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Autore: Melanto    30/06/2010    8 recensioni
[Sequel de "La Caipiroska del Duca"] - Giulio raggiunse il lettino, guardandosi attorno, ma di lui nemmeno l’ombra. Scomparso in un attimo, dissolto come fosse stato un fantasma, rapito dal vento come granello di sabbia. Era bastato distrarsi per un solo momento e gli era sfuggito.
Senza nascondere la delusione, gli occhi scivolarono lungo il profilo del bicchiere vuoto lasciato sul tavolino; tutto ciò che gli era rimasto di lui.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Stella di Sabbia'
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PreNota: Non potevo lasciarli così. Insomma, Giulio e il Duca si meritavano qualcosina di più, ecco. X3
Ma prima di lasciarvi alla storia, volevo ringraziare le persone che hanno recensito “La Caipiroska del Duca”, che l’hanno messa nelle storie preferite-seguite-ricordate e che mi hanno chiesto di dare una sbirciatina alla serata dei nostri due baldi giovani. *wink wink*
**/ spero d’aver soddisfatto la vostra curiosità!

 

Il centro della Clessidra

«Giulio, hai finito di sollevare le sedie? Così posso passare la scopa, c’è sabbia ovunque.»
La testa ricciuta di Giuseppe emerse da dietro al bancone non appena lui ebbe tirato su l’ultima sedia di plastica presente nella sala interna del bar, disseminata di tavoli.
«Sì, ho fatto! È tutto tuo, qui.» esclamò Giulio, dando una rapida occhiata all’orologio. Erano le 19:30 passate da qualche minuto e si sentiva un cretino perché l’idea di proporre al Duca di bere qualcosa gli metteva un po’ d’ansia per due motivi. Il primo, era che negli approcci era sempre stato una frana colossale; gli si incartava la lingua, facendo incespicare le parole in uno sbrodolamento incomprensibile. Quante volte, i ragazzi cui aveva chiesto d’uscire l’avevano guardato stralunati, chiedendo: “Scusa, puoi ripetere?!”. Il secondo era che… era la prima volta che lo chiedeva ad un perfetto sconosciuto. Con gli altri aveva sempre scambiato più di qualche parola, erano amici di amici, ci si ritrovava sempre tutti insieme e poi da cosa nasceva cosa. In questo caso, non sapeva davvero che aspettarsi da un tipo come il Duca, che gli sembrava essere su di un pianeta completamente diverso dal suo. Molto probabilmente non avrebbe accettato l’invito, l’aveva già messo in conto, anzi, sarebbe andata di sicuro così, proprio perché era di un altro livello. Ma ormai s’era detto di tentare poiché, come gli ripeteva sempre la sua vecchia nonna: “Ogni lasciata è persa.”.
«Vado ad occuparmi dei lettini di vimini.» avvisò e Giuseppe rispose con un mugugno, mentre litigava con la sabbia che sgattaiolava via ogni volta che sollevava la scopa. Nell’uscire dal bar, il giovane tirò un profondo respiro, preparandosi uno pseudo discorso con cui esordire, ma quando fu fuori, il Duca Bianco non c’era più. Giulio raggiunse il lettino, guardandosi attorno, ma di lui nemmeno l’ombra. Scomparso in un attimo, dissolto come fosse stato un fantasma, rapito dal vento come granello di sabbia. Era bastato distrarsi per un solo momento e gli era sfuggito.
Senza nascondere la delusione, gli occhi scivolarono lungo il profilo del bicchiere vuoto lasciato sul tavolino; tutto ciò che gli era rimasto di lui.
Giulio sospirò a fondo nel prendere il coccio e rigirarlo tra le dita. Un filo rosaceo, dello sciroppo alla fragola, nuotava sul fondo mescolato al ghiaccio, ormai sciolto, e un po’ d’alcool. Scrollò le spalle mentre tornava al bar, pensando d’aver perduto forse l’unica occasione in cui avrebbe avuto il giusto guizzo per invitarlo fuori. Certo, aveva sempre domani, visto che il Duca era un abitudinario, ma Giulio conosceva molto bene sé stesso e una volta perso l’attimo, avrebbe tergiversato e tentennato fino all’ultimo, per poi tirarsi definitivamente indietro. Era sempre stato un fautore del Carpe Diem, del lasciarsi guidare dall’istinto, ma quando il famoso attimo sfumava, allora anche lui mollava la presa. Un po’ come l’onda: guadagnava con energia la battigia, scavalcando ostacoli, divorando sabbia, e poi, lentamente, si ritirava per scomparire ancora una volta nel mare. Assieme alle altre onde. Molti dicevano che era un pregio, il sapersi lanciare a capofitto nelle cose, ma lui aveva imparato a convivere anche col rovescio della medaglia: se solo fosse stato un po’ più riflessivo e avesse studiato più a lungo determinate situazioni, magari non si sarebbe ritrovato col cuore a pezzi, ed era capitato.
Con un sorriso un po’ rassegnato, lavò il bicchiere, permettendo all’acqua corrente di portarsi via anche l’ultima eco di quella possibilità perduta.

*

«Oh, Giulietto, vieni a prendere qualcosa con noi?»
Massimiliano aveva appena chiuso la serranda del bar e stava per avviarsi all’uscita, rigirando il voluminoso mazzo di chiavi per pescare quello giusto del cancello del lido.
Lui si strinse nelle spalle, fermandosi invece sul primo scalino che portava alla spiaggia. «No, ragazzi. Non mi va di uscire stasera, sono un po’ stanco.»
«Se, se…» Max pungolò il fianco di Giuseppe col gomito, il quale sollevò furbescamente le sopracciglia. «Non ci credo proprio che preferisci startene a casa! Avanti, Giù, chi hai accalappiato?»
Giulio arricciò le labbra, stringendo talmente tanto gli occhi da ridurli a due fessurine. «Nessuno. Che mal pensanti!» anzi, la persona alla quale voleva chiedere un appuntamento se n’era bella che andata almeno da una mezz’ora e la delusione per quella occasione mancata continuava a ronzargli nella mente con una strana insistenza. Possibile che quel tipo, di cui non sapeva assolutamente nulla, avesse fatto così tanta presa su di lui?
Massimiliano se la rise di gusto, allontanandosi verso il cancello, seguito da un più riflessivo Giuseppe che si strinse nelle spalle. «Cerca solo di non fare come il tuo solito, Giulio, e attento ai colpi di testa.» gli disse proprio il barista campano.
«Sì, mamma.» sbuffò lui di rimando, prima di muoversi nella direzione opposta.
Differentemente da Max e Giuseppe, Giulio tornava sempre a casa seguendo il bagnasciuga, perché non aveva scelto di lavorare per ben cinque estati di fila in un lido solo perché era l’unico posto che aveva trovato. Il motivo era che il mare gli era sempre piaciuto, ci viveva da una vita e durante l’estate lo amava ancora di più perché poteva passeggiare sulla sabbia senza doversene stare imbacuccato per contrastare il freddo invernale, perché il sole era caldo ed i granelli silicei gli facevano il solletico scivolando tra le dita dei piedi e perché lo sciaguattare delle onde, che lo sommergevano fino alle caviglie, aveva sempre avuto la terapeutica capacità di rilassarlo e dargli quel senso di ‘casa’ che era inconfondibile.
Con le mani nelle tasche dei corti jeans sfilacciati, si beò, come ogni sera, di quell’attimo di equilibrio che quotidianamente preannunciava l’inversione di temperatura tra terra e mare: dopo il sole infuocato che rendeva la sabbia bollente, mentre l’acqua era una carezza fresca e rigenerante, ora la sabbia era tiepida, quasi fresca, ed il mare tiepido, quasi caldo. Era l’equilibrio perfetto, la clessidra che raggiungeva il punto centrale prima di essere capovolta del tutto e cominciare un nuovo ciclo.
E Giulio amava quel momento più di qualsiasi altro perché sulla spiaggia, ormai, non c’era quasi più nessuno, solo gli ultimi irriducibili delle spiagge libere che sbaraccavano gli ombrelloni con lentezza. Niente bambini schiamazzanti e piangenti, niente genitori isterici ed urlanti, niente chiacchiericcio ronzante come zanzare. Qualche voce, di lontano, qualche risata volante rubata dal vento e l’abbaiare d’un cane che correva agilmente sulla sabbia con la leggerezza d’una piuma e la velocità dell’aria, giocando ad acchiappino con le onde. La livrea ondeggiante, bianca e ambra, il muso lungo d’un levriero, la stazza d’un cavallo; trotterellava attorno al suo padrone vestito di… bianco… con i capelli biondi… un libro, sotto al braccio, e le chiavi penzoloni tra le dita…
Per un attimo, Giulio pensò che ogni cosa rallentasse il suo scorrere attorno a lui. La famosa clessidra ferma in bilico sulla punta d’uno spillo, perché quell’immagine sembrava uscire fuori dal tempo conosciuto e lineare, ricreando come una bolla solitaria ed indipendente in cui rimase intrappolato.
Ogni cosa, all’esterno di quell’attimo, era niente più che un suono ovattato, distante chilometri, mentre i suoi occhi scuri rimasero inchiodati su quella figura immobile e ritta sul bagnasciuga. Il viso rivolto al mare ed i capelli sciolti, fermati sulla fronte dagli occhiali da vista, oscillavano alla brezza. I sandali in una mano, i piedi nudi carezzati dal tocco delle onde.
Il Duca.
Quell’eleganza inconfondibile, quel crogiolo di colori indelebili, quell’aura d’irrealtà irraggiungibile.
Non s’accorse d’aver trattenuto il fiato fino a che la bolla non scoppiò d’improvviso, squarciata senza la minima delicatezza. Purtroppo per lui.
«Palla!»
Giulio si volse, ancora immerso in quello stato di trance in cui era finito e dal quale si risvegliò del tutto solo quando qualcosa lo colpì in pieno viso, facendogli perdere l’equilibrio e cadere di schianto in acqua.
«AH!»
Fu tutto quello che riuscì a dire tra il dolore lancinante al naso ed il tuffo fuori programma. La testa andò sotto per la durata d’un attimo abbastanza sufficiente da fargli entrare l’acqua negli occhi, nel naso e nella bocca. Olè!
«Ma porca di quella fottutissima-!» sbrodolò d’un fiato tra i colpi di tosse, lo sputacchiare ed il soffiare fuori dalle narici quanta più acqua possibile. Gli occhi ancora chiusi per il bruciare del sale. Poco lontano sentì un gruppo di ragazzi ridere a crepapelle e lì sbottò, mandando a fanculo il self control ed abbaiando come un rottweiler. «Chi cazzo è il coglione decerebrato e troglodita, figlio di una grandissima put-» ma quando si trovò la figura del Duca ritta davanti a lui, con l’espressione preoccupata, ogni invettiva gli si strozzò in gola. Se avesse potuto vedersi in quel preciso istante, Giulio era sicuro di avere la perfetta espressione d’un baccalà.
«Giulio! E’ tutto ok?!»
Lui lo fissò per buoni cinque secondi netti, frugando la giusta risposta nel suo cervello, ma trovando solo quella più deficiente.
«Faceva un caldo!» disse, esibendo un sorriso idiota e agitando la mano.
All’espressione preoccupata, sul viso del Duca, se ne sostituì una del tutto perplessa.
«Poi adesso l’acqua è una meraviglia.» continuò Giulio, ormai fisso sulla modalità ‘CRETINO’. «Un vero brodo.» concluse, baciandosi la punta delle dita con un sonoro schiocco ed intanto pensava che con lui poteva andare avanti solo a figure di merda.
L’altro sorrise e quella perfetta linea di denti bianchi lo fece sentire per un momento in Paradiso, nonostante si trovasse con le chiappe a mollo, completamente vestito, per un bagno non previsto.
«Ehi, amico! Ti sei fatto male?» uno dei coglioni che l’aveva ficcato in quella situazione ridicola, si era avvicinato per vedere se fosse tutto a posto.
«Male? Io?! Per niente!» negò ad oltranza, nonostante avesse mezza faccia che gridava ‘vendetta!’ contro quella manica di buzzurri che dovevano per forza giocare a calcio ovunque! Per forza! Manco glielo avesse ordinato il medico!
«Oh, meglio così.» osservò l’imbecille, raccogliendo la palla e continuando a ridacchiare. «Ma devi allenare i riflessi!»
Giulio ebbe l’istinto di affogarlo in quei pochi centimetri d’acqua, ma la voce celestiale del Duca e quella mano protesa verso di lui gli fecero dimenticare completamente il gruppo di protozoi sottosviluppati.
«Ti aiuto ad alzarti.»
«No, ma… sono bagnato, non…» sì perché era lapalissiano rifiutare il soccorso dell’essere perfetto, piovuto da chissà quale universo sconosciuto. Ovvio.
L’altro rise, stavolta d’una risata piena e divertita. Le dita eleganti, che afferravano le sue senza alcun preavviso, gli provocarono una prima onda di gelo che lo attraversò in ogni sua parte e poi una marea di fuoco. Sentì la pelle incresparsi in brividi piacevoli come non ne avvertiva da tempo, e poi la forza della sua stretta gli offrì l’appoggio giusto per potersi rialzare.
«Ma dai! È solo acqua.» continuò il Duca e, una volta in piedi, Giulio notò che erano più o meno della stessa altezza.
«Grazie.» disse, tentando di camuffare l’imbarazzo e concentrandosi su altro e non sul quel viso dagli occhi magnetici come calamite.
Si osservò rapidamente, ma c’era poco da fare: era bagnato da capo a piedi. Il cavallo travestito da cane, che aveva visto poco prima, gli si fece vicino di soppiatto, tanto che non lo notò fino a che non ebbe il suo muso, lungo ed affusolato, ad un palmo dalla mano. Gli arrivava alla cintola.
Giulio indietreggiò, ma la sabbia affondò sotto le suole e ricadde in acqua, sollevando qualche schizzo. Il cavane – come l’ebbe ribattezzato su due piedi – abbaiò divertito, cominciando a scodinzolare, mentre il suo padrone tornò a ridere, per quanto avesse cortesemente cercato di trattenersi.
«No, non aver paura! Janosh ha solo la stazza grande, però è buonissimo.» di nuovo la mano verso di lui e di nuovo la scossa, la scarica caldo/freddo che lo irretì e sconvolse in maniera più totalizzante di prima.
«Ah, sì. Cioè, no, non mi sono spaventato.» tentò di giustificarsi. «E’ solo che è comparso all’improvviso.»
Il cavane abbaiò un altro paio di volte, avvicinandosi e poi ritraendosi per non bagnarsi le zampe. Nel frattempo, Giulio decise che era stato a mollo anche troppo e si spostò verso l’interno, dove la sabbia morbida si sposò immediatamente con suoi piedi e i sandali. Janosh gli poté finalmente annusare le mani con soddisfazione, leccandogliene una e facendo una smorfia perché il sapore salato dell’acqua non era di suo gradimento.
Giulio sorrise, pensando che se il Duca era una persona di classe ed elegante, il suo cane non poteva certo essere da meno. Si volse proprio verso il giovane, con un po’ di imbarazzo. Si passò la mano dietro la nuca, ma era bagnato anche lì.
«Beh, grazie per l’aiuto. Adesso è meglio se mi avvio verso casa per darmi una sistemata.»
Ma l’altro s’affrettò a bloccarlo prima che potesse scappare. «Aspetta! Fermati da me, abito qui vicino. Tu devi arrivare oltre il Miramare e rischi di prenderti qualcosa, si sta levando anche un po' di brezza.»
«Cosa?!» gli uscì talmente acuto che dovette ripeterlo per darsi un tono più macho. «Cosa? No, davvero… non vorrei disturbare…»
Il Duca sorrise e quando distendeva le labbra in quel modo diventava letteralmente impossibile resistergli o rifiutare una sua richiesta.
«Ma quale disturbo. Dai vieni. Andiamo Janosh.» richiamò anche il cavane che superò entrambi in velocità.
Poi, il Duca si volse ancora e, per la terza volta, la sua mano fu tesa verso di lui in una stretta amicale che lo rese rovente come ghiaccio.
«Comunque mi chiamo Nicola.» come lo Zar, era altolocato anche nel nome.
«Piacere, Giulio.» ma sorrise l’attimo dopo «Va beh, lo sapevi già.» e mentre continuava a sentirsi un po’ un cretino perché non ne stava imbroccando una, pensò che quello che stava succedendo andava oltre la semplice proposta di prendere insieme un aperitivo, molto, molto oltre.
Se non fosse stato troppo frastornato dal susseguirsi degli eventi, avrebbe potuto pensare che tutto quello, in quella surreale sequenza, fosse destino.

*

Nel momento in cui si trovò davanti casa di Nicola, Giulio capì perché si presentasse al lido armato solo d’un libro, del telefono e delle chiavi. Praticamente viveva sulla spiaggia. Era bastato uscire sulla strada e attraversarla, dall’altra parte c’era la sua villetta a due piani, protetta, dagli sguardi dei curiosi, dalla fitta cancellata e le siepi. Janosh sgattaiolò subito all’interno appena il cancello venne aperto, mentre il padrone di casa si fece educatamente da parte per far passare lui.
Non c'era la porta, si entrava direttamente dalla vetrata del terrazzo, che Nicola aprì, facendo scorrere il vetro.
«Perdona il disordine.» si giustificò, mentre Janosh attendeva fuori. «Non ho avuto il tempo di dare una sistemata.»
E quello era ‘disordine’ per lui? Fu il primo pensiero di Giulio nel varcare la soglia. Non aveva mai visto casa sua, allora, che era una bolgia infernale.
L’ambiente principale era un salotto-cucina dove la zona cottura, a sinistra, era separata dai bassi divanetti da un braccio all’americana. La parete destra, invece, era costellata di filari infiniti di mensole stracolme di libri. Ce n’erano così tanti, che alcuni erano impilati a terra o sullo spigolo del mobile su cui era poggiato il televisore dallo schermo sottile come una sfoglia.
«Su entra, accomodati.» la voce di Nicola lo riscosse e Giulio fece per muoversi ma prima diede un’occhiata ai propri piedi.
«Rischio di riempirti il pavimento di sabbia.»
«Oh, non preoccuparti, questa casa è aspirapolvere friendly
Il Duca lo superò e lui fece i primi, titubanti passi nella stanza. I vestiti fradici gli si erano incollati addosso e non vedeva l’ora di togliersi la salsedine dalla pelle.
Qualche minuto dopo, Nicola tornò con degli abiti asciutti e un asciugamano enorme, bianco, profumato di bucato appena fatto.
«Direi che ad occhio abbiamo la stessa taglia.»
Il rossore delle guance di Giulio venne smorzato dall’abbronzatura – che mai fu più Santa, secondo lui –.
«Grazie, sei davvero gentile.» -…e il ragazzo più bello che abbia mai conosciuto. Ma dove eri nascosto fino a questo momento?! - ma la parte politically incorrect la tenne solo per sé ed i suoi neuroni ormai assorbiti dalla figura di Nicola, dai suoi modi cortesi e da quel sorriso incantatore sulle labbra seducenti, per non parlare degli occhi dello stesso colore di ciò che amava di più, il mare. Oltre a ‘ogni lasciata è persa’, di cui aveva fatto quasi uno stile di vita, sua nonna gli diceva anche che: ‘le coincidenze non avvengono mai per caso’.
«Non ringraziarmi, figurati. Il bagno è la prima a destra.»
Lui vi sgattaiolò quasi per riuscire a riprendersi dall’imbarazzo e a fare un po’ il punto della situazione.
Il lento tocco dell’acqua gli rilassò adagio tutti i muscoli, che sentiva leggermente contratti, permettendogli di pensare con maggiore calma. Insomma, nemmeno un’ora prima aveva detto di voler invitare il Duca, cioè Nicola, a prendere qualcosa ed ora si ritrovava addirittura a casa sua, sotto la sua doccia e, a breve, con i suoi vestiti addosso. Il solo pensiero lo portò d’istinto a girare la manopola sull’acqua ghiacciata. Così, mentre il gelo sedava il calore improvviso che aveva preso ad irradiargli il corpo, lanciando segnali per lui inconfondibili, due domande, dall’angolino razionale della mente che ancora non si era annullato dietro la personalità di Nicola, si fecero avanti, sgomitando tra neuroni incantati e ormoni in rapido schieramento: con una cosa così bella e ad un passo dalla spiaggia – libera, per giunta –, per quale motivo arrivava fino allo Stella di Sabbia? Non si faceva nemmeno il bagno, restava tutto il tempo su quel lettino a leggere. Ma, soprattutto: come faceva a sapere che abitava oltre il lido Miramare?!
Quello, forse, più di tutto, lo lasciava confuso, con la sensazione che qualcosa gli stesse sfuggendo, anche se non riusciva a capire bene cosa fosse.
Giulio rimase con gli occhi fissi sulle mattonelle e l’acqua che gli cadeva sul viso ed il bronzo della pelle per alcuni minuti, prima di abbandonare la doccia e presentarsi al cospetto del padrone di casa.

*

Quando tornò nel salotto, Nicola era seduto sulla soglia dell’ingresso e stava pulendo le zampe di Janosh dalla sabbia che si era attaccata al pelo.
«Pensavo avessi solo abiti bianchi nel guardaroba.» esordì Giulio, pentendosene l’attimo dopo aver parlato: la modalità ‘CRETINO’ si inseriva in automatico, purtroppo per lui. Però non poteva negare d’averlo pensato sul serio ed era rimasto un po’ sorpreso quando aveva indossato quel pantaloncino grigio e la t-shirt nera.
Nicola rise, dando una grattata sotto al muso del cavane che entrò subito in casa, girandogli attorno a mo’ di indiano. Giulio lo carezzò, aveva un pelo lucidissimo e morbido, tenuto alla perfezione.
«Sì, lo so. Sono un po’ monocromatico. Il fatto è che il bianco, d’estate, mi piace molto. È un colore luminoso e fresco.»
«E poi ti sta bene.» lo disse a mezza bocca senza nemmeno pensarci, fu una fortuna che l’altro non lo sentì, altrimenti avrebbe dovuto segnare un’altra figuraccia sulla lunga lista.
«Cosa?»
«Ah, ehm… niente!» con abilità, Giulio trovò subito un argomento per cambiare discorso. «Certo che hai tantissimi libri.» esclamò, afferrando il primo che gli capitò sottomano, con un certo entusiasmo, salvo poi inarcare un sopracciglio. «Trave e Architrave
«Sì, sono un architetto.» spiegò Nicola, facendosi di fianco. Giulio se ne accorse solo quando sentì il tessuto della camicia solleticargli il braccio e trattenne il respiro per un attimo lunghissimo, fingendo di non sentirsi sottosopra in ogni fibra del suo essere.
«Un architetto? Accidenti! Anche al lido leggevi qualcosa di architettura?»
«No, anche se sono sempre così oberato di lavoro da avere un tecnigrafo perfino in questa casa che io ed i miei genitori avevano preso per le vacanze.»
Nicola si allontanò di qualche passo e lui tornò a respirare.
«Di dove sei?» domandò, appoggiando il pesante volume.
«Mi piace considerarmi cittadino del mondo perché viaggio spesso, ma sono originario di Bologna.»
«Ma davvero? Non l’avrei mai detto, il tuo accento non si sente affatto.»
Il Duca distese ancora, in maniera mortale, il suo sorriso e lui distolse lo sguardo per non essere sorpreso a fissarlo con l’espressione ebete stampata sulla faccia.
L’occhio gli cadde sul volume accanto al quale giacevano il cellulare e le chiavi.
«Maddai! Leggi Golding?!» esclamò entusiasta come un bambino, rigirando ‘Il Signore delle Mosche’ come avesse appena scoperto un tesoro. «E’ il mio autore preferito, ma di solito non lo conosce nessuno! Ah! Adoro la sua filosofia sui bambini, non potrebbe trovarmi più concorde.» le immagini dei perfidi figli dei Russo balenarono davanti ai suoi occhi con disgusto.
Il Duca rise. «Non ci crederai, ma è anche il mio autore preferito ed ‘Il Signore delle Mosche’ l’ho letto ben tre volte, quattro se contiamo ora che vengo al lido.»
A Giulio quello sembrò il momento giusto per indagare, perché negare d’essere come torturato dal prurito d’una zanzara da quei due interrogativi sarebbe stato ipocrita.
«Senti, volevo chiederti-»
«Ti piace il cous-cous
«Il… cous-cous
«Sì, per cena. Sono già le nove, ti andrebbe di farmi compagnia?»
La vampa bordeaux gli fece cambiare colore con una velocità ed una forza tali che era impossibile che il Duca non se ne fosse accorto, questa volta.
«Per… cena?» fece eco, di nuovo, con la gola secca; l’altro parve accigliarsi un attimo, sistemandosi gli occhiali con un dito.
«Oh, scusa. Forse hai degli impegni-»
«Nessuno e amo il cous-cous
Ogni lasciata era persa e Giulio non aveva la minima intenzione di perdere quella e perdere lui.
Nicola sorrise di nuovo e, in quel momento, lui pensò che non poteva esserci niente di più bello.
«Allora dammi qualche minuto, mi do una sistemata e sono da te.» rapidamente, il Duca lasciò il salotto; le risposte avrebbero anche potuto aspettare, dopotutto. «Ah, nel frattempo, fai amicizia con Janosh, sarà felicissimo di farti compagnia, credo che tu gli sia simpatico.»
Manco a dirlo, il cavane si alzò sulle zampe posteriori, per far vedere a Giulio quanto fosse alto, ma trovarsi il suo muso ad un palmo di naso non lo rassicurò affatto.

*

Diversamente da quanto ipotizzato, al ritorno di Nicola lui aveva conquistato Janosh a tal punto, che se ne stava, pancia all’aria, a farsi fare lunghi e rilassanti grattini.
Il Duca rise di fronte a quella resa totale. «L’avevo detto che si era preso una-… che gli eri simpatico.» si corresse all’ultimo momento con un’eleganza impeccabile di cui l’altro sembrò non accorgersi. «Janosh, di solito, non è così affettuoso con gli sconosciuti.»
Giulio ridacchiò. «Mio nonno abita in campagna e fin da piccolo sono stato abituato a vivere circondato da animali.»
Stavolta fu il Duca a chiedere qualche notizia sul suo conto e Giulio non perse nemmeno uno dei suoi movimenti. I morbidi pantaloni bianchi erano stati sostituiti da dei jeans che aderivano alle cosce in maniera così maniacale, che fece uno sforzo terribile per distogliere lo sguando da i suoi fianchi ed il sedere che – Dio Santissimo! – chiamava le sue mani in modo indecente, facendolo vergognare dei propri pensieri. Di bianco gli era rimasta solo la polo che lasciava scoperte le braccia, dai bicipiti ben definiti, mentre il tessuto scivolava morbidamente sui pettorali accennati in maniera sensuale.
«E tu di dove sei?» domandò, i capelli biondi, lasciati umidi, erano sciolti e la loro natura mossa ricreava onde d’oro scuro.
«Sono un ‘fritto misto’.» rise Giulio. Janosh rotolò su un fianco per rialzarsi e sgranchirsi le zampe, soddisfatto delle attenzioni ricevute. «Mio padre è piemontese, mia madre è campana ed io sono nato qui.»
«Davvero?»
«Già. Quando i parenti si riuniscono durante le feste sembra di essere a Babele.» scherzò, mentre Nicola iniziava a trafficare col frigo, prendendo le verdure per il cous-cous. Subito, Giulio s’alzò di slancio per dargli una mano, o forse era solo la scusa più banale per stargli vicino.
«E cosa fai oltre lavorare al lido?»
Lui appoggiò distrattamente i gomiti sul braccio all’americana.
«Studio.» ed arrossì. «Ammetto d’essere un po’ troppo fuoricorso, ma si fa quel che si può e poi non mi sento troppo in colpa perché il denaro guadagnato allo Stella di Sabbia mi aiuta a coprire buona parte delle tasse.»
Il rumore dell’acqua attenuò leggermente il suono della risata di Nicola. «Ma non devi mica giustificarti. Ognuno ha i suoi tempi, l’importante è la passione: se la metti sempre in ciò che fai, allora tutto il resto non ha importanza.»
Lui pensò che il Duca doveva sapere cosa significasse ‘mettere passione’ nel proprio lavoro. Quei libri ovunque, anche nella casa al mare, ed il tecnigrafo ne erano un chiaro esempio. Per un attimo provò ad immaginarlo al lavoro e l’idea di quei tratti perfetti, concentrati su di un progetto tra righe e matite, fogli enormi e graphos, lo sguardo perduto in un mondo a parte, gli disegnò un sorriso ben differente da quello imbarazzato che aveva assunto fino a quel momento. Era rapito ed ammirato, perso in quello di Nicola e nelle sue iridi trasparenti come l’acqua. Il suo, di sguardo, si caricò d’una sfumatura intensa tanto che anche il Duca s’accorse del cambiamento e tornò a fissare il lavello; le verdure, ormai, erano pulitissime.
«Ah! Ma sono un pessimo padrone di casa! Non ti ho nemmeno offerto qualcosa da bere. Purtroppo non è che sia molto fornito, di solito bevo solo quando sono fuori.» rapidamente si asciugò le mani su di uno straccio, avvicinandosi al mobile su cui si trovava la tv. Ne aprì le due piccole ante e cavò un paio di bottiglie, osservandole con occhio critico e sopracciglio inarcato.
«Ho della vodka…»
Giulio lo raggiunse, inginocchiandosi accanto a lui. «Se hai anche del Cointreau, posso provare a preparare qualcosa per il dopocena.» le dita s’avvolsero attorno al collo della bottiglia che reggeva il Duca e la girò un po’ di più verso di lui, sporgendosi per leggere meglio. «Questo potrebbe-» troncò la frase di netto quando alzò gli occhi, perché non si era affatto accorto d’essersi avvicinato così tanto a Nicola. Le parole gli si impastarono in bocca come colla e boccheggiò per alcuni istanti prima di masticare quel «…andare bene.» con la gola arsa.
Il Duca aveva un viso dalla pelle liscia e curata, strano che non se ne fosse accorto prima, e delle labbra perfettamente disegnate ma non troppo carnose. Dio!, se avrebbe voluto sporgersi un po’ di più per poterle legare alle sue, ma l’eleganza di Nicola, il suo appartenere forse ad un mondo troppo distante, lo lasciava in bilico e lo faceva esitare più del solito o di quanto si era sempre consentito. Perché esitare significava perdere l’attimo.
Ed ogni lasciata era persa.
Una umida ciocca bionda scivolò in avanti, frapponendosi tra i loro sguardi e spezzando il momento e la sua intensità.
Il primo a cavarsi di impaccio fu, ovviamente, il Duca. Di nuovo, il suo sorriso lo elevò ben oltre lui potesse arrivare.
«Ok, allora dedichiamoci alla cena, altrimenti non mangeremo mai ad un orario decente. Come te la cavi a tagliare le verdure?»
«Sono un esperto, lascia fare a me!»
«Bene, sono tutte tue!» disse, le bottiglie che venivano messe da parte e le gambe, dagli agili movimenti, che lo portarono di nuovo nella zona cucina, a recuperare la confezione del cous-cous. Mentre lo osservava dargli le spalle, Giulio decise di fare un secondo tentativo.
«Posso farti una domanda?» adagio lo raggiunse. Prese le verdure, ostentando nonchalance, e quasi non notò la piega particolare nel sorriso che Nicola gli rivolse, come se se lo aspettasse.
«Dimmi.»
«Come fai a sapere dove abito?»
L’altro sospirò, mettendo il cous-cous in una ciotola.
«Era una domanda inevitabile.» esordì «A dire la verità, noi ci conosciamo. Ma quella sera eri talmente ubriaco, che dubito ti ricorderai di come sei arrivato a casa. Alfredo si era così preoccupato per te che è stata un’impresa riuscire a calmarlo.»
A Giulio caddero le zucchine di mano, come se le dita gli fossero divenute di colpo di pasta frolla, mentre realizzava una sequenza sconnessa di flash e la voce di Alfredo che martellava come un picchio.

“E per fortuna che c’era Nico, pezzo di deficiente! Altrimenti saresti rimasto a dormire sotto ad un lampione, perché io là ti avrei lasciato!”

La gola era più secca di un deserto.
«Nico, quel Nico?»
«Alfredo mi chiama sempre così.»
Giulio nascose la faccia in una mano. «Oddio! Oddio che figura di merda!» borbottò, ricordando lo stato pietoso in cui si era ridotto quella sera, preda d’una crisi esistenziale alla: ‘non valgo niente’, ‘non so cosa fare della mia vita’, ‘non finirò mai l’università’. Insomma, l’apoteosi di una sbronza triste, ma così triste di cui, ad un certo punto, non ricordava più nulla. Sapeva solo d’essersi svegliato nel letto di casa, con lo stomaco a pezzi e la testa spaccata a metà da un’emicrania colossale.
Alfredo, poi, gli aveva raccontato d’averlo accompagnato assieme ad un suo amico. Tale Nico. E lui aveva sempre creduto che fosse il diminutivo di Domenico, mai avrebbe pensato che fosse di Nicola. Di quel Nicola, per giunta.
Scosse il capo, le sopracciglia inarcate sull’espressione colpevole. «Ma perché non me lo hai detto subito?!» domandò, raccogliendo le zucchine rotolate sul pavimento. «Avevo sempre ripetuto ad Alfredo che avrei voluto ringraziarti, ma poi lui è partito per le vacanze e non c’è mai stata l’occasione per farlo.»
«Non volevo metterti in imbarazzo.» si giustificò il Duca.
«Dovevi, invece. E poi me lo meritavo. Dio! Quella sera ero osceno.» rapidamente, Giulio si mise ad affettare le zucchine, mostrando davvero l’esperienza millantata poco prima. Una mezza risatina di divertimento gli sfuggì all’improvviso. «Certo che è incredibile.»
«Cosa?»
«Tutto questo. Io conoscevo te e tu conoscevi me senza che ci fossimo nemmeno presentati, per ritrovarci infine entrambi allo Stella di Sabbia. Che poi…» ed era talmente preso dall’assurdità di tutte quelle coincidenze che lo domandò davvero con candore ed innocenza «…come mai vieni al lido se hai una così bella casa, ad un passo dalla spiaggia libera?»
Nicola non rispose subito, ma lui nemmeno se ne accorse, come non s’accorse che aveva lasciato perdere il cous-cous e lo stava osservando con le sopracciglia leggermente aggrottate ed un’espressione titubante, quasi indecisa su cosa rispondere. Ma le parole che disse, quelle sì, le comprese benissimo.
«Perché ci sei tu.»
Il coltello sussultò animato da una sorta di riflesso improvviso. Dal cuore, quel battito forte, quel colpo aritmico, si era diramato nel braccio, come una scarica elettrica, fino ad arrivare alla mano.
«Cazzo!» masticò tra uno sbotto ed un ringhio, perdendo immediatamente la presa e ritraendo entrambe le mani.
«Ti sei tagliato?!» Nicola lo raggiunse, accertandosi che non si fosse fatto male. Giulio negò, ancora privo della completa lucidità, guardandosi le dita.
«No, per un pelo.» in realtà, non stava nemmeno pensando a quello; i neuroni lavoravano ad un ritmo irrefrenabile per riuscire a realizzare tutto e connettere parole e significato alla voce di Nicola che le aveva pronunciate.
Il sistema crashò di nuovo quando, alle sue dita, se ne sommarono altre, fresche per esser state a lungo sotto l'acqua corrente del rubinetto, eleganti come quelle d’un pianista ma indubbiamente maschie.
«Dai, fammi vedere.»
La voce del Duca lo rapì ancora, come era accaduto fin dal primo momento che l’aveva sentita, e quando sollevò lo sguardo era lì, accanto a lui, e gli stringeva le mani. Giulio non fiatò, gli occhi persi nel suo profilo troppo vicino.

“Perché ci sei tu.”

Quella frase rimbombava nella testa come un disco rotto. Non poteva, non riusciva a credere che l’avesse detta davvero.
«Meno male che non-» ma Nicola abbandonò la frase a metà. Le gocce di mare vennero assorbite con la necessità d’un deserto dalle iridi terra di Giulio. Il Duca le sostenne a lungo prima di distoglierle per un attimo, non riuscendo ad affrontare la forza della loro intensità. Ritrasse le mani, o almeno ci provò, ma le dita di Giulio furono più veloci e decise, si serrarono attorno alle sue impedendo loro di fuggire e sciogliere il contatto che s’era creato.
Sollevò di nuovo lo sguardo, quello di Giulio lo avvolse subito, caldo come l’abbraccio del Sole.
«Vieni… per me?» sillabò il barista, con incredulità.
Nicola consegnò la resa ai suoi occhi scuri, come il mare che soccombe, infrangendosi contro la costa in onde spumose.
«Ti ho visto per caso, alcuni giorni dopo la famosa sbronza. Ero con Janosh sulla spiaggia libera e tu camminavi sul bagnasciuga. Tornavi dal lavoro, ma questo l’avrei scoperto solo dopo.» sorrise, una smorfia leggera che distendeva appena le labbra. «Ti avevo riconosciuto e avrei voluto avvicinarmi, ma… non sapevo che dire. ‘Ciao, sono l’amico di Alfredo, quello che ti ha accompagnato a casa. Ti ricordi di me?’ mi sembrava un approccio troppo stupido e così mi tenni da parte.» gli occhi di Nicola sostarono sulle sue labbra per un fugace momento, prima di tornare ad incaternarsi alle sue iridi. «Pensavo che tu… fossi molto carino.» disse, un po’ in imbarazzo. «Ho saputo che lavoravi allo Stella di Sabbia e così ho cominciato a frequentarlo perché, in realtà, cercavo la giusta occasione per poterti parlare, ma non l’avevo mai trovata e mi contentavo di quel ‘Ciao’ che a volte riuscivamo a scambiarci. Nel frattempo, in quelle ore che restavo lì a fingere di leggere, ti osservavo e quello che vedevo… mi piaceva sempre di più. Era bello vederti alle prese con le tue piccole battaglie quotidiane, i colleghi, la gente del lido. Il motivo dietro la tua sbornia colossale mi aveva intenerito ed osservarti giorno per giorno, condividendo, seppur a distanza, la tua quotidianità, mi aveva piacevolmente catturato. Temo d’esser stato indiscreto, perdonami.»
D’improvviso, a Giulio sembrò che il pianeta lontano, il livello irraggiungibile da cui era convinto provenisse Nicola, non fosse poi così distante. Anzi, era proprio lì, ed era lo stesso su cui si trovava anche lui; così vicini da divenire parte dello stesso universo e realtà, come due granelli di sabbia di nuovo in bilico nel centro della clessidra che si capovolgeva per ricominciare da capo.
E l’occasione era una ed irripetibile e s’accorse di non volerne altre.
Liberò una mano da quelle di Nicola per farla scivolare dietro la sua nuca ed attiralo a sé. Infinite volte si perse su quelle labbra ed altrettante si ritrovò, non stancandosi mai. Erano morbide e rispondevano alle sue con lo stesso trasporto e lentezza, lasciando che entrambi potessero finalmente assaporare quel bacio ricercato per molto, molto tempo. Nicola rafforzò la presa attorno alla mano di Giulio, approfondendo il loro contatto con passione e quando si sciolsero, non lo fecero del tutto, le labbra rimasero vicine, condividevano fiato e respiro, i nasi si sfioravano.
«Da quale sogno sei uscito?» mormorò Giulio. «Dimmelo, ti prego.» dalla nuca, la mano scese giù, avvolgendogli la vita per stringerlo e sentire la sua intera presenza sotto le dita. «E pensare che volevo invitarti a bere qualcosa, stasera, ma tu eri già andato via.»
Nicola parve realmente sorpreso. «Sul serio?» gli carezzò una guancia con le labbra.
«Già, ma credevo d’aver perduto l’opportunità; d’aver perduto te.»
Le dita, ancora strette, si intrecciarono.
«Ma io sono qui.» osservò Nicola e Giulio avvertì il suo sorriso sulla pelle.
«Lo so, e non ti lascerò andare.»
Cercò di nuovo le sue labbra e si dimenticò di tutto il resto. La cena poteva anche aspettare.
Sulla soglia aperta, Janosh si grattò fugacemente dietro l’orecchio per poi uscire in giardino. La brezza di mare gli carezzò il pelo, portando con sé il suo inconfondibile odore di salsedine.

 

Fine

PostNota: ** e insomma! Non poteva andare altrimenti. XD Io, però, ho amato tanto il cane. ** Nello specifico, Janosh è un Borzoi (levriero russo) e potete ammirarlo QUI. *_* ho sempre adorato questi cani, sono così belli ed eleganti, con quegli occhioni pucci *w*. Ce lo vedevo bene accanto ad uno come Nicola.
Ho inoltre deciso di scrivere una terza storia che chiuderà la serie ambientata in questo lido, ma non sarà incentrata sul Duca e Giulio (XD e visto che la compagine maschile quella è, non credo sia difficile indovinare chi saranno i protagonisti).

Grazie a tutte/i voi. **/

   
 
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