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Autore: Rucci    04/07/2010    5 recensioni
Ed ora veglio
sono Tuo e Mio
la notte mi annunziasti come vita
mi hai fatto uomo.

Ci sono centootto stelle che in verità sono demoni.
Centootto diversi demoni. "Inno alla notte" è per uno di loro.
{spectre-centric, original character}
Genere: Dark, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo Personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I

II.

 

Come la più profonda

anima della vita

la respira il mondo gigantesco

delle insonni costellazioni –

e nel suo flutto azzurro

nuota danzando.

 

 

La prima volta che lo vide fu su un libro. Un libro di mitologia greca, illustrato: una storia per pagina, un bel quadro accanto, e così ogni volta che sfogliava, scorrendo avanti e indietro.

Il libro era di sua sorella e lui l’aveva ritirato fuori dall’armadio ora che seguiva un piccolo corso di latino, il pomeriggio, di quelli messi a disposizione l’ultimo anno prima della licenza media. Una pagliacciata, insomma. Un’oretta di ripetizione meccanica di declinazioni e versioni adattate per pivelli come loro. Si passava il tempo.

Leggeva. Cominciava cercando nomi e riferimenti in cui incappava, per poi distrarsi e passare a leggere tutto quello che c’era di meno attinente, finendo per perdere tempo. Successe così. Sfogliando il suo libro per una versione di cui non gli tornava la storia, aveva visto un’illustrazione a tutta pagina che gli aveva rapito il cuore.

 

Ade si era innamorato di Persefone, la bella figlia di Demetra, dea dei campi, e la rapì sul suo carro. Demetra sentì da lontano il grido della figlia, ma quando arrivò la fanciulla era già sprofondata sottoterra.

Chiese a tutti notizie e le ottenne da Elios, il Sole, che aveva visto tutto.

“Non disperarti”, le disse. “Ora Persefone, sia pure nel mondo sotterraneo, è una regina.”

 

Recitò alle sue amiche, agitando le mani in maniera teatrale, e aspettandosi urletti estasiati, dichiarazioni sconvolgenti e magari qualche svenimento. Invece una rise, l’altra lo ignorò e la terza replicò che conosceva già la storia. Stevan le dardeggiò con gli occhi scuri, offeso, e tenne loro il muso per ben due giorni. Al terzo giorno, come secondo le scritture, Anica gli saltò addosso mentre usciva da scuola, lo coprì di baci e gli promise di farsi rapire e portare sottoterra in un futuro molto prossimo. Stevan, che si era già dimenticato di tutta la faccenda, ne rimase alquanto sconvolto.

Venne ricondotto in seno al gruppetto con un conciliante: “Perché non ci racconti come va a finire?”

Replicò con un antipatico: “Perché non ve lo leggete da sole?”

Poi raccontò.

 

Ma Demetra non si dava pace e Zeus fu costretto ad intervenire. Mandò Ermes perché chiedesse ad Ade di restituire Persefone. E subito il dio dei morti acconsentì, ma prima fece assaggiare a Persefone una melagrana: era infatti destino che chi avesse assaggiato cibo nel regno dei morti dovesse tornarvi. Così Demetra ebbe vicino la figlia per tre stagioni, durante la quali la terra rifioriva. Nella quarta, l’inverno, Persefone tornava presso lo sposo, che aveva imparato ad amare.

 

Le ragazze risero bonariamente di lui: era così facile farlo contento. Pace fatta, dita intrecciate, bacini sulle guance, qualche parolaccia sguaiata – che era l’età in cui se ne imparava una al giorno e poi si sventolava come uno stendardo – e la promessa di fugonare il corso di latino sul divano davanti a un film. Tutti e quattro. Le ragazze si scambiavano sguardi e risolini e lui aveva ancora la testa persa a domandarsi come sarebbe stato, assaggiare la melagrana del mondo dei morti.

 

 

La respira la pietra scintillante,

che posa in eterno,

la pianta sensitiva che risucchia,

l'animale multiforme,

selvaggio e ardente.

 

 

C’era qualcosa, nell’aria. Qualcosa che non aveva necessariamente a che fare con il fare pace su un divano davanti a un film, e nemmeno con i sussurri nelle orecchie che erano seguiti. O forse sì.

Aveva smesso di interessarsi presto alle ragazze, nonostante i baci al sapore di caramella e zucchero filato. Si era stufato tanto che le aveva abbandonate ai loro giochi nell’angolo verde del cortile della scuola, si era tagliato dal polso i braccialetti di corde colorate intrecciate e aveva smesso di masticare gomme. Una cosa alla volta. E adesso usciva la sera con Denis.

Quindici anni erano pochi per uscire di sera con chi guidava la macchina e spingeva forte sull’acceleratore, schiacciandoti lo stomaco ad ogni curva troppo stretta. Ma Denis ci sapeva fare, e a quindici anni non stai a fare critiche sulla guida dei maggiorenni.

Stevo, smonto” aveva detto quel pomeriggio. “Andiamo, vuoi?”

“Sì”, aveva risposto lui, buttandosi in fretta la giacca sulla spalla prima che Mila sentisse che stava uscendo. E così avevano rombato fuori città alla ricerca di qualche posto sperduto dove fare benzina alla macchina, aspettare la sera e trovare un locale dove bere una birra. Denis, non Stevan: Stevan i suoi quindici anni li dimostrava tutti, e anche a mentire sull’età non gli avrebbe creduto nessuno.

“Allora, che hai fatto di bello a scuola, oggi?” ridacchiò Denis quando ebbe ottenuto la sua birra, e fece per sedersi, districandosi nel groviglio di sedie. Stevan storse la bocca, ma rispose.

“Ci stiamo preparando per gli esami.”

Di già gli esami? Ma quanti anni è che hai? Tredici? Quattordici?”

A quello sbuffò. Denis rise, evidentemente soddisfatto di dargliela a bere tutte le volte. Stevan, al contrario, si offendeva immensamente; ma poi usciva con lui ogni volta che glielo chiedeva.

Siccome Denis lavorava nella rimessa di suo zio, lo vedeva tutti i giorni uscire sullo stesso marciapiede di casa sua, sempre nero di morchia, le mani, le braccia, persino il collo e la faccia. E anche stupidamente imbrattato a quella maniera, trovava sempre il modo di rivolgergli un sorriso da lupo e lanciargli una qualche battuta idiota mentre lo vedeva andare a scuola o fare ritorno. Poi rideva. Ma era evidentemente la sua maniera di fargli capire che gli stava simpatico, se poi veniva a prenderlo quasi tutti i pomeriggi per scappare fuori da Kladovo: viaggiavano a vuoto e si perdevano nei paesi da cui si vedeva il Danubio tanto lento da sembrare fermo come un lago. Quasi sempre era Denis a parlare, raccontandogli dei fattacci suoi; Stevan stava docile ad ascoltare, oppure si distraeva e pensava agli affari propri, senza dimenticarsi di annuire ogni tanto.

 

 

Ma più di tutti

il maestoso viandante

con gli occhi pieni di profondi sensi,

col passo leggero, e con le labbra

ricche di suoni

dolcemente socchiuse.

 

 

“Hai poco da ridere” diceva ora Denis, ridacchiando alticcio mentre lo faceva smontare dalla macchina, finalmente a casa – mezzanotte e mezza, e luci gialle a illuminare l’asfalto. “Non faresti quella faccia davanti a un travestito.”

Uhmmm, no” strascicò Stevan, per tutta risposta, annoiato. Si appoggiò alla portiera, dopo averla richiusa. Aveva sonno. “Ma tu esageri.”

“Esagero… perché, a te piacerebbe baciare un maschio, eh?”

“Non credo ci siano sostanziali differenze, sai.”

Denis rise, schiacciandolo contro la portiera, in un goffo tentativo di fargli prendere paura con un finto approccio seduttivo. Stevan sorrise come un santo, lo attirò da dietro la nuca e lo baciò.

Denis mugolò perplesso, incespicò in avanti, sbilanciato, però gli affondò la lingua in bocca.

Per un bel po’.

 

Aveva smesso di interessarsi presto alle ragazze, nonostante i baci al sapore di caramella e zucchero filato. Si era stufato tanto che le aveva abbandonate ai loro giochi nell’angolo verde del cortile della scuola, si era tagliato dal polso i braccialetti di corde colorate intrecciate e aveva smesso di masticare gomme. Solo sapori forti, aveva deciso, che lo zucchero adesso gli dava un po’ la nausea.

Sfogliando il suo libro per una versione di cui non gli tornava la storia, aveva visto un’illustrazione a tutta pagina che gli aveva rapito il cuore. Un dio potente e bellissimo spaccava il terreno in un crepaccio profondo, emergendo come un mostro dalla terra per ghermire una giovane e inerme fanciulla. Il ratto di Persefone. Stevan rimase incantato a guardarlo per minuti. E non per Persefone.

Seguì con interesse le linee del braccio di Hades, il dio, del suo fisico possente piegato nel turbine del vento del cocchio in corsa. Era nero, neri gli occhi penetranti, la barba sul mento, i capelli che si attorcigliavano in riccioli selvaggi sulla nuca.

Gli ricordò Denis, scuro di pelle e di capelli, sempre nero di morchia, che usciva sul marciapiede apposta per lanciargli battute idiote mentre lo vedeva andare a scuola.

Solo che Denis non era neppure lontanamente così seducente.

 

Indugiò un po’ troppo. E infatti si ritrasse imbarazzato.

“E va bene, hai vinto tu.”

“C’era una scommessa?”

“Sai, se non ti conoscessi bene direi che sei frocio.”

Stevan sorrise.

Non si sprecò a rispondere.

“Non dirlo a tua sorella o tuo zio mi licenzia.”

“No.”

“Ciao, a domani.”

“Ciao.”

 

 

 

 

 

 

Sì, Denis è il motivo per cui c’è l’avviso shonen ai. Non solo, in realtà: i vampiri sono creature ambigue. Non potete aspettarvi che sessualità ambigua. Ecco.

Grazie per la bella accoglienza riservata a Stevan! <3 Per l’occasione, il secondo capitolo sono tre flashfic una in fila all’altra per darvi qualcosa di più consistente. Un bacio e un grazie a chi ha messo la fanfic tra le seguite (yeee) o addirittura tra le preferite (grazie per la fiducia! <3).

 

LeFleurDuMal: Sì, hai ragione, stanno conquistando il mondo, e su di lui non possiamo contare perché spamma gotico ovunque posi lo sguardo. Riporteremo la luce, è una promessa! *POSA KURUMADIANA* Grazie per i preziosi incoraggiamenti, tesoro. Ti saranno riconosciuti i contributi, tu-sai-quando. <3

Beat: Ti sono grata per la fiducia, carissima. <3 Spero di poterti ricompensare a dovere! E se così non sarà… ti corromperò con una pecora! °C° (mi rendo conto che, all’esterno, dovremmo sembrare delle perfette spostate. Oh beh. Tieni stretta la tua pecora. Ci becchiamo dopo. è *allunga e scappa*)

Kiki May: Grazie, grazie e grazie, come sempre. Dilla tutta fino in fondo: anche tu allora hai un attaccamento affettivo alla figura del vampiro, se mi sobbalzi così! Io ce l’ho! È una figura che mi è molto cara. Per questo c’è Stevan e per questo ho pubblicato il primo capitolo il giorno in cui usciva Eclipse. A spregio. Tiè. è_é;

Shinji: Io e te assieme popoleremo questa landa viola! *inserire musichetta drammatica qui* …no, dai. Però abbiamo un ottimo comitato accoglienza nel Meikai. Ed è già un punto di partenza. Grazie per il commento, o nostro venerabile pioniere nella caratterizzazione degli OC spectre! *O* *ignorerà tutti gli altri, sì*

Kijomi: Gucci. Fattene una ragione. La Serbia è uscita alle qualificazioni. Lo so che è brutto, lo so che ci speravamo tutti (?), ma è così. Vieni qui, fatti abbracciare. È una bellissima recensione. Grazie anche per il conteggio di generazione OC. Mi fai sentire una persona amata. (e rassegnati: non sfuggirai mai alla maledizione dei biondi. MAI.)

Ribrib20: Ti ringrazio tantissimo! <3 Spero di non deluderti. Punterò molto sull’atmosfera, perché purtroppo per una certa parte di storia l’universo canonico di Saint Seiya sarà un po’ fuori dalla narrazione, quindi… insomma, spero di coinvolgere comunque. Tu fammi sapere, mi raccomando! :D Un bacino! (sì, la poesia è una figata. Ottocenteschissima, ci si perde dentro, però è molto suggestiva! *O*)

 

  
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