Avvisi per la lettura: questa oneshot nasce come qualcosa
di completamente, letteralmente fuori di testa. Non è normale, ok? Ispirata dal
momento in cui la senpai ha fatto il grave errore di passarmi una puntata
dell’anime “Kaichou wa Maid-sama!” con un “che ci fa Aoba trans in ‘sto
anime?!”. Ed effettivamente c’era il personaggio di Aoi che è il clone di Aoba.
Ed è nato
tutto ciò. Mi dispiace. *muore*
«Hai sentito della nuova pasticceria che hanno aperto vicino al
Sunshine 60?»
«Eh? No, quale?»
«Oh beh, Kazu non è stato proprio sincero. Non è mica una pasticceria
normale!»
«Che c’è, ti servono degli animali? O in realtà è la copertura per
esperimenti sulle cavie umane?»
«Setsuna, ti prego, scendi per un attimo dal tuo mondo fatto di anime
mecha, esperimenti pazzi e mega propulsori e fai l’adolescente sano di mente
per una volta. Parliamo di ragazze!»
chiarì l’amico, piuttosto entusiasta.
Il compagno, Setsuna, lo guardò perplesso senza capire dove stesse
andando a parare Kazu: «Ragazze?» fece eco.
«Sì, presente quelle della nostra classe che rispetto a te hanno la
gonna…» iniziò Rei: «Hanno un certo rigonfiamento sul davanti…» proseguì Kazu
con un sorrisetto che la diceva lunga.
«Spiritosi.» rimbrottò Setsuna, fissandoli male. Gli altri due
ridacchiarono.
«Ad ogni modo, parlo del nuovo café dove ti servono delle maid,
ovviamente!» aggiunse Kazu quasi canticchiandolo: «Ha aperto da qualche mese, e
dal momento che era piccolo non aveva molti clienti, ma da quando hanno assunto
qualche ragazza davvero carina la clientela è aumentata. Però non hanno ancora
il pienone! Ci andiamo?» propose, su di giri.
Rei annuì in accordo, anche se davvero non c’era bisogno e poco dopo
Setsuna lo imitò.
Parlottarono ancora qualche minuto, per mettersi d’accordo
sull’appuntamento alla fine delle lezioni – Rei era in una classe differente,
rispetto alla loro – e solo poco prima che l’intervallo finisse si congedò.
Una volta che fu uscito, Kazu si sporse lateralmente rispetto al
proprio banco, adocchiando Aoba un paio di posti più avanti: «Ehi, Kuronuma!»
lo richiamò.
Aoba, che aveva approfittato dell’intervallo per leggere più che
altro, alzò lo sguardo da libro sentendo il richiamo e si voltò: «Dimmi.»
replicò gentilmente.
Kazu gli rivolse lo stesso sorriso che avrebbe potuto fargli un
bambino di fronte a un barattolo da tre chili di caramelle: «Nel pomeriggio io
e Setsuna andiamo al nuovo café insieme a Rei della A. Vieni con noi?»
«Ma dai, anche a te piacciono queste cose Kuronuma?» chiese l’attimo
dopo Setsuna, perplesso.
Kazu gli diede una gomitata, complice: «Perché non dovrebbe, è maschio
pure lui. E poi chiesto da te suona ridicolo, Setsuna.» lo prese in giro.
«Ma che ne so, Kuronuma è così serio, mica è come te che prenderesti A
solo in oziologia!» rincarò la dose
l’altro.
Aoba ridacchiò sommessamente, ma divertito – dava atto a quei due di
riuscire ad essere divertenti nei loro battibecchi almeno per i primi cinque
minuti.
«Grazie dell’invito, ma oggi non posso.» replicò, un sorriso cortese
prima di tornare al libro dopo il: «Non sai che ti perdi!» di Kazu.
Nel riportare lo sguardo sulle pagine che stava leggendo poco prima,
vide con la coda dell’occhio Mairu Orihara che gli passava accanto e lo
sbattere delle sue mani sul banco di Kazu accompagnato da un entusiasta:
«Locale con ragazze carine nel pomeriggio? Assolutamente sì~!» dissipò ogni suo
dubbio.
Era ufficialmente nella merda fino al collo.
«Asuka-senpai, puoi aiutarmi con il fiocco del grembiule?» chiese, non
senza un po’ di disagio, in un borbottio. Aveva ancora qualche difficoltà
nell’indossare la divisa con cui lavoravano, anche se era lì da ormai un
mesetto.
Perché la scelta di un maid café? In realtà non era stata affatto una
scelta nel vero senso del termine.
Certo, aveva pensato ad un lavoretto part-time e sì, c’erano poche
scelte per un quindicenne ancora studente, ma non era lì che avrebbe voluto
andare a parare.
Invece, una serie di sfortunati eventi degni di un film sfigato lo
avevano portato lì.
La cosa davvero imbarazzante… no.
Siamo seri, lì non ce ne era una sola di cosa imbarazzante, ok?
Si vestiva da donna. Da cameriera.
E serviva ai tavoli, facendo sorrisetti che ogni cinque secondi
venivano definiti “kawaii” da un gruppo di clienti in calore peggio di un
branco di conigli vogliosi, dovendo guardare in sei direzioni diverse per non
rischiare che una mano finisse accidentalmente
sotto la gonna sua e delle sue colleghe.
Certo, era stato piacevolmente sorpreso dal fatto che sembrasse un
posto di buona classe e che quindi non ci fossero clienti simili che fossero
bene accetti ma Aoba era un maschio – per quanto a vederlo mentre lavorava
avresti detto piuttosto che era un animale, ma non un uomo – e sapeva come
funzionava la mente maschile.
Come se tutto ciò non bastasse, insieme al rischio di essere beccati da
un conoscente, c’era il fatto che spesso nella preparazione prima dell’apertura
dovesse farsi aiutare dalle colleghe.
Più che altro per il fiocco del grembiule, come aveva chiesto poco
prima ad Asuka ora intenta a sistemarglielo con cura, e per la parrucca.
Perché, beh, era stato categorico: già rischiava l’infarto ogni volta
che entrava un cliente di cui gli sembrava
di riconoscere la voce, figurarsi lavorare senza parrucca.
«Ecco fatto!» decretò Asuka, il sorriso allegro sulle labbra.
Aoba sospirò, mentre recuperava la parrucca – capelli neri, lunghi e
che arrivavano poco oltre delle spalle – e il solito pensiero ormai giornaliero
si formava nella sua testa: come aveva fatto, seriamente, a farsi mettere in
mezzo da una cosa del genere?
Che tristezza.
«Ne, ne!» sentì pronunciare da Naoko, un’altra collega di soli due
anni più grande di lui che si era affacciata in quel momento sulla soglia dello
spogliatoio: «Fuori c’è già qualche cliente perciò il capo vuole aprire prima!
Siete pronte? Asuka-san, Aoba-chan?» li chiamò alternativamente.
Aoba sospirò rassegnato, cosa che ormai faceva piuttosto spesso, una
mano sul fianco con fare stizzito: «Chi sarebbe Aoba-chan?» le chiese.
Bene inteso, non perché avesse la minima speranza che Naoko la piantasse di chiamarlo a quel modo,
ma perché non usava “Aoba” quando lavorava e non era proprio il caso che
l’altra si confondesse.
Lei parve capire al volo e, facendo una piccola linguaccia e dandosi
un pugno leggero e scherzoso sulla testa, ridacchiò: «Giusto, giusto! Siete
pronte? Asuka-san, Aoi-chan?» riformulò l’ultima parte, guardandoli quasi con
aspettativa.
Aoba sospirò, sentendo Asuka che gli sistemava i capelli della
parrucca sulle spalle per poi annuire e sorpassarlo.
“Aoi” era stato scelto proprio da loro due nel momento in cui si era categoricamente rifiutato di usare Aoba.
Anche se era un nome che poteva essere anche femminile, rischiava già
abbastanza mettendoci la faccia – con resto del corpo annesso – per potersi
permettere anche il nome lasciato così al suo destino.
Perciò Asuka aveva proposto “Aoi”, che manteneva lo stesso kanji di
“Aoba” e Naoko si era detta assolutamente d’accordo.
Certo, poi che a nessuno sarebbe mai fregato che Aoi e Aoba avevano un
kanji in comune e che l’argomentazione di Naoko fosse stata semplicemente che
“Aoi-chan” le suonava bene erano dettagli.
«Aoi-chan, sbrigati!» la sentì chiamare ormai fuori dallo spogliatoio.
Sospirò: sperava solo che la giornata si concludesse senza guai.
Aoba, a dirla tutta, in Dio o Buddha o cose simili non ci aveva mai
creduto.
Cioè, diciamo che se lo aveva fatto era stato per necessità e per
“assecondare”: insomma, quello in cui crede la famiglia di solito viene
trasmesso al figlio e così via.
Lui a quindici anni aveva avuto altri dubbi esistenziali oltre la
religione, e aveva accantonato quella – grosso modo insieme alla storia di un
uomo grasso e rosso che portava i regali il 24 Dicembre – per lasciar spazio a
qualcosa di più imminente, come menare le mani con la gang dei Blue Square
tanto per dirne una.
E, conseguentemente, non aveva nemmeno mai maledetto nessuna divinità
o figura religiosa importante: dopotutto, se non rientra tra le tue credenze,
non c’è nemmeno ragione di essere blasfemi.
Eppure, nel momento in cui distinse senza troppa difficoltà il: «Oh~
Ci sono un sacco di ragazze carine! Mo~lto interessante!» di cui riconobbe la
voce come quella di Orihara Mairu, il bisogno di chiedere se lassù qualche dio
si fosse offeso per essere stato messo sullo stesso piano di Babbo Natale si
era fatto pressante.
Assai pressante.
Si era voltato cercando di mantenere una certa nonchalance, o di farlo
apparire come un movimento naturale per andare a prendere qualche altra
ordinazione. Poi aveva capito che oltre alla divinità e al grassone delle
renne, doveva aver inconsapevolmente fatto un torto anche al capo.
Specie per il: «Aoi-chan, servi tu i signori?» che gli rivolse.
Maledizione.
Annuì appena, muovendosi in direzione del gruppo; Kazu, Setsuna, Rei,
Mairu e Kururi avevano appena scelto un tavolo e vi si erano accomodati.
Vi si avvicinò quanto bastava a prendere le ordinazioni senza sembrare
scortese e, al tempo stesso, evitando di essere riconosciuto: non che la
parrucca non nascondesse la sua identità, solo che era sempre meglio andare sul
sicuro.
«Kawaii~» sentì commentare, e per una volta non si trattava di uno dei
clienti uomini, il che forse lo rendeva meno letale ma più inquietante.
Fissò Mairu e si disse che no. Era più inquietante, e anche più
letale.
«Cosa desiderate ordinare?» chiese, il tono gentile e appena
camuffato, anche se non aveva comunque un vocione tale da rendere il tutto
sospetto, per sua fortuna; vide i tre ragazzi persi più nella contemplazione –
purtroppo anche della sua persona – che impegnati nello scorrere il menù.
Automaticamente quasi, la sua attenzione si spostò sulle gemelle:
Kururi era intenta a fissare la lista di possibili ordinazioni con
l’espressione impersonale ed apatica che le aveva sempre scorto in viso anche
fra i banchi di scuola.
Mairu, al contrario, faceva vagare il proprio sguardo sul locale, per
fissarlo infine proprio su Aoba che nel vedere lo scintillio dell’entusiasmo
malsano nei suoi occhi ebbe il sentore che non sarebbe arrivato a fine
giornata.
Kururi parve decidersi per prima e, chiuso il menù, si limitò a guardare
Aoba pronunciando un quasi impercettibile: «Coppa.» che lui reinterpretò come
“coppa gelato”, segnandola sul piccolo blocchetto che teneva nella sinistra.
I tre ragazzi parvero ricomporsi e prendere coscienza del suo dover
prendere anche le loro ordinazioni, e presero a scorrere quasi frettolosamente
il menù, risolvendo il tutto in poco tempo fortunatamente; aveva appena finito
di annotare il dolce di Setsuna, che la voce di Mairu lo raggiunse senza
preavviso, rendendo il tutto anche peggiore.
«I guanti sono un accessorio o c’è dietro un motivo di quelli strani?»
chiese, e Aoba dovette ammettere a se stesso che faticava a cogliere il senso
della frase. Probabilmente il suo sguardo lo riflesse ampiamente, a giudicare
dal ridacchiare sommesso di Mairu, quello di chi sapeva che probabilmente il
suo interlocutore non avrebbe colto, rendendo il chiarimento da parte sua
ancora più divertente.
«Intendo qualcosa che sul menù non è esplicito, ma che si può fare in
una stanza privata?» semplificò senza la minima traccia di vergogna e Aoba si
disse che non voleva assolutamente che scendesse nei particolari più di così.
Assolutamente no.
Tossicchiò appena, scuotendo la testa: «Non c’è alcun motivo
particolare. La signorina cosa vuole ordinare?» domandò quindi, concentrandosi
sul blocchetto in attesa che la benedetta ordinazione arrivasse alle sue
orecchie – ed evitando lo sguardo di Kazu che notava con la coda dell’occhio
purtroppo.
Sentì Mairu ridacchiare, ma non fece in tempo ad alzare lo sguardo per
intuire il pericolo.
«Oh, andiamo! È proprio per questo che la maggior parte degli studenti
del liceo maschi che vengono presi per le statistiche delle riviste risultano
dei tonti frustrati, sapete?» esordì con il tono di chi la sa lunga: «Insomma,
siamo in un locale pieno di ragazze carine, non siate timidi!» li esortò quasi
canticchiandolo, puntando infine lo sguardo in quello di Aoba.
La vide sorridere, con quel modo di fare che la faceva sembrare una
ragazza innocente se non la conoscevi o non avevi mai avuto a che fare con lei
almeno una volta.
«Ne» riprese infatti, osservando Aoba: «non potrei avere te, come
ordinazione~?» chiese senza la minima traccia di imbarazzo, mentre Rei
rischiava di sputare l’acqua che aveva appena fatto l’errore di bere.
Aoba si disse che non poteva risponderle male, proprio no: anche se
facendolo in quelle vesti non rischiava di mandare all’aria la fama di studente
modello e gentile che aveva, rischiava di creare casini sul lavoro e non aveva
molta voglia di lavorare lì dentro un’altra mezza esistenza per ripagare
eventuali danni.
Così, con un sospiro, fece il sorriso più carino che gli riuscì: «La
ringrazio, ma sfortunatamente in questo non posso accontentarla. C’è altro che
vorrebbe ordinare?» domandò, osservandola ancora in attesa e gioendo quando
finalmente Mairu ordinò una fetta di torta con crema e mele dandole – dandogli, santo cielo! – la possibilità
di tornare in cucina per consegnare il foglietto con le annotazioni.
Portare i piattini e i vari gelati al tavolo, però, forse era stato
anche peggio.
Non tanto perché avesse fatto cadere qualcosa, o perché avesse
sbagliato tavolo o cliente; l’ambiente sembrava ancora abbastanza tranquillo.
C’erano clienti, ma non tanti da rendere frettoloso il lavoro di servire ai
tavoli, rischiando oltretutto di urtare una collega nel fare avanti e indietro.
Il capo aveva messo in sottofondo della musica rilassante prima e
aggiunto qualche successo di alcuni idol in voga al momento, senza alzare di
troppo il volume tanto da rendere difficile la conversazione.
Quando però Aoba aveva posato la coppa gelato di fronte a Kururi – con
un sorriso da manuale – aveva sentito il campanello all’ingresso suonare,
segnalando l’entrata di altri clienti.
E poi, lo sfacelo più completo.
«Mikado-kun~!» aveva esordito Mairu, alzando una mano e facendo un
cenno a qualcuno alle sue spalle che Aoba, pur sapendo perfettamente chi fosse
per ovvi motivi non ebbe cuore di guardare, troppo impegnato a ricordarsi se
fra le tante cose che si sentivano in tv avessero mai accennato a qualcosa per
diventare invisibili magari.
No, ma tanto per, eh.
Si era dovuto per forza voltare quando aveva capito che la sua unica
speranza era allontanarsi da quel tavolo il più in fretta possibile, ma si era
ritrovato a fronteggiare non solo Mikado – non ci voleva nemmeno pensare
all’evenienza del senpai che lo scopriva, era più di quanto in quel momento i
suoi nervi potessero sopportare – ma anche Kida Masaomi.
E si chiese se non dovesse essere felice almeno del fatto che si era
risparmiato la presenza di Sonohara Anri.
«Oh? Oh?!» fu il sensatissimo verso degno dell’homo erectus che Kida
riuscì ad articolare con particolare sentimento fissando Aoba – Aoi, in realtà
– come se avesse visto per la prima volta un essere vivente di sesso femminile.
Beh, non poteva essere troppo severo con lui: si rendeva conto che in
sedici anni di vita le uniche alternative di Kida Masaomi erano state Sonohara
Anri, che dava la stessa confidenza alle persone di quanta gliene dava il suo
comodino a lui, e Mikajima Saki che sospettava avesse ecceduto nel senso
opposto rispetto ad Anri, dando persino troppa confidenza in giro per Ikebukuro
– e se un giorno lo avesse detto a voce, chi avrebbe voluto capire avrebbe
capito.
Comunque, viste le premesse, si lasciò andare ad uno slancio di bontà
e non chiese fissandolo male che accidenti
avesse da guardarlo come un allupato.
Almeno finché non si vide prendere una mano proprio dal biondo: «Il
mio cuore ha mancato un battito quando ti ho vista, non posso sbagliarmi! Una
creatura così affascinante, capace di stregare il cuore di un povero, giovane
adolescente vittima del romanticismo della sua età… come potrà mai chiamarsi?
Quale nome può adattarsi ad una ragazza come te?» lo sentì chiedere con quel
giro di parole assolutamente inconcludente che non avrebbe affascinato nemmeno
il secchione dell’immondizia nella stradina su cui si affacciava l’uscita sul
retro.
E fu seriamente tentato di allontanare la mano dalla sua presa e
aggredirlo con un qualcosa che suonava come “pezzo di deficiente sono un uomo”
nelle sue battute iniziali.
Tuttavia non poté, e dopotutto la risposta alla sua domanda fu
inconsciamente data da Naoko che in quel momento la richiamava con un:
«Aoi-chan! Sono pronte le ordinazioni del tavolo tre, quando hai finito lì!»
Masaomi lo fissò, il sorriso da scemo al suo posto: «Aoi-chan? Nessun
altro nome potrebbe calzare di più~» assicurò, quasi canticchiando quel che
diceva, richiamato all’ordine da Mikado che con espressione un po’ imbarazzata
aveva posato entrambe le mani sulle sue spalle, costringendolo a sedersi.
«Piantala Masaomi, la stai mettendo in imbarazzo.» lo rimproverò,
spostando poi lo sguardo su Aoba – senza chiaramente poter nemmeno sospettare
di chi si trattasse – e facendosi più incerto e timido nel rivolgersi alla
(presunta) ragazza.
Aoba lo vide chinare appena il capo con fare dispiaciuto, abbozzando
poi un sorriso leggero: «Scusalo se ti ha disturbato sul lavoro. Non è
cattivo.» lo sentì dire, e suonò talmente tanto simile ad un “è buono, non
morde” riferito ad un cane che lui non ce la fece proprio.
Nonostante inorridisse al pensiero del gruppo che si tratteneva a
lungo in quel locale e nonostante questo lo rendesse particolarmente ansioso
per ovvi motivi, si sciolse ugualmente in una risata leggera, sommessa, una
mano che fu portata alla bocca per coprirla appena – insomma, sapeva farla la
sua parte, non ci teneva a farsi beccare.
«Non importa, non è successo nulla dopotutto.» replicò, volendolo
tranquillizzare. Insomma, quelli facevano casino e proposte assurde o oscene da
quando erano entrati, non voleva che proprio Mikado che – com’era ovvio – si
era dimostrato il più gentile ed educato si scusasse per altri o si attribuisse
una colpa non sua.
Lo vide annuire appena, impacciato, mentre Mairu faceva un apprezzamento
che lui si rifiutò di carpire.
Nel tempo in cui aveva lavorato lì, Aoba era riuscito ad analizzare le
abitudini dei clienti, come il modo di porsi alle maid, come riconoscere quale
tra le colleghe era quella che preferivano, o quanto tendessero a trattenersi
nel locale.
Perciò, quando occhieggiando l’orologio a muro notò che il gruppo era
ancora seduto allo stesso tavolo, ancora chiacchierando, le ordinazioni
consumate – dopo quaranta minuti dal loro ingresso – la domanda fu più che
spontanea.
Quanto
intendono fare ancora i parassiti qui dentro?!,
articolò mentalmente adocchiandoli mentre sentiva il campanello della porta
suonare nuovamente e, un istante dopo, Asuka che accoglieva i nuovi clienti con
la formula ormai di rito: «Bentornato, Padrone.»
Seriamente, ma cos’era, schiavismo lì dentro? Va bene rendere un
servizio, ma insomma…
«Uh? Aoi-chan? Gliela chiamo subito!» sentì pronunciare ma non fece in
tempo a voltarsi che si sentì praticamente arpionare un braccio dalla stessa
Asuka per venire trascinato oltre l’arco che portava alle cucine e alla zona
riservata allo staff del locale.
«Ehi, ma che succede?» chiese scombussolato, ritrovandosi a guardare
un’Asuka che sembrava in procinto di fargli una ramanzina.
«No, signorina, tu devi dire a me cosa succede!» lo riprese;
nonostante gli sforzi gli venne istintivo guardarla storto.
«Signorina a chi?»
«Vabbé, hai capito.»
«Non te lo scordare, che sono un maschio.» rimbrottò.
«Scusami se mentre ti guardo con parrucca e divisa da maid mi torna
difficile ricordarmelo. Comunque, che cosa ci hai nascosto? Sei in mezzo a
qualche giro di malavita, di droga? O… Oddio.» lo prese per le spalle,
avvicinandosi: «Non sarà mica un giro di prostituzione?!» se ne uscì.
La fissò fra il sorpreso, l’inquietato e l’allucinato. E considerando
la sua mimica facciale sempre perfettamente controllata era un miracolo divino
o qualcosa che ci si avvicinava.
«Ma sei impazzita?!» sbottò senza proprio potersi trattenere,
rivolgendole la stessa occhiata che avrebbe rivolto ad un individuo poco sano
di mente.
Vide la ragazza mettere il broncio, mentre puntellava i gomiti sui
fianchi con fare da sorella maggiore – di pessimo umore, volendo al primo
giorno di ciclo – guardandolo eloquentemente.
«Dimmi te cos’è che devo pensare quando vedo Orihara Izaya entrare nel
nostro café chiedendo espressamente di te.»
chiese implicitamente e Aoba si sentì gelare.
«…Chi?»
«Orihara Izaya.»
«Ma tu… lo…?»
«…conosco? E chi non conosce
Orihara Izaya ad Ikebukuro?» gli fece eco lei come se fosse ovvio e non meritasse
attenzione rispetto al resto del discorso che stavano facendo. Aoba si astenne
dal risponderle “le persone pulite e normali”, perché avrebbe anche significato
ammettere che lui conoscendolo non lo era – e non si trovava in giri di droga e
prostituzione, ma in quello di malavita sì se con essa si intendevano anche le
gang.
«Comunque, le cose sono due: o ti conosce come Aoi, e devi quindi
ammettere che significherebbe che così non ti ci vesti solo qui, oppure ti
conosce come Aoba. E allora vuol dire che sa che tu e Aoi siete la stessa
persona.»
«…Nel caso tieni pronta una corda per impiccarmi.» commentò
sarcasticamente, iniziando ad avvertire le prime avvisaglie di un traumatico
mal di testa.
«Puoi anche prendertela direttamente da solo allora. Orihara Izaya qui
non c’è mai stato, quando cavolo avrebbe potuto vederti quindi?!» sbottò,
stanca di essere presa in giro mentre si impegnava a capirci qualcosa.
«Quello vede e sente tutto, lascia perdere.» sospirò Aoba.
«E cos’è, un film horror? “Lui non dorme mai”?»
«Sì. Solo che un film horror è meno indigesto di lui e puoi dargli lo
stop o metterlo in pausa. Quello purtroppo si fermerà solo quando morirà e a
quanto pare non accade abbastanza in fret—»
«…A-Aoi-chan?» sentì pigolare dietro di sé, ritrovando Naoko quando si
voltò.
Sbiancò, rendendosi conto di essersi lasciato un po’ andare
nell’inveire contro Izaya. Tossicchiò appena, nel vano tentativo di ricomporsi:
«Sì, Naoko-chan?» chiese, abbozzando un sorrisetto lieve.
«Ecco, ero venuta per avvisarti che un cliente ti sta aspettando. Si è
fermato al tavolo delle persone che hai servito, volevo farlo accomodare ma ha
detto “grazie, ma mi siederò solo se mi accompagna Aoi-chan al tavolo!”»
spiegò, annuendo quasi a voler dare più enfasi al tutto.
Spiegazione che tolse ogni dubbio ad Aoba: Izaya sapeva – sul suo essere un bastardo invece non aveva mai avuto
dubbi.
Naoko, dopo una breve pausa, riprese con entusiasmo: «Non è
fantastico, Aoi-chan? C’è un cliente che ti è così affezionato~!» esclamò
felice, neanche riguardasse lei in prima persona.
Aoba sentì nel suo intimo che non doveva nemmeno risponderle.
Si concentrò più su Asuka quando lei gli posò una mano sulla spalla
notandolo in procinto di tornare in sala: «Sei sicuro di farcela?»
«Non preoccuparti.» disse solamente in risposta, oltrepassando
nuovamente l’arco e tornando all’effettivo in sala. Non impiegò molto ad
individuare Izaya al tavolo degli altri, intento a parlare con Mikado.
Notò che, visti quanti erano, Kazu e i due amici si erano spostati ad
un tavolo lì vicino mentre con le gemelle erano rimasti appunto Mikado e Kida.
Con un sospiro, si mosse in loro direzione; purtroppo per lui Orihara
Izaya si voltò prima che lui fosse psicologicamente pronto ad affrontare quella
faccia da… quella faccia.
«Aoi-chan~» lo salutò Izaya vedendolo, come se lui fosse un cliente
abituale che chiedeva sempre e solo di lei. Aoba si impose di resistere per
tutto il tempo necessario.
«Bentornato» si rifiutò categoricamente di rivolgergli la parola
“padrone”: «dove vuole accomodarsi?» chiese con un sorriso gentile, perfetto. A
vederlo non si sarebbe detto che nella sua mente un mantra molto simile a
“muori affogato nel tuo caffè, stronzo” si stesse ripetendo all’infinito.
Lo vide sorridere in quel modo che avrebbe fatto desiderare la morte a
chiunque piuttosto di averci a che fare: «Mh, dove, dove…? Facciamo questo
tavolo qui, ne Aoi-chan?» lo interrogò, e parve rimanere davvero in attesa di
una sua risposta.
Non si fece cogliere impreparato: «Quello che preferite andrà certamente
benissimo.» assicurò sempre con lo stesso sorriso; si voltò per precederlo e
potergli spostare la sedia sul quale farlo sedere che sentì un’improvvisa e
sospetta frescura sotto la gonna.
Una gonna alzata.
Seguita dall’allegra voce di Mairu che esclamava: «Iza-nii aveva
ragione! Aoi-chan porta davvero dei pantaloncini sotto la divisa!» tutta
eccitata.
E mentre si voltava – ringraziando mentalmente il genio di Asuka che
gli aveva consigliato pantaloncini che potessero essere scambiati per una
scelta data dal pudore piuttosto che dei boxer che avrebbero lasciato poco alle
spiegazioni – ricordò il primo grande insegnamento del capo.
Se il cliente è gentile, sorridi.
Se il cliente è rozzo, sorridi.
Se il cliente si comporta male nei limiti dell’accettabile, sorridi.
E mentalmente aggiunse: se i clienti ti fanno provare istinti omicidi…
sorridi.
C’è sempre tempo dopo il lavoro.
«S-Signorina!» richiamò Mairu con tono impacciato, portando entrambe
le mani ad abbassare la gonna imbarazzato, notando con la coda dell’occhio
diversi clienti guardarli e captando più di un “che carina!” o “è così
pudica!”.
Mairu ridacchiò, ma aveva l’espressione di una che aveva puntato la
preda: «Oh, Aoi-chan, se sei così carina Mairu finirà per non trattenersi più e
portarti con sé~» assicurò, per poi abbracciare di slancio Kururi dopo
un’occhiata veloce, il viso che veniva strofinato contro il seno dell’altra.
«Non preoccuparti, Kuru-nee! Tu sarai sempre la mia preferita!»
esclamò, Kururi che arrossiva appena.
Aoba si sarebbe potuto fermare a contemplare molte cose, iniziando
proprio dalle sorelle, passando per la faccia da scemo di Kida e volendo
concludere con Mikado che sembrava imbarazzato o quantomeno a disagio. Avrebbe
potuto fare tutto questo fingendo di non vedere Kazu ancora in contemplazione
di un punto fisso e gli altri due che scherzosamente e per prenderlo in giro
gli sventolavano una mano davanti.
Già, avrebbe potuto, se soltanto una mano che gli avvolgeva le spalle
non lo avesse destato ricordandogli che voltandosi verso Mairu aveva dato le
spalle ad un nemico ben peggiore.
«Ne, Aoi-chan, così mi sentirò solo.» sentì mormorare anche troppo
vicino al proprio orecchio dalla sgradevole voce di quell’informatore dai gusti
discutibili.
Inspirò: autocontrollo Aoba. Autocontrollo.
«Mi scusi.» mormorò con tono innocente e volutamente modulato,
assumendo un’espressione dispiaciuta da manuale: «Ha deciso cosa ordinare?»
domandò quindi, cogliendo con un certo sollievo il gruppo ora alle sue spalle
riprendere a chiacchierare e quindi, presumibilmente, a non prestare più
attenzione a lui.
«Aoi-chan oggi è così fredda, con me.» si lamentò infantilmente Izaya,
l’espressione falsamente mogia.
«C-Come?» chiese in risposta, abbozzando un sorriso – oggi cosa, che non ci sei mai venuto qui, deficiente?!,
fu invece la domanda mentale.
«Da quando sono arrivato non mi hai mai chiamato “padrone” una sola
volta. Forse Aoi-chan non mi vuole più~?» azzardò.
Ma chi
ti ha mai voluto! – avrebbe voluto dirlo ma proprio non poteva.
Bene, si disse. Era ora di mettere in pratica quell’assurdo “manuale
della maid perfetta” che Asuka aveva sostanzialmente inventato quando aveva
dovuto istruirlo.
Assunse un’espressione mortificata e imbarazzata, di quelle che ai
quei quattro otaku fissati che andavano lì regolarmente sembrava piacere in
maniera che loro definivano “incondizionata” e lui avrebbe tranquillamente
etichettato come “perversa”.
Deviò persino lo sguardo, riportandolo solo brevemente e a piccoli
intervalli su Izaya, come se non avesse il coraggio di guardarlo negli occhi
per l’imbarazzo – poteva sembrare facile, ma richiedeva un grande sforzo per
farlo apparire naturale.
Nel suo caso anche tanto sforzo di immaginazione, per sostituire alla
faccia dell’informatore qualcosa che non gli facesse prudere le mani
minacciando il suo autocontrollo già messo a dura prova.
«Mi scusi, è solo che…» poteva farcela, doveva solo recitare e almeno
a quello era abituato: «è solo che dopo una cosa così imbarazzante… pensavo che
il Padrone non mi volesse più, e così…» lasciò strategicamente in sospeso,
accennando con un cenno quasi impercettibile del capo a quanto accaduto con
Mairu.
Alla risposta di Izaya non seppe se ridere o piangere: il gomito
poggiato sul tavolo, il viso sostenuto dalla mano e il sorrisetto irritante di chi
sa chi sei e si sta divertendo da matti a metterti in difficoltà e a vedere le
tue reazioni, lo guardò con un’aria che se fosse stato davvero una ragazza
avrebbe certamente definito “figa”.
Peccato che fosse un maschio lui.
«Aoi-chan è così carina, che potrebbe indossare qualsiasi cosa, anche
la più strana e mi piacerebbe ugualmente~» assicurò, lo sguardo bastardo che
sembrava dire “non sperare che cederò solo perché dici delle frasi diabetiche”.
E Aoba sentì che per l’ultima pronunciata dal moro avrebbe anche
potuto vomitare nel primo cestino libero.
«Dunque non preoccuparti» aggiunse Izaya: «e portami pure una coppa di
gelato al cioccolato, con panna e fragola in cima, grazie~» ordinò finalmente.
Aoba segnò tutto, approfittando di dover comunicare l’ordine per
allontanarsi.
Non sarebbe sopravvissuto, no.
Aoba, in quel preciso momento, desiderò di morire per la prima volta
nella sua vita.
Dopotutto, si era detto, non avrebbe avuto rimpianti: perché dopo aver
sopportato Mairu Orihara che ti ammiccava al solo scopo di dire porcate alle
quali il suo illustre fratello si attaccava come un anello di catena ad un
altro anello per sputtanarti maggiormente – sai, sia mai che la sorella ci
fosse andata leggera bisognava rimediare – senza nemmeno mandarli a morire,
potevi ritenerti soddisfatto.
Avevi fatto il tuo lavoro e onorato al tua professione.
Che poi, ‘sti cazzi della professione in quel momento.
Eppure lo sguardo gelido che Asuka gli aveva inviato vedendolo in
procinto di sciorinare insulti che avrebbero fatto impallidire pure un
camionista bloccato nel traffico nel sole d’Agosto, gli aveva imposto di tenere
quelle paroline dolci per sé.
Così quel che ne aveva ottenuto era stato qualcosa che si avvicinava
al punto di non ritorno dei suoi nervi.
Dopo aver portato il gelato al tavolo di Izaya era riuscito nemmeno
lui sapeva come a defilarsi con la scusa dell’ordinazione di un altro tavolo.
Certo.
Peccato la fuga fosse durata quanto, quaranta secondi netti?
Appena lo aveva notato libero lo aveva chiamato impedendogli di
ignorarlo o fingere di non averlo sentito; lo aveva fatto stare lì in
contemplazione di lui che si mangiava il gelato senza un dannato perché,
si era fatto imboccare persino.
Sentiva di stare per vomitare (ancora), se ci ripensava.
«Aoi-chan?» si sentì chiamare per quella che ormai supponeva essere la
decima volta come minimo e alzò gli occhi al soffitto senza farsi notare prima
di andare verso il suo tavolo, di nuovo.
«Sì, Padrone?» replicò, il sorriso ancora al suo posto, gentile nella
sua falsa perfezione.
Dio, l’avrebbe preso a calci entro fine turno.
Vide Izaya fare uno di quei sorrisetti irritanti che ti facevano
venire voglia di dargli il piatto con tutta l’omelette in faccia e indicare le
proprie gambe.
Oh no. Oh no,
no, no.
«Vieni qui, Aoi-chan?» chiese falsamente innocente, come se fosse
ovvio e scontato – beh, in un certo modo contorto forse lo era?
In teoria no, ma lo fece per un motivo preciso: lesse nello sguardo di
Orihara Izaya che non lo chiamava di certo Aoi-chan perché pensava si chiamasse
a quel modo. E questa era una cosa temere, perché c’era un’unica alternativa.
Cercò con lo sguardo il capo del locale – insomma, sapeva che nei maid
café non erano permesse certe cose, le ragazze non erano che semplici cameriere
e…
Sentì fare pressione sulle proprie spalle e si ritrovò seduto in
braccio ad Izaya, oltre che a fissare basito Asuka: «Su, non essere timida
Aoi-chan.» le consigliò, l’occhiata eloquente.
«Ma… Asuka-senpai, nei Maid Café non…» tentò, ma fu brutalmente
bloccato sul nascere da un sorriso che di buono non aveva nemmeno l’ombra,
seguito un istante dopo da un’espressione falsamente sorpresa – tsk,
dilettante, non sapeva nemmeno nasconderlo!
«Maid Café?» gli fece eco la più grande, ridacchiando con finta
innocenza: «Oh, Aoi-chan cosa dici, non confonderti! Quello delle maid è solo
un cosplay, dopotutto siamo in un Cosplay Bar, no?» disse come se avesse
casualmente notato che era autunno e quindi come c’era da immaginarsi avrebbe
piovuto presto.
Questo mentre un profondo pensiero prendeva forma nella mente di Aoba.
Era fottuto più di prima.
Lo avevano tratto in inganno, maledet—
«Dove stai mettendo la mano?» sibilò così basso che fu udibile solo a
Izaya fortunatamente; il moro sorrise come se nulla fosse: «Chissà~» fu il suo
unico commento, portando poi l’attenzione sul gelato e prendendo la fragola che
ci aveva voluto sopra. La prese tra il pollice e l’indice e l’avvicinò al viso
di Aoba.
«Forza Aoi-chan, fai aaaaahm~» gli suggerì e col cavolo che lo avrebbe
assecondato se soltanto non avesse avvertito una mano posarsi velatamente sul
suo fondoschiena – almeno aveva avuto la decenza di non infilarla sotto la
gonna – facendolo sussultare e approfittando della reazione per fargli mangiare
quello stupido frutto.
Strinse i pugni, ricordando cosa il suo maestro di Kyudo gli aveva
insegnato fin dalle medie e finché non lo aveva lasciato dato il cambio di
scuola obbligatorio nel passaggio alle superiori.
Disciplina.
Autocontrollo.
Gli esseri umani non sono cibo – l’ultima l’aveva inventata per
ricordarsi che l’omicidio era reato. Anche quello ai danni di Orihara Izaya,
sì.
E poi, infine, era giunto.
Aoba non era mai stato così felice in vita sua di vedere una persona –
a parte gli agenti di polizia che avevano arrestato Ran, ma quella era una
gioia che poche cose nella sua vita avrebbero potuto eguagliare, di quello era
certo.
E per un attimo qualcosa dentro di lui gli aveva fatto comprendere
almeno in parte cosa intendessero le ragazze quando blateravano del principe
azzurro: tutte quelle che erano sempre sembrate delle idiozie come la bionda
capigliatura, lo sguardo fiero, gli abiti che ne esaltavano la persona e
l’affascinante e soave voce che le faceva sognare un futuro roseo.
Ebbene.
Il suo “principe azzurro occasionale” era biondo, aveva lo sguardo
fiero e a suo modo le sue vesti ne esaltavano la persona. Ma quello che aveva
riempito il cuore di Aoba di speranza era stata la soave voce che aveva
gridato: «IZAYAAAAAAAA» dalla soglia del locale.
Ah, dolce musica per le sue orecchie – ok, ora basta però.
Heiwajima Shizuo aveva fatto il suo ingresso nel locale, probabilmente
sentendo la presenza di Izaya con quel sesto senso che a volte era certo più di
qualcuno si fosse chiesto se non fossero antenne aliene o simili.
L’importante comunque era il risultato.
Aoba era certo di aver intravisto anche Tom fuori, ma presto la
visuale era stata coperta da Shizuo e dal suo tentativo di entrare con un
qualsiasi oggetto contundente che potesse fare male ad Izaya; tentativo
abbandonato quando si era reso conto non solo del fatto che un distributore non
ci sarebbe mai entrato, ma anche che nello stesso bar c’era materiale
sufficiente.
Tavolini, sedie e non ultimo – con un po’ di sforzo – il bancone.
Izaya aveva sospirato stancamente, accavallando le gambe e fissando
quasi annoiato il biondo. O forse più che noia era falsa rassegnazione: «Ne,
Shizu-chan» lo richiamò come era ormai prassi nonostante le varie minacce
dell’altro nei suoi confronti «perché non ti calmi? Siamo in un locale e siamo
con delle signorine.» gli fece notare nello stesso modo in cui avrebbe potuto
riprendere un bambino che faceva una marachella in un posto pubblico facendo
vergognare sua madre.
«Non me ne frega un cazzo! Ti avevo detto o no di stare lontano da
Ikebukuro?!» sbottò il biondo, tirandogli senza difficoltà una sedia che –
purtroppo – Izaya evitò agilmente.
Fortunatamente anche Aoba e dietro di lui non c’era che il muro grazie
al cielo.
«Esci mosca, e vattene!» sentì tuonare Shizuo e si voltò, intenzionato
a lasciare che si ammazzassero pure, facendo per andarsene nella zona staff.
Ma dovette nuovamente fermarsi, incrociando lo sguardo di Izaya e
leggendovi qualcosa che non seppe ben distinguere ma che tanto era destinata ad
essere come tutti gli altri sguardi: peggio di una minaccia di morte da un mal
vivente qualsiasi.
«Shizu-chan, quanto sei crudele…» si lamentò, falsamente offeso,
passando oltre Aoba; si accostò al tavolo dove era stato seduto fino ad allora,
prendendo il cucchiaino adagiato nella coppa gelato e raccogliendo un po’ del
contenuto. Si avvicinò ulteriormente a Shizuo, guardandolo dal basso vista la
differenza di altezza fra loro, accostando quel cucchiaino alla faccia del
biondo anche se non eccessivamente.
«Shizu-chan, fai come Aoi-chan. Fai aaaaahm~» lo invitò, ma
differentemente da Aoba Shizuo non doveva temere di essere sputtanato vestito
da maid di fronte ai compagni di classe.
Motivo per il quale poteva liberamente mandarlo a quel paese – o,
visto il soggetto, lanciarcelo direttamente.
Aoba lo vide abbassare lo sguardo e digrignare i denti, sentendo poi
un ringhio profondo anticipare il: «Iiiizaaaayaaa» che non era che il solito
preludio alla serie di oggetti che avrebbe lanciato nel tentativo di ucciderlo
una volta per tutte. Shizuo alzò lo sguardo, puntandolo su Izaya e allungando
un pugno con l’intento preciso di colpirlo in viso: «CREPA!» sbottò infatti
facendo per colpirlo.
Ma Orihara Izaya o era immortale, o era protetto dalla mano divina,
oppure ancora aveva semplicemente un gran culo – e non nel senso strettamente
estetico dell’espressione.
Si scansò all’ultimo minuto, tirandosi indietro ed evitando il colpo
pur lasciando cadere il cucchiaino per terra sporcando il pavimento.
«Iza-nii, non è educato!» lo richiamò Mairu mentre Kururi guardava per
terra mormorando un criptico: «…gelato.» come a sottolinearne la caduta.
Mikado sembrava piuttosto preoccupato e si era alzato richiamando
entrambi i litiganti come nell’intento di fermarli ma, per una volta Aoba
doveva dargliene atto, Kida aveva avuto l’intelligenza di posare le mani sulle
spalle del compagno di classe per fermarlo.
Non fece in tempo a rallegrarsene tuttavia: fu un tutt’uno sentire la
gonna della divisa da maid che veniva alzata ancora e la voce di Mairu ridacchiare un «O~ps, Iza-nii ha alzato
la gonna di Aoi-chan!» come se fosse un evento.
Colse quindi Izaya ridere in quel modo un po’ sguaiato tipico di lui
mentre si rivolgeva a Shizuo – intento ad alzare un tavolo sopra la propria
testa in fase pre-lancio – prendendolo in giro con un: «Shizu-chan,
approfittane! Quando ti ricapita più di vedere sotto la gonna di una ragazza!»
E allora Aoba decise che anche una ragazza aveva tutti i diritti di
incazzarsi dopo tutto quello, e di far sì che casualmente un oggetto lungo finisse su per il culo di quel grandissimo stronzo.
“E così, Aoi-chan alla fine ha
messo tutti sull’attenti e ha cacciato via tutti quanti. Che paura! Però è
stata davvero fighissima <3!
Qui è
la vostra Orihara Mairu per il giornalino scolastico della Raira Academy! Il
Cosplay Bar Moe Moe Nya è consigliato a tutti gli amanti del genere dalla
sottoscritta: e sperate di essere abbastanza fortunati da incontrare Aoi-chan!”
«Il resoconto di Mairu-chan è un po’…»
«Un po’ particolare?» incalzò Masaomi ridacchiando. Mikado annuì,
spostando lo sguardo su Aoba: «Comunque ha riportato tutto molto fedelmente,
dacci un’occhiata anche tu che non c’eri Aoba-kun.» assicurò sorridente,
porgendogli il giornalino.
Aoba lo prese, ma gli basto leggere l’ultima frase con cui Mairu
chiudeva l’articolo per decidere che appena arrivato a casa avrebbe bruciato
quel coso.
“Noi facciamo il tifo per te!
Ganbatte, Aoi-chan!”
Doveva decisamente cercarsi un lavoro part-time normale, o sarebbe morto giovane.
Note
dell’autrice
Dire che mi sono divertita come una scema a scrivere quest’idiozia
colossale sminuirebbe le ore che ho passato a ridere come un’imbecille davanti
al pc poggiando la fronte sulla scrivania mentre in casa mi davano ormai per
pazza definitivamente XD
Non posso quindi fare altro che sperare che abbia strappato un sorriso
anche a voi XD
Grazie a chi
ha letto e recensito “Complicazione –
l’Alfiere vacilla”, specialmente Litachan, ShAiW e angelyuzu
<3