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Autore: Vandevoorde    21/06/2010    2 recensioni
Lei sorrise; si rallegrò maggiormente quando notò che le unghie del ragazzo erano cerchiate da una sottile corona di sangue. – Ti spezzerai le...
– Sta’ zitta!
(Citazione dal testo)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Phoenix Ikki
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Era una bella giornata di febbraio, gli uccelli si rincorrevano nel cielo come gioiosi bambini e una tiepida brezza spirava leggera, scuotendo pigramente le fronde degli alberi. I Cavalieri di bronzo erano seduti all’ombra di un boschetto: lì, dove i rami intrecciati di alcuni cipressi modellavano una sorta di cupola, i raggi solari faticavano a penetrare... il terreno era umido e l’aria così fredda che il chiacchiericcio dei ragazzi formava graziose nuvole di vapore. All’improvviso, una donna comparve all’orizzonte; oh, sì!, una giovane dalla figura alta e slanciata: indossava un abito nero e un mantello beige il cui cappuccio – logoro e bucherellato – le copriva il viso quasi per intero. – Dov’è Atena? – esclamò, facendosi largo tra le felci.
Pegasus si alzò di scatto da terra. – E tu chi saresti? –. Lei piegò la testa di lato e scoppiò in una risata allegra e spensierata, cristallina. – Chi sarei io? Oh, potrei chiederti la stessa cosa... però ti conosco già, Pegasus – ribatté, sforzandosi d’imitare il tono basso e grave del Cavaliere.
Lui rimase interdetto. Aprì la bocca per parlare di nuovo, ma la giovane lo precedette:
– Sono Ker, dea del destino e della morte violenta – si presentò, scostando il cappuccio dal proprio volto. Sorrise. – Ho dei conti da regolare – annunciò poi, e squadrò i ragazzi da cima a fondo. – ... da regolare con tutti voi.
 
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Cristal si scosse; le sue palpebre s’aprirono lentamente permettendogli, così, di sondare con attenzione il luogo in cui si trovava. Il biondo sospirò. Ci vollero alcuni minuti di accurata e silenziosa perlustrazione per capire che, certo!, s’era addormentato in un tempio.
Cercò di ricordare che cosa fosse successo e quale motivo l’avesse spinto a passare la notte in un posto del genere, eppure, per quanto si sforzasse, la memoria continuava a presentargli una serie disordinata di eventi. Che cos’era capitato? Che cosa diavolo era capitato? Cristal premette le dita sulla propria fronte, nella speranza che quell’ingenuo gesto potesse di colpo schiarirgli la mente e risolvere, in qualche modo, la faccenda: perché non rammentava d’essere entrato lì e, neppure, d’aver preso sonno?
 
Sirio tremò; dovette poggiarsi contro la parete e scivolare a terra. Avvertiva distintamente la bassa temperatura del pavimento, sebbene l’armatura facesse da mediazione tra la sua pelle e il gelido marmo.
 
Si udì un boato, gli ingranaggi di alcuni proiettori (?) si misero in moto e sulla parete dinanzi ad Andromeda comparve l’immagine – sbiadita, ma sorprendentemente bella – di una donna: aveva lineamenti delicati e regolari; capelli lucidi, neri; occhi grandi, di un marrone molto caldo, quasi rossastro. Il Cavaliere rimase a bocca aperta; non s’accorse neppure che il tempio continuava a raffreddarsi: ora, la pavimentazione di pietra era velata da un sottile strato di brina.
 
Ker schiuse le labbra, mettendo in mostra due file di denti perfettamente bianchi. – Ho pensato ad un gioco – iniziò, e il suo sguardo vagò veloce da una parte all’altra della stanza, tentando di carpire ogni centimetro cubo di spazio disponibile. Phoenix fissò apertamente il viso della dea e, di nuovo, si meravigliò nel costatare ch’egli era solo e la ragazza volgeva lo sguardo a destra e a sinistra, come se fosse stata al cospetto d’un pubblico ben più numeroso.
Lei sbatté le palpebre. – Ho pensato ad un gioco – ripeté. – Questo tempio è un labirinto... se ne raggiungi l’uscita, mio caro, avrai salva la vita –. Il Cavaliere della Fenice sobbalzò e sentì un brivido freddo scorrergli lungo la schiena; non seppe dire, però, se il suo improvviso timore fosse generato dalle parole o dagli occhi di Ker – due dardi infuocati che, ora, lo fissavano senza battere ciglio.
– Dove sono i miei amici?
La donna sospirò. – Non lo so – rispose e, di fronte all’incredulità del ragazzo, aggiunse:
– Forse si sono nascosti...
Sorrise.
Phoenix deglutì; soppesava mentalmente quella risposta senza capire se fosse, o no, un atto di scherno.
– Dove sono i miei amici?
– Si sono nascosti nel buio.
Ker (le sue labbra erano ancora distese in un cordiale sorriso di circostanza) inclinò la testa di lato e indicò la parete settentrionale della sala. Il Cavaliere abbassò lo sguardo: numerosi blocchi di pietra erano stati accostati con precisione gli uni agli altri, cosicché il suolo appariva completamente liscio. Lo stesso valeva per i muri: anch’essi erano formati da cubi di pietra levigati e perfetti.
– Non fermarti alle apparenze...
E il ragazzo vide.
Oh, sì! Il luccichio rossastro di un’armatura – Andromeda? –... fu questione di un attimo, ma Phoenix riuscì a scorgerlo nell’angolo più buio e a lui più lontano.
– Cos’hai fatto a mio fratello? – urlò a gran voce. Si gettò verso la parete su cui era proiettata la figura di Ker, vi sbatté contro violentemente e, allungate le dita, prese a raschiarne la superficie, cercando di arrivare alla dea.
Lei sorrise; si rallegrò maggiormente quando notò che le unghie del ragazzo erano cerchiate da una sottile corona di sangue. – Ti spezzerai le...
– Sta’ zitta!
Phoenix inspirò a fondo e parve calmarsi. Gettò una seconda occhiata ai muri del tempio, ma questa volta non avvistò nessun bagliore colorato che potesse suggerirgli la presenza del giovane Andromeda. Che cosa...?
– Che cosa vuoi...?
Ker scosse la testa e ravvivò i bei capelli corvini.
– Che cosa vuoi da noi? – chiese il Cavaliere. La sua ira s’era completamente assopita e aveva lasciato spazio alla malinconia grigiastra e profonda che, solitamente, è tipica delle persone anziane.
– Non l’hai ancora capito, vero?
– No...
La donna sbuffò. – Sopprimere i Cavalieri di bronzo.
– Perché?
– Non sono tenuta a dirtelo.
La situazione appariva terribilmente complicata... se non altro, la mente di Phoenix s’era del tutto ossigenata, permettendogli, così, di pensare lucidamente: il ragazzo ricordò le avventure vissute con i compagni e si sentì mancare nel sentire – prossima e impossibile da eludere – la prospettiva della loro morte. Sospirò. Non voleva raggiungere l’uscita del labirinto, non voleva sopravvivere agli altri Cavalieri. O tutti, o nessuno...
– Bene... usa contro di me la tua crudeltà però, se ciò che hai fatto o farai ai miei amici... se scopro che non lo farai anche a me, allora lo faranno le mie stesse mani. Ora, via!, infierisci con un solo colpo e, se ti sembra che l’abbia meritato, uccidimi.*
Ker esplose in una risata acuta e sgradevole, il cui suono somigliava vagamente allo stridere del gesso su di una lavagna. – “Lo faranno le mie stesse mani”... suicidati, se lo ritieni necessario! ... ma, per un motivo o per un altro, nessuno uscirà vivo da questo tempio. Nessuno.
Phoenix era stordito, paralizzato nella più completa impotenza.
– Come avrai capito, – disse la dea, – Pegasus, Sirio, Cristal e il caro Andromeda sono qui, da qualche parte. Tra poco, Sirio si ghiaccerà completamente e avrà l’aspetto di un gigantesco cono gelato; però, al momento, egli si trova nella stanza accanto ed è sdraiato su un grazioso pavimento di marmo.
La donna ridacchiò. – Gli altri sono... oh, non ha importanza...! Sappi che le stanze si spostano continuamente: sono loro a formare il labirinto... si spostano, cosicché è difficile trovare l’uscita. Cerca i tuoi amici, se ne hai voglia... purtroppo, non riuscirai neppure a vederli... perché noi (io, tu, gli altri) siamo singole entità disgiunte; viviamo in dimensioni diverse: nessuno può comprendere correttamente i pensieri, i sentimenti di chi gli sta attorno.
Lei ansimò. Il Cavaliere della Fenice aveva sgranato gli occhi e, muto, la fissava con aria interrogativa.
– Phoenix, tu non hai visto Andromeda... hai avvertito la sua presenza in questa sala, nevvero?
– Sì, ma...
– Si muore sempre da soli, ricordarlo... tuttavia, puoi ritenerti fortunato perché molti vivono da soli: tu, almeno, avevi degli amici...
Il ragazzo si soffermò sulle parole appena ascoltate e non poté evitare di chiedersi se, dietro alle iridi sanguigne e all’atteggiamento disinvolto della dea, si nascondesse qualcosa... qualcosa di umano. – Andromeda può sentire quello che diciamo? – chiese lentamente.
– No... è come se tuo fratello si trovasse in un mondo parallelo: lui, in questo medesimo istante, sta parlando con un’altra mia proiezione...
 
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Ker sedeva su un trono d’argento, decorato riccamente con fregi e pietre preziose.
Tutto era stato compiuto...
La donna sospirò pesantemente, e il suo petto si gonfiò per fare posto a nuova, purissima aria; fu in quel momento che una voce ruppe il silenzio nel quale l’intero salone era immerso. – Ker?
Lei, sentitasi chiamare, alzò di scatto la testa. – Mamma, che cosa vuoi? – chiese, rammaricandosi immediatamente d’aver utilizzato un termine affettuoso e famigliare – “mamma”, appunto.
– Che cosa...?
– Non sono affari che ti riguardano, madre.
– Passerà qualche giorno, e ti accorgerai della gravità di...
– So benissimo che cosa sto facendo! – urlò la giovane e, indispettita, prese a scrutare il buio e cercare Nyx – dea della notte – con gli occhi. Capì, infine, che la madre non si trovava lì corporalmente: ella s’era, infatti, approcciata alla mente della figlia e le parlava grazie ad alcune, particolari capacità telepatiche.
– Ker, smettila di... – tentò di suggerire la vecchia Nyx, ma venne nuovamente interrotta:
– Vattene! Esci dalla mia testa!
– Atena ti punirà e...
– Io posso batterla!
– Ker, ti prego...!
– Non capisci nulla! – strillò la ragazza; si alzò in piedi e prese a grattarsi la testa, nella speranza che la voce della sua inutile madre si quietasse.
– Non capisci nulla – ripeté, – ... d’altronde, non mi aspetto che tu capisca. Ora, metti fine a questa chiacchierata perché, se davvero tieni a me, avresti dovuto parlare con Atena e pregarla di... di non rinchiudere Nettuno in quell’anfora.
– Tesoro, io ho provato a...
– No, non è vero. Tu hai dato ragione ad Atena e... –. Ker deglutì; la sua voce si fece più dolce e l’espressione negli occhi più mite. – ... non ti sei preoccupata di lui: hai lasciato che Isabel lo tappasse in quella stupida anfora magica e non hai pensato a me... a Ker che, misera, già sognava un figlio con gli occhi di Nettuno.
Quasi a voler scacciare i ricordi che ancora la legavano al dio marino, la dea del destino scosse il capo. Con una mano, scese istintivamente a toccarsi la pancia; aspettò pazientemente che sua madre replicasse, ma ella non si fece più sentire: probabilmente aveva interrotto ogni forma di comunicazione...
 
 
* La battuta è, con alcune lievi modifiche, una parafrasi che io stessa ho fatto di: “Usa in me la tua crudeltà [...]; per ciò che io t’acerto che quello che di Guiscardo fatto avrai o farai, se di me non fai il simigliante, le mie mani medesime lo faranno. Ora via [...], e incrudelendo, con un medesimo colpo, se così ti par che meritato abbiamo, uccidi”. (Giovanni Boccaccio, “Decameron”, Le Novelle Della Quarta Giornata, “Tancredi E Ghismunda”)
  
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