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Autore: eos75    01/07/2010    6 recensioni
Lo sguardo dei gatti è spesso perso nella contemplazione di qualcosa che solo loro possono vedere. Una fatina dei fiori, ad esempio...
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Zampabianca e Bucaneve

di eos75



Il fuoco scoppiettava pigro nel caminetto, la vecchia pendola ticchettava, restando puntualmente indietro. Il cigolio ritmico della sedia a dondolo batteva il tempo per lo sferruzzare incessante dei ferri da maglia.
Un fruscio sottile, impalpabile, s'insinuò nel sottofondo di quella ninna nanna quotidiana, disturbando la tranquillità del suo sonno. Un orecchio si tese, ruotando appena, le vibrisse fremettero ed il piccolo naso rosa annusò l'aria, scandagliando gli odori della stanza: cenere e fumo, polenta in cottura sul fuoco, pane scuro sfornato quella mattina, salsicce, quelle due appese lassù, fuori dalla portata, il latte nella ciotolina posata in terra apposta per lei...
No, quello che cercava veniva da fuori.
Il musino si sollevò un poco, una palpebra si aprì appena, lasciando scorgere l'oro degli occhi e la fessura nera delle pupille. Il naso fremette ancora, ed eccolo l'odore che cercava! Gli occhi s'aprirono del tutto, serrandosi poi per lo sbadiglio che spalancò le fauci. La schiena disegnò un arco perfetto, gli artigli solleticarono la lana grezza della coperta che fungeva da giaciglio, mentre la gatta stiracchiava con eleganza le zampe sottili, prima di sedersi signorilmente ed avvolgerle nella lunga coda.
Lo sguardo acuto puntò fuori dalla finestra ed una sorta di sorriso compiaciuto si dipinse sul musetto bianco. Con tre silenziosi balzi fu sul davanzale, dove ristette ad osservare il cielo grigio riempirsi di candidi fiocchi che, cadendo silenziosi, s'andavano ad aggiungere alla neve stesa abbondante su prati e boschi.
Il ticchettio dei ferri alle sue spalle s'era interrotto e una mano gentile le carezzò la testolina pelosa “Oh, Zampabianca, nevica ancora!” Il sospiro nella voce dell'anziana signora Lucia era carico di una preoccupazione che non sfuggì alla gattina. Sollevò il capino, premendolo ancor più contro le dita magre della donna, e cominciò a far le fusa il più rumorosamente possibile. Un sorriso illuminò lo sguardo grigio dietro gli occhialini dalle lenti spesse “Meno male che ci sei qui tu a farmi compagnia! Con questa neve, nessuno verrà certo a farmi visita!”
Zampabianca fece un giro su se stessa, tendendo la coda ed inarcando la schiena per esprimere il suo assenso, continuando frattanto il suo rumoroso concertino. La signora Lucia l'accarezzò un'ultima volta e quindi riafferrò il bastone che aveva lasciato lì accanto, vi si appoggiò pesantemente ed attraversò la piccola stanza, fermandosi accanto al fuoco per ravvivarlo con nuova legna. La micia non perse un gesto di colei che le circostanze avevano eletto a sua umana. Lo sguardo dorato seguì ogni movimento con apparente disinteresse mentre i ricordi affioravano rapidi .
L'inverno precedente era stato lungo e duro, la neve era caduta abbondante fin dai primi giorni e la vita per una gattina di poco più di un anno non era facile. Le prede scarseggiavano, in compenso bisognava stare attenti a non finire a propria volta vittima di un qualche lupo o volpe, resi disperati dalla fame. I primi raggi di sole primaverile avevano ridato speranza alla gatta, ormai allo stremo delle forze: i topini si sarebbero svegliati a breve, e così scoiattoli e piccoli roditori. Bastava resistere ancora un poco... In quel primo, lungo inverno, aveva già consumato parte delle sue sette vite.
L'esistenza di un gatto randagio era alternativamente interessante e noiosa, tranquilla e pericolosa. Su questo stava riflettendo mentre, sdraiata su un tronco abbattuto, si godeva il tepore di un pallido sole, quando un ringhio profondo l'aveva destata all'istante. La neve tutt'intorno aveva attutito i passi della volpe. L'animale, magro e non più giovane, portava i segni evidenti di una stagione passata negli stenti. S'era avventata sulla gatta inerme, aveva creduto di averla bloccata tra le zampe, ma quando le fauci s'erano chiuse per mordere, avevano trovato il vuoto. Il felino era sgusciato via, incurante dei graffi profondi inferti dalle unghie del canide. La neve era ancora alta e impediva alle zampe corte della micia di muoversi veloci. La volpe l'aveva raggiunta più di una volta, alcuni morsi erano andati a segno, sul dorso, sul fianco, uno aveva quasi mozzato un orecchio, ma la gatta era sempre riuscita a sfuggirle. Il ghiaccio aveva bruciato i polpastrelli morbidi, il gelo stroncato il fiato, annullando quasi completamente la percezioni degli odori. La micia correva, scartava, folle di paura, predatore fatto preda. Un lampo di coscienza, di istinto, di magia, forse, l'aveva costretta a fare un balzo più lungo degli altri: un solletichio sotto le zampe gelate, come se una fogliolina appuntita l'avesse graffiata. Era corsa via, non s'era voltata indietro quando aveva sentito il clangore secco del metallo e il guaito disperato della volpe caduta nella tagliola. Aveva continuato a fuggire, in nessuna direzione precisa, col cuore che martellava e la paura negli occhi. Non ricordava d'essersi fermata, né dove.
Ricordava solo il calore che aveva provato al risveglio, quel profumo che ancora non conosceva e che avrebbe imparato ad associare al pane appena sfornato. Una strana luce, di un tenue colore giallo, inondava l'ambiente, ma il suo istinto, ridestato dall'udito e dall'olfatto, l'avevano messa subito in allarme: il fuoco! Eccolo laggiù, chiuso in un angolo, domato, fonte di quella luce particolare e baluginante. L'aveva osservato, sbalordita, e quasi non aveva fatto caso a quelle strane cose che le avvolgevano parte del corpo e le zampe. Solo quando ne aveva sollevata una per leccarla e pulirsi il muso, aveva trovato che il suo morbido pelo era nascosto sotto diversi strati di ruvida benda. Infastidita, aveva tentato di toglierla, prima lappando, poi strappando coi denti aguzzi. “No, no, no!” la voce l'aveva fatta sobbalzare. Aveva ignorato le fitte che l'avevano percorsa tutta. Aveva tentato di sollevarsi e fare una gobba minacciosa, ma anche la schiena era tutta fasciata. S'era trovata di fronte a un'umana, la prima che avesse mai visto in tutta la sua breve vita. Le era parsa enorme e minacciosa. Aveva tentato di guardarla fissa negli occhi, e con grande sorpresa ne aveva trovati quattro! Andava in giro su tre gambe, di cui una faceva un gran baccano quando poggiava in terra e non aveva pelo, se non in testa. Per il resto sembrava ricoperta di quella strana cosa che adesso aveva anche lei sulle zampe e sul busto.
Una strana smorfia aveva distorto in maniera piacevole il viso della donna, che s'era mossa adagio e rumorosamente sulle sue tre zampe. La gatta non l'aveva persa di vista un istante: la ferrea logica della sopravvivenza diceva di fuggire, ma qualcosa di più forte le suggeriva di non muoversi da lì.
Pochi istanti dopo, un piattino pieno di latte era stato posato a poca distanza da lei. Il profumo era allettante e la fame moltissima, ma la prudenza, lo sapeva, non era mai troppa. Alla fine, però, aveva ceduto, e mai cibo le era parso più gustoso.
Da quel giorno, la signora Lucia era diventata la sua umana: si prendeva cura di lei, le procurava acqua e cibo, la casetta di legno in cui abitava era tutta a sua disposizione anche se, con suo grande disappunto, la dispensa era sempre chiusa a chiave e le salsicce regolarmente appese fuori dalla portata dei suoi balzi più poderosi. C'era però da dire che da quando aveva preso dimora in quella casa, il suo pelo era diventato candido e lucido, un sottile strato di grasso aveva finalmente riempito i fianchi, mentre i muscoli non eran mai stati così tonici. L'unica nota stonata era quel pezzettino d'orecchio mancante, che le ricordava ogni giorno gli affanni della sua esistenza randagia.
L'inverno era finito, erano venute la primavera e l'estate, e Zampabianca, così aveva preso a chiamarla la signora Lucia, aveva deciso che la vita con gli uomini era decisamente appagante. Curata e coccolata, non mancava mai di ricompensare la sua umana, dandole dimostrazione di quanto potesse essere un temibile predatore; aveva perciò preso l'abitudine di cacciare i topolini che spesso andavano a far razzie di mangime nel pollaio. Di mangiarli, non se ne parlava proprio. Li allineava con precisione maniacale davanti alla porta ed entrava quindi in casa con aria sussiegosa, la coda ritta e gli occhi socchiusi. Lappava il latte che non mancava mai nella sua ciotola e si accomodava sulla sedia che aveva eletto a suo trono personale.
Quando non cacciava, si deliziava a girellare nel piccolo giardino che la donna curava con amore. Sonnecchiava tra le foglie dei gigli di San Luigi o nei cespugli di bocca di leone, beandosi del profumo delle rose Carla, dalle quali aveva però imparato a tenersi ben lontana.
A volte, la signora Lucia la trovava intenta a guardare fissa un fiore per minuti interi, oppure, al contrario, con lo sguardo dorato che vagava a scrutare l'aria, come se la micia fosse stata intenta ad osservare qualcosa che solo lei poteva vedere.
Ed infatti, era proprio così.
Le Fate dei fiori sono invisibili agli occhi degli uomini, ma non a quelli dei gatti. Spesso Zampabianca s'era intrattenuta a chiacchierare con loro. Il giardino della signora Lucia era affollatissimo di questi piccoli esseri magici, tanti quanti erano le specie che la donna coltivava con tanto affetto. Per questo le fatine sostavano spesso da quelle parti e la gatta aveva imparato a conoscerle tutte. Con immenso dispiacere le aveva viste andare pian piano in letargo, al termine dell'estate.
“Mi annoierò quest'inverno, senza di voi!” S'era lamentata un pomeriggio, sdraiata nell'erba col muso a poca distanza da Primulina, che si stava apprestando a prepararsi al suo lungo e meritato sonno, avvolgendosi nei petali ormai avvizziti di una delle sue protette.
“Oh, amica mia” aveva risposto la fata, trattenendo uno sbadiglio “fino ad Ottobre ti terranno compagnia le Rose. Quest'inverno sarà forse ancor più duro di quello scorso, ma almeno tu avrai un luogo caldo dove passarlo.”
“Dimmi, mia cara” aveva chiesto infine la gatta sfiorando la corolla con il naso “quanto dovrò aspettare per vederla e potermi sdebitare con lei?”
La fatina aveva aperto un'ultima volta gli occhi e s'era specchiata in quelli dorati di Zampabianca, sorridendo dolcemente “Sarà la prima di noi a svegliarsi ed annuncerà alla Terra che l'Inverno è al termine. La troverai lungo i sentieri nel bosco, ai margini delle radure. Il fiore che ti salvò la vita lo scorso anno si trova a poca distanza dal ruscello, ma stai attenta! L'uomo continua a lasciare trappole e tagliole in quei luoghi!”
Le palpebre della gatta si socchiusero con aria sorniona e la coda frustò silenziosamente il terreno “Non temere per me, starò bene attenta e la cercherò in luoghi meno pericolosi.” Primulina sorrise nuovamente, le sottili ali bianche e gialle si chiusero intorno al corpicino snello e la fata scomparve tra le foglie ormai secche del fiore di cui portava il nome.
Zampabianca si levò a sedere ed alzò lo sguardo al cielo; chiuse gli occhi ed annusò l'aria, avvertendo chiaramente il profumo dell'Autunno che giungeva.
Lucia aveva curato le sue ferita, ma doveva a una fatina ancora sconosciuta l'aver risparmiato le sue ultime vite.
La bianca Bucaneve aveva risvegliato appena in tempo una delle sue protette, le cui foglie appuntite avevano forato lo spesso strato di neve e solleticato le zampe sensibili della micia, costringendola a quel fortunoso salto che le aveva impedito di finire nella tagliola.
I mesi passarono ed arrivò la neve. Come aveva predetto Primulina, la bianca coltre ricoprì abbondante la terra, ed il gelo artigliò il torrente e l'acqua del pozzo, ricamò i tronchi degli alberi e le pareti della casetta di legno, creando deliziose stalattiti trasparenti che pendevano dal tetto e luccicavano allegre al sole. Rese anche in parte impraticabili le strade, isolando la casetta dal resto del contado. “Il che” pensò tra sé e sé la micia quella sera, accucciata sulle gambe dell'anziana donna che s'era addormentata davanti al fuoco “non è poi tanto male. Vorrà dire che per un poco si starà tranquille.”
Zampabianca aveva imparato a sue spese che gli esseri umani non erano tutti buoni e gentili come la sua signora Lucia. Certo c'era Bettina, la nipote della signora, che era tanto dolce e la riempiva di coccole e carezze ogni volta che la figlia veniva a trovare la madre; ma c'erano pure quei bricconi di Luca e Andrea, i fratellini minori di Bettina. I due delinquentelli si divertivano un mondo a rincorrere le galline, fare baccano e, soprattutto, a tirarle la coda mentre dormiva.
Il mattino seguente, un bel sole splendeva nel cielo azzurro e i suoi raggi giocavano allegri sullo sconfinato manto nevoso, facendolo risplendere come centinaia di preziosi brillanti.
La signora Lucia aprì la porta, facendo entrare l'aria frizzante dell'esterno che Zampabianca annusò con interesse. Si stiracchiò pigramente e balzò giù dalla sua sedia, sgusciando rapida fuori un istante prima che la porta si chiudesse.
La neve scricchiolava impercettibilmente sotto il suo passo felpato, che lasciava minuscole impronte, ed era fredda e bagnata. Ad ogni falcata, la gatta scuoteva una zampa per liberarla dal ghiaccio, notando con disappunto come il naso si gelasse all'istante.
Scivolò sotto la staccionata che delimitava il giardino e dette un'occhiata tutt'intorno per orizzontarsi in quel paesaggio che aveva cambiato totalmente aspetto: laggiù il bosco sembrava diventato di cristallo, il sentiero che lo tagliava a tre quarti era un tutt'uno col terreno intorno; i prati erano sconfinate distese candide, sulle quali si vedevano appena le cicatrici dei fossi che li attraversavano. Il torrente era un solco poco più profondo degli altri. Zampabianca vi si diresse senza indugio, trotterellando rapida, annusando la neve con attenzione per evitare di cadere in buche o anfratti nascosti da quel manto ingannevole.
Il suo sguardo attento notò le impronte lasciate dall'uomo. Le aggirò senza perderle di vista, così da esser sicura di non cadere in una tagliola. Giunta al torrente, ne seguì il corso ghiacciato, fino a che la monotonia del paesaggio non venne spezzata da una sorta di piccola collinetta innevata. Altro non era che il tronco curvo di un albero abbattuto, lo stesso che Zampabianca aveva superato d'un balzo salvandosi la vita l'inverno precedente. Girò intono con precauzione, controllando che non ci fossero tracce d'uomo e di trappole, e quindi si avvicinò cauta a quello che sapeva essere il luogo dove riposava Bucaneve. Si sedette con la coda sulle zampe, godendosi il tepore del sole ed osservando come la neve nuova stesse cedendo a quei caldi raggi. Inclinò un poco il capino ed allungò una zampa, raschiando appena la superficie soffice. Annusò e girò in tondo, grattando ancora, quindi si sdraiò a mo' di sfinge, ignorando la neve che le inzuppava il pelo, gli occhi chiusi a fessura e la coda che spazzava il terreno gelato.
Un tintinnio lontano fece scattare un orecchio all'indietro. Il suono si ripeté ed entrambe le orecchie puntarono verso casa.
“Una carrozza?” si chiese Zampabianca, alzandosi adagio e scrollando la pelliccia bagnata “Chi viene a trovare Lucia di questi tempi?” E dato un ultimo sguardo al luogo dove, era certa, avrebbe rincontrato la sua benefattrice, trotterellò verso la casetta di legno.
Già da lontano riuscì a vedere una grande e sontuosa slitta trainata da ben tre cavalli ferma davanti al cancello. Era quasi giunta al pozzo, che la porta si spalancò con violenza e due dame, una più anziana ed una molto giovane, poco più che bimbetta, ne uscirono con aria tronfia. Sull'uscio era rimasta la signora Lucia, con un'espressione dura e severa che mai Zampabianca le aveva visto in volto. Le due dame passarono a poca distanza dalla gatta, e la più giovane le diede un'occhiata di sdegno, alla quale la micia rispose soffiando con stizza ed arruffando il pelo.
“Bestiaccia!” le sentì dire un istante prima che risalisse sulla carrozza, aiutata da un rigidissimo lacchè.
La signora Lucia le seguì con lo sguardo fino a che la carrozza non scomparve nel bosco, quindi dette un sospiro sconsolato ed abbassò gli occhi ad incontrare quelli dorati della gattina che le si era seduta accanto “Ah, Zampabianca! Certa gente non ha senno né cuore! La signora Contessa voleva una tazza di thé per sé e per la figlia, e le ho servite volentieri. Volevan biscotti, e ho tolti dalla dispensa quelli che tenevo per i miei nipoti. Volevano latte, e ho munto la capra. Ma i germogli di rosa che ho coltivato con tanto affetto per il matrimonio di Bettina, quelli no, non potevo darli loro. Neppure se m'avessero coperta d'oro zecchino.”
Zampabianca miagolò il suo assenso e si strusciò contro la gonna della signora Lucia facendo le fusa. Rientrò in casa e si pulì il pelo, quindi saltò sulla mensola del camino ad asciugarsi per bene. Diresse lo sguardo verso la finestra, e subito s'accorse che qualcosa non andava: i tre vasi con i germogli di rose che Lucia aveva amorevolmente curato per donarli alla nipote non erano sul tavolino al loro posto. I cocci erano ovunque sul pavimento e la terra sparsa in giro. La povera donna, con le lacrime agli occhi, aveva raccolto una piantina superstite a quello scempio e la stava invasando da un'altra parte.
“Se non possiamo averle noi, non le avrà nessuno!” la udì ripetere con sdegno le parole pronunciate dalla Contessa.
La coda frustò l'aria e Zampabianca si ripromise di chiedere, quando fosse stata Primavera, alle fatine delle Rose di rendere ancora più belle quelle della signora Lucia.
La sera venne presto e la luna si levò alta. Campi ed alberi scintillavano alla sua luce argentea che dipingeva il paesaggio come un acquerello fiabesco.
Il fuoco scoppiettava nel camino, la ciotola del latte era piena ed un vasetto campeggiava nuovamente sul tavolino. I ferri da maglia ticchettavano rapidi e l'orologio a cucù segnava regolarmente in ritardo ore e mezz'ore.
Zampabianca dormiva come dormono i gatti, un sonno profondo e vigile, arrotolata su se stessa con il naso affondato nella coda. Un orecchio si mosse adagio ed una vibrissa fremette. La micia sollevò il capo e fissò la porta, emettendo un miagolio basso.
“Che c'è, Zampabianca?” chiese con apprensione la signora Lucia alla gatta che era balzata in un lampo sul davanzale ed osservava il manto candido steso suoi prati scintillare sotto la luna.
La donna s'alzò con fatica e si avvicinò alla finestra, sistemandosi gli occhialini. Il paesaggio era silenzioso e vuoto, ma d'un tratto, due puntini si staccarono dal bosco correndo di gran carriera lungo il sentiero innevato.
Ben presto fu chiaro che erano due uomini a cavallo, lanciati in una corsa sfrenata.
“Che sarà mai successo perché due persone corrano di così gran lena, di notte e con questa neve?” La donna non fece in tempo a chiedersi altro, che i due cavalli attraversarono al galoppo il cancello aperto e si fermarono sbuffando davanti alla sua porta.
Impaurita, la signora Lucia afferrò con forza il bastone, non sapendo che altro fare, mentre Zampabianca saltò sulla mensola più alta e fece una terribile gobba, soffiando a pieni polmoni.
La porta si spalancò con gran baccano e due figure intabarrate piombarono nella stanza.
“Nonna! Nonna!” gridarono, levandosi i cappucci e mostrando i volti ragazzini.
Luca e Andrea avevano il viso arrossato dalla corsa e dal freddo, ma negli occhi chiari erano evidenti la paura e la rabbia.
Lucia allentò la presa sul bastone e si avvicinò ai nipoti, preoccupata, mentre la gatta osservava la scena dalla sua posizione di guardia.
“Figlioli miei, cosa succede? Perché correte qui nella notte e con questa neve a rendere pericolose le strade?”
“La Contessa è giunta al castello!” “Sua figlia è innamorata del figlio del Marchese!” “La Contessa è una strega!” “Vuole che lui sposi la figlia!”
I due ragazzi parlavano concitatamente, levandosi le parole di bocca ed agitandosi per la stanza, camminando su e giù come ossessi.
Lucia li lasciò sfogare, poi si rivolse al maggiore, Andrea, chiedendogli di spiegarle tutto per filo e per segno.
Il ragazzo si lasciò cadere su una sedia e parlò, tenendosi la testa fra le mani “Oggi pomeriggio è arrivata la Contessa con la sua figlioletta, una ragazzina brutta e viziata che fa di ogni cosa un capriccio. Ebbene, la Contessina s'è detta innamorata del figlio del Marchese, e la madre pretende, forte del suo titolo, che egli la sposi!”
Lucia guardò interdetta il nipote, mentre l'altro le si fece vicino e le strinse con affetto le spalle “Ma il figlio del Marchese ha chiesto a Bettina di sposarlo la prossima Primavera!” Mormorò avvilita.
“Infatti” continuò Luca “il Marchese si è opposto alla richiesta insensata della Contessa, la quale s'è infuriata ed ha preteso di vedere la futura sposa...”
L'anziana donna guardò con apprensione i nipoti, temendo il peggio.
“Bettina è stata chiamata nella sala dei ricevimenti assieme al figlio del Marchese” sospirò Andrea, rialzando il capo e mostrando le lacrime che gli scorrevano sul viso “e solo allora la Contessa ha mostrato la sua vera natura!”
“E' una strega della peggior specie!” ringhiò Luca, scuotendo il la testa con rabbia “Ha gettato un incantesimo su Bettina ed il giovane Marchese! Se non si sposeranno entro la fine dell'inverno, moriranno entrambi!”
“Ma allora” chiese la signora Lucia, passando lo sguardo dall'uno all'altro dei nipoti “basta che il prete del paese li sposi!”
I due si guardarono sconsolati “Non è tutto, nonnina...” mormorò Luca.
“La sposa dovrà avere un mazzo di fiori freschi tra le mani, il giorno delle nozze, o morirà all'istante!”
Un lungo silenzio calò nella stanza, rotto solo dallo scoppiettare del fuoco e dal ticchettio della pendola.
Zampabianca aveva seguito tutto il discorso dall'alto, gli occhi dorati socchiusi a fessura e la coda che a tratti spazzava l'aria e la mensola.
Non c'erano fiori freschi in quella stagione, non ce ne sarebbero stati fino a primavera inoltrata. Con tutta quella neve, poi, la bella stagione sarebbe arrivata di certo più tardi del solito...
La gatta osservava i suoi umani guardarsi in silenzio, la disperazione negli occhi e nel cuore.
“Andremo a Sud” disse all'improvviso Luca “Laggiù fa più caldo, ci saranno di certo dei fiori! Li riporteremo prima che l'inverno abbia termine e libereremo così nostra sorella dall'incantesimo!”
Anche Andrea si levò in piedi, avvolgendosi nel mantello con aria risoluta. I due giovani, poco più che ragazzi, parvero quasi uomini fatti alla nonna, che li guardò con paura e orgoglio.
Insegnò rapidamente loro alcuni trucchi per conservare i fiori nel caso li avessero trovati, e s'accomiatò con le lacrime che le appannavano gli occhiali.
Non s'avvide dell'ombra candida e silenziosa che sgusciò fuori dalla porta e tra gli zoccoli dei cavalli, confondendosi col bianco della neve.
Solo più tardi notò che Zampabianca non era né sulla sedia, né sulla mensola. La cercò in dispensa, nella legnaia, s'avvolse in una stola di lana e cercò in giardino, chiamandola a gran voce, ma le rispose solo l'Eco.
La gatta aveva sentito chiaramente il richiamo della donna e l'aveva volutamente ignorato.
Il sole, quel giorno, aveva sciolto la neve in superficie, ma il gelo della notte l'aveva ghiacciata, così che le sue zampette non lasciarono alcuna impronta.
Zampabianca si diresse con passo rapido e sicuro attraverso i campi lucidi come specchi, attraversò i fossi con balzi sicuri, seguì le impronte dell'uomo ed evitò le tagliole, giunse al torrente e ne seguì il corso fino al tronco curvo. La neve sopra l'arco s'era sciolta quasi completamente, in compenso il legno era ricoperto da uno spesso strato di ghiaccio dal quale pendevano scintillanti stalattiti gelate.
Zampabianca girò pensosa un poco in tondo, lo sguardo giallo a scandagliare la neve. Trovato che ebbe un punto che le pareva quello giusto, cominciò a scavare con tutte le sue forze. Il ghiaccio non cedeva alle sue unghie, ma lei non desistette. Continuò, imperterrita e testarda, fino a farsi sanguinare le zampe. A quel tiepido calore, il ghiaccio cominciò a sciogliersi, e la gatta affondò gli artigli nella neve morbida sottostante. Scavò, ignorando il dolore, aiutandosi col muso, cercando disperatamente il terreno e chiamando disperata “Bucaneve! Bucaneve! Svegliati, ti prego! So che è presto, ma ho bisogno di te!”
La buca si allargava, chiazzata di rosso, e la terra pareva non comparire mai sotto le zampette martoriate.
Sfinita, la gatta si lasciò andare nella neve, miagolando in un soffio il nome della fatina.
La luna era alta nel cielo, tutt'intorno il bianco lenzuolo della neve sembrava chiamare le creature ad un sonno senza risveglio.
Gli occhi dorati si socchiusero un'ultima volta ed il vento gelido scompigliò il pelo inzaccherato della gatta.
Un profumo lievissimo giunse al nasino spellato, una fragranza mai sentita e inusuale in quella stagione senza odori.
“Biancomanto?” sentì chiamare una vocina sottile, e la micia riaprì gli occhi. Una figuretta eterea, quasi trasparente, galleggiava davanti al suo muso. Una fatina dalla chioma e le ali bianche, gli occhi verdi che la guardavano con apprensione “La tua mamma ti chiamò Biancomanto, gli umani che nome t'han dato?” La udì chiedere.
“Zampabianca” miagolò piano “E tu chi sei?”
“Biancofiore Bucaneve” rispose quella, accennando un inchino e stringendosi subito le braccia sottili attorno al corpo. “Fa ancora tanto freddo, è presto per svegliarsi! Perché mi hai chiamata con tanta insistenza, fino addirittura a stremati tanto da usare una delle tue sette vite?”
Zampabianca si girò su un fianco con grande sforzo e tentò di mettere a fuoco l'esserino magico il cui corpo era ancora semitrasparente. “La Contessa ha lanciato un incantesimo sulla nipote della signora Lucia. Se non si sposerà entro la fine dell'inverno portando con sé all'altare dei fiori freschi, morirà all'istante!”
La fata sobbalzò, portando le manine alla bocca “Povera ragazza!” esclamò, trattenendo un singhiozzo.
“Ti prego” supplicò la gatta “solo tu puoi salvarla! Gli altri fiori stanno tutti dormendo profondamente, nessun altro avrebbe risposto al mio richiamo!”
Le ali effimere batterono veloci scintillando ai raggi della luna, una polvere impalpabile si staccò da esse e si posò sullo strato di neve sottile che copriva il fondo della buca scavata da Zampabianca.
Baluginò sulla superficie e poi divenne tutt'uno con essa. La gatta osservò estasiata la neve brillare e sciogliersi, e da sotto il terreno gelato spuntare tre piccole foglioline appuntite.
Biancofiore Bucaneve danzò leggera nell'aria, spargendo la sua magia tutt'intorno, e le piantine divennero quattro, poi sei, poi dieci...
Crebbero rapide, spuntarono le gemme e poi i boccioli dai quali fiorirono delicate corolle bianche come la neve che le circondava.
Zampabianca si trovò in breve tempo sdraiata nel mezzo di un piccolo cespuglio di bucaneve.
“Grazie” mormorò grata “grazie ancora una volta!”
La fatina si posò leggiadra su una foglia, che si piegò appena sotto di lei “Di nulla, cara amica!” rispose, sorridendo triste “Ma adesso va'! Porta uno di questi fiori alla signora Lucia!”
La strada di casa non le era mai parsa tanto lunga. Cadde ed affondò nella neve alta, si rialzò e continuò a camminare stringendo tra i denti aguzzi lo stelo sottile di un fiorellino candido.
Giunse sotto la veranda e cominciò a miagolare con tutte le forze che le eran rimaste.
Chiamò e chiamò finché la porta finalmente non si aprì.
“Zampabianca!” gridò, spaventata la signora Lucia vedendo la gatta riversa sul terreno gelato, le zampine sanguinanti ed un fiorellino accanto al muso. Sollevò con delicatezza il corpicino peloso, accarezzandolo con amore.
“Nonna, guardate!” esclamò Bettina che era apparsa alle sue spalle. La giovane era andata anch'essa dalla nonna a cercare consiglio e conforto dopo la partenza dei fratelli. Raccolse il fiorellino e lo tenne tra le dita come fosse stato un gioiello prezioso. Si voltò a guardare il sentiero: sul terreno erano nitide le impronte macchiate di rosso della gattina.
“Oh grazie, grazie Zampabianca!” disse piangendo la ragazza, carezzando la testolina della micia e posandovi un bacio affettuoso. Corse fuori, stringendosi nella mantella di lana, seguendo la strada tracciata dalla gattina e dopo poco fu di ritorno con un piccolo mazzo di delicati bucaneve.
Il giorno seguente, i rintocchi delle campane a festa riempivano allegri l'aria; il cielo era azzurro e la terra coperta da un manto candido e luccicante. La notte aveva gelato, e gli alberi parevano intricati arabeschi di cristallo tesi verso il sole splendente.
La sposa era radiosa, tra le mani e sui capelli le piccole campanelline bianche dei bucaneve, e lo sposo la guardava con trepidazione e gioia avanzare lungo la navata accompagnata dal fratello Andrea.
Nonna Lucia assisteva alla scena con le lacrime che le offuscavano le lenti tonde degli occhiali che era costretta a pulire in continuazione.
Dal fondo della chiesa, Zampabianca e Bucaneve osservavano lo svolgersi della cerimonia sedute l'una accanto all'altra, la gatta composta e regale, la coda avvolta sulle zampe fasciate, la fatina a gambe incrociate ed il mento poggiato sui pugni chiusi “Sette vite vissute intensamente, amica mia...” Constatò la fata, sorridendo intanto nel vedere il giovane Marchese mettere l'anello nuziale a Bettina.
“Intensamente, è vero” convenne la micia, pulendosi distrattamente il muso per poi guardarsi attorno con aria soddisfatta “Ma ne è valsa la pena!”
Le campane ricominciarono in quell'istante il loro concerto per salutare i novelli sposi.
Zampabianca si levò rapida, trotterellò sicura verso la signora Lucia e le si strusciò dolcemente nella gonna, le lanciò uno sguardo carico di affetto e tornò verso la porta della chiesa, dove l'aspettava Bucaneve. La fatina si levò in volo e fu subito accanto all'amica che già sfiorava con passo felpato il candido manto steso sul sagrato.
“E così, ti sei guadagnata le tue ali da angelo custode!”
“Tsk! Non s'è mai visto un gatto con le ali!” Brontolò l'altra, burbera, le vibrisse che fremevano mentre la coda sferzava l'aria.
La risata argentina della fata risuonò come una cascata di campanellini, mentre le due amiche si perdevano nel candido paesaggio.
Poco lontano, davanti alla casetta della signora Lucia, un angolino del giardino era stato liberato dalla neve; al centro, un monticello di terra smossa sul quale eran posati tre fiorellini bianchi.
“Nonna, cosa c'è?” chiese la sposa nel vedere la signora Lucia guardarsi intorno come spaesata. La sposina prese tra le sue le mani dell'anziana donna, che le rispose con un sorriso e le lacrime agli occhi “Nulla” mormorò “mi era parso di sentire Zampabianca strusciarsi nella mia gonna...”


“Se fosse possibile dotare i gatti di ali,
essi non si accontenterebbero di essere uccelli,
sarebbero angeli.”
Dick Shawn


Dedicata alla mia dolce e impagabile Eos.
Grazie per avermi regalato nove anni felinamente meravigliosi...

 


   
 
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