Non sono mai
stato granché con i sommari (e nemmeno con i titoli, se
è per questo).
Tuttavia do il benvenuto a tutti i lettori che sono capitati qui.
Questa raccolta è la continuazione delle mie due precedenti su Hayat Shepard, ovvero Moment's Effect e il Riposo degli Eroi. Non è necessario averle lette per seguire questa,
dato che,
a parte "Il riposo degli Eroi", seguono gli
avvenimenti
del gioco in maniera piuttosto canonica.
Al contrario di "Moment's Effect", questa raccolta è molto
più legata
alla trama del gioco in sè e ne ripercorre l'arco narrativo,
pescando da
situazioni presenti nel gioco stesso e sviluppandole in
diverse direzioni.
La raccolta riprende le vicende del comandante Hayat Shepard,
ricognitore,
spaziale, eroe di guerra e paragade (ovvero due parti di
bontà e una di
cattiveria spinta.).
“…Almeno, loro sono in salvo.”
Era quello l’unico e il solo pensiero che impedisse al panico di avere il sopravvento nella sua mente. Il suo corpo, che fino ad allora l’aveva sempre servita fedelmente in tutte le battaglie sostenute, non le rispondeva già più: le sue mani si agitavano come impazzite, tentando inutilmente di fermare l’aria che usciva dalla sua tuta, mentre le gambe si contraevano spingendo invano lo Spazio attorno a lei.
Perché poi?Il vuoto siderale è… vuoto e non c’è nulla da spingere, né qualcosa su cui far leva.
Shepard sapeva che era inutile tentare di arginare la fuoriuscita del prezioso ossigeno: non si poteva afferrare l’acqua con le mani, figurarsi un gas.
Lo sapeva, eppure il suo corpo si rifiutava di crederci: tutto il suo essere tentava di trattenere ogni molecola del prezioso sostentamento, inutilmente.
L’impossibile non ha mai arginato il desiderio di sopravvivenza.
Shepard aveva costruito una carriera sul compiere l’impossibile, ma sapeva che questa volta, nessuna delle sue abilità, né militari, né biotiche, né mentali l’avrebbe protetta,
o salvata.
“MERDA!” le venne spontaneo da dire, ma si accorse che non c’era già più abbastanza ossigeno per farlo.
La specialità di Shepard, il suo punto di forza, il vero motivo per cui era sopravissuta a tutte le battaglie che aveva affrontato, risiedeva in un semplice concetto:
“Il peggior caso possibile.”
Shepard era sopravissuta fino ad allora, perché riusciva a immaginare il peggior caso possibile e ad affrontarlo a mente lucida.
In quella situazione, il peggiore esito si equiparava al migliore: morte per soffocamento. Non c’era nulla che potesse fare, nessuno che potesse aiutarla, né un dio a cui chiedere pietà: solo la morte, pura e terribile nella sua semplicità.
Il suo cervello, ormai sofferente per la carenza di ossigeno, inviò alla sua coscienza un’ultime barlume di ragione.
E Shepard rivisse le informazioni che le sonde Prothean le avevano trasmesso con una chiarezza adamantina, come mai prima di allora.
Il Cifratore, dono di Shiala per averla salvata dal Thorian, tradusse infine tutte le informazioni che fino ad allora erano rimaste sopite e confuse.
E Hayat vide.
Vide oltre il disperato messaggio apocalittico che le era stato trasmesso. Come un lampo che illumina una notte senza luna, la sua coscienza scavò in profondità, nelle altre informazioni che la sonda racchiudeva: Shepard rivisse, nello spazio di una sistola, ventimila anni di storia Prothean.
Vide l’impero che i loro predecessori avevano costruito. Vide la scoperta dei portali e vide la guerra. Vide la pace. Vide la concordia e l’unificazione.
Vide l’espansione.
Li vide, mentre fondavano colonie in tutta la via Lattea. Li vide, mentre costruivano le loro basi di osservazione sui pianeti vicini a quelli popolati da specie inferiori, ma promettenti.
Poi li vide. Un terrore senza nome, progenie di un incubo: Razziatori. Li vide emergere dal vuoto oscuro, attraverso la Cittadella. Li vide decimare più vite che stelle nel cielo.
Così tante vittime, che perfino i rapporti divenivano banali.
Li vide uccidere, con spietata efficienza. E ogni morte, era la sua morte.
Vide i rapporti delle vittime venire letti dai sopravvissuti, prima che questi divenissero a loro volta polvere. Li vide scomparire uno dopo l’altro.
E ogni fibra del suo essere gridava, piangeva e si disperava, mentre i Prothean nella sua mente gridavano assieme a lei.
Alla fine le loro grida si spensero, e tutto tornò al presente: la distesa vuota e silenziosa dello Spazio.
La donna che era Hayat Shepard pronunciò una sola parola:
“Addio,…” la sua voce flebile fu l’ultima cosa che i sopravvissuti udirono nei gusci di salvataggio, prima che i suoi rantoli cessassero: il poco ossigeno che aveva nei polmoni non le permise di completare il suo pensiero.
Quello che avrebbe voluto dire era:
“Addio, amici.”
La morte sopraggiunse mentre la sua tuta bruciava già nell’atmosfera, ma almeno non fu doloroso: era già svenuta per l’ipossia.
Due anni e dodici giorni dopo.
Shepard avrebbe deciso che non era stato il risvegliarsi, il momento peggiore. Era una donna pragmatica, che si fidava dei suoi sensi. Nel momento preciso in cui aveva aperto gli occhi, aveva capito di essere viva.
No, il momento peggiore era stato risvegliarsi, convinta di stare ancora soffocando: certa di dover affrontare ancora quel dolore dei polmoni e l’urlo del suo corpo che chiedeva qualcosa che non avrebbe potuto avere mai più.
Ancora prima di mettere a fuoco la stanza, stava già inspirando:
“Ossigeno!”
Quello era l’imperativo biologico del suo corpo.
I suoi polmoni si dilatarono così tanto, da farle male. Prima ancora di capire di poter avere tutto l’ossigeno che potevano volere, ne chiedevano ancora. E ancora.
Quello era stato il momento peggiore. Risvegliarsi, pensando di stare ancora morendo.
Il resto sarebbe stato solo un ricordo confuso, con due strani esseri: più tardi si sarebbe ricordata che erano esseri umani.
Al momento, esistevano solo le urla nei suoi polmoni e nella sua testa.
E questo era il prologo; spero vi sia piaciuto.
Un po’ di informazioni in più
su questo comandante Shepard: il nome Hayat,
significa “Vita” in arabo, ed è un nome
che ho scelto per due ragioni.
E
questa è la ragione meno importante ;).
La
verità è che ho scelto Hayat e
non, che so “Life”, perché venivo da una
lettura fulminea del primo volume
delle Mille e una Notte e mi era venuta voglia di utilizzarne
la
lingua. Per rendere il personaggio più realistico,
ho creato
anche un
background in linea con l'origine del nome, che verrà
accennato solo più avanti .
Col protagonista che muore all'inizio della storia?