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Autore: EffieSamadhi    23/06/2010    5 recensioni
Mi rivesto e ordino una pizza. Alla fine cedo alla fame. Mentre aspetto il fattorino mi asciugo i capelli. Mangio seduta per terra, davanti alla tv, immaginando come sarebbe averti vicino a me. Vado a dormire, e per la prima volta, dimentico di tenere vicino la pistola. A casa dopo un'intensa giornata di lavoro, Ziva cede alla tentazione di un bagno caldo... e nella sua mente si fa strada un 'pensiero stupendo'.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I Just Want You To Know Who I Am'
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Ziva

Casa, dolce casa. Si dice così, no?
'Casa' è quel posto dove ti rifugi quando esci dal lavoro, quando sei stanca, quando vuoi stare sola, quando la sola cosa che vuoi fare è infilarti nel tuo letto e dormire, senza mangiare, senza nemmeno sognare.

 

Lancio via il giubbotto, immaginando che cada sul divano. Mi sfilo la fondina e la appoggio cautamente sul tavolo della cucina. Apro il frigorifero. Vuoto. Tanto non ho fame. E se mi dovesse venire appetito, ordinerò una pizza.

Sono stanca. Molto stanca. Mi butterei sul letto senza nemmeno spogliarmi, ma devo assolutamente fare una doccia. Mi sento appiccicosa e piena di polvere. Tutta colpa di quel cretino di Tony. Se non mi avesse fatta arrabbiare, Gibbs non ci avrebbe puniti spedendoci in archivio a mettere a posto chissà cosa. Mi pento di non aver ucciso DiNozzo mentre eravamo là sotto: avrei potuto nascondere il cadavere tra gli scaffali, e nessuno lo avrebbe trovato prima di cinque o sei anni.

 

Chissà come, mi ritrovo ferma sulla soglia del bagno, con lo sguardo fisso su quella vecchia vasca che non ho mai usato. Ho sempre preferito la doccia, non so nemmeno perché. Non mi ricordo quand’è l’ultima volta che ho fatto un lungo bagno rilassante.

Senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovo ad aprire i rubinetti e a riempire la vasca.

Mi spoglio, lasciando cadere i vestiti alla rinfusa sulla moquette consumata. Mi sciolgo i capelli, scuotendo la testa. Prima di entrare in acqua, getto un’occhiata al mio riflesso nello specchio. E’ un grande specchio a figura intera, ma non mi ci sono mai guardata. Non ne ho mai sentito il bisogno, ma stasera… che mi sta succedendo stasera?

Non sono troppo alta ma ben proporzionata, non ho alcun difetto evidente, a parte quella vecchia cicatrice sulla spalla, che però non si nota troppo. So di non essere affatto brutta. Potrei essere davvero carina, se mi curassi di più…

Ma andiamo, io sono nata in Israele! Sono stata cresciuta a pane e guerra da uomini a cui importava soltanto di insegnarmi ad uccidere il più rapidamente possibile, uomini che volevano insegnarmi come affondare il nemico. Sono nata in un Paese dove le donne sono ancora subordinate agli uomini, in un Paese dove le donne più anziane passeggiano ancora a capo coperto.

Ho pagato caro il fatto di non avere un fratello. In qualità di primogenita, sono stata addestrata ad essere una copia di mio padre: forte, carismatica, efficiente. Dovevo renderlo fiero di me.

 

Inizio a sentire freddo, allora entro in acqua. Chiudo gli occhi, mentre mille mani invisibili avvolgono il mio corpo e mi trasportano in un mondo lontano, lontano da questo minuscolo appartamento, lontano dalla mia solitudine.

 

Mio padre era fiero. Era fiero che il miglior agente del Mossad fosse un David. Fiero che il miglior agente del Mossad fosse sangue del suo sangue.

Mio padre era fiero dell’agente David. Non di Ziva, non di sua figlia. Era fiero del mio grado, delle mie abilità, ma non di me.

 

Prendo fiato e mi immergo completamente per qualche secondo. Riemergo e riprendo a pensare.

 

Qui sono tutto ciò che non sono mai stata. Qui sono ‘l’agente David’ soltanto sui documenti. Chi mi incontra al Dipartimento mi chiama con il mio nome, mi vede, si accorge di me. Qui non mi considerano soltanto una macchina per uccidere, non sono uno stupido numero di matricola. Non vorrei esagerare, ma mi sembra che qui… mi vogliano bene.

Qui posso ridere e scherzare con i miei colleghi senza essere accusata di essere una lavativa e una vergogna per la divisa che porto.

Qui posso avere degli amici.

Qui potrei addirittura innamorarmi.

Sorrido, pensando che questo è già successo.

Amo qualcuno, anche se mi sento così stupida… lui nemmeno lo sa. Ma cambierebbe le cose? No, non credo.

 

Non ho voglia di uscire, anche se l’acqua è ormai fredda.

Mi trascino in camera, avvolta in un asciugamano enorme, e improvvisamente capisco perché preferisco fare la doccia. Preferisco la doccia perché è veloce, non mi lascia il tempo di fermarmi a pensare a cose stupide come l’amore.

Mi rivesto e ordino una pizza. Alla fine cedo alla fame.

Mentre aspetto il fattorino mi asciugo i capelli.

Mangio seduta per terra, davanti alla tv, immaginando a come sarebbe averti vicino a me.

Vado a dormire, e per la prima volta, dimentico di tenere vicino la pistola.

 

Come ogni mattina, rieccomi al lavoro. Sei seduto alla tua scrivania, a bere litri di caffè per svegliarti. Il mio stomaco si annoda in un punto imprecisato, al pensiero che quasi certamente è stata una donna a farti fare tardi, ieri sera. Mi sento quasi arrossire al pensiero che vorrei essere io quella donna, almeno per una volta. Perché è questo, che sono, Tony: sono una donna. Guardami come guardi le altre, per favore. Fammi sentire che mi vuoi.

“DiNozzo, hai di nuovo fatto tardi ieri sera?” ti chiedo sorridendo.

“Già” ti limiti a rispondere, con un mezzo sorriso stampato in volto.

Adoro i tuoi mezzi sorrisi, quasi più di quando sorridi per intero. Amo i tuoi mezzi sorrisi. Amo te.

   
 
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