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Autore: Denki Garl    26/06/2010    5 recensioni
Ne fu sorpreso, di sentirsi chiamare a quel modo. Non lo faceva mai, perché credeva che Ryo fosse più bello e gli si addicesse di più. Allora perché l'aveva appellato in quella maniera? Perché aveva deciso di usare il suo soprannome? Dedicata a DarukuShivaa e xXxOpheliac_382xXx
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ruki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I fatti narrati non si ispirano a nulla di realmente accaduto ma sono solo frutto della mia mente deviata e contorta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
"Takanori smettila, ti prego, di dire certe cazzate"
 
 
Il tono della sua voce era così severo, lo era sempre quando lo rimproverava. E succedeva spesso ultimamente. Sul dolce viso intristito di Takanori si dipinse un sorriso, ma non uno esprimente felicità. Era amaro, come le sue lacrime, come il rancore che in quel periodo riempiva il suo cuore. Cuore che rischiava di scoppiare, per i troppi cattivi sentimenti di cui era colmo, così come nella sua testa vagavano solo brutti pensieri, pessimisti e bui.
E a Ryo questo non piaceva affatto.
 
 
Stava diventando un periodo orribile anche per lui, la situazione era troppo pesante. Il suo amico lo era, per quanto si sentisse in colpa anche solo a pensarlo; non che glielo avesse mai detto, non aveva intenzione alcuna di farlo.
 
 
Ma proprio perché lo riteneva un amico e non uno qualunque, continuava a stargli vicino, a cercare di aiutarlo. Ma ce l'avrebbe fatta? Se la storia fosse proseguita per quel verso, Ryo ne dubitava. Ma doveva farcela, doveva riuscire a salvare il suo migliore amico da se stesso e da quei pensieri che ultimamente martellavano la sua testa, impedendogli di gustarsi le giornate e la vita fino in fondo.
 
 
"Cosa cambierebbe Ryo? Sarebbe solo meglio..." ripetè per l'ennesima volta al biondo.
 
Si tratteneva, combatteva per lui, stringeva i denti e sopportava. Ma il peso della vergogna cresceva e pesava sempre più sulla sua coscienza; cosa avrebbero pensato gli amici di famiglia? Che opinioni si sarebbe fatta la gente su di lui? Era una vergogna, una vergogna e nient'altro, avevano agito bene i suoi genitori, cosa migliore suo padre non poteva fare.
 
 
Ed ora vedere la sua faccia riflessa nello specchio appeso al muro del bagno, lo faceva solo sentire peggio. Gli occhi gonfi per le troppe lacrime versate, il naso arrossato. Si sciacquò velocemente la faccia, decise che sarebbe uscito a pendere un po' di aria.
"Che stai facendo Taka?"
 
 
"Nulla, mi vesto" rispose quasi infastidito. Certo aveva avuto spesso quei pensieri, ma ciò non significava Ryo dovesse allarmarsi per ogni minimo movimento dell'amico. Voleva solo camminare un po' all'aria aperta, ne aveva bisogno, per schiarirsi le idee.
 
"Vuoi che ti tenga altra compagnia o preferisci startene un po' per le tue?"
 
 
"Basta che tu non stia in pensiero per me" non ce n'era bisogno alcuno, non avrebbe fatto nulla di estremo.
 
 
"Basta che tu prometta di non lasciarmi avere una ragione per farlo"
Ma anche se così fosse stato, un po' di preoccupazione nel cuore di Ryo ci sarebbe sempre stata. Takanori era pur sempre il suo migliore amico, aveva bisogno di lui. "Stai tranquillo, Reita"
 
 
Ne fu sorpreso, di sentirsi chiamare a quel modo. Non lo faceva mai, perché credeva che Ryo fosse più bello e gli si addicesse di più. Allora perché l'aveva appellato in quella maniera? Perché aveva deciso di usare il suo soprannome?
Era confuso, il bassista, se fosse stato un segno? Se Takanori avesse voluto mandargli un messaggio? Ma no, gliel'aveva promesso, anche se non esplicitamente. Era stato detto tra le righe, che non avrebbe compiuto nessuna sciocchezza.
 
 
 
 
 
 
La città che mai dormiva, Tokyo, con le sue mille luci e i suoi mille colori, risplendeva di vita, ma non riusciva a trasmettere nulla a Takanori. L'uomo si sentiva svuotato di ogni capacità di sentire buoni sentimenti, vedere il lato positivo delle cose e nelle cose. Niente aveva più un senso ai suoi occhi, e tutto ciò che scorgeva sembrava non esserci realmente, lui non lo vedeva.
 
 
"Sei una vergogna per la nostra famiglia!"
 

Quante volte se l'era sentito dire? Molte, troppe, così tante che aveva perso il conto, ormai. Ogni volta che aveva litigato con suo padre, più o meno.
Pensava a suo fratello più grande che gli era sempre stato a fianco, l'aveva sempre appoggiato, confortandolo e standogli vicino. Gli aveva voltato le spalle, cominciando a dargli contro, concordando con le convinzioni del padre. E la madre?
Sua madre se ne stava in disparte, non si intrometteva nella faccenda e fungeva da spettatrice esterna senza mai proclamare le sue opinioni al riguardo. E questo lo urtava nel profondo, leggeva negli occhi della donna il dispiacere, ma in fine sapeva che ella si trovava d'accordo con il marito.
Aveva sempre cercato di rendere i suoi genitori fieri, così come il fratello era sempre riuscito a fare mantenendo alto l'onore della famiglia Matsumoto. Ma ogni dannata volta veniva fatto sentire un incapace, non ce la faceva a farli felici, avrebbe sempre potuto fare di più, non ce la faceva a dare il meglio di sé. Era questo che tutta la vita si era sentito ripetere, e se n'era stancato, aveva deciso che non gli importava più, che non avrebbe più nemmeno provato a renderli fieri perché tanto era tutto inutile. Avrebbe inseguito il suo sogno, fregandosene dei suoi.
 
 
Eppure non ce la faceva, era troppo attaccato a loro nonostante tutto, e ci stava male.
 
 
 
 
Andò a sbattere per sbaglio contro un uomo, che sembrava avere qualche anno in più di lui. Aveva la valigetta ed era vestito da perfetto uomo d'affari giapponese. Egli lanciò un'occhiata di disapprovazione a Takanori, che mortificato s'inchinò profondamente e pronunciò "Gomen nasai". Attese, e non appena l'uomo si fu voltato e proseguì per la sua strada, il giovane dai capelli neri come la pece si girò per continuare la sua passeggiata, se tale vogliamo definirla.
Si trovò davanti alle rotaie del treno e si rese conto di essere alla stazione di Chou. Perché mai le sue gambe l'avevano portato proprio lì? Era un caso del destino o un segno degli dei?
Guardò a terra, e la linea gialla oltre la quale non bisogna andare quando è in arrivo un veicolo, era solo a qualche passo di distanza da lui. Si avvicinò continuando a mantenere la testa bassa, non gli andava di incrociare lo sguardo degli altri passanti; se questi vedendolo avessero intuito qualcosa, cosa avrebbe dovuto fare, come avrebbe dovuto sentirsi? Era tutto già abbastanza pesante per Takanori, non gli serviva altro peso sulla sua coscienza; che per quanto fosse pulita sentiva sporca, terribilmente lurida.
 
E' un segno del cielo, lo devo fare
 
Ma era davvero sicuro che ne avrebbe avuto il coraggio?
 
 
Avrebbe dovuto averlo, lo avrebbe trovato, in un modo o nell'altro. Si sarebbe costretto a scovarlo, sì. Era così ovvia come spiegazione, come risposta.
 
 
Ora non gli restava che attendere.
 
 
Tanto i treni del Giappone sono famosi per essere estremamente puntuali, al massimo sarebbe ritardado di qualche secondo. E qualche sessantesimo di minuto cosa poteva essere?
 
 
Attendeva, Takanori attendeva...
 
 
...in religioso silenzio, cercando di non badare alle gambe che tremavano, alle mani che sudavano e all'eccessiva saliva che stava producendo in quel momento. Il suo cuore doveva decidersi a battere con più calma, cazzo!
 
 
Erano problemi stupidi in quel momento, si disse.
 
 
Tanto domattina non mi sveglierò, anche se il cuore batte forte, che problema c'é? 
 
 
Sentì il rumore fastidioso di un treno in arrivo, non era molto lontano e da un momento all'altro sarebbe giunto alla fermata. Mai, in tutta la sua esistenza, aveva trovato quel frastuono tanto infernale; mai le orecchie gli avevano fatto tanto male sentendo quel rumore.

Era pronto, doveva farlo, ora. Non ne avrebbe più avuto il coraggio sennò.
 
 
Fece un passo in avanti, pronto per gettarsi sulle rotaie, pronto per spazzare via dal nome dei suoi familiari la vergogna legata al suo nome, al suo volto.
 
 
Poi fu un attimo.
 
 
"Basta che tu non stia in pensiero per me"
 
 
"Basta che tu prometta di non lasciarmi avere una ragione per farlo"


"Stai tranquillo, Reita"
 

Gli tornarono alla mente le parole pronunciate solo qualche tempo prima al telefono col suo migliore amico, e ci ripensò.
 
 
Si rese conto che gliel'aveva promesso, che si era vincolato a lui con quelle parole, e non poteva farlo. Doveva restare per lui, doveva assolutmente restare per onorare la promessa pronunciata a Ryo.
 
 
Tirò in dietro il piede, e si voltò dando le spalle alle rotaie, deciso a tornare a casa, deciso ad andarsene da quel posto prima che fosse troppo tardi.
 
 
Ma le persone presenti ed intende ad avvicinarsi per salire per prime sul treno in arrivo, si accalcarono avvicinandosi alla linea gialla come formiche frettolose di accaparrarsi velocemente una briciola di pane, spintonando e spingendosi l'un l'altra.
Ed una, per puro errore, urtò troppo violentemente Takanori, facendogli perdere l'equilibrio; facendolo cadere nel vuoto destinato al passaggio del treno, segnando così il suo destino.
 
"Ti voglio bene io, Taka, questo dovrebbe bastarti"
 
 
Fu quello l'ultimo ricordo che gli venne in mente, delle parole pronunciate molto tempo prima da Ryo.
 
 
"Lo so, Ryo. Anche io te ne voglio"
 
 
Fu quello il suo ultimo pensiero, prima di morire con un senso di colpa che lo avrebbe tormentato anche nell'aldilà.
 
 
"Ryo..."
 
 
La sua ultima parola, sovrastata dal rumore del treno.
 
 
Si sentiva come se lo avesse pugnalato alle spalle, e questo Ryo non se lo meritava.
 

E con lui non sarebbe morto il rimorso di aver tradito il suo migliore amico di sempre...
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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M's Notes:

*si rifugia*

BASTAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!! La smetti di ammazzarmi i componenti della band?! Oramai mi è rimasto solo l'incrocio tra il gorilla e lo sharpei in via d'estinzione, e sono fortunato se arriva ai 32 anni! TT^TT nehehehe, bimba cattiva! NdMamminaKaichan
 
 
CAZZO HAI DETTO?!? NdAoi
 
 
*scrive fic dove muore Aoi* Ecco mamma! Ti ho salvato dalla furia omicida del nonnino! *O* NdMicchan
 

Ok, ok. Odiatemi pure, fucilatemi, riempitemi di insulti, botte, pomodori marci e quant'altro ù_ù sono pronta al peggio.
L'idea per questa fic mi è venuta ieri -occhei, l'altro ieri XD- leggendo un libro che è una sottospecie di guida turistica sul Giappone, tratto dal blog di un tipo spagnolo. Ve lo consiglio, si intitola "un geek in Giappone" (o 'un otaku'. Io ho chiesto di "un otaku in Giappone" quando l'ho ordinato, ma sulla copertina c'è scritto 'un geek' XD boh, tanto il senso è quello ù_ù). Eniuei, dicevo...? Ah, sì. In questo libro si parla molto del modo di pensare dei giapponesi ed è anche provato a spiegare la motivazione dell'alto tasso di suicidi. E' interessante, è una cosa che deriva dall'antichità, dai samurai. Loro, praticamente, quando non riuscivano a portare a termine una missione si toglievano la vita per non recar danno all'immagine del padrone, per non portargli vergogna. E ciò è arrivato ai giorni nostri, infatti la maggior parte delle volte che avviene un suicidio è dovuto ad un grave errore compiuto sul lavoro o a scuola e cose così. Mi ha colpita molto questa cosa.
So benissimo che Ruki e Reita non sono nati e cresciuti a Tokyo, ma siccome sono rimasta colpitissima da 'sta storia dei suicidi e viene detto che la maggior parte delle volte la gente si getta sotto al treno ho voluto fare così. Perché proprio a Tokyo? Perché vien detto che la stazione scelta più spesso è quella di Chou...
 
 
Così mi è venuto in mente il casino (di cui in realtà non so niente) che ha avuto Ruki con la sua famiglia per via della band, mi pare ò_ò eeee-toooo...ecco qui! ^ ^
 
In più in origine ho avuto dei dubbi. Ho iniziato a scriverla pensando a Ruki e Reita, ma siccome da tempo ho voglia di scrivere qualcosa su Uruha, ho cambiato personaggio. Alla fine ho lasciato Reita, dato che all'inizio mi vedevo lui.
 
 
Tralasciando il fatto che ho ucciso Rukichan, spero vi sia piaciuta e che mi saprete dire cosa ne pensate ^__^
 
Ora, dato che sono le 2 e 30 vi abbandono e vado a fare le ninne ^ ^
 
Un bacione,
 
M :3
 
 
   
 
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