Test
di gravidanza falsato
In seguito si era giustificato: era ubriaco e, tra l’altro, quell’uomo aveva spintonato il suo “amico”, che neanche conosceva. Gli altri avevano tentato di fargli notare che il suo “amico” aiutava a salire un mucchio di persone sul palco, cosa che avrebbe reso difficile suonare, ma Pete aveva sventolato la mano, indossato il suo sorriso migliore e continuato a camminare. In quell’occasione era stato molto difficile per Andy trattenere la rabbia e non picchiarlo, ma quando aveva ascoltato le ‘giustificazioni’ di Pete, gli occhi gli erano usciti fuori dalle orbite – nessuno l’aveva notato quel dettaglio, perché era all’ordine del giorno con il signor Wentz – aveva scostato molto lentamente, espirando profondamente, la sedia dal tavolo e con estrema gentilezza aveva mosso qualche passo verso il bassista che, di spalle, stava sistemando chissà cosa dentro una credenza; gli aveva picchiettato sulla spalla destra e, quando s’era voltato, gli aveva tirato un pugno sul naso, che aveva sanguinato per circa un’ora, seguito dalle lamentele del poveretto, che minacciava il batterista di denunciarlo, usando svariati epiteti ai quali l’altro rispondeva con numerose dita medie alzate. Per Joe e Patrick fu una tragedia. Più per il secondo, poiché Joe aveva trascorso la giornata non facendo la minima piega: l’unico aiuto che aveva dato era stato bloccare Pete dal vendicarsi contro Andy, verso le diciassette del pomeriggio, e soltanto per caso, poiché si era stiracchiato stirando la gamba oltre il divano – proprio dove Pete inciampò – mentre sgranocchiava qualcuna delle solite porcherie.
Patrick, invece, sbuffava e tentava di zittire Pete – che ne approfittava per farsi coccolare –: non cessava di gettare improperi al vento con un volume di voce troppo alto, tanto che qualche vicino venne a bussare alla loro porta e si ritrovò un ometto basso con barba e capelli gonfi all’apparenza innocente, ma che quel giorno sganciò un altro cazzotto a un tizio che non aveva proprio voglia di abbandonare la loro soglia.
A quel punto, dopo ben dodici ore di dura fatica, Joe si decise a dare una mano a Pat, la situazione stava degenerando e alle ventidue le persone avevano bisogno di dormire – anche Patrick avrebbe desiderato gettarsi sotto una doccia calda e dimenticare le pesanti ventiquattro ore, ma non fu possibile fino alle sei, quando finalmente Pete accettò di scusarsi con Andy per essere stato uno stupido, e Andy per aver perso la calma. A quel punto, però, Andy si piazzò davanti allo stereo, musica a tutto volume, per i suoi esercizi di ginnastica mattutina; e se anche fossero riusciti a ignorare il rumore, Pete si fiondò nella camera di Pat a svegliarlo con il programma radio che predicava di “credere in se stessi più che in chiunque altro; perché la forza che abbiamo dentro di noi ci permette di ottenere tutto quello che desideriamo”.
Il
sole nel cielo era alto, c’erano gli uccellini appollaiati sui rami degli
alberi delle villette del vicinato che canticchiavano – mentre quello di casa
Stump-Wentz era arido: Pete si dimenticava sempre che “no, non si annaffia di
giorno; di notte o al massimo tre ore dopo l’alba, altrimenti le piante si
bruciano”. Pete era annoiato poiché quella mattina i bambini non dovevano
andare a scuola: ovvero avrebbe dovuto rinunciare allo spettacolo di Mike
Harris e le sue gonne (“Pete, è un kilt, Mike è di origini irlandesi”, “Chiamala
come vuoi, ma è una gonna”) a quadroni.
“Perfino
gli altri bambini lo deridono!”
“Ma
tu, Pete, hai ventisette anni!”[2]
A
quella risposta, naturalmente, voltava la testa di lato e fingeva di non aver
sentito.
Quell’estate
sembrava proprio destinata a non volgere mai al termine. La pancia e la testa
gli facevano male e aveva voglia di vomitare.
“Peeeeeete,
apparecchia, è pronto!” Urlò Andy dalla cucina.
Come
se non bastasse, lo straight-edge del gruppo aveva cucinato: ovvero si
sarebbero ritrovati con uno stomaco pieno di erbe e minchiate varie tipicamente
erbivore. Già soltanto al pensiero dell’insalata i conati aumentavano…
“Cosa
c’è per pranzo?” Chiese, titubante, con un sorriso tirato. Sarebbe stato anche
peggio incappare nelle nevrosi del batterista. (“Straight-edge! STRAIGHT-EDGE E
VUOL FARE A BOTTE!”: era una delle frasi tipo del giorno in cui Andy si vendicò
per la scenata di Pete durante il concerto). “Non mi sento in forma, sai”. Si
scusò in fretta, notando astio nel suo sguardo.
“Oh,
niente di particolare. Cucina-“.
“Vegetariana,
eh?” Joe apparve all’improvviso, fissando lo schermo di un videogioco portatile
con un che di maniacale, si accomodò sulla sedia e vi dondolò sopra. Quasi
subito si beccò una sberla dal bassista che era rimasto attonito nel guardare
il compagno arrivare con molta flemma e non preoccuparsi minimamente delle
mansioni affidate a Pete.
“CHE
C’È?”. Joe si lagnò per qualche istante, prima di urlare, di nuovo, sicuro che
Pete non l’avesse percepito: “Che vuoi? Mi hai fatto perdere la partita, adesso
parla!”
“Dovresti
aiutarlo”. Constatò Andy, annuendo e assaggiando un sugo misteriosamente rosso.
Chissà che verdure esistono di colore
rosso, rifletté Pete. “Ma è un idiota, puoi anche non farlo. Si sa, i
nazisti, i bestioni, gli idioti e le ragazzine sono razze che non meritano
assistenza sociale”.
“Visto
che ho fatto bene a picchi-“. Ma Peter non ebbe il coraggio di concludere la
frase. Nano malefico, bofonchiò,
stando attendo a non farsi sentire.
In
quel momento Patrick fece il suo ingresso. Annusò l’aria e sorrise,
soddisfatto. “Oggi pasta al pomodoro, wow!”
“E
dopo ci sono anche degli Hamburger che ho preso passando dal McDonald’s”.
“Joe,
perché posi il bicchiere, il piatto e le posate?”
“Hai
detto che non ti senti bene!”
“Ti
conserviamo qualcosa per stasera, ok? Però ora vatti a stendere, abbiamo da
fare, non possiamo badare a un degente”.
Sbuffò
e decise che non era il caso di esibirsi in un tre contro uno. Strascicando i
piedi infagottati nella ciabatte a forma di Bart Simpson – avevano gli occhi
fluorescenti che al buio splendevano – si trascinò fino al bagno. Era il suo
luogo preferito per riflettere: tutti lo sapevano, Peter Wentz era un emo, del prototipo
convinto, che si scattava fotografie sulla tavoletta del gabinetto e sistemava
la mano davanti alla bocca per sembrare sorpreso. Erano anche fenomenali le sue
discussioni sulla sua vita privata sui social network dove chiunque sapeva chi
fosse Pete. “I miei veri amici li ho conosciuti su internet, lì sono onesti,
non hanno nulla da nascondere” e stronzate del genere[3] erano il Vangelo nonché mantra della puttana dei blog, della
Maddalena mai pentita di Facebook, dell’uccellino di Twitter – perché sì, era
proprio lui a scoprire i pettegolezzi più succulenti e piccanti per diffonderli
nel web e umiliare nemici e non.
Di
certo, per quanto lodasse quei fantomatici compagni d’avventura, puntualmente
una settimana dopo aver fatto la loro conoscenza, li insultava – esclusivamente
on net, neanche a dirlo – e passava a
nuove compagnie.
Le
uniche sottane (è proprio il caso di definirle tali)[4] dietro le quali si riparava sempre, senza eccezioni, erano
quelle di Patrick, Joe e Andy, che in quel momento si esibivano in suoni di
posate che tintinnavano contro i piatti, mentre il suo stomaco brontolava.
Era
anche vero, d’altronde, che era stato per il suo bene: aveva detto di non
sentirsi in forma, non era una bugia, ma aveva anche fame.
Non
sapendo come distrarsi dall’idea che al pian terreno ci fossero delle ottime
cibarie, frugò nei due mobiletti: quello dello specchio, e il contenitore di
asciugamani, che non apriva da parecchio. In realtà si rese conto che nessuno
ci metteva le mani da un po’; c’era un odore penetrante di medicinali e il caos
regnava sovrano. In alcuni cassetti c’erano degli articoli di make-up, per lo
più interamente appartenenti a Pete, che aveva perfino dimenticato di
possedere, e che di tanto in tanto riusciva a usare sui suoi compagni a cui
dispiaceva dover negare le richieste di Pete di continuo. C’erano rasoi
femminili (“per una pelle liscia, morbida
e delicata oltre quattro settimane!”), pacchi d’assorbenti (“comodità assicurata, sicurezza dalle macchie smisurata!”) e un vasetto di
burro d’arachidi a metà. Ma il retro-specchio fu ben più scioccante. Per il
semplice motivo che custodiva il segreto di uno dei Fall Out Boy – non Pete per
una volta, perché non si occupava lui di quel particolare scompartimento –: una
scatola da due di test di gravidanza.
In
una casa di quattro uomini sui quali ci sono molti dubbi a proposito dei loro
organi genitali, non è certo un bene per la loro reputazione trovarvi così
tanti elementi femminei. Ma di certo, con un test di gravidanza, si viene a
conoscenza che no, i Fall Out Boy non sono tutti maschi.
“Ragazzi,
ho da darvi una notizia”.
“Cos’è
successo?” Domandò annoiato il batterista, succhiando dalla cannuccia il
contenuto del suo bicchiere, e alzandosi gli occhiali più vicino agli occhi,
essendo scivolati un po’. “Qualche altra emergenza da mal di testa, sbronza o
altro?”
“No,
sono incinto”.
Ma
mai un uomo potrebbe immaginare che il bassista della propria band possa
contenere nel proprio utero – o meglio, nel proprio apparato riproduttivo che
non contiene di certo un utero, perché era una sicurezza perfino per loro che,
oltre a Patrick, non erano esattamente definibili come mentalmente idonei a
intraprendere l’università o studiare materie complicate come nano-tecnologia
scientifica, eccetera – o che comunque nel mondo un essere umano con peli sul
petto e barba sul mento abbia la capacità di anche solo ipotizzare di contenere
una vita nella pancia.
“C-come
fai a dirlo?”. Domandarlo era anche peggio; avevano paura della risposta che
avrebbe potuto tirare fuori il risoluto, in fatto di idiozie, Peter Wentz.
“C’era
un test di gravidanza nel bagno; non avevo niente da fare e ho provato”.
“Un
test di gravidanza”. Ripeté Patrick, con un tono di voce che stava a
significare “ne ho viste tante, ma questa
le supera tutte”.
“Un
test di gravidanza”. Aggiunsero Joe e Andy, quest’ultimo aveva lasciato perdere
la bevanda, che era sparita alla vista.
“E
il padre sei sicuramente tu, Patty!” Sembrava davvero felice.
Si
sentì un tonfo. E all’inizio nessuno comprese cosa fosse stato, intenti
com’erano a fissare Pete tra il terrificato e la voglia di ucciderlo di botte.
Se ne accorsero quando si voltarono verso Patrick, che aveva smesso di parlare:
era svenuto.
“Deve
essere davvero molto contento!”.
“Dio,
dammi la forza”. Mormorò Andy.
“Non
è poi così pesante”. Lo informò corrucciato Pete.
“Non
stavo parlando di- oh, lascia perdere! Aiutami a sollevarlo, Joe, lo mettiamo
sul divano”. Alzandolo dal pavimento, si accorsero che qualcosa di umido era
sulla maglietta: la poltiglia di banane e fragole del batterista.
“Oh,
poverino!”. Pete, come chiunque penserebbe, non si riferiva a Patrick, ma a
Joe, che era diventato rosso dallo sforzo. Non che il cantante fosse
eccessivamente pesante, ma stando a poltrire di continuo, i muscoli del suo
corpo si erano come atrofizzati e perfino alzarsi per bere un bicchiere d’acqua
richiedeva troppa fatica. In compenso aveva una velocità nei pollici pari a
nessuno mai prima d’allora. “Avrei voluto davvero aiutarvi, sapete… ma in
questo momento sono ‘in stato interessante’ e non posso sforzarmi”.
“Eppure
ti trovo in gran forma, sai?”.
“Oh,
grazie, Joe. Sei un adulatore”.
“…mpf”.
Mormorò Patrick.
“Joe,
Pete, andatevene via, ci penso io a lui”.
“Io
non lascio da solo il padre di nostro figlio!”.
“HA
RAGIONE!”.
“Joe,
lo sai – sbuffò rumorosamente, perché quello che stava per dire l’avrebbe reso
automaticamente parte della buffonata – che Pete non deve agitarsi. Metterebbe
soltanto in pericolo il bambino”.
“Oh,
come sei saggio, Andy!”.
“Sì
– annuì – certo. Preparagli del tè. Ci sono dei gusti ‘normali’, come dite voi,
nella credenza vicino al frigo”.
“D’accordo!
Andiamo, amico mio!”.
E
Andy ebbe la visione fastidiosa di un Joe che prendeva a braccetto Pete,
assicurandosi che non fosse esausto. “Dopotutto, stamane dicevi di star poco
bene? I sintomi combaciavano, immagino. Giramenti di testa, conati di vomito…”.
“Sì,
sì, è proprio così”.
“Ohhh,
diventerò zio!”.
“Se
non uccido tutti e due prima”. Borbottò a bassa voce, di modo che non potessero
udirlo.
“A-Andy,
sei t-tu?”.
“Sì,
Patrick. Come ti senti?”
“Mal
di testa”.
“Immagino”.
“Era
un sogno, vero? Pete non ha detto di essere incinto. Non può esserlo!” Ma l’espressione di disgusto che si stava
propagano sul viso dell’amico presagiva proprio quello che Patrick temeva.
“Andy? Andy, avanti…”.
“Sembra
proprio che sia convinto d’esserlo”.
“Oh-mio-Dio”.
*
I
giorni a seguire furono anche peggiori del principio di quelli che avrebbero
potuto essere nove mesi di terrore. Pete si convinse che non aveva bisogno di
accertarsi di essere incinto con ulteriori esami; si sarebbe presentato alla
prima ecografia del bambino tre mesi dopo, scegliendo in quel tempo che gli
rimaneva un competente ginecologo. “Lo voglio donna, Patrick; non pensi sia
meglio? Sono più professionali”.
Joe,
dal canto suo, era palesemente entusiasta di quell’idea, anche lui molto
convinto che sarebbe nato uno Stump proprio sotto il loro tetto. “E a farmi
partorire sarà un’ostetrica: non usano metodi come il cesario, né medicinali
che potrebbero essere nocivi per il bambino. Andy, dovrebbe farti piacere,
hanno molto a che fare con il tofu e quelle cose lì”.
Andy,
dopo quell’affermazione, fu costretto a seppellirsi nel suo letto e chiudersi a
chiave, perché altrimenti avrebbe sfogato la frustrazione di quel periodo su
Pete; ma se fosse accaduto, Joe l’avrebbe odiato, perché “i bambini non si sfiorano neanche con i petali di una rosa”.
“Ma
non erano le donne?”.
“Sta’
zitto, nemico dei fanciulli!”.
Perfino
gli istinti omicidi nei confronti di Joe erano aumentati esageratamente; era
una persona intrattabile e costantemente immusonita. “Ma non sei felice, zio
Hurley?”.
All’odio
negli occhi dell’amico, Joe e Pete decisero di ignorarlo per un paio d’ore.
“Forse ha le sue cose”.
“Sì,
decisamente; gli assorbenti saranno stati suoi”.
Patrick
non aveva affatto vita facile. Pete era steso ventiquattro ore su ventiquattro
nel salotto; si esercitava con la ginnastica pre-parto e respiratoria; chiedeva
varietà di cibi – e quantità – inumane, e con chi si rifiutava di portargliene
(Andy o Patrick, poiché a Joe non chiedeva nulla, essendo il suo Consulente di
Gravidanza) minacciava di cominciare a piangere, e che se suo figlio avesse
avuto una qualsiasi ‘Voglia’ sulla pelle, sarebbe stata soltanto colpa del
malcapitato. Dopo una o due strigliate, avevano imparato a passare a largo
dalla zona ‘Pete’, e a non rifiutare mai di accontentarlo, nel remoto caso
fossero stati costretti a essergli vicini. Così, anche Joe, per lo più lui, fu
obbligato a eseguire gli ordini del Generale Mamma.
Patrick
aveva acquistato tramite internet un mobiletto frigo bar. Quando l’avevano
consegnato, Pete aveva domandato cosa fosse, e Patrick aveva giurato che si
trattasse di un nuovo componente per la sua batteria. Intontiti com’erano, Joe
e Pete non si sarebbero mai accorti del famoso marchio di elettrodomestici.
Durante la notte lo riempiva di tutto ciò che gli serviva, e quando i due gli
domandavano se anche lui volesse pranzare, urlava spesso che aveva molto da
fare, e che non poteva proprio smettere di lavorare. Andy aveva comprato scorte
di piselli e faggioli in scatola, conserve, carne secca e litri d’acqua a
temperatura ambiente – che per quel caldo giugno erano pari a trenta gradi
centigradi – che si procurava proponendosi per andare a fare la spesa.
“Chissà
perché, tutto quello che compriamo finisce così presto”. Un po’ per Pete che se
avesse continuato così sarebbe diventato una balena, un po’ per Patrick che
rubacchiava qua e là. Andy una volta l’aveva scoperto: era sceso per bere un
bicchiere di latte, essendo stanco di quella brodaglia limpida e dal sapore di
polvere.
“Io
non parlo se tu non parli: sono entrato nella tua camera”. Lo minacciò il
cantante. Annuirono e si abbuffarono come poterono, con le orecchie bene aperte
e gli occhi vigili, scrutando nell’oscurità della casa.
*
Durante
il secondo mese, incredibilmente, la situazione peggiorò. Nel frigo di Patrick
il cibo era aumentato, e aveva comprato un modello molto simile, un po’ più
grande, che aveva nascosto accanto all’altro, nel buco che aveva come armadio,
dove nessuno avrebbe mai immaginato di trovare il più grande tesoro di Patrick
di quel periodo buio. Infatti, Pete aveva preso l’abitudine, due notti a
settimana, di trascorrere le ore della notte in veranda, dondolandosi su una
sedia che aveva comprato appositamente, un lenzuolo bianco, canticchiando delle
melodie abbozzate.
Proprio
in seguito a quelle meditabonde notti, Pete ebbe un’illuminazione che neanche
la Vergine Maria.
“Patrick,
non sei il padre”. Al che, Patrick, intontito, con un giornale tra le mani e
assonnato, sputò i cereali impastati a yogurt che aveva in bocca contro le
pagine del quotidiano e fissò il ragazzo dritto negli occhi, esterrefatto. “Il
bambino non è tuo”.
“Vuoi
dire… vuoi dire che hai capito che non sei incinto?”.
“Certamente
no!” Sbuffò Pete, offeso. “Il bambino nascerà… ma non avrà un padre. Non è
possibile che sia stato tu a mettermi incinto. Voglio dire, con te sono sempre
stato io quello attivo[6]. – Le
guance di Patrick avvamparono, poiché cinque secondi prima sulla soglia della
cucina erano comparsi i volti di Joe e Andy – Però mi piacerebbe molto che tu
accettasi di allevarlo come se fosse tuo”.
Pete
e Joe si esibirono nella faccina dei poveri martiri, e pensando che peggio di
come stava finendo non avrebbe mai potuto essere acconsentì a quella follia. Proprio
allora scoprì con orrore che il peggio aveva appena avuto inizio.
Durante
quel pomeriggio, Joe fece ritorno da una spedizione misteriosa in un negozio
dal nome sconosciuto. Tra le mani aveva delle buste dai colori tenui, tra
l’azzurrino e il rosa antico, che recava la scritta inconfondibile “Mondo
Bimbi”.
“Joe,
sbaglio o hai messo qualcosa nella busta del negozio per bambini giù in
città?”.
“Già,
proprio così. Quello che Pete mi ha chiesto di comprare lì, naturalmente. E
adesso posa quel libro e vieni con me in camera di Pete, paparino”.
Patrick
sentì le gambe venirgli meno, ma si avviò ugualmente verso l’obbrobrio. Tra
strilli acuti ed esclamazioni di gioia, Joe informò Pete del successo
dell’operazione. Con foga rovesciò i pacchettini più piccoli sul letto, mentre
quelli più grandi venivano vuotati articolo per articolo con delicatezza e sistemati
nelle loro scatole nell’armadio del ragazzo. C’era un carillon che a Patrick
piacque molto, dei bavaglini gialli e verdi, colori neutri; scarpine di tutti i
tipi, completi da marinaretto, un costume da papera (“per i suoi momenti di creatività”), delle t-shirts dei Fall Out Boy
appositamente create per il bambino, cucchiaini con la forma di aeroplani, una
culla con la ninna nanna incorporata che suonava soltanto notturni di Chopin[7] e un braccialetto che come veniva
mosso troppo, intonava con la voce di Pete “Dormi,
tesoro mio, e domani andrà meglio”. Se tutto fosse stato reale sarebbe
stato bello. Ma Pete non era incinto, non avrebbe mai potuto esserlo, ed era
anche irritante. Soltanto per qualche istante, però, Patrick finse che, alzando
gli occhi, avrebbe colto i segni della gravidanza sul suo volto.
“Come
ti sembra?”.
“È
tutto bello”.
“Ohhh,
papi s’è commosso!”. Pete si alzò e, dal letto, afferrò Patrick e lo abbracciò.
Non sto piangendo, si disse, è soltanto un po’ d’allergia.
*
La
casa era diventato un deposito di riviste a proposito di neonati, pappine,
psicologia infantile e dei genitori, consigli per occuparsi di un figlio, i
colori adatti per il benessere del bambino, e tutto quello che i giornalisti o
gli scrittori – come dimostravano alcuni volumi poggiati sul tavolo tra il
divano e la televisione, per esempio – riuscivano a inventarsi per arricchirsi.
Patrick
e Andy avevano ricominciato a mangiare assieme a Joe e Pete. Naturalmente non
avevano cambiato d’un tratto l’idea a proposito della situazione: se proprio aveva
bisogno di entrare in maternità, avrebbe potuto anche curare un animaletto nel
frattempo. O vivere a Las Vegas, adottare un bambino senza genitori e simili.
Anche perché, una volta di fronte l’ecografia il sogno si sarebbe infranto. Si
rendevano conto, comunque, che se lo aiutava almeno un po’ tanto valeva stare
al gioco e comportarsi come degli idioti tutti e quattro. Una volta Patrick
aveva acconsentito ad accompagnare Pete, che aveva bisogno di sgranchirsi le
gambe, al supermercato immaginando già quale sarebbe stato il risultato.
Difatti, quando la cassiera gli aveva domandato dove fosse la mamma Pete aveva
sorriso e si era avvicinato. “Sono al secondo mese, sa”.
La
donna sembrava essere sul punto di chiamare la sicurezza, ma incrociò lo
sguardo di Patrick che si picchiettò un dito sulla testa in un gesto molto
eloquente. Impietosita, si congratulò con il ragazzo e gli augurò che il
bambino fosse cresciuto sano e forte.
Ma
Patrick giurò a se stesso che mai più sarebbe uscito con Pete in quelle condizioni.
A
quanto pareva, neanche per Andy la situazione era migliorata. Joe, quasi a ogni
ora, alludeva a un possibile bambino che gli avrebbe fatto piacere accudire.
“Vorrei strozzare Pete”. Concluse Andy con Patrick, troppo stanco perfino per
infuriarsi.
“Lo
so, lo so, ma mancano soltanto sette giorni”.
Il
piano delle camere da letto, inoltre, si era trasformato in un cantiere, poiché
dalle nove alle dodici del mattino Andy era costretto, assieme a Joe, a
lavorare alla camera. Rumori di trapani, martelli e Sparachiodi. Quando fu il
momento di pitturare, Patrick e Pete diedero loro il cambio. Ci vollero tre
giorni soltanto per scegliere la tonalità da usare: ‘azzurro cielo’, ‘blu
puffo’ o tutte e due. Alla fine preferì un più rilassante ‘giallo crema
pasticcera’. Con due lunghi rulli, in sette ore, riuscirono a colorare le
quattro mura, applicando una fascia con orsacchiotti rosa che correva lungo le
pareti, al centro della loro altezza.
“Non
c’è male, vero?”. Dopotutto, non era una brutta stanza. Ma con quale funzione
l’avrebbero usata quando Pete si sarebbe reso conto che la realtà era ben
diversa dal test di gravidanza falsato?
Perché Patrick era andato a controllare, e si era accorto che l’oggetto si
trovava esattamente sotto il rubinetto che perdeva acqua. S’illuminava a
intermittenza variando dal ‘positivo’ al ‘negativo’ in pochi attimi.
“Andy,
mi è venuta in mente un’idea per domani, per l’ecografia”.
“Non
vorrai fargli credere che sia davvero incinto, mi auguro”.
“No…
però ascoltami fino alla fine”.
“Una
curiosità: quante ore hai dormito questa notte?”.
“Dici
che si vedono le occhiaie? Metto un po’ di correttore?”
“No,
Pete, è che sembra che tu abbia assunto un sacco di caffeina, i sintomi sono
quelli”.
“Beh, all’incirca s*coffcoff* tazze”.
“Pft
– ridacchiò Patrick – mi è sembrato di sentire ‘sei’, ma non saresti tanto
sciocco… vero?”
“Ehm…”.
“IL
BAMBINO NE RISANTE!” Cominciò la strigliata di Patrick, dopo la quale sia Joe
che Andy, nolenti o dolenti, seguirono l’esempio del cantante e smisero di
riposare, nonostante si prospettassero come ventiquattro ore molto faticose. Si
riempirono tutti di latte, un abbondante colazione, muffin, cupcakes,
frittelle; Andy preferì yogurt e gelato alla soia, che Pete assaggiò con un
cucchiaino, convinto che fosse la consueta stracciatella, e che sputò nel
lavandino senza aver provato nemmeno a inghiottirla. “Ma come fai a mangiare
questa robaccia?”.
Andy,
che si sentiva un po’ in colpa, evitò di rispondergli, ma finse di metter su
una faccia arrabbiata. “Mi trattengo soltanto perché il piccolo ha già
risentito del caffè”.
Fu
difficile convincere che il posto migliore fosse quello accanto al guidatore,
perché Pete, a tutti i costi, voleva guidare. “Sono secoli che non prendo in
mano il volante!”.
“Sarà
per la prossima volta, non vogliamo mica far incidenti?”.
“Certo
che no!”.
“Ecco,
allora zitto e mettiti vicino a me”.
Con
Pat alla guida non si rischiava la vita, ma la noia abbastanza. Joe sbadigliò
per l’intero tragitto verso lo studio della dottoressa Clapman. Quelli che
avrebbero dovuto essere trenta minuti ne divennero quarantacinque, e per
parcheggiare la manovra ne durò all’incirca dieci, tanto che a metà Joe e Pete
scesero dall’auto e si diressero all’appuntamento per non rischiare di arrivare
in ritardo.
“Sei
sicuro di quello che stiamo facendo? – Gli domandò Andy – Potrebbe peggiorare
la situazione, anziché migliorarla”.
“Sì,
probabile… ma almeno potrà credere che, un giorno, ci sarebbe la possibilità di
partorire dei figli”.
“Forse”.
L’edificio
era stato da poco ristrutturato, di un grigio-azzurro e molto ampio. Alla vista
di un’altra coppia di uomini, alcune donne li indicarono, altre sussurrarono al
loro passaggio, e una, che evidentemente aveva poca pazienza, aveva casualmente
alzato troppo la voce: “Sono i secondi oggi; sono loro ad avere la priorità…
ahhh, ai miei tempi era tutto diverso”.
“E
perché non torna da dove è venuta?” Andy digrignava i denti ed evitava di
fermarsi, perché altrimenti avrebbe spaccato ossa anche in quel locale
addobbato in modo che apparisse rilassante. In realtà era tutto sistemato per innervosire
le ragazze madri: a vedere tutti quei bambini sorridenti, pubblicità di
preservativi e mamme felici, era naturale che avessero dei seri dubbi su come
realmente avevano bisogno di comportarsi.
Nello
studio della dottoressa, era tumulto generale. C’era Joe che saltava da un
piede all’altro con i pugni davanti alla bocca, Pete con gli occhi fuori dalle
orbite e la donna semi-svenuta.
“Cos’è
successo?”. Patrick si avvicinò al ragazzo che proprio in quel momento si
toglieva la gelatina fredda dalla pancia.
“Pare
che io sia davvero incinto…”.[8]
[2] Quindi la storia si svolge quattro
anni fa, nel lontano duemilasei.
[3] Soooo… la mia migliore amica l’ho
conosciuta sul web, ma devo ammettere che reputo assurdo discorsi del genere;
le persone non sono tutte cattive o tutte buone, né nel web né fuori e
alienarsi con il PC, come con qualsiasi altro passatempo, è sbagliato.
[4] Leggera
allusione alla sessualità dei Fall Out Boy.
[5] Quest’affermazione è un classico;
ringraziamo il film “Apollo 11” (o ‘13’?).
[6] Ehm… devo proprio spiegare cosa
significa? (*coffcoff* Colui che non
subisce l’atto sessuale *muore*).
[7] Chopin è il mio compositore di
musica classica preferito, famoso soprattutto per i suoi notturni sopracitati.
Il mio preferito è l’op. 9 n. 2 che, se non erro, era la colonna sonora del
“Kinder Bueno” di qualche anno fa, quello dove c’era la rock star che andava
dietro le quinte e si rilassava con la musica classica.
[8]
Così non saprete mai se la dottoressa ha finto di svenire o meno; io preferirei
l’opzione: Pete è davvero incinto e in un momento di ebbrezza è diventato, ehm,
passivo con Pete e in realtà il figlio che finge di avere con Ashlee è suo e di
Patrick. *ghgh*
4'630
parole; Prompt #9 – “Un test di gravidanza falsato”. Fanfiction partecipante al “2010: a year
together”, indetto dal « Collection
of starlight », said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 ».
Disclaimer: I personaggi da
me rappresentati non mi appartengono, sono delle persone reali che non conosco.
Le vicende narrate sono parte della mia fantasia (malata *coffcoff*), e non mi
pagano per idearle (non ancora, almeno).
Con
parole d’ironia ho rappresentato un tema forse più delicato di quanto potessi
permettermi di trattare: l’adozione da parte di coppie omosessuali di bambini.
A cui io sono favorevole, ma che in questo paese viene identificato come un
abominio. Non ho molto altro da dire, a parte che spero che questa storia vi
sia piaciuta, vi abbia fatto cambiare idea – nel caso aveste creduto che due
uomini non sappiano amare un figlio quanto un uomo e una donna riescano – e che
non vi abbia annoiati, nonostante la discreta lunghezza. Alla prossima, bye.