La Scrittrice e la Morte
Immaginatevi
un tranquillo paese, uno come tanti altri.
Immaginatevelo
al tramonto, mentre il sole fa bruciare le cime degli alberi, che frusciano
lentamente per via di una fresca brezza.
Oltre gli
alberi, immaginatevi un condominio.
Immaginatevelo
con molti balconi.
Ora, su uno di
quei balconi, immaginatevi una porta; e immaginatevela aperta.
Ecco, dopo tutto questo, lasciate che vi faccia immaginare che oltre
quella porta c’è una ragazza, china sulla tastiera di un computer, intenta a scrivere
una storia.
Una storia in
cui crede.
Con tutta se
stessa.
Click click
click click. Click click. Click click click click click. Click click click.
Click. Click click...
Fra stava scrivendo, e la tastiera ticchettava in modo
abbastanza aritmico e discontinuo. Ma chi la conosceva sapeva bene che questo
non era indice di indecisione: era un modo di andare
cauta, di non essere frettolosa, affinché lo scritto riuscisse perfetto e non superficiale
e impulsivo.
Si tirò su e
rilesse quello che aveva scritto fino a quel momento.
-Perfetto.- si
compiacque.
La storia che
stava scrivendo non era fine a se stessa; poco tempo prima
aveva letto, sul sito di fanfiction su cui
pubblicava, l’annuncio di un concorso il cui tema le era molto piaciuto; e così
si era data da fare.
Visto che era
il primo contest a cui aveva pensato di iscriversi, aveva una certa voglia di
fare una bella impressione; e pertanto si era presa
tutto il tempo che pensava potesse esserle utile per fare un buon lavoro… anzi,
un lavoro perfetto. Ci aveva messo
una settimana ad immaginarsi una possibile trama, e ancora un’altra a
scriversela dall’inizio alla fine… in testa; e dalla settimana numero tre, la
stava inserendo sul computer.
Una pagina al giorno.
Giorno dopo
giorno.
Per non essere
frettolosa.
Aveva appena
finito la ventottesima pagina, quella del colpo di scena. Secondo la sua
scaletta, domani avrebbe inserito la ventinovesima, quella del finale
pacificatore, e il giorno dopo la trentesima, cioè
l’epilogo. Perfetto, no?
Assolutamente perfetto.
Fra sorrise,
osservando il pallido schermo, e chiuse soddisfatta il
file. Poi si concesse un lungo sorso di tè al limone, mentre rileggeva il titolo
della fanfic originale, pressoché conclusa: Al cuor non si comanda.
Un po’
pomposo, doveva ammetterlo. Ma le piaceva, e poi rispecchiava, in qualche
contorto modo, la storia d’amore che aveva scritto: la storia di due ragazzi,
che incontrandosi per caso, si innamorano; lui rimarrà
fedele alla ragazza, che invece non esiterà a spezzargli il cuore lasciandolo
per un altro. Il giovane non riuscirà a farsene una ragione, e continuerà ad
amarla lo stesso.
Personalmente
trovava questo comportamento un po’ sciocco, però quella era l’idea, e quella
aveva scritto. Senza contare che le storie tragiche le venivano dannatamente
bene.
DLIIIIIN-DLOOOOON!!
Lo squillo del
campanello le fece venire un colpo.
Si tirò su di
malavoglia per andare ad aprire, borbottando contro la madre che non sarebbe
arrivata che in tarda serata. Di solito era lei che si occupava di campanelli,
telefoni e aggeggi simili…
Si alzò dalla
sedia girevole, sfrattando il grosso e pigro gatto che le stava accoccolato in
grembo, attraversò la camera immersa nella penombra, schivò un secondo gatto
che le tendeva un agguato dietro una libreria, percorse il corridoio e sbloccò
tutta una serie di lucchetti.
Solo allora
aprì la porta.
E le parve perfettamente normale trovare
dall’altra parte una figura coperta da capo a piedi di un lungo mantello nero;
spuntava solo la mano sinistra, che reggeva una grossa falce bianca e rossa. La
figura aveva il cappuccio, ed emetteva rantoli.
Quello che però
non le parve normale fu che quell’alta figura con
lungo mantello nero, mano sinistra e falce bicolore, emettesse rantoli proprio
davanti casa sua. Con tutti gli altri posti che c’erano in giro.
-E…
lei chi è?- chiese, educatamente.
l’altro la fissò con uno sguardo molto penetrante da
sotto il cappuccio; ma Fra non era tipo da lasciarsi penetrare dallo sguardo di
chicchessia. Specialmente non da uno che rantolava di
nascosto da sotto un cappuccio.
Così ripeté la
domanda, più decisa, e alla fine l’altro rispose.
-Io- disse con voce profonda –sono la Morte.-
E poi silenzio.
Fra inarcò il
sopracciglio: -Non conosco nessun signor “Lamorte”,
mi dispiace, e…-
-Io- la interruppe lui, come se non avesse
ascoltato –sono il Tristo Mietitore.-
Ah, non era
solo un rantolante uomo incappucciato, ma anche contadino… e depresso, perfino!
Incappucciato,
poi… sembrava più un travestimento, tipo quelli di Carnevale, no? E somigliava parecchio,
ora che ci pensava, a quella illustrazione sul libro
di Arte… come si intitolava? Va beh, dai, quello che ritraeva una
personificazione della…
Oh, cavolo.
La figura
annuì, e si avvicinò a sussurrarle un paio di parole all’orecchio.
-Si. Hai capito
bene.-
Fra sbarrò gli occhi, indietreggiò di un paio di passi, e…
-Ahhh, ma che alito!-
-Cosa?-
La sorpresa
gli fece scivolare via il cappuccio.
Fra annuì.
-Si, sa di…
beh, sa di cadavere putrefatto lasciato a macerare allegramente per una
settimana!-
-Ah ah, cos’è,
la battuta del secolo? E poi non sono io, è il
mantello. È più vecchio di quanto tu possa
immaginare.-
-Si, si, beh.
Esiste una cosa chiamata naftalina. È venduta in palline, c’è l’offerta 3 x 2
al supermercato…-
-Ora basta.-
disse l’altro, ricomponendosi. –Posso
entrare?- aggiunse poi.
Fra lo fissò sospettosa, ma poi annuì.
Così il
ragazzo… ma poi era un ragazzo?... ora che era
entrato, la luce metteva in risalto il volto giovane di un ventenne, e i suoi
piccoli ricci biondo scuro. Ma lo sguardo… ah, lo
sguardo! Penetrante. Davvero, così acuto da poterci sbucciare un kiwi con
un’occhiata.
Ma Fra, comunque, non era tipo da lasciarsi penetrare dallo sguardo
di chicchessia. Anche se ora si era tolto il
cappuccio.
-Mi dia il
mantello, glielo appendo all’attaccapanni.-
-Eh?-
-Davvero, me
lo dia. Starà scomodo in casa con il mantello addosso.-
-Oh.
D’accordo. La falce?-
-La appoggi pure al muro… beve qualcosa?-
-Magari…
dell’acqua, grazie.-
Fra gliene riempì un bicchiere e lo guardò accomodarsi in cucina.
-Bene- gli
disse dopo un momento –perché è qui?-
Il ragazzo si
sorprese un’altra volta. La sua era ottusità o vana speranza?
-Beh è
semplice. Sono qui per…- ma all’improvviso cominciò a tossire e a respirare
affannosamente; Fra si spaventò, ma, com’era iniziato,
l’attacco finì.
-Lei soffre
d’asma?-
-Ahh… si… ahh…
non senti… ah… che rantoli…?-
Tossì ancora
un paio di volte.
-E poi, smettila di darmi del “lei”. Non
suona bene!-
-Oh, va bene.
Di solito non le… ti danno del “lei”?-
-Di solito non
ha più importanza.-
-Ah capisco.-
Il silenzio
dilagò tra di loro, finché il ragazzo parlò di nuovo.
E lo fece con un tono di voce così
profondo che, sebbene stesse sussurrando, avrebbe potuto sovrastare cento e
cento volte il fragore di un tuono.
-Sono qui per
portarti via.-
Fra lo fissò, le parole che le rimbombavano in testa.
Come come come???
Si sentì
ribollire. Fremere di rabbia e di stupore.
Balzò in
piedi, le mani strette a pugno; e fu così che ribatté:
-No.-
Il ragazzo la
guardò socchiudendo gli occhi.
-Cosa? Nessuno
può ribattere a me!-
Fra scosse la
testa incredula.
-“Cosa” lo dico io: ti presenti alla mia porta, così,
all’improvviso, senza che ci siamo mai parlati prima, e pretendi già di
scappare via con me? Lo so che sono attraente, ma fino a questo punto…-
Il ragazzo la
fissò.
Ancora.
E ancora.
E di nuovo.
Poi esplose.
-Sei un’idiota!!! Non intendevo quello!-
Lei lo fissò
male, e incrociò le braccia.
-Ah, no? E che cosa intendevi, esattamente?-
L’altro
sospirò.
-Va
bene, te lo dirò in
modo semplice. Molto semplice. È la tua ora per morire. È abbastanza semplice
ora?-
Qualcosa
scattò nella testa di Fra.
-Non voglio!-
-Non mi importa!-
-E io non vengo!-
-Non mi importa!-
Si guardarono
in cagnesco al di sopra del tavolo della cucina.
Non poteva
essere. Non oggi. Non in quel momento. Era troppo giovane, bella e furba per
morire! Doveva assolutamente escogitare qualcosa…
-Io ti sfido
a… a… a… a scacchi!-
Il ragazzo si
stupì.
-Cosa? A scacchi?-
-Beh, si,
perché no? In palio metto la mia vita.-
-No, aspetta,
quello che volevo dire io è: cosa diamine
ti fa pensare che io sappia giocare a scacchi???-
Ora fu il
turno di Fra di stupirsi.
-Vuoi dire
che… tutti quei quadri… le storie… le leggende… sono sbagliate?-
L’altro annuì
compiaciuto: -Esatto: confondo sempre il re con la regina, e non mi ricordo mai
come si muove il cavallo!-
Questo
contrattempo non ci voleva. Era una mossa astuta, molto astuta... Peccato che
Fra lo fosse di più!
-Allora ti
sfido a Monopoli!-
-No, non mi
piace, è noioso…-
-Allora…a
Scarabeo!-
-No, odio gli
insetti.-
-A… Indovina
Chi?-
-Le vostre
facce sono tutte uguali.-
-Final Fantasy?-
-Videogiochi? Bleah!-
-Xiaolin Showdown?-
-Che
roba è?-
-Nemmeno il
Gioco dell’Oca???-
-No, è troppo
semplice, finiremmo in due minuti!-
Fra incrociò le braccia e cominciò a masticare improperi, mentre
il ragazzo la guardava tranquillo, sicuro di avere tutte le cose sotto
controllo. Come sempre, d’altronde.
-Sentimi bene,
ricciolo. Io non ho intenzione di venirmene via con te. O
almeno… non ora. Chiaro? Perciò… smamma.-
-Smamma?-
chiese il “ricciolo” corrugando la fronte.
-Si, mai
sentito?-
-Sai il gergo
giovanile è qualcosa che manca, da dove vengo io.-
-Okay, ti
spiego. Sciò! Pussa via! Sparisci!-
Ah, ecco. Ora
era tutto più chiaro. “Sparisci” era una cosa che conosceva… peccato che non
potesse farlo.
-Mi sa che non
posso... Devi venire via con me. E devi farlo ora.-
-No!-
-Uffa, non
ricominciare…- il biondo roteò gli occhi.
Si guardarono
male ancora un po’.
-Ascolta…- disse lui dopo un po’ –devi venire. Io non faccio eccezioni.
Mai. Perciò…
mettiti il cuore in pace. E vieni.-
-C’è un problema.-
-Cosa? Un
problema? Con me non ci sono mai
problemi!-
-E invece si. Vedi, io
sono viva. Sono ancora viva, e finchè lo sarò…
beh, non potrai prendermi! Quindi mi sa che devi
ripassare, bello.-
-Ah, ma allora
il problema non c’è! Vedi, tu sei già morta. Peccato.-
Per
Fra fu un brutto
colpo. Davvero bruttissimo.
-Cosa… e
quando? Come???-
-Ti ricordi
quando ho suonato il campanello?-
-Si, mi hai
fatto prendere un colpo.-
-Appunto.-
Fra si sedette sul divano. O meglio: crollò sul divano. Cioè,
lo avrebbe fatto se non avesse avuto una reputazione da mantenere.
Morte la guardò, e vide la catena della sua tenacia sciogliersi.
-Bene. Ora, andiamo.- disse con un tono non ammetteva repliche.
Ma comandare Fra, come abbiamo già detto,
non era così semplice.
-Non mi muovo
da qui!- replicò infatti.
Maledizione,
questa ragazza gli stava facendo perdere un sacco di tempo! Urgeva un rimedio.
Forse le chiacchiere l’avrebbero resa più arrendevole…
-E va bene, aspettiamo un po’! Dai,
racconta… perché sei così ostinata?-
-Eh? Vorrei
vedere te al mio posto!-
Come se nulla
fosse, il ragazzo continuò:
-Avanti,
racconta…c’è qualcosa che ti interessa
particolarmente? O magari… un ragazzo particolarmente carino?-
-Che dici, saranno fatti miei?-
-Ahhh, sei impossibile!- esclamò il ragazzo,
mettendosi le mani tra i capelli e cominciando a camminare nella stanza.
Fra lo vide, e il suo comportamento la fece un po’ intristire. E, in fondo, chi lo dice che anche le persone impenetrabili,
super ostinate e astutissime non possono commuoversi?
-Oh, e va
bene, te lo dico.-
-Cosa?
Davvero?-
Il ragazzo si
fermò di colpo e si affrettò a sedersi di fronte a Fra.
-Parla, su!-
-Il punto è
che… insomma...- Fra si dondolò imbarazzata sulla
sedia.
-… è che… sto
scrivendo una storia e la devo ancora finire! Ecco, l’ho detto.-
Morte
rimase zitto per un
po’, cercando di capire il senso di quello che aveva appena sentito. Poi parlò
ancora.
-Insomma, tu
ti rifiuti di trapassare… per una storia?-
-Si.-
-Per… un
racconto? Narrativa, parole, lettere?-
-Si.-
-Ma… è una cosa stupida!-
Fra lanciò a Morte un’occhiata che gli fece venire voglia di
portarsi via da solo.
-Stupida? Hai idea di cosa rappresenti
per me quel racconto?-
-Fammici pensare… tutto quello che pensi, tutto
quello che senti, i tuoi ideali, le tue speranze e i tuoi sogni, giusto?-
Fra rimase spiazzata per un secondo. Ma
solo per un secondo.
-Beh… si. È
sbagliato forse?-
-No, è solo…
stupido.-
-Non c’è nulla
di stupido nell’esprimere i propri sogni e i propri pensieri al mondo! A volte
è l’unico modo che si ha per farsi sentire e per sentirsi, perché a volte i
sogni sono l’unica cosa che ti resta.-
Fra si irritò, e si irritò sempre di più quando vide che il
ragazzo sembrava del tutto insensibile ai suoi argomenti.
-Ma tanto, perché te lo dico? A te non
interessa! Ti credi superiore a queste cose… stupide.- E gli diede
le spalle.
-Testa di pigna.-
borbottò.
Morte rimase scioccato qualche secondo, prima di ribattere:
-Ascolta. Sono
esistito per abbastanza tempo da vedere il futuro diventare antichità, da
vedere gli ideali universali essere dimenticati, di vedere i sogni delle
persone essere spazzati via… capisci quando dico che mi sembra che queste cose
mi sembrano insulse?-
-Ah si? E allora cosa in cosa dovremmo rifugiarci? Cosa rende la
vita degna di essere vissuta, se non i nostri sogni?-
Morte soppesò
la domanda. Seriamente.
-I dolci- disse alla fine. –I dolci hanno un buonissimo sapore.-
-Sei
una testa di pigna!- esclamò
di nuovo Fra.
Dopo un po’,
stanco di fissare la silenziosa schiena di Fra, Morte
parlò ancora.
-Bene, se il
problema è quella storia… vai, finiscila, poi ce ne andremo.-
Fra finalmente
si girò e sospirò.
-Non basta!
L’ho scritta per un concorso, che scadrà…-
-…si?-
-… tra quattro
mesi.-
Morte spalancò
gli occhi. Quattro…? No, era troppo tempo. Decisamente
troppo.
-No.-
-Ma…-
-No, aspetta.
Ci sono delle cose che bisogna imparare a tralasciare. Vieni,
ti faccio vedere.-
Fra era un po’
sospettosa, ma lo seguì lo stesso sul… balcone. Orami il sole era tramontato, e in strada aleggiava una pigra penombra,
dovuta ai lampioni che spandevano un po’ luce.
-Che
ci facciamo qui?-
-Aspetta.
Guarda lì.-
Fra guardò. Lì c’era una macchia grigia che
assomigliava a…
-… un piccione?-
-Una piccione…- la corresse Morte.
La piccione
barcollava come se avesse sbattuto la testa. A un
certo punto cadde a terra.
-Oh no! Non dirmi che è…-
-Aspetta
ancora un momento.-
Dall’oscurità
della siepe che si trovava a pochi metri, cominciò a venire fuori un’ombra
spaventosa.
Una zampa
artigliata.
Due
ali grigio cenere,
una delle quali ripiegata.
L’altra che
reggeva un minacciosissimo falcetto.
Un nero
mantello con il cappuccio calato.
Si avvicinò alla piccione defunta, e disse:
-Tuuuu. Tuuuu.-
Fra rimase un attimo a fissare la figura del piccione ammantato
che pungolava con un falcetto la piccione morta,
tubandole nel frattempo.
-Esattamente…
cosa sarebbe quell’affare?-
-È la Morte
dei Piccioni, ovviamente! Altrimenti noto come Tristo Tubatore.-
-Tubatore? Scusa ma chi vi dà i nomi? Sembra la
ditta di un idraulico depresso!-
Morte alzò gli
occhi al cielo. Poi li riabbassò.
-Lascia
stare, è meglio.-
Nel frattempo
la Morte dei Piccioni aveva fato alzare la piccione, e
dopo un po’ di tubamenti se ne volarono via.
Mentre Fra si chiedeva come fosse possibile volare con un falcetto in un’ala, Morte la guardò e disse:
-Quella
piccione era una
mamma, aveva un nido con tre piccoli e un ottimo marito che la aspettavano, e
la aspettano ancora… eppure ha accettato lo stesso di volarsene via con il
Tristo Tubatore. Cosa hai imparato
da tutto questo?-
-Che chi vi dà
i nomi ha una pessima fantasia?-
-Non è questo
il punto!-
-Okay, okay,
lo so… la lezione è che non importa quante cose ti restino qui, quando è il tuo
momento devi andare senza possibilità di appello.
Bisogna rassegnarsi, l’inevitabile è, appunto, inevitabile, e tu puoi ribellarti
quanto vuoi, ma…è quasi sempre inutile.-
Un momento di
silenzio.
-Veramente la
lezione era che quando io comando, bisogna obbedire, ma anche quello che hai
detto va bene! Quindi ora sei
pronta?-
-Lo sono.-
-Senza
rimpianti?-
-Si, in
realtà…-
-Cioè? La tua
storia?-
-No, ora che
ci penso… mi mancheranno i miei amici e la mia famiglia…-
-Brava,- disse Morte –sei cresciuta.-
-In cinque
minuti?-
-Ventisette secondi ben spesi sono tutta una vita.-
-…-
-…-
-Si?-
-Sei una testa di pigna.-
Rimasero in casa solo altri due minuti. Morte recuperò il mantello
nero e la falce bianca e rossa, e Fra agguantò la borsa, anche se sapeva che
non le sarebbe servita più di tanto. Prese anche una felpa, nel caso stessero andando in un posto dove faceva freddo.
E infine scesero in strada, e
cominciarono a camminare verso la luce.
VROOOOOOOM.
Okay, magari i
fari del camion erano la luce sbagliata. Una volta che ebbero individuato la
luce giusta, Morte parlò un’ultima volta.
-Alla fine, di
cosa parlava la tua storia? Raccontamela.-
-Era una
storia d’amore, ma è lunga…- disse Fra.
-Non ti
preoccupare, lo è anche il nostro viaggio.- assicurò
il ragazzo.
Fra allora
annuì e gliela raccontò. Parola per parola, compresi i capitoli che non aveva
ancora scritto.
E finalmente, Al cuor non si comanda ebbe una fine.
Come la storia
che state leggendo voi, dopotutto.
Anzi, non
proprio…
***
Click click click click click
click click click click click
click click click click click
click click click click click
click click click click click click click click
click click click click click
click click click click click
click click click click click
click click click click.
Click.
Morte era tornato a casa di Fra quella sera stessa. La ragazza gli
aveva raccontato gli ultimi capitoli, quelli che non aveva
avuto il tempo di mettere per iscritto, e lui ora li aveva ricopiati.
Esattamente come aveva sentito... quando voleva, Morte sfoderava un ottima memoria.
L’ultima cosa
che doveva fare, ora, era inviare il testo. Afferrò il mouse.
INVIARE?
Neanche lui
sapeva cosa l’aveva spinto a farlo. Non era mai accaduto, prima, che
interferisse con le questioni dei vivi.
Questa volta,
però...
Alla fine
prese la sua decisione.
Click.
INVIATO.
La
prima cosa che dico è: Scusate. Perché questa fic è orribile, e non mi convince molto. Però
la pubblico lo stesso dato che la speranza è l’ultima a morire… e perciò spero
che vi piaccia e che abbiate la voglia di recensire.
Spero
anche di non aver offeso nessuno dato il tema di cui la fic
tratta.
Arrivederci
alla prossima pubblicazione, che speriamo sia
migliore… bye!!