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Autore: Arkadio    01/07/2010    6 recensioni
Epilogo di Choiches - E se... qualche volta andasse semplicemente come dovrebbe?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Allora, popolo.

Mi è stata chiesta, mi sono arrivate minacce. Mi è anche arrivata una scatola contenente un proiettile.

 

Ecco a voi l’epilogo di Choiches. Riscritto, poiché l’originale andò perduto nel formattone del 2009.

Dovete questa ribattuta a Una scassamaroni a caso, senza di lei non l’avrei mai nemmeno riscritto.

 

Si, Vale, questo aborto è anche colpa tua.

Per in resto, vi mando alle note di chiusura.

Sometimes

Choichesepilogue.

 

 

Leggo il biglietto per l'ennesima volta. Il rollio rassicurante delle ruote del treno culla i miei pochi pensieri.

La calligrafia di Miyagi non è cambiata negli anni. Sgangherata. Stentata. A tratti incomprensibile. Ma il messaggio è chiaro. E limpido. Fa sorridere nella sua semplicità; nell'eccezionalità dell'evento.

Ancora non riesco a credere che sia riuscito a convincere Ayako. E non riesco ancora a capire come abbia potuto prendere me e Mitchi come testimoni.

Ok, siamo anche i suoi migliori amici, ma non avrei mai pensato avesse una tara così profonda.

...

Rivedrò tutti.

Tutti quelli che non contano.

Correggo, contano. Più di ogni altra cosa al mondo.

Tutti quelli che non contano come lui.

Alzo nuovamente gli occhi dalla carta, ascoltando distrattamente la musica che esce limpida dagli auricolari. E osservo la semplicità del paesaggio. La sua quotidianità.

 

Dio solo sa quanto l'ho desiderata anche io.

 

 

 

 

“Ehi! Hana!”

 

La voce di Miyagi mi riempie di buon umore. Il suo orecchino davanti a me, di fianco ad Ayako, sembra brillare anche più del solito.

Mi abbraccia, come si abbraccia un vecchio compagno d'armi. Quante ne abbiamo viste, quante difese scardinate davanti alla nostra strapotenza offensiva. Quante risse, per difendersi l'un l'altro.

 

Quante.

 

Mille parole, mille cose. Mille racconti di vite che si sono incrociate, legate e sciolte. Vengo a sapere del lavoro di Coach di Mitchi allo Shohoku, di Akagi, grande manager in giacca e cravatta di

una famosa ditta di elettronica... compagni, amici.

 

Fratelli.

 

“Stasera arriva il baciapiselli e ti puoi fare raccontare tutto da lui comunque!”

 

Sorrido, complice “Non ci credo, tappo. Ti sposi davvero...”

 

“Già... ho messo la testa apposto eh?”

 

“Ma quando mai! - irrompe Ayako – lascia ancora a me tutte le menate burocratiche!”

 

Eddai Ayakuccia bella... sai che non ci sono portato...”

 

Sese... - sorride bonaria, avviandosi nell'enorme cucina della nuova casa – birra Hana?”

 

“Si, grazie... quindi al tappo io e Mitsui... a te chi farà da testimone?”

 

“Oh, dovrebbe essere qui a momenti uno dei due... l'altra è mia sorella! Sai che ha appena avuto un bambino?”

 

Parla a manetta, Ayako. Parla perché spera che non mi accorga di qualcosa. Qualcosa che non voglio capire nemmeno io.

 

Suona il campanello. Lei corre ad aprire. I pensieri corrono. Comincio a mettere insieme parole e gesti. Sottointesi e cambi di discorsi repentini sull'altro testimone.

Ora comprendo.

Mi alzo e mi giro verso la porta. Capelli neri, scuri quanto l'ebano; viso affilato, da volpino; occhi profondi, quanto il mare.

Come il mare.

 

Kaede Rukawa.

 

“Ecco... lui è il testimone... l'altro è mia sorella...  ma siediti Kaede! Ti offro una birra... devi assolutamente raccontarmi...”

 

Le parole si perdono nella mia mente senza trovare alcun  appiglio. Muri crollano, qualcosa esplode. E fa rumore. Qualcosa che una volta batteva solo per te.

 

Ora ricordo.

 

Li avevo un cuore.

 

 

 

[Pray to your god, open your heart 
Whatever you do, don't be afraid of the dark 
Cover your eyes, the devil inside 
One night of the hunter 
One day I will get revenge 
One night to remember 
One day it'll all just end, oh 

30 Second to Mars – Night of the hunter]

Rumori, suoni, frastuono.

 

Luci psichedeliche, che fanno girare la testa, illuminano a intermittenza la marea umana più eterogenea del globo terracqueo.

 

Amici, nemici. Tutti qui.

 

Mille storie che si intrecciano, in una buffa rete di eventi chiamata vita.

Qualcuno di cui basta la faccia, o una particolarità per rammentarmi la sua identità.

Altri come il tizio che ho davanti, di cui non ricordo assolutamente nulla, che mi parla come se fossi il suo migliore amico. O “qualcosa” del genere.

Io sorrido cortesemente, mi fingo interessato e annuisco senza convinzione.

Senza attenzione.

 

Sono focalizzato su tutt'altro.

 

Mi sento braccato, mi sento preda. Mi abbevero lentamente alla fontana dell'indifferenza, mentre il mio cuore esplode.

 

E, nel mentre, il cacciatore prepara l'agguato.

 

Mi studia. Mi esamina. Mi sento caldo, mi sento fuori posto. I suoi occhi mi scavano nel torace, a cercare qualcosa.

 

Dissotterrano la mia anima.

 

Il tizio che mi stava parlando mi invita a ballare, con troppo zelo e troppa partecipazione, per nascondere le sue intenzioni. E io mi lascio trascinare. Non per qualche particolare intenzione, ma perché quegli occhi mi hanno tolto tutte le forze.

 

In pista, di fianco a me, un tappo qualunque, che dopo avermi nascosto una cosa del genere deve solo crepare precipitando all'inferno, con delle calze a rete in testa, di evidente proprietà della spogliarellista ingaggiata da Mitsui e Sendoh, che sta intrattenendo la fauna più allupata della storia di Kanagawa.

È felice, Ryota.

Dovrei esserlo anche io, per lui.

Invece provo solo un incredibile invidia.

 

Il mio avventore continua a sorridermi come un demente. E io con una scusa mi liquido, per prendere una boccata d'aria fresca, e stare un po' da solo.

Mi dirigo lentamente fuori, e il tizio mi segue di nuovo. Non pare aver capito l'antifona. E allora, come da tradizione, sto per girarmi per assestargli una testata atomica in fronte, quando lo vedo finire a terra.

 

Scagliato da un cacciatore a caso.

 

“Dovresti scegliere meglio i tuoi accompagnatori, do'aho.”

 

Quella voce...

Quante notti insonni a pensarla. A sognarla, desiderandola con tutto me stesso.

Timbro profondo, pause giuste. Le parole sussurrate dolcemente all'orecchio, e non c'è musica al mondo che potrebbe coprirle.

 

“Sai – prendo un profondo respiro, per riacquistare tutta la dignità che ho bisogno – mai avuto fortuna in quel campo. Solo clamorose teste di cazzo...”

 

Incassa. Con stile, ma incassa. Biascica un familiare “Hn” e fugge i miei occhi. Non credo di essere l'unico imbarazzato.

Sorrido, io. Più per darmi un tono che per altro. E riprendo a camminare.

 

Ma dimentico una cosa fondamentale. Un cacciatore non molla mai la preda.

 

“Ti avverto! - Grido per superare la musica – il tizio di prima ha rischiato di finire per terra. E altri lo sono finiti per molto meno...”

 

Sorride, lui. Di scherno, malignamente, con malizia. Un sorrido incredibilmente sensuale.

 

“Correrò il rischio...”

 

Sapeva benissimo, più di chiunque altro, che non rischiava nulla.

Non ero assolutamente in grado di farlo.

 

 

 

 

Respiro profondamente, per incamerare più aria possibile, e dare al cuore il tempo di calmarsi. Passo un'occhiata veloce su di lui. È cresciuto. Gli allenamenti, i pesi, le partite. Ha perso parte della sua fragilità. Da porcellana ora sembra diventato marmo.

Si accende distrattamente una sigaretta, dando un profondo tiro.

Fisso il pacchetto. Lui fissa me, e me lo porge.

Dovrei dire no. Giocando ancora nella lega giapponese devo mantenere almeno il fiato. Ma una sigaretta in fondo non ha mai ucciso nessuno.

La sfilo e me la faccio accendere.

 

“Non dovresti evitare? - dice, mentre intasca lo zippo – in fondo sei ancora un atleta...”

 

Sorrido di scherno.

 

“E tu? Il tuo coach non ti farà la pelle?”

 

“No... non credo...”

 

Elusivo. Poco convinto. Poco da Kaede.

 

“Esci con qualcuno, Hana?”

 

Molto meno elusivo. Molto più diretto. Molto più da Kaede.

 

“Sai che non sarebbero allegri cazzi tuoi?”

 

Lui scrolla la sigaretta a terra. Non mi guarda negli occhi.

 

“Rispondi. Cosa diavolo ti costa?”

 

Mi costa. Davvero troppo.

 

“Diavolo volpino. Cosa te ne frega?”

 

“Me ne frega e basta, do'aho.”

 

“Non te n'è mai fregato di me. Mai.”

 

Mi fissa. Forse per la prima volta negli occhi. Forse per la prima volta davvero.

 

“Qui sbagli, Hana.”

 

Seguo il movimento delle sue labbra in slow motion. Tutto rallenta. Tutto scompare.

Tutto non esiste più.

Si avvicina a me con una lentezza esasperante. In una danza. Ora capisco perché i suoi avversari restano inchiodati dinanzi a lui.

Alza una mano, che non ci mette molto a incontrare il mio zigomo. Lo accarezza, dolcemente, il pollice sfiora la mia guancia, mentre le altre dita mi trasmettono un calore intossicante.

Il suo tocco.

Socchiudo gli occhi per goderlo.

E, poi, l'inferno.

Le sue labbra sulle mie. A chiedere l'accesso per un luogo che è sempre stato suo.

Le sue mani sulla mia schiena. A stringermi, come se fuori infuriasse la tempesta e tu volessi restare attaccato a me per salvarti.

Ma sei tu la tempesta, Kaede.

Sei il tornado che distrugge le storielle che mi racconto, spazzi via la quotidianità e i castelli di carte che mi costruisco.

Quello che infuria nel cielo, che spaventa chiunque.

Che alla fine porta il sole.

Mi stacco velocemente per prendere fiato e mi rituffo sulla tua bocca.

Poi il buio.

O, per meglio dire, l'oblio.

 

 

 

[You are the light 
That's leading me 
To the place 
Where I find peace again 
Lifehouse – Everything]

 

Apro lentamente gli occhi. Focalizzo la camera d'albergo intorno a me. La camera di Kaede. Ora ho tempo e voglia di guardarmi attorno. Le luci dei fari delle macchine in strada passano dalle ferritoie delle tapparelle, suggerendomi che dev'essere ancora notte. Poi giro gli occhi e noto le borse. Troppe borse in fondo al letto. Da quando il volpino è diventato così incredibilmente narciso da portare mille vestiti?

Tento di girarmi, per finire l'ispezione, ma sento il braccio bloccato da qualcosa. Solo allora noto una stola di un animale da pelliccia a caso che si è indebitamente appropriato della mia spalla.

Non mi muovo, niente reazioni.

Il tepore è incredibilmente piacevole, e voglio godermelo per un po'.

È incredibile l'insieme di sensazioni che sa scatenarmi ancora Kaede.

Uno sciame di farfalle si muove lentamente nello stomaco, pigramente. Tutto si blocca. Tutto si ferma.

Gioia.

Ecco cosa provo.

Pura gioia.

Felicità nell'avere vicino la cosa che più si avvicina alla mia concezione assolutamente laica  di paradiso. Niente angeli e dei. Solo una sensazione bruciante, che ti avvampa le gote, che ti formicola la pancia. Che ti fa pompare il sangue più velocemente, che regola la secrezione di ossitocina.

Qualsiasi cosa sia, è un sentimento assurdo. Che ti fa sentire come un quindicenne innamorato, che a ogni più piccolo gesto d'amore reagisce innocentemente, arrossendo e parlando a vanvera. Chiedendosi cose assolutamente assurde e dubitando tutte le volte che deve scrivere anche uno stupido messaggio.

Comunque, è una cosa meravigliosa.

Allora mi accoccolo più vicino a lui che, come a leggermi nel pensiero, si fa più vicino a me.

E so che domani ci starò da cani. Ma ora voglio solo vivere tutto questo.

 

 

 

 

Mi sollevo di nuovo, senza volpi sulla spalla purtroppo. Sento il rumore della doccia in bagno, e mi rimetto a letto. Ripensando a ogni passaggio di questa notte. Ripensando a quanto starò nuovamente male. Ripensando a tutto quello che è successo. E a quello che comporterà adesso.

 

Di nuovo solo. Senza te.

 

“... sei sveglio, do'aho?” voce atona. Senza sentimento. Solo una constatazione. La stessa che usasti allo Space Needle

 

“Non riesci proprio a evitare di darmi dell'idiota?” Rispondo leggermente risentito, un'ottava troppo  alta, forse.

 

“No... abitudine.”

 

Apre l'armadio, cercando qualcosa con cui coprirsi. E noto il quintale di vestiti davanti a lui.

 

“Da quando ti sei dedicato allo shopping folle, Volpaccia?” Domando curioso, per spezzare un silenzio così pesante, da risultare soffocante.

 

Lui non risponde. Prende tempo. Poi si accende una sigaretta.

 

“Allora? Esci con qualcuno?”

 

Io non recepisco il senso del discorso. Mi lascio cadere di nuovo a pancia in su sul letto, le mani dietro la testa. Solo un lenzuolo bianco a coprire le mie nudità.

 

“Continuo a non capire come la cosa ti possa interessare.”

 

“Sono fatti miei.”

 

“Non direi – sbotto – comunque no.”

 

Mi incuriosisce il motivo della sua domanda. Ma so che non me ne parlerà mai se glielo chiedo. Continuo a fissare le borse.

Troppe. Per un matrimonio.

 

“Kit... è successo qualcosa?”

 

Lui si passa la mano sul viso. L'espressione tesa e nervosa.

 

“Sai perché l'altra volta non è funzionata do'aho?”

 

Scuoto la testa. Voglio sentire dove vuole andare a parare.

 

“Semplicemente non si può scendere a patti con i propri sogni e le proprie aspettative. E le persone sono stupide. Orgogliose.

E tristi.

Non sono disposti ad accettare un cambiamento delle loro idee. Non sono disposte ad accettare che, fino a quel momento, tutto quello che stavano facendo era un ripiego. C'è un tempo per tutto, Hana. Un tempo per i sogni. Un tempo per gli altri e uno per se stessi. Solo che le persone non accettano che questi tempi vengano quando meno se lo aspettano.

E il più delle volte quando sei a un passo dal tuo obiettivo. Io, a un passo dall'Nba, ho capito che la cosa perdeva di smalto se non potevo condividerla. Se non potevo raccontare e esternare la mia gioia con qualcuno, allora la cosa non aveva senso.

E quel qualcuno avevo deciso saresti stato tu.

Non sto dicendo che ti amo, che sei tutto o altre cazzate del genere. Non sarebbero da me.

Sto dicendo che le cose, senza di te, non mi divertono. Non meritano di essere vissute.

E non sto dicendo che adesso ho ragione e prima no. Sto dicendo che le persone sono diverse. Cambiano, mutano continuamente. Può essere che un altro avrebbe continuato con il basket. Ma senza te IO non mi diverto.

E se devo scegliere tra te e il basket, ora scelgo te.”

 

Crollo. Ho ascoltato tutto. Ho ascoltato te.

 

In realtà ho sentito te.

 

E credo che, se non accettassi le tue scuse – perché è di questo che si tratta, no baka? - perderei la possibilità di una vita con te.

Ma sarei un bastardo a permetterti di perdere il tuo sogno.

Perché tu hai scelto me sacrificando te.

Sacrificando il bambino, il sognatore che sei stato.

Hai ammazzato quella parte di te che mi aveva fatto innamorare di te.

 

Mi alzo e ti abbraccio.

E mi accorgo che mancano dieci minuti al ritrovo a casa del tappo.

 

“... Merda.”

 

 

Scendiamo dalla mia moto di corsa, legando i caschi alla catena in qualche modo e cominciamo a correre verso la chiesa.

Ci fermiamo esattamente davanti all'entrata e ci diamo un occhio per risistemarci.

 

“Sono presentabile?” Chiedo, non troppo convinto.

 

Kaede mi guarda e mi sistema il colletto della giacca beige e, ammiccando, indica la camicia fuori dai pantaloni.

Impreco e la rimetto a posto alla buona.

 

“E io?” Mi chiede.

 

Sorrido.

E ammutolisco.

Solo ora mi accorgo di non averlo mai visto in giacca e cravatta.

Solo ora mi accorgo di quanto sia stupendamente e assurdamente bello.

Boccheggio per qualche secondo e gli allaccio il bottone della giacca.

 

Entriamo.

E, ovviamente, aspettano solo noi.

 

 

Mi verso l'ennesimo bicchiere di vino, di fronte al buffet che è stato preparato.

La cerimonia è stata incredibilmente piacevole, anche per me che non sono un... diciamo... “estimatore” di questi eventi.

In chiesa tutti con il fiato sospeso. L'emozione Ryota è passato dal terrore e nervosismo alla gioia più pura, e non ho mai visto Ayako così serena.

E ora sorrido nel vedere Mitsui prendere in giro il tappo, mentre a fianco a me sento una presenza conosciuta.

 

“Se continua così, Ryota domani lo troviamo in orbita...”

 

Sogghigno. La volpe che fa battute. Il mondo si sta davvero sistemando...

 

“Già... almeno risparmierà sul viaggio di nozze. E andrà a completare il firmamento...”

 

“Sì – annuisce – la costellazione del tappo...”

 

Rido di cuore, battendogli la mano sulla spalla. Lui sorride, prendendo un sorso dal bicchiere.

 

“Possiamo parlare?” Mi chiede.

 

Torno serio un istante. E annuisco.

 

Ci dirigiamo verso un albero poco distante dai tavoli, mentre fisso la festa. Butto giù l'ultimo bicchiere, e comincio.

 

“Quello che hai detto prima... è vero. Ma è anche vero che i sacrifici vanno ripagati. E non me la sento di strapparti al tuo sogno.

Un po’ di rispetto anche per chi deve sentirsi il peso del dono che gli viene dato. Tu mi regali le tue notti insonni da bambino, rinunciando al tuo sogno. Mi fai dono di tutto ciò per cui hai sacrificato l’anima. E non credo di meritare questo. Tantomeno voglio meritarlo.”

 

Tenta di interrompermi, ma lo zittisco.

 

“Quindi è inutile menarcela. Non si può fare molto.”

 

Lui boccheggia un secondo. Non si capacita. Non capisce dove voglio arrivare.

 

Ora chi è l’idiota?

 

Gli lascio una lettera in mano e mi dirigo verso i tavoli del buffet. Lo immagino. La sta stringendo.

E sta sorridendo.

Finalmente di cuore.

 

 

[Perche' quelli come noi 
non li schiacceranno mai 
e se ti abbandonerai 
io ti curero' 
Medicine come noi 
non le inventeranno mai 
siamo soci 
I'll give you all my love 

Sei uguale a me 
altro che no 
sei come me 
in ogni atomo

INegrita – In Ogni Atomo] 

8 mesi dopo, Aprile

 

Il rimbombo della folla si fa assordante. Il palazzetto sembra cedere sotto quell’eccezionale clamore.

Lo spettacolo più bello del mondo. I Playoff dell’NBA iniziano. Prima partita dei Dallas Mavericks, una delle squadre pretendenti al titolo della Western conference contro i Memphis Grizzlies, le cui ali hanno semplicemente devastato ogni difesa, a furia di alley hoop e rimbalzi.

 

L’ala piccola fissava il compagno, sistemandosi il polsino. Per lui il clima dei Playoff era di casa, dopo la nomina a MVP qualche anno prima con i Supersonic. Ma per lui…

 

“Pronto, Baka?”

 

Il rosso lo fissò sorridendo, sfidandolo.

Pronto a iniziare l’ennesimo scontro.

 

“Passeranno millenni prima di vedermi spaventato, Kitsune.”

 

La folla chiamava. Si alzarono e, con i compagni, si diressero in campo.

 

Hanamichi si guardò intorno, godendosi le urla della folla, gli incitamenti per lui e Kaede. Non potè non pensare che, a volte, va bene. La vita te la dona la maledetta seconda possibilità. Te la serve. Sta a te prenderla. Sta a te decidere che fare. Scommettere tutto su un cavallo e pregare che arrivi primo.

Devi essere pronto a rischiare, e lui lo aveva fatto. Perché Kaede aveva messo in mano sua il suo sogno. Se no non sarebbe mai partito.

Lo aveva fatto perché l’algida volpaccia si era fidata di lui.

E si fidava di lui anche ora, mandandolo alla palla a due.

Davanti a lui un tedesco qualunque. Ma lui non era lì per farsi battere dal primo arrivato.

La palla schizzò in alto.

 

“Vola, Do’aho.”

 

E lui volò. E loro volarono.

Erano ali, dopotutto.

 

 

Owari. Per davvero stavolta.

 

 

Nda

Eh sì. Questa è la fine che io non volevo. Che non avevo previsto, ma che mi è stata chiesta. Ma è l’ultima volta.

Ed è per te Vale. Quindi non ti lamentare.

Le canzoni vanno ascoltate. Perché sì. E poche storie.

Per la cronaca, il tedesco citato alla fine dei Dallas è Dirk Nowitzki. Mica uno qualunque…

 

See you soon Space Cowboys

 

Arka

  
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