Casa, dolce casa. Si dice così, no?
'Casa' è quel posto dove ti rifugi quando esci dal lavoro, quando sei stanca,
quando vuoi stare sola, quando la sola cosa che vuoi fare è infilarti nel tuo
letto e dormire, senza mangiare, senza nemmeno sognare.
Lancio via il giubbotto, immaginando che cada sul divano. Mi
sfilo la fondina e la appoggio cautamente sul tavolo della cucina. Apro il
frigorifero. Vuoto. Tanto non ho fame. E se mi dovesse venire appetito,
ordinerò una pizza.
Sono stanca. Molto stanca. Mi butterei sul letto senza
nemmeno spogliarmi, ma devo assolutamente fare una doccia. Mi sento appiccicosa
e piena di polvere. Tutta colpa di quel cretino di Tony. Se non mi avesse fatta
arrabbiare, Gibbs non ci avrebbe puniti spedendoci in archivio a mettere a
posto chissà cosa. Mi pento di non aver ucciso DiNozzo mentre eravamo là sotto:
avrei potuto nascondere il cadavere tra gli scaffali, e nessuno lo avrebbe
trovato prima di cinque o sei anni.
Chissà come, mi ritrovo ferma sulla soglia del bagno, con lo
sguardo fisso su quella vecchia vasca che non ho mai usato. Ho sempre
preferito la doccia, non so nemmeno perché. Non mi ricordo quand’è l’ultima
volta che ho fatto un lungo bagno rilassante.
Senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovo ad aprire i
rubinetti e a riempire la vasca.
Mi spoglio, lasciando cadere i vestiti alla rinfusa sulla
moquette consumata. Mi sciolgo i capelli, scuotendo la testa. Prima di entrare
in acqua, getto un’occhiata al mio riflesso nello specchio. E’ un grande
specchio a figura intera, ma non mi ci sono mai guardata. Non ne ho mai sentito
il bisogno, ma stasera… che mi sta succedendo stasera?
Non sono troppo alta ma ben proporzionata, non ho alcun
difetto evidente, a parte quella vecchia cicatrice sulla spalla, che però non
si nota troppo. So di non essere affatto brutta. Potrei essere davvero carina,
se mi curassi di più…
Ma andiamo, io sono nata in Israele! Sono stata cresciuta a
pane e guerra da uomini a cui importava soltanto di insegnarmi ad uccidere il
più rapidamente possibile, uomini che volevano insegnarmi come affondare il
nemico. Sono nata in un Paese dove le donne sono ancora subordinate agli
uomini, in un Paese dove le donne più anziane passeggiano ancora a capo
coperto.
Ho pagato caro il fatto di non avere un fratello. In qualità
di primogenita, sono stata addestrata ad essere una copia di mio padre: forte,
carismatica, efficiente. Dovevo renderlo fiero di me.
Inizio a sentire freddo, allora entro in acqua. Chiudo gli
occhi, mentre mille mani invisibili avvolgono il mio corpo e mi trasportano in
un mondo lontano, lontano da questo minuscolo appartamento, lontano dalla mia
solitudine.
Mio padre era fiero. Era fiero che il miglior agente del
Mossad fosse un David. Fiero che il miglior agente del Mossad fosse sangue del
suo sangue.
Mio padre era fiero dell’agente David. Non di Ziva, non di
sua figlia. Era fiero del mio grado, delle mie abilità, ma non di me.
Prendo fiato e mi immergo completamente per qualche secondo.
Riemergo e riprendo a pensare.
Qui sono tutto ciò che non sono mai stata. Qui sono ‘l’agente
David’ soltanto sui documenti. Chi mi incontra al Dipartimento mi chiama con il
mio nome, mi vede, si accorge di me.
Qui non mi considerano soltanto una macchina per uccidere, non sono uno stupido
numero di matricola. Non vorrei esagerare, ma mi sembra che qui… mi vogliano
bene.
Qui posso ridere e scherzare con i miei colleghi senza
essere accusata di essere una lavativa e una vergogna per la divisa che porto.
Qui posso avere degli amici.
Qui potrei addirittura innamorarmi.
Sorrido, pensando che questo è già successo.
Amo qualcuno, anche se mi sento così stupida… lui nemmeno lo
sa. Ma cambierebbe le cose? No, non credo.
Non ho voglia di uscire, anche se l’acqua è ormai fredda.
Mi trascino in camera, avvolta in un asciugamano enorme, e
improvvisamente capisco perché preferisco fare la doccia. Preferisco la doccia
perché è veloce, non mi lascia il tempo di fermarmi a pensare a cose stupide
come l’amore.
Mi rivesto e ordino una pizza. Alla fine cedo alla fame.
Mentre aspetto il fattorino mi asciugo i capelli.
Mangio seduta per terra, davanti alla tv, immaginando a come
sarebbe averti vicino a me.
Vado a dormire, e per la prima volta, dimentico di tenere
vicino la pistola.
Come ogni mattina, rieccomi al lavoro. Sei seduto alla tua
scrivania, a bere litri di caffè per svegliarti. Il mio stomaco si annoda in un
punto imprecisato, al pensiero che quasi certamente è stata una donna a farti
fare tardi, ieri sera. Mi sento quasi arrossire al pensiero che vorrei essere
io quella donna, almeno per una volta. Perché è questo, che sono, Tony: sono
una donna. Guardami come guardi le altre, per favore. Fammi sentire che mi
vuoi.
“DiNozzo, hai di nuovo fatto tardi ieri sera?” ti chiedo
sorridendo.
“Già” ti limiti a rispondere, con un mezzo sorriso stampato
in volto.
Adoro i tuoi mezzi sorrisi, quasi più di quando sorridi per
intero. Amo i tuoi mezzi sorrisi. Amo te.