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Autore: cioccolatoprego    30/06/2010    4 recensioni
Quanto ci vuole, per raccontare una vita?
C'è chi sostiene occorrano pagine e pagine, nomi e riferimenti. Ma a volte basta molto meno.
La vita di Jean de Ponthieu, conte cadetto, è riassumibile in sole tre date.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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tre date
Tre Date

Chiunque avesse aperto l'antico codice miniato cercando Jean Marc de Ponthieu, avrebbe immediatamente pensato ad una vita molto avventurosa, tanto quelle pagine erano zeppe di nomi, date e avvenimenti.
Ma se per puro caso qualcuno si fosse preso lo briga di controllare più approfonditamente il libro, avrebbe anche notato una piccola imprecisione, la mancanza del nome "Marc". Nulla di grave, una trascrizione sbagliata, avevano pensato gli storici.
Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che non era un errore, che davvero quelle pagine contenevano due vite: una lunga e piena, quella di Jean Marc. L'altra, appena trent'anni, condensati in poche righe e tre date.
La vita di Jean de Ponthieu.


1184
C'era atmosfera di attesa, al castello.
Per tutto il giorno, gli abitanti del borgo, indaffarati, avevano rivolto gli occhi verso l'imponente maniero, sorridendo nonostante il cielo grigio che prometteva pioggia.
Era buio, quando nacque il bambino.
Gli abitanti nelle case addormentate non lo seppero che il mattino dopo, e così anche il piccolo Guillaume, troppo assonnato per far caso al  fagotto piazzatogli davanti.
Il conte di Ponthieu aveva invece preso in braccio il suo secondogenito, orgoglioso, domandandosi cosa il futuro avrebbe portato al suo bambino, quali grandi imprese e nobili gesta.
Il piccolo Jean, intanto, osservava placido le gocce di pioggia posarsi sulle imposte. Non piangeva nemmeno.
Jean de Ponthieu non avrebbe mai potuto immaginare quale destino attendesse il suo omonimo figlio. Non avrebbe compiuto imprese eclatanti, al contrario.
Jean venne al mondo discretamente, senza far chiasso, e così se ne andò. Il suo destino era uguale a quello della pioggia che cadeva silenziosa nella notte, che sarebbe cessata prima dell'alba. Lasciando solo una lieve traccia di umidità, come lacrime che nessuno aveva asciugato.

1201
All'interno della chiesa, tutto era calmo, e sarebbe potuta apparire vuota, se non fosse stato per il giovane inginocchiato davanti all'altare.
A capo chino, Jean de Ponthieu sembrava invocare aiuto al Cielo, per la grande prova che lo attendeva: l'investitura. Chiedeva consiglio, perchè potesse diventare un cavaliere degno del suo rango.
Buffo come il tempo era volato via. Anni prima era partito da casa sua, per essere affidato a Renaud de Dammartin, ed ora eccolo là, pronto a venire nominato cavaliere da quello stesso uomo.
Ricevere l'investitura era una faccendo impegnativa, e non solo per gli obblighi morali, ma anche perchè si creava un legame indissolubile con l'officiante.
Jean era grato a monsieur Renaud, perchè non lo aveva solo educato: il suo padrino era stato, per lui, un padre, e
gli aveva fatto aprire gli occhi sulle nefandezze compiute da re Filippo, alle quali loro avrebbero messo fine. Di questo era convinto.
Ma a diciassette anni si è sempre convinti delle proprie azioni: si inizia la scalata per diventare adulti, e le certezze sono le funi che permettono di salire, fino a librarsi nei cieli più alti, dove solo i migliori, solo i falchi, possono giungere.
Jean de Ponthieu, a diciassette anni, non sapeva che la corda che aveva scelto era un po' logora, e che presto sarebbe caduto giù. Continuava quindi ad arrampicarsi, sognando di volare come un falco nei cieli più lontani.

1202
La prima impressione che Jean ebbe del convento fu quella di un luogo buio e freddo, e d'istinto gli tornò in mente quando, da piccolo, era caduto in una buca piuttosto profonda ed era rimasto là per ore, senza riuscire a risalire.
Era stata un'esperienza orribile, stare rannicchiato a terra, senza più forze per ritentare la salita, nè voce per chiedere aiuto. Il convento gli dava la stessa sensazione, come di star soffocando. Non appena entrò nella sua cella, desiderò di uscire all'aria aperta, di tornare al castello dei Dammartin, subito.
Allora, da quella buca, era stato suo fratello a tirarlo fuori, e Jean ricordava bene che era stata probabilmente l'unica volta in cui aveva avuto un contatto diretto con lui.
Adesso, era proprio Guillaume che lo stava rinchiudendo.
Pensare che aveva preparato tutto alla perfezione, che sarebbe andato a meraviglia se non lo avesse scoperto suo fratello. Era stato un miracolo se non erano finiti al patibolo, lui e il suo padrino, e sogghignò pensando che Guillaume era arrivato a supplicare il re di graziarlo a spedirlo in quel buco.
Suo fratello che supplicava. Avrebbe voluto vederla, la scena.
Certo, sapeva di dovergli la vita, ma non riusciva a essergli grato. Per che cosa, poi?
Che senso aveva, vivere lontano dai suoi affetti, lontano dal mondo?
Non sarebbe stato meglio morire subito, piuttosto che consumare la propria esistenza in reclusione?
Per questo, al momento della partenza di Guillaume, si era mantenuto in silenzio, leggermente incurvato. Glielo aveva detto monsieur Reanaud, di camminare così, altrimenti la sua altezza avrebbe dato troppo nell'occhio.
Guillaume, da parte sua, era visibilmente adirato, e lo aveva guardato a lungo, tentando di scorgere segni di pentimento.
Non ne trovò.
Guardando il suo cavallo che si allontanava, Jean aveva compreso che, ormai, la porta era stata sbarrata, e dal convento lui non sarebbe uscito mai più. E provò rabbia, come mai ne aveva provata, e dolore, perchè non era stato all'altezza delle aspettative di monsieur Renaud. E, in silenzio, aveva giurato di vendicarsi.
Ancora non lo sapeva, ma nel convento sarebbe rimasto per dodici anni, i più lunghi della sua vita. Poi, suo fratello avrebbe deciso che era tempo che avesse un'altra occasione.
Si sa, spesso la vita tende trappole che possono far cadere in buche profonde, da cui si può uscire solo se qualcuno ci tende una mano.
Jean de Ponthieu era caduto in una buca profonda, e sarebbe sprofondato ancora di più, anno per anno, in completa solitudine. Dopo dodici anni, suo fratello gli avrebbe teso la mano, ma la buca era troppo profonda perchè potesse arrivare a risalire, a meno che non si fosse raddrizzato.
Ma Jean de Ponthieu era sempre curvo, perchè così gli era stato insegnato, e a quella mano tesa non ci arrivò.


A queste date, ne manca una, quella di morte.
Jean de Ponthieu, infatti, morì nel 1214, ma questa data non è riportata nelle cronache. Il racconto riprende semplicemente dalla data dell'uscita dal convento, per raccontare poi di un altro uomo, che aveva preso il posto di Jean agli occhi di tutti, e che passò alla storia con il nome di Jean Marc de Ponthieu, il Falco d'argento.
E di Jean, che rimane? Nulla.
Il suo corpo scomparve nel rogo dell'abbazia di Couronne, e il suo ricordo venne eliminato dalla mente di quanti lo avevano conosciuto, sostituito dall'immagine rassicurante di Jean Marc, simbolo della forza, dell'eroismo, della nobiltà.
La vita di Jean, a confronto, era ben poca cosa, eppure era esistito, anche lui, 
E se mai qualcuno aprirà quell'antico codice miniato cercando Jean Marc de Ponthieu, si soffermi per favore all'inizio, a quei primi trent'anni, a quelle poche righe e a quelle tre date.
Solo tre date, uniche testimonianze di una vita dimenticata.




Salve!
Beh, che dire? E' probabilmente la storia più triste che abbia mai scritto, e la più difficile. Non mi sono mai trovata a mio agio scrivendo storie serie, ma credo che Jean de Ponthieu se lo meriti. Non ci avevo mai riflettuto prima, ma poi ho pensato che, anche se è descritto in modo negativo, Jean non era davvero cattivo. Era solo giovane e manipolabile, si fidava più del suo padrino che di suo fratello, e questo era legittimo. E poi, non so se ci avete mai riflettuto, ma è come se fosse stato destinato a questo. Ian era destinato a essere cavaliere prendendo il suo posto, quindi Jean doveva per forza scomparire ed essere dimenticato. E questo è molto, molto ingiusto, non credete? Dopo aver vissuto una vita triste - perchè lo è stata triste, diciamocelo - come la sua, il minimo era che qualcuno se ne ricordasse. Invece nulla, come se non fosse mai esistito.
Spero che la mia storia possa farvi riflettere su questo, e ne approfitto anche per dire che a breve pubblicherò un nuovo capitolo della mia long. Per tirarvi su, dopo tutto questo sfacelo...
A presto,
cioccolatoprego

  
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