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Autore: beesp    07/07/2010    1 recensioni
Fanfiction partecipante al 2010: a year together, indetta dal Fanfiction Contest ~ { Collection of Starlight }
Ma l’avvenimento che tutti ricordano come “La follia – più follia non si può – di Pete” (in realtà solo Joe la chiama così, ma Pete trova divertente – anche se non gradisce particolarmente il nome – che s’intitolino le sue idee geniali) è superiore a qualsiasi altra idiozia di qualsiasi altra persona, perfino di quelle rinchiuse negli istituti di igiene mentale. E queste parole (“igiene mentale”) da quella volta fu chiaro che non c’entrassero niente con il bassista dei Fall Out Boy.
Slash dichiarato (e fin troppo evidente), probabile OOC di Patrick, Rating giallo per l'uso di termini scurrili - non potevo eliminarli, erano utilissimi all'economia del racconto.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Andrew Hurley, Joe Trohman, Patrick Stump, Peter Wentz
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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(CHALLENGE A YEAR TOGETHER) Test di gravidanza falsato - 13 Giugno 2010

Test di gravidanza falsato

Nessuno, fino a quel lontano tredici giugno, aveva avuto dubbi: Peter Wentz era una persona particolarmente disturbata. Bastava cercare su youtube il video di quando, improvvisamente, durante un concerto aveva detto qualcosa d’incomprensibile al microfono dopo essere saltato in mezzo alla folla e aver colpito ripetutamente, senza un apparente motivo, assieme a un altro squilibrato, uno scimmione che sorvegliava la sicurezza dell’evento[1].
In seguito si era giustificato: era ubriaco e, tra l’altro, quell’uomo aveva spintonato il suo “amico”, che neanche conosceva. Gli altri avevano tentato di fargli notare che il suo “amico” aiutava a salire un mucchio di persone sul palco, cosa che avrebbe reso difficile suonare, ma Pete aveva sventolato la mano, indossato il suo sorriso migliore e continuato a camminare. In quell’occasione era stato molto difficile per Andy trattenere la rabbia e non picchiarlo, ma quando aveva ascoltato le ‘giustificazioni’ di Pete, gli occhi gli erano usciti fuori dalle orbite – nessuno l’aveva notato quel dettaglio, perché era all’ordine del giorno con il signor Wentz – aveva scostato molto lentamente, espirando profondamente, la sedia dal tavolo e con estrema gentilezza aveva mosso qualche passo verso il bassista che, di spalle, stava sistemando chissà cosa dentro una credenza; gli aveva picchiettato sulla spalla destra e, quando s’era voltato, gli aveva tirato un pugno sul naso, che aveva sanguinato per circa un’ora, seguito dalle lamentele del poveretto, che minacciava il batterista di denunciarlo, usando svariati epiteti ai quali l’altro rispondeva con numerose dita medie alzate. Per Joe e Patrick fu una tragedia. Più per il secondo, poiché Joe aveva trascorso la giornata non facendo la minima piega: l’unico aiuto che aveva dato era stato bloccare Pete dal vendicarsi contro Andy, verso le diciassette del pomeriggio, e soltanto per caso, poiché si era stiracchiato stirando la gamba oltre il divano – proprio dove Pete inciampò – mentre sgranocchiava qualcuna delle solite porcherie.
Patrick, invece, sbuffava e tentava di zittire Pete – che ne approfittava per farsi coccolare –: non cessava di gettare improperi al vento con un volume di voce troppo alto, tanto che qualche vicino venne a bussare alla loro porta e si ritrovò un ometto basso con barba e capelli gonfi all’apparenza innocente, ma che quel giorno sganciò un altro cazzotto a un tizio che non aveva proprio voglia di abbandonare la loro soglia.
A quel punto, dopo ben dodici ore di dura fatica, Joe si decise a dare una mano a Pat, la situazione stava degenerando e alle ventidue le persone avevano bisogno di dormire – anche Patrick avrebbe desiderato gettarsi sotto una doccia calda e dimenticare le pesanti ventiquattro ore, ma non fu possibile fino alle sei, quando finalmente Pete accettò di scusarsi con Andy per essere stato uno stupido, e Andy per aver perso la calma. A quel punto, però, Andy si piazzò davanti allo stereo, musica a tutto volume, per i suoi esercizi di ginnastica mattutina; e se anche fossero riusciti a ignorare il rumore, Pete si fiondò nella camera di Pat a svegliarlo con il programma radio che predicava di “credere in se stessi più che in chiunque altro; perché la forza che abbiamo dentro di noi ci permette di ottenere tutto quello che desideriamo”.

Ma l’avvenimento che tutti ricordano come “La follia – più follia non si può – di Pete” (in realtà solo Joe la chiama così, ma Pete trova divertente – anche se non gradisce particolarmente il nome – che s’intitolino le sue idee geniali) è superiore a qualsiasi altra idiozia di qualsiasi altra persona, perfino di quelle rinchiuse negli istituti di igiene mentale. E queste parole (“igiene mentale”) da quella volta fu chiaro che non c’entrassero niente con il bassista dei Fall Out Boy.
Il sole nel cielo era alto, c’erano gli uccellini appollaiati sui rami degli alberi delle villette del vicinato che canticchiavano – mentre quello di casa Stump-Wentz era arido: Pete si dimenticava sempre che “no, non si annaffia di giorno; di notte o al massimo tre ore dopo l’alba, altrimenti le piante si bruciano”. Pete era annoiato poiché quella mattina i bambini non dovevano andare a scuola: ovvero avrebbe dovuto rinunciare allo spettacolo di Mike Harris e le sue gonne (“Pete, è un kilt, Mike è di origini irlandesi”, “Chiamala come vuoi, ma è una gonna”) a quadroni.
“Perfino gli altri bambini lo deridono!”
“Ma tu, Pete, hai ventisette anni!”[2]
A quella risposta, naturalmente, voltava la testa di lato e fingeva di non aver sentito.
Quell’estate sembrava proprio destinata a non volgere mai al termine. La pancia e la testa gli facevano male e aveva voglia di vomitare.
“Peeeeeete, apparecchia, è pronto!” Urlò Andy dalla cucina.
Come se non bastasse, lo straight-edge del gruppo aveva cucinato: ovvero si sarebbero ritrovati con uno stomaco pieno di erbe e minchiate varie tipicamente erbivore. Già soltanto al pensiero dell’insalata i conati aumentavano…
“Cosa c’è per pranzo?” Chiese, titubante, con un sorriso tirato. Sarebbe stato anche peggio incappare nelle nevrosi del batterista. (“Straight-edge! STRAIGHT-EDGE E VUOL FARE A BOTTE!”: era una delle frasi tipo del giorno in cui Andy si vendicò per la scenata di Pete durante il concerto). “Non mi sento in forma, sai”. Si scusò in fretta, notando astio nel suo sguardo.
“Oh, niente di particolare. Cucina-“.
“Vegetariana, eh?” Joe apparve all’improvviso, fissando lo schermo di un videogioco portatile con un che di maniacale, si accomodò sulla sedia e vi dondolò sopra. Quasi subito si beccò una sberla dal bassista che era rimasto attonito nel guardare il compagno arrivare con molta flemma e non preoccuparsi minimamente delle mansioni affidate a Pete.
“CHE C’È?”. Joe si lagnò per qualche istante, prima di urlare, di nuovo, sicuro che Pete non l’avesse percepito: “Che vuoi? Mi hai fatto perdere la partita, adesso parla!”
“Dovresti aiutarlo”. Constatò Andy, annuendo e assaggiando un sugo misteriosamente rosso. Chissà che verdure esistono di colore rosso, rifletté Pete. “Ma è un idiota, puoi anche non farlo. Si sa, i nazisti, i bestioni, gli idioti e le ragazzine sono razze che non meritano assistenza sociale”.
“Visto che ho fatto bene a picchi-“. Ma Peter non ebbe il coraggio di concludere la frase. Nano malefico, bofonchiò, stando attendo a non farsi sentire.
In quel momento Patrick fece il suo ingresso. Annusò l’aria e sorrise, soddisfatto. “Oggi pasta al pomodoro, wow!”
“E dopo ci sono anche degli Hamburger che ho preso passando dal McDonald’s”.
“Joe, perché posi il bicchiere, il piatto e le posate?”
“Hai detto che non ti senti bene!”
“Ti conserviamo qualcosa per stasera, ok? Però ora vatti a stendere, abbiamo da fare, non possiamo badare a un degente”.
Sbuffò e decise che non era il caso di esibirsi in un tre contro uno. Strascicando i piedi infagottati nella ciabatte a forma di Bart Simpson – avevano gli occhi fluorescenti che al buio splendevano – si trascinò fino al bagno. Era il suo luogo preferito per riflettere: tutti lo sapevano, Peter Wentz era un emo, del prototipo convinto, che si scattava fotografie sulla tavoletta del gabinetto e sistemava la mano davanti alla bocca per sembrare sorpreso. Erano anche fenomenali le sue discussioni sulla sua vita privata sui social network dove chiunque sapeva chi fosse Pete. “I miei veri amici li ho conosciuti su internet, lì sono onesti, non hanno nulla da nascondere” e stronzate del genere[3] erano il Vangelo nonché mantra della puttana dei blog, della Maddalena mai pentita di Facebook, dell’uccellino di Twitter – perché sì, era proprio lui a scoprire i pettegolezzi più succulenti e piccanti per diffonderli nel web e umiliare nemici e non.
Di certo, per quanto lodasse quei fantomatici compagni d’avventura, puntualmente una settimana dopo aver fatto la loro conoscenza, li insultava – esclusivamente on net, neanche a dirlo – e passava a nuove compagnie.
Le uniche sottane (è proprio il caso di definirle tali)[4] dietro le quali si riparava sempre, senza eccezioni, erano quelle di Patrick, Joe e Andy, che in quel momento si esibivano in suoni di posate che tintinnavano contro i piatti, mentre il suo stomaco brontolava.
Era anche vero, d’altronde, che era stato per il suo bene: aveva detto di non sentirsi in forma, non era una bugia, ma aveva anche fame.
Non sapendo come distrarsi dall’idea che al pian terreno ci fossero delle ottime cibarie, frugò nei due mobiletti: quello dello specchio, e il contenitore di asciugamani, che non apriva da parecchio. In realtà si rese conto che nessuno ci metteva le mani da un po’; c’era un odore penetrante di medicinali e il caos regnava sovrano. In alcuni cassetti c’erano degli articoli di make-up, per lo più interamente appartenenti a Pete, che aveva perfino dimenticato di possedere, e che di tanto in tanto riusciva a usare sui suoi compagni a cui dispiaceva dover negare le richieste di Pete di continuo. C’erano rasoi femminili (“per una pelle liscia, morbida e delicata oltre quattro settimane!”), pacchi d’assorbenti (“comodità assicurata, sicurezza dalle macchie smisurata!”) e un vasetto di burro d’arachidi a metà. Ma il retro-specchio fu ben più scioccante. Per il semplice motivo che custodiva il segreto di uno dei Fall Out Boy – non Pete per una volta, perché non si occupava lui di quel particolare scompartimento –: una scatola da due di test di gravidanza.
In una casa di quattro uomini sui quali ci sono molti dubbi a proposito dei loro organi genitali, non è certo un bene per la loro reputazione trovarvi così tanti elementi femminei. Ma di certo, con un test di gravidanza, si viene a conoscenza che no, i Fall Out Boy non sono tutti maschi.

Naturalmente, Peter evitò di divulgare troppo la notizia, annotando soltanto qualcosa come “Houston, abbiamo un problema!”[5]. E questo accadde ancor prima di gettarsi a capitombolo per le scale e fiondarsi in cucina, dove Joe e Patrick stavano amabilmente consumando il gelato all’affogato al cioccolato, mentre Andy beveva un frullato alla frutta.
“Ragazzi, ho da darvi una notizia”.
“Cos’è successo?” Domandò annoiato il batterista, succhiando dalla cannuccia il contenuto del suo bicchiere, e alzandosi gli occhiali più vicino agli occhi, essendo scivolati un po’. “Qualche altra emergenza da mal di testa, sbronza o altro?”
“No, sono incinto”.

Qualunque donna al mondo, almeno una volta nella vita, ha immaginato come dovesse essere sentirsi dire, dalla propria migliore amica, che aspettava un bambino. Ipotizzando, magari, che il padre non avrebbe accettato la patria potestà, o che i genitori l’avrebbero frustrata fino a far morire lei e il bambino. O anche scenari devastati in cui il vero fidanzato avrebbe distrutto l’appartamento, poiché la donna non aveva rapporti sessuali con lui da mesi e, quindi, non avrebbe mai potuto essere il padre.
Ma mai un uomo potrebbe immaginare che il bassista della propria band possa contenere nel proprio utero – o meglio, nel proprio apparato riproduttivo che non contiene di certo un utero, perché era una sicurezza perfino per loro che, oltre a Patrick, non erano esattamente definibili come mentalmente idonei a intraprendere l’università o studiare materie complicate come nano-tecnologia scientifica, eccetera – o che comunque nel mondo un essere umano con peli sul petto e barba sul mento abbia la capacità di anche solo ipotizzare di contenere una vita nella pancia.
“C-come fai a dirlo?”. Domandarlo era anche peggio; avevano paura della risposta che avrebbe potuto tirare fuori il risoluto, in fatto di idiozie, Peter Wentz.
“C’era un test di gravidanza nel bagno; non avevo niente da fare e ho provato”.
“Un test di gravidanza”. Ripeté Patrick, con un tono di voce che stava a significare “ne ho viste tante, ma questa le supera tutte”.
“Un test di gravidanza”. Aggiunsero Joe e Andy, quest’ultimo aveva lasciato perdere la bevanda, che era sparita alla vista.
“E il padre sei sicuramente tu, Patty!” Sembrava davvero felice.
Si sentì un tonfo. E all’inizio nessuno comprese cosa fosse stato, intenti com’erano a fissare Pete tra il terrificato e la voglia di ucciderlo di botte. Se ne accorsero quando si voltarono verso Patrick, che aveva smesso di parlare: era svenuto.
“Deve essere davvero molto contento!”.
“Dio, dammi la forza”. Mormorò Andy.
“Non è poi così pesante”. Lo informò corrucciato Pete.
“Non stavo parlando di- oh, lascia perdere! Aiutami a sollevarlo, Joe, lo mettiamo sul divano”. Alzandolo dal pavimento, si accorsero che qualcosa di umido era sulla maglietta: la poltiglia di banane e fragole del batterista.
“Oh, poverino!”. Pete, come chiunque penserebbe, non si riferiva a Patrick, ma a Joe, che era diventato rosso dallo sforzo. Non che il cantante fosse eccessivamente pesante, ma stando a poltrire di continuo, i muscoli del suo corpo si erano come atrofizzati e perfino alzarsi per bere un bicchiere d’acqua richiedeva troppa fatica. In compenso aveva una velocità nei pollici pari a nessuno mai prima d’allora. “Avrei voluto davvero aiutarvi, sapete… ma in questo momento sono ‘in stato interessante’ e non posso sforzarmi”.
“Eppure ti trovo in gran forma, sai?”.
“Oh, grazie, Joe. Sei un adulatore”.
“…mpf”. Mormorò Patrick.
“Joe, Pete, andatevene via, ci penso io a lui”.
“Io non lascio da solo il padre di nostro figlio!”.
“HA RAGIONE!”.
“Joe, lo sai – sbuffò rumorosamente, perché quello che stava per dire l’avrebbe reso automaticamente parte della buffonata – che Pete non deve agitarsi. Metterebbe soltanto in pericolo il bambino”.
“Oh, come sei saggio, Andy!”.
“Sì – annuì – certo. Preparagli del tè. Ci sono dei gusti ‘normali’, come dite voi, nella credenza vicino al frigo”.
“D’accordo! Andiamo, amico mio!”.
E Andy ebbe la visione fastidiosa di un Joe che prendeva a braccetto Pete, assicurandosi che non fosse esausto. “Dopotutto, stamane dicevi di star poco bene? I sintomi combaciavano, immagino. Giramenti di testa, conati di vomito…”.
“Sì, sì, è proprio così”.
“Ohhh, diventerò zio!”.
“Se non uccido tutti e due prima”. Borbottò a bassa voce, di modo che non potessero udirlo.
“A-Andy, sei t-tu?”.
“Sì, Patrick. Come ti senti?”
“Mal di testa”.
“Immagino”.
“Era un sogno, vero? Pete non ha detto di essere incinto. Non può esserlo!” Ma l’espressione di disgusto che si stava propagano sul viso dell’amico presagiva proprio quello che Patrick temeva. “Andy? Andy, avanti…”.
“Sembra proprio che sia convinto d’esserlo”.
“Oh-mio-Dio”.

*

I giorni a seguire furono anche peggiori del principio di quelli che avrebbero potuto essere nove mesi di terrore. Pete si convinse che non aveva bisogno di accertarsi di essere incinto con ulteriori esami; si sarebbe presentato alla prima ecografia del bambino tre mesi dopo, scegliendo in quel tempo che gli rimaneva un competente ginecologo. “Lo voglio donna, Patrick; non pensi sia meglio? Sono più professionali”.
Joe, dal canto suo, era palesemente entusiasta di quell’idea, anche lui molto convinto che sarebbe nato uno Stump proprio sotto il loro tetto. “E a farmi partorire sarà un’ostetrica: non usano metodi come il cesario, né medicinali che potrebbero essere nocivi per il bambino. Andy, dovrebbe farti piacere, hanno molto a che fare con il tofu e quelle cose lì”.
Andy, dopo quell’affermazione, fu costretto a seppellirsi nel suo letto e chiudersi a chiave, perché altrimenti avrebbe sfogato la frustrazione di quel periodo su Pete; ma se fosse accaduto, Joe l’avrebbe odiato, perché “i bambini non si sfiorano neanche con i petali di una rosa”.
“Ma non erano le donne?”.
“Sta’ zitto, nemico dei fanciulli!”.
Perfino gli istinti omicidi nei confronti di Joe erano aumentati esageratamente; era una persona intrattabile e costantemente immusonita. “Ma non sei felice, zio Hurley?”.
All’odio negli occhi dell’amico, Joe e Pete decisero di ignorarlo per un paio d’ore. “Forse ha le sue cose”.
“Sì, decisamente; gli assorbenti saranno stati suoi”.
Patrick non aveva affatto vita facile. Pete era steso ventiquattro ore su ventiquattro nel salotto; si esercitava con la ginnastica pre-parto e respiratoria; chiedeva varietà di cibi – e quantità – inumane, e con chi si rifiutava di portargliene (Andy o Patrick, poiché a Joe non chiedeva nulla, essendo il suo Consulente di Gravidanza) minacciava di cominciare a piangere, e che se suo figlio avesse avuto una qualsiasi ‘Voglia’ sulla pelle, sarebbe stata soltanto colpa del malcapitato. Dopo una o due strigliate, avevano imparato a passare a largo dalla zona ‘Pete’, e a non rifiutare mai di accontentarlo, nel remoto caso fossero stati costretti a essergli vicini. Così, anche Joe, per lo più lui, fu obbligato a eseguire gli ordini del Generale Mamma.
Patrick aveva acquistato tramite internet un mobiletto frigo bar. Quando l’avevano consegnato, Pete aveva domandato cosa fosse, e Patrick aveva giurato che si trattasse di un nuovo componente per la sua batteria. Intontiti com’erano, Joe e Pete non si sarebbero mai accorti del famoso marchio di elettrodomestici. Durante la notte lo riempiva di tutto ciò che gli serviva, e quando i due gli domandavano se anche lui volesse pranzare, urlava spesso che aveva molto da fare, e che non poteva proprio smettere di lavorare. Andy aveva comprato scorte di piselli e faggioli in scatola, conserve, carne secca e litri d’acqua a temperatura ambiente – che per quel caldo giugno erano pari a trenta gradi centigradi – che si procurava proponendosi per andare a fare la spesa.
“Chissà perché, tutto quello che compriamo finisce così presto”. Un po’ per Pete che se avesse continuato così sarebbe diventato una balena, un po’ per Patrick che rubacchiava qua e là. Andy una volta l’aveva scoperto: era sceso per bere un bicchiere di latte, essendo stanco di quella brodaglia limpida e dal sapore di polvere.
“Io non parlo se tu non parli: sono entrato nella tua camera”. Lo minacciò il cantante. Annuirono e si abbuffarono come poterono, con le orecchie bene aperte e gli occhi vigili, scrutando nell’oscurità della casa.

*

Durante il secondo mese, incredibilmente, la situazione peggiorò. Nel frigo di Patrick il cibo era aumentato, e aveva comprato un modello molto simile, un po’ più grande, che aveva nascosto accanto all’altro, nel buco che aveva come armadio, dove nessuno avrebbe mai immaginato di trovare il più grande tesoro di Patrick di quel periodo buio. Infatti, Pete aveva preso l’abitudine, due notti a settimana, di trascorrere le ore della notte in veranda, dondolandosi su una sedia che aveva comprato appositamente, un lenzuolo bianco, canticchiando delle melodie abbozzate.
Proprio in seguito a quelle meditabonde notti, Pete ebbe un’illuminazione che neanche la Vergine Maria.
“Patrick, non sei il padre”. Al che, Patrick, intontito, con un giornale tra le mani e assonnato, sputò i cereali impastati a yogurt che aveva in bocca contro le pagine del quotidiano e fissò il ragazzo dritto negli occhi, esterrefatto. “Il bambino non è tuo”.
“Vuoi dire… vuoi dire che hai capito che non sei incinto?”.
“Certamente no!” Sbuffò Pete, offeso. “Il bambino nascerà… ma non avrà un padre. Non è possibile che sia stato tu a mettermi incinto. Voglio dire, con te sono sempre stato io quello attivo[6]. – Le guance di Patrick avvamparono, poiché cinque secondi prima sulla soglia della cucina erano comparsi i volti di Joe e Andy – Però mi piacerebbe molto che tu accettasi di allevarlo come se fosse tuo”.
Pete e Joe si esibirono nella faccina dei poveri martiri, e pensando che peggio di come stava finendo non avrebbe mai potuto essere acconsentì a quella follia. Proprio allora scoprì con orrore che il peggio aveva appena avuto inizio.
Durante quel pomeriggio, Joe fece ritorno da una spedizione misteriosa in un negozio dal nome sconosciuto. Tra le mani aveva delle buste dai colori tenui, tra l’azzurrino e il rosa antico, che recava la scritta inconfondibile “Mondo Bimbi”.
“Joe, sbaglio o hai messo qualcosa nella busta del negozio per bambini giù in città?”.
“Già, proprio così. Quello che Pete mi ha chiesto di comprare lì, naturalmente. E adesso posa quel libro e vieni con me in camera di Pete, paparino”.
Patrick sentì le gambe venirgli meno, ma si avviò ugualmente verso l’obbrobrio. Tra strilli acuti ed esclamazioni di gioia, Joe informò Pete del successo dell’operazione. Con foga rovesciò i pacchettini più piccoli sul letto, mentre quelli più grandi venivano vuotati articolo per articolo con delicatezza e sistemati nelle loro scatole nell’armadio del ragazzo. C’era un carillon che a Patrick piacque molto, dei bavaglini gialli e verdi, colori neutri; scarpine di tutti i tipi, completi da marinaretto, un costume da papera (“per i suoi momenti di creatività”), delle t-shirts dei Fall Out Boy appositamente create per il bambino, cucchiaini con la forma di aeroplani, una culla con la ninna nanna incorporata che suonava soltanto notturni di Chopin[7] e un braccialetto che come veniva mosso troppo, intonava con la voce di Pete “Dormi, tesoro mio, e domani andrà meglio”. Se tutto fosse stato reale sarebbe stato bello. Ma Pete non era incinto, non avrebbe mai potuto esserlo, ed era anche irritante. Soltanto per qualche istante, però, Patrick finse che, alzando gli occhi, avrebbe colto i segni della gravidanza sul suo volto.
“Come ti sembra?”.
“È tutto bello”.
“Ohhh, papi s’è commosso!”. Pete si alzò e, dal letto, afferrò Patrick e lo abbracciò. Non sto piangendo, si disse, è soltanto un po’ d’allergia.

Con l’arrivo degli oggetti per il bambino, Pete e Joe si misero d’accordo per sfollare la stanza degli ospiti e farne una cameretta per il piccolo. Patrick credeva che fosse il colmo, e stava per telefonare a uno studio delle ecografie, poco prima che Andy scuotesse la testa e gli prendesse il braccio. “Comprendilo, io l’ho fatto. E non mi pare così assurdo che possa volere un figlio”.

Finiva sempre in quel modo: le idee di Pete si basavano sempre su qualcosa di sensato, per quanto potessero apparire folli o stupide. Certo, succedeva che si trattasse di perdite di tempo e nient’altro, ma mai del tutto.

*

La casa era diventato un deposito di riviste a proposito di neonati, pappine, psicologia infantile e dei genitori, consigli per occuparsi di un figlio, i colori adatti per il benessere del bambino, e tutto quello che i giornalisti o gli scrittori – come dimostravano alcuni volumi poggiati sul tavolo tra il divano e la televisione, per esempio – riuscivano a inventarsi per arricchirsi.
Patrick e Andy avevano ricominciato a mangiare assieme a Joe e Pete. Naturalmente non avevano cambiato d’un tratto l’idea a proposito della situazione: se proprio aveva bisogno di entrare in maternità, avrebbe potuto anche curare un animaletto nel frattempo. O vivere a Las Vegas, adottare un bambino senza genitori e simili. Anche perché, una volta di fronte l’ecografia il sogno si sarebbe infranto. Si rendevano conto, comunque, che se lo aiutava almeno un po’ tanto valeva stare al gioco e comportarsi come degli idioti tutti e quattro. Una volta Patrick aveva acconsentito ad accompagnare Pete, che aveva bisogno di sgranchirsi le gambe, al supermercato immaginando già quale sarebbe stato il risultato. Difatti, quando la cassiera gli aveva domandato dove fosse la mamma Pete aveva sorriso e si era avvicinato. “Sono al secondo mese, sa”.
La donna sembrava essere sul punto di chiamare la sicurezza, ma incrociò lo sguardo di Patrick che si picchiettò un dito sulla testa in un gesto molto eloquente. Impietosita, si congratulò con il ragazzo e gli augurò che il bambino fosse cresciuto sano e forte.
Ma Patrick giurò a se stesso che mai più sarebbe uscito con Pete in quelle condizioni.
A quanto pareva, neanche per Andy la situazione era migliorata. Joe, quasi a ogni ora, alludeva a un possibile bambino che gli avrebbe fatto piacere accudire. “Vorrei strozzare Pete”. Concluse Andy con Patrick, troppo stanco perfino per infuriarsi.
“Lo so, lo so, ma mancano soltanto sette giorni”.
Il piano delle camere da letto, inoltre, si era trasformato in un cantiere, poiché dalle nove alle dodici del mattino Andy era costretto, assieme a Joe, a lavorare alla camera. Rumori di trapani, martelli e Sparachiodi. Quando fu il momento di pitturare, Patrick e Pete diedero loro il cambio. Ci vollero tre giorni soltanto per scegliere la tonalità da usare: ‘azzurro cielo’, ‘blu puffo’ o tutte e due. Alla fine preferì un più rilassante ‘giallo crema pasticcera’. Con due lunghi rulli, in sette ore, riuscirono a colorare le quattro mura, applicando una fascia con orsacchiotti rosa che correva lungo le pareti, al centro della loro altezza.
“Non c’è male, vero?”. Dopotutto, non era una brutta stanza. Ma con quale funzione l’avrebbero usata quando Pete si sarebbe reso conto che la realtà era ben diversa dal test di gravidanza falsato? Perché Patrick era andato a controllare, e si era accorto che l’oggetto si trovava esattamente sotto il rubinetto che perdeva acqua. S’illuminava a intermittenza variando dal ‘positivo’ al ‘negativo’ in pochi attimi.
“Andy, mi è venuta in mente un’idea per domani, per l’ecografia”.
“Non vorrai fargli credere che sia davvero incinto, mi auguro”.
“No… però ascoltami fino alla fine”.

Pete aveva segnato quel giorno sul calendario con un cuore marcato con il pennarello indelebile. Era estremamente euforico e si era rimpinzato di caffè, così che saltellava da un lato all’altro spostando le posizioni di praticamente tutto, spolverando mobili, le scale, la televisione, accendendo la TV, spegnendola, sintonizzando lo stereo sulla sua stazione radio preferita e spostandosi da una camera all’altra, chiedendo consigli al resto dei Fall Out Boy, che ancora dormivano. Alla fine Patrick, per quieto vivere, si costrinse ad alzarsi, farsi una doccia rinfrescante, e subire il fiume in piena di Pete.
“Una curiosità: quante ore hai dormito questa notte?”.
“Dici che si vedono le occhiaie? Metto un po’ di correttore?”
“No, Pete, è che sembra che tu abbia assunto un sacco di caffeina, i sintomi sono quelli”.
“Beh, all’incirca s*coffcoff* tazze”.
“Pft – ridacchiò Patrick – mi è sembrato di sentire ‘sei’, ma non saresti tanto sciocco… vero?”
“Ehm…”.
“IL BAMBINO NE RISANTE!” Cominciò la strigliata di Patrick, dopo la quale sia Joe che Andy, nolenti o dolenti, seguirono l’esempio del cantante e smisero di riposare, nonostante si prospettassero come ventiquattro ore molto faticose. Si riempirono tutti di latte, un abbondante colazione, muffin, cupcakes, frittelle; Andy preferì yogurt e gelato alla soia, che Pete assaggiò con un cucchiaino, convinto che fosse la consueta stracciatella, e che sputò nel lavandino senza aver provato nemmeno a inghiottirla. “Ma come fai a mangiare questa robaccia?”.
Andy, che si sentiva un po’ in colpa, evitò di rispondergli, ma finse di metter su una faccia arrabbiata. “Mi trattengo soltanto perché il piccolo ha già risentito del caffè”.
Fu difficile convincere che il posto migliore fosse quello accanto al guidatore, perché Pete, a tutti i costi, voleva guidare. “Sono secoli che non prendo in mano il volante!”.
“Sarà per la prossima volta, non vogliamo mica far incidenti?”.
“Certo che no!”.
“Ecco, allora zitto e mettiti vicino a me”.
Con Pat alla guida non si rischiava la vita, ma la noia abbastanza. Joe sbadigliò per l’intero tragitto verso lo studio della dottoressa Clapman. Quelli che avrebbero dovuto essere trenta minuti ne divennero quarantacinque, e per parcheggiare la manovra ne durò all’incirca dieci, tanto che a metà Joe e Pete scesero dall’auto e si diressero all’appuntamento per non rischiare di arrivare in ritardo.
“Sei sicuro di quello che stiamo facendo? – Gli domandò Andy – Potrebbe peggiorare la situazione, anziché migliorarla”.
“Sì, probabile… ma almeno potrà credere che, un giorno, ci sarebbe la possibilità di partorire dei figli”.
“Forse”.
L’edificio era stato da poco ristrutturato, di un grigio-azzurro e molto ampio. Alla vista di un’altra coppia di uomini, alcune donne li indicarono, altre sussurrarono al loro passaggio, e una, che evidentemente aveva poca pazienza, aveva casualmente alzato troppo la voce: “Sono i secondi oggi; sono loro ad avere la priorità… ahhh, ai miei tempi era tutto diverso”.
“E perché non torna da dove è venuta?” Andy digrignava i denti ed evitava di fermarsi, perché altrimenti avrebbe spaccato ossa anche in quel locale addobbato in modo che apparisse rilassante. In realtà era tutto sistemato per innervosire le ragazze madri: a vedere tutti quei bambini sorridenti, pubblicità di preservativi e mamme felici, era naturale che avessero dei seri dubbi su come realmente avevano bisogno di comportarsi.
Nello studio della dottoressa, era tumulto generale. C’era Joe che saltava da un piede all’altro con i pugni davanti alla bocca, Pete con gli occhi fuori dalle orbite e la donna semi-svenuta.
“Cos’è successo?”. Patrick si avvicinò al ragazzo che proprio in quel momento si toglieva la gelatina fredda dalla pancia.
“Pare che io sia davvero incinto…”.[8]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Se cercate su youtube, troverete il video di cui sto parlando.
[2] Quindi la storia si svolge quattro anni fa, nel lontano duemilasei.
[3] Soooo… la mia migliore amica l’ho conosciuta sul web, ma devo ammettere che reputo assurdo discorsi del genere; le persone non sono tutte cattive o tutte buone, né nel web né fuori e alienarsi con il PC, come con qualsiasi altro passatempo, è sbagliato.
[4] Leggera allusione alla sessualità dei Fall Out Boy.
[5] Quest’affermazione è un classico; ringraziamo il film “Apollo 11” (o ‘13’?).
[6] Ehm… devo proprio spiegare cosa significa? (*coffcoff* Colui che non subisce l’atto sessuale *muore*).
[7] Chopin è il mio compositore di musica classica preferito, famoso soprattutto per i suoi notturni sopracitati. Il mio preferito è l’op. 9 n. 2 che, se non erro, era la colonna sonora del “Kinder Bueno” di qualche anno fa, quello dove c’era la rock star che andava dietro le quinte e si rilassava con la musica classica.
[8] Così non saprete mai se la dottoressa ha finto di svenire o meno; io preferirei l’opzione: Pete è davvero incinto e in un momento di ebbrezza è diventato, ehm, passivo con Pete e in realtà il figlio che finge di avere con Ashlee è suo e di Patrick. *ghgh*

4'630 parole; Prompt #9 – “Un test di gravidanza falsato”. Fanfiction partecipante al “2010: a year together”, indetto dal « Collection of starlight », said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 ».
Disclaimer: I personaggi da me rappresentati non mi appartengono, sono delle persone reali che non conosco. Le vicende narrate sono parte della mia fantasia (malata *coffcoff*), e non mi pagano per idearle (non ancora, almeno).
Con parole d’ironia ho rappresentato un tema forse più delicato di quanto potessi permettermi di trattare: l’adozione da parte di coppie omosessuali di bambini. A cui io sono favorevole, ma che in questo paese viene identificato come un abominio. Non ho molto altro da dire, a parte che spero che questa storia vi sia piaciuta, vi abbia fatto cambiare idea – nel caso aveste creduto che due uomini non sappiano amare un figlio quanto un uomo e una donna riescano – e che non vi abbia annoiati, nonostante la discreta lunghezza. Alla prossima, bye.

   
 
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