Storie originali > Giallo
Segui la storia  |       
Autore: Farrah Wade    27/06/2010    2 recensioni
Essere genitori non è mai una cosa facile. Spesso si devono prendere decisioni difficili riguardo ai figli. Quante volte per "fare del bene" si deve "fare del male", rischiando di essere fraintesi e addirittura odiati dai propri figli? Ne sa qualcosa il dottor Philip Price, che oltre a dirigere un ospedale, si troverà alle prese col non facile carattere dei suoi gemelli. La sofferta ma necessaria decisione di mandarli a studiare in un collegio adatto al rango della famiglia scatenerà una serie di terribili eventi che vedranno coinvolti i suoi figli e una strana "allucinazione" che lo porterà a dubitare della loro sanità mentale e rivangare alcuni segreti celati da tempo dal nonno dei gemelli, il primario ormai in pensione Preston Price. Genitore austero e brillante medico, Philip cercherà sempre di fare "la cosa giusta" finendo inevitabilmente col fare quella sbagliata.
Genere: Drammatico, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 24

Il suo sonno era agitato. Strano. Le medicine avrebbero dovuto garantirgli un riposo sereno e una relativa tranquillità almeno per qualche ora ancora, ma non era così. Colori vividi e immagini spaventose popolavano il suo incubo. Vide l’Uomo Calvo venire verso di lui, alto, imponente, protetto da una semioscurità che gli impediva di vederlo bene in faccia. Si agitò e gemette nel sonno. Più lui cercava di allontanarsi, più l’Uomo Calvo era vicino, lo sovrastava. Cercò di scorgergli il volto in quella oscura penombra ma non ci riuscì. All’improvviso la sua risata fragorosa e sinistra sovrastò ogni cosa. Era assordante, spaccava la testa.
Benji si rannicchiò sul letto e si tappò le orecchie per non sentire quel rumore terrificante.

-Basta, smettila! Tu non esisti, lasciami in pace, vattene! – gridò terrorizzato.

Così com’era iniziata, la risata si interruppe. Benji fece appena in tempo a scorgere una mano quando si sentì afferrare per il collo della maglietta e sollevare da terra.

Una voce terribile gli sibilò all’orecchio: - Così io non esisto eh? Dimmi, Benji, ti sembro forse immaginario? Eh?

-Io … io non lo so più che cosa sei!

Con una forza sovrumana l’Uomo Calvo lo scaraventò contro una parete. Benji sbatté la testa e si accasciò sul pavimento. Rimase stordito per qualche secondo, poi cercò di alzarsi. La terribile figura nera di quell’uomo lo afferrò di nuovo. Alzò le braccia per proteggersi dal pestaggio, ma quello gli sibilò: Credi ancora che io non sia reale?

Sentì il suo alito gelido a pochi centimetri dalla faccia. Benché fosse terrorizzato a morte, cercò nuovamente di scorgergli il volto. Intravide solo lineamenti aguzzi in quella strana penombra.

-Che … cosa vuoi da me?

La stretta si fece più forte:- Attento ragazzo, stai attento a non deludermi e  soprattutto, non farmi mai più arrabbiare!

-Chi sei?! Dimmi almeno chi sei. Perché …

Non fece in tempo a finire la domanda.  Un secondo e violento strattone lo mandò nuovamente a sbattere contro il muro della cella. Questa volta non riuscì a rialzarsi. Sentiva dolore in ogni muscolo, ma la testa gli doleva più di tutto laddove aveva sbattuto una seconda volta.

Dì pure loro che mi chiamo Straker, – riprese la voce – e che questo avvertimento ti serva di lezione! Non ti dimenticare chi comanda!

La risata si dissolse in lontananza.

Benji si svegliò di soprassalto, sudato e ansante. Si ritrovò sul duro e freddo pavimento della sua cella. Era caduto dal letto. Non c’era altra spiegazione, eppure …
A fatica cercò di rimettersi in piedi. Barcollò verso la finestra e si aggrappò alle maglie della griglia di sicurezza. Sentiva dolore in tutto il corpo.

Fuori, il bellissimo panorama del parco sul retro dell’ospedale era sempre lì, al suo posto. Quindi aveva ragione lui, era stato solo un brutto sogno, anzi un incubo, e nell’agitarsi era caduto dal letto. Logico. Logico e semplice. Allora perché si sentiva così male? Scosse la testa, cercando di riordinare le idee. Si toccò la fronte, vicino alla tempia, dove sentiva dolore. Cadendo, aveva battuto la testa e in effetti gli sembrò un po’ gonfio; faceva male a toccare. Sentì le dita viscide. Si guardò la mano e vide che era sporca di sangue. Il panico fu grande.

-Oh no!

Cosa avrebbe detto ai medici adesso? Gli avrebbero creduto? Certo che no! Da dove veniva quel sangue?

Diede un ultimo sguardo disperato al parco verdeggiante là fuori. Se mai aveva avuto un’opportunità di andarci, ora se l’era giocata definitivamente. Tanto valeva non pensarci più. Voltò le spalle alla finestra e si accasciò sotto di essa, con le spalle appoggiate al muro e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Una cupa disperazione calò su di lui, togliendogli le forze. Non avrebbe potuto fare niente per cambiare le cose, tanto valeva rassegnarsi al peggio. Non era da lui arrendersi senza combattere, ma era troppo stanco e provato sia fisicamente che psicologicamente. Loro stavano vincendo. Alla lunga, stavano avendo la meglio su di lui. Faceva male ammetterlo, ma era così. Non voleva arrendersi, ma non vedeva nessuna via d’uscita.

All’improvviso, una voce lo raggiunse in quel baratro senza fine. Una voce amica che tanto aveva sperato di sentire.

Non è nel tuo stile arrenderti così, senza lottare, senza fare nulla. Ti conosco, non è da te!

Benji sollevò la testa e rimase in ascolto, sospettoso.

-Rachel? – chiese circospetto – sei proprio tu?

Per un momento non udì nulla e proprio quando si stava convincendo che se l’era immaginato, la voce di sua sorella tornò a farsi sentire.

Sì, fratellino, sono proprio io. Che ti hanno fatto? Ero così preoccupata.

Benji, ancora indolenzito, cercò di alzarsi in piedi, appoggiandosi al muro.

Dio sa come sono felice di sentire che stai bene! Temevo che … ti avessero fatto del male, non riuscivo più a mettermi in contatto, temo che i farmaci lo impediscano.

Rachel tacque per qualche secondo.

Già, mi è successa la stessa cosa …

Benji chinò il capo, triste. Aveva una gran voglia di piangere e si sentiva sull’orlo di una crisi isterica. Si sentiva colpevole e incapace di proteggere la persona a lui più cara.

-Mi dispiace – mormorò a mezza voce – non volevo coinvolgerti in questa storia!

Era inevitabile, Benji, siamo gemelli. Non colpevolizzarti. Sto male solo perché non possiamo stare insieme. Per il resto … è dura, ma cerco di sopportarlo. Ho una paura tremenda. Di loro … di Lui … Ma tu sei la ragione che mi aiuta a resistere. Per questo ti prego di non mollare proprio ora. Se ti arrendi a loro a me cosa resta da fare?

Benji aveva un groppo in gola che gli impediva di parlare. Strinse i pugni ed e emise un profondo sospiro.

Ti tirerò fuori di qui, Pie, te lo prometto! Non so come ma ne verremo fuori.

Oh, Benji … perché ci è successo tutto questo?

Non lo so, tesoro … ti giuro che non lo so.


Era la verità. Decise di tacerle quello che era appena successo con l’Uomo Calvo. Non avrebbe fatto altro che spaventarla ulteriormente e poi, ad essere sinceri, nemmeno lui era sicuro di cosa fosse effettivamente successo. Magari era vero che aveva avuto un incubo e nell’agitarsi era caduto dal letto …

Mi chiamo Straker … diglielo pure!

Per un attimo gli sembrò che quella terribile voce gli riecheggiasse nella testa con quel suo strano messaggio …

Benji, parlami, stai bene? E’ forse successo qualcosa?! Benji, TI PREGO!!

Si riebbe e udì nuovamente Rachel parlare.

Sì, sì … sto bene. Scusa per un attimo credevo di averti perso.

Il contatto era rimasto. Percepì l’evidente sollievo di lei.

Ho avuto paura … Sai, tante volte ti parlo anche se so che non siamo in contatto come adesso, mi aiuta a sentirmi meno sola … All’inizio li ho minacciati che mi sarei uccisa se non mi permettevano di vederti, poi ho smesso di mangiare … ma loro non si sono arresi; mi infilavano quegli aghi d’appertutto e mi facevano mangiare comunque. Poi è arrivato un dottore nuovo, un certo Kay, e gli ho detto che volevo vederti. Gli ho fatto “una scenata” come direbbe Doreen, ho avuto una vera e propria crisi isterica ma lui è stato irremovibile. Dice che sta elaborando una terapia, non so, e che presto starò meglio e anche tu.

Benji ascoltava con attenzione. Quando parlò, la sua voce non era del tutto ferma come avrebbe voluto.

-Rachel, mi dispiace che per colpa mia tu abbia dovuto soffrire così. Non posso perdonarmelo né accettarlo … Probabilmente io me lo sono meritato, ma tu no!

Non dire sciocchezze! Questa cosa … beh è capitata e ci sono dentro quanto te. Non è colpa di nessuno…

La collera che Benji si portava dentro e tutto il suo rancore esplosero di colpo. Abbatté con violenza i pugni sul muro tanto da farsi male, mentre cocenti lacrime di rabbia e disperazione gli rigavano le guance. Lui, che non piangeva mai!

-Non ce la faccio più – urlò – non posso fare nulla per liberarti e il solo pensiero mi fa impazzire, mi sento inutile! Non voglio che ti facciano del male. Dio, come li odio per questo! Non li perdonerò mai, mai!

Si accasciò a terra, stremato dallo sforzo di quella rabbia a lungo repressa. Si era indebolito parecchio a non mangiare quasi nulla. La reclusione forzata, i farmaci, lo stato depressivo, la scarsa attività fisica lo avevano fiaccato, rendendolo debole e inappetente. Per lui, abituato a ore di attività fisica all’aperto, tutto ciò era insopportabile. Loro lo sapevano e stavano usando contro di lui le sue stesse paure.
Pianse tutte le sue lacrime, dopodiché si sentì meglio. Quello sfogo era necessario, non poteva tenersi tutto dentro, era troppo anche per lui.
Si mise seduto, asciugandosi nella maglietta gli occhi umidi.

Hai ragione Pie, non mi arrenderò senza combattere, ma mi devi promettere che nemmeno tu ti arrenderai. E’ dura, lo so, ma non te lo chiederei se non fosse importante. Ti prego resisti, non farti sopraffare. Troverò una soluzione.

Quando parlò stavolta la voce di Rachel era tornata serena.

Questo è il mio fratellino! Sei tornato in te, non ti riconoscevo più! Combatti a muso duro come sei abituato a fare, io resisterò. Non preoccuparti per me; sto bene. Sono felice che sei mio fratello, ti voglio bene!

Benji stirò le labbra in un sorriso forzato.

Anch’io Pie, anch’io …

La voce di Rachel riecheggiò in lontananza, con la sua solita risatina complice di quel grosso segreto. Benji sorrise di nuovo,nell’udirla. Si assopì quasi senza rendersene conto, dopo quella crisi isterica.

D’un tratto, tutto cambiò. La risata dolce di Rachel si trasformò in qualcosa di orrendo, un suono che Benji conosceva fin troppo bene. Si riebbe subito con un sussulto, il cuore che gli martellava nel petto, balzando in piedi agilmente nonostante si sentisse ancora tutto indolenzito.
Rimase vigile, in ascolto. Nulla. Controllò sia la finestra che dava sul parco che quella del corridoio; sembrava che il reparto fosse deserto. Appoggiò le mani al vetro rinforzato e scrutò il corridoio in entrambi i lati. Nulla. Si staccò dal vetro e rimase in silenzio, in attesa, tutti i sensi all’erta. Il breve riposo e il dialogo con Rachel erano stati benefici quanto il suo bisogno di sfogarsi, e gli avevano restituito un po’ di energie.
Si sentiva di nuovo vivo, combattivo, pronto a dar battaglia. Gli avrebbe fatto vedere di cosa era capace.
   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Giallo / Vai alla pagina dell'autore: Farrah Wade