più poteva. E
nella sua naturale meccanicità, anche Spock rispose, non con lo stesso impeto,
ma anche lui strinse.
E
quando semplicemente si slegarono, rimanendo faccia a faccia, non c’era più
bisogno di fuggire o scappare; la conoscevano entrambi ora, la
Verità.
Perciò,
visto che non v’era più un motivo per fuggire, un motivo per nascondere qualcosa
che ormai era alla palese luce del sole, McCoy il coraggio lo trovò: senza
abbandonare le spalle di Spock e lasciando i propri palmi su quelle spalle
magre, non ebbe timore dell’evidenza.
Leonard
baciò il suo nemico, e il suo nemico baciò Leonard.
Un
bacio fra nemici, perché amici non erano mai stati davvero: semplicemente, eran
stati molto di più.
E
partirono con garbo e prudenza, perché troppo fulminante era stata la scoperta,
e tutto in quella situazione necessitava di dolci movimenti delle labbra, di
occhi chiusi e persi, di ricerche volute ma caute, ricerca languide di lingue, e
di profondità.
Quel
bacio potevano essere le scuse e la fine delle ostilità,
oppure…
Quando
Leonard lasciò a malincuore quel morbido calore, questa volta lo guardava negli
occhi senza nessuna sfida, ma solo con una silente
domanda…
«E
adesso…?» chiese lui, mentre una sua mano poggiava appena su una porzione di
guancia, e un ciuffo di capelli neri e serici.
Spock
non mutò espressione, e si sporse nuovamente verso il dottore per posargli un
altro casto bacio sulla bocca, innocente e fugace, e infine, lo soddisfò:
«Adesso, avremo un vero motivo per litigare.»