Nessun uomo è uguale all'altro: c'è quello ricco e quello povero, il saggio e lo stolto, il credente e l'ateo, il realista e il superstizioso. E per quello superstizioso... Nessun demone è uguale all'altro...
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kuroshituji
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
E’ appena mattina nella villa Phantomhive, il sole sta
sorgendo lentamente e la sua luce filtra con leggerezza fra la fitta
vegetazione paludosa.
Ciel Phantomhive è un giovane aristocratico di appena dodici
anni il quale ha perso tragicamente i genitori quando era bambino.
Poco prima di morire, Ciel era riuscito ad evocare un demone con il
quale stipulò un patto: il demone, rinominato Sebastian,
sarebbe stato al servizio del giovane conte fino a che
quest’ultimo non fosse riuscito a vendicare la morte dei suoi
genitori, in cambio Ciel avrebbe ceduto a Sebastian la sua anima.
Sono passati due anni da allora, ma nonostante la presenza di
Sebastian, Ciel non è ancora riuscito a trovare gli artefici
dell’assassinio della sua famiglia, troppo impegnato a
mantenere alto il nome dei Phantomhive tramite l’azienda
familiare di giocattoli e dolciumi e, al tempo stesso, a servire
ciecamente la regina Vittoria.
Ora che finalmente il sole è alto nel cielo, una nuova
giornata a villa Phantomhive può cominciare.
-Buongiorno, signorino. E’ ora di alzarsi-
-Hmm…- riuscì a mugugnare Ciel con fatica.
-Questa mattina le è stato preparato del filetto di
finissima carne di manzo con uova alla machiavelli, oppure una torta ai
lamponi con panna montata e cacao. Cosa preferisce?-
-Manzo. Non ho voglia di dolci questa mattina…-
-Oggi non ha nulla in programma. Cosa le andrebbe di fare questa
mattina?-
-Niente. Credo che mi prenderò un giorno di pausa. Anche
se…-
Sebastian terminò di sistemare le tende della stanza di
Ciel, poi si voltò per guardarlo:
-Anche se?...-
-E’ strano che sua maestà non abbia avuto nessun
compito da assegnarmi. Sono passati giorni e non ho più
avuto sue notizie…-
-La regina è molto impegnata- ammise Sebastian iniziando a
vestire il giovane conte -Di certo non siamo al centro dei suoi
pensieri-
-No, infatti-
-Vedrà che non appena vorrà, ci farà
avere sue notizie- concluse Sebastian con uno dei suoi soliti sorrisi
e, senza aggiungere altro, uscì dalla stanza lasciando Ciel
seduto sul letto ormai vestito e con la solita benda da pirata a
coprire il suo occhio destro, l’occhio che portava il simbolo
del contratto fra Ciel e Sebastian: una stella circoscritta da un
cerchio, circondato a sua volta da un altro fatto di punte, il simbolo
del demonio. Lo stesso simbolo che Sebastian portava sul dorso della
sua mano sinistra, nascosta costantemente dal guanto bianco che faceva
parte del suo camuffamento. Infatti, per poter stare al fianco del suo
signore, Sebastian era diventato il maggiordomo di Ciel, la sua guardia
del corpo. La sua ombra.
Non c’è momento in cui il demone non sappia dove
si trova il suo padrone, la sua preda, la sua anima. Questo
è uno dei tanti punti del contratto, che non
potrà mai più essere annullato.
Quando un umano stipula un patto con un demone non potrà mai
varcare le porte del Paradiso, né potrà mai
liberarsi di lui fino alla morte.
La sua anima, infine, diventerà di definitiva
proprietà del demone, il quale se ne nutrirà
ricavandone forza e salute.
E’ esattamente come l’uomo che mangia cibo di prima
qualità: lo rende più sano, a differenza di chi
mangia dei prodotti di pessima qualità.
Per un demone, più l’anima appartiene ad un
aristocratico più potrà trarne beneficio. Per
Sebastian era così, come per tanti altri demoni.
E’ facile per un uomo cadere in tentazione, ricco o povero
che sia, non importa quante ricchezze possa possedere. Se è
in ballo la vita, il destino o qualsiasi altra cosa di vitale
importanza per un umano, questo è disposto a vendere la
propria anima per poter continuare ad essere quello che è o,
a volte, eccellere.
Ed è in questi momenti che i demoni ne traggono vantaggio.
Scaltri, furbi, forti e bellissimi, capaci di grandi cose e possessori
di immensi poteri, riescono a mascherare la loro identità e
giocare con essa ogni volta che vogliono. Sanno incantare, affascinare,
sbalordire, stupire e meravigliare, ma possono anche incutere terrore,
uccidere con uno sguardo o con un singolo gesto, possono far avverare
tutti i tuoi sogni oppure far diventare realtà i tuoi
peggiori incubi.
Tutto con facilità, ma con eleganza, raffinatezza e
sensualità.
E’ questo il lato più bello dei demoni, bello, ma
al tempo stesso terrificante.
-MEIRIN!!! STAI ATTENTA!- gridò Finian vedendo la goffa
cameriera inciampare nei lacci degli alti stivali marroni della divisa.
Meirin si dimenticava di non correre nella residenza, era sempre
esuberante quando si trovava in compagnia di Bard, Finian e Tanaka-san.
Quando cadde a terra, Meirin ruppe disgraziatamente un corredo di
piatti che stava portando nella credenza, piatti che il conte aveva
appositamente ordinato per la cena che si sarebbe tenuta il giorno dopo
insieme al visconte Druitt.
-Oh no! Guarda che disordine!- ammise Bard aiutando Meirin ad alzarsi.
-Sebastian ci ucciderà tutti!- disse Finian tremolante.
-Oh oh oh!!!- Tanaka-san era il maggiordomo della famiglia Phantomhive
prima della scomparsa dei genitori di Ciel. Era un uomo anziano che
riusciva a formulare un discorso solo dopo un certo periodo di
“relax” durante il quale “oh oh
oh” era l’unica cosa che riusciva a dire.
Quando finalmente Meirin si alzò in piedi, vide il pasticcio
che aveva combinato ed urlò.
-Manteniamo la calma- disse Bard con fermezza. -Finian! Corri a
prendere scopa e paletta! Tanaka-san! Assicurati che Sebastian non si
accorga del disastro. Se lo vedi trattienilo-
-Oh oh oh!- e se ne andò correndo con in mano la solita
tazza di the.
-Meirin, vai subito a pulire un altro corredo di piatti e portali con
cautela nella credenza- ordinò Bard.
-Sì! Ci vado! Ci vado!- rispose la cameriera iniziando a
correre e rischiando di inciampare nuovamente tra i lacci delle scarpe.
-E ALLACCIATI GLI STIVALI!- le urlò Bard non appena Meirin
scomparve nel corridoio.
Lo chef, così Bard voleva sentirsi chiamare, rimase solo per
qualche secondo, quando Finian tornò velocemente con una
scopa ed una paletta iniziando a raccogliere i cocci sparsi dappertutto
sul pavimento di parquet.
In men che non si dica Bard e Finian riuscirono a porre rimedio al
danno provocato da Meirin ed andarono a gettare nel secchio della
spazzatura tutti i resti del bellissimo e costosissimo corredo di
piatti che Ciel aveva comprato.
-Se il signorino viene a sapere- fiato -che Meirin ha rotto il corredo-
fiato -credo che la licenzierà- ammise Finian respirando a
pieni polmoni.
-La licenzierà? Ci licenzierà!- fiato -Siamo
tutti dei complici! Io, te e Takana-san! …A
proposito… Che fine ha fatto?
-Tanaka-san, qualcosa non va?- domandò Sebastian.
-… Oh oh oh-
-Hmm… Scommetto che Bard, Finian e Meirin hanno combinato
qualcosa-
-!!!-
-Vero?-
-Oh oh oh!!!-
-…Va bene. Vado a dare un’occhiata- disse
Sebastian avviandosi verso la cucina, lasciando Tanaka-san pietrificato
di fronte alla sala del maggiordomo, dove appunto il maggiordomo stava
sbrigando i suoi lavori.
Quando Sebastian venne a sapere del disastro combinato da Meirin la
rimproverò con il solito tono pacato ma fermo –
dopotutto Meirin era pur sempre una donna e Sebastian era comunque un
gentiluomo, non avrebbe mai alzato la voce verso una donna –
dopodiché, senza dire nulla al suo padrone,
chiamò la ditta di ceramiche per procurarsi un corredo
identico a quello rotto dalla goffa cameriera dai capelli fucsia e
dagli occhialoni che, come tutti sapevano, aveva una cotta portentosa
per il bellissimo maggiordomo dai capelli neri come la pece e gli occhi
rossi come il sangue.
Quando Sebastian accompagnava Ciel a fare le sue commissioni per la
famiglia reale (perché era solo in quelle occasioni che si
poteva vedere il cane da guardia della regina, così veniva
chiamato, in giro per Londra) riusciva sempre ad apparire come il
maggiordomo perfetto, un uomo freddo, distaccato ma garbato e galante
allo stesso tempo, ma nessuno avrebbe mai potuto immaginare che dietro
a quello sguardo magnetico e a quel portamento raffinato si nascondesse
un essere malvagio e spietato, un demone. Un mostro approfittatore che
lascia gli inferi dai quali proviene per stabilirsi sulla Terra in
cerca di una preda da indurre al peccato.
Ma a differenza di Sebastian, molti altri demoni detestano vivere sulla
terra dei vivi e amano starsene tranquilli nell’oltretomba
dove le vittime condannate sono cibo perenne ed incessabile fonte di
forza.
Altri, invece, non amano stipulare patti con gli umani e si limitano ad
attirare la loro attenzione solamente per poterli uccidere e cibarsi
delle loro anime. Tuttavia, questa cosa è permessa solo a
determinati tipi di demoni, generalmente quelli a più
stretto contatto con Lui – pseudonimo di Satana
– i quali sono veramente pochi.
Tra questi fortunati esseri delle tenebre, c’era una giovane
ed affascinante demone dai lunghi capelli violacei e dagli ipnotici
occhi fucsia che, si può dire, fosse la pupilla del re degli
inferi, la sua preferita, la prima della sua lista di consiglieri.
Lei era sempre ben vista da Lui, tantoché molti pensavano
che tra loro ci fosse del tenero, ma era assai improbabile che Satana
riuscisse a provare dei sentimenti così puri anche verso una
demone come Isabelle.
Già… Isabelle era il suo nome, datogli dal suo
stesso Signore, il quale lo adorava perché, secondo il suo
parere, le si addiceva molto.
Isabelle era bellissima, una donna molto più alta del
normale e con un’ammirazione senza precedenti nei confronti
del suo unico padrone, per questo Satana aveva molta considerazione
verso di lei.
Le permetteva di fare ciò che voleva, uccidere umani su
umani senza pietà, la amava per questo; amava la sua
spietatezza, la sua libertà, il suo mancato senso di colpa e
la capacità di non voltarsi mai indietro.
Ma la cosa che amava più di Isabelle era la sua corazza, la
sua maschera, il suo travestimento, quel velo di mistero che la
avvolgeva in ogni istante, un velo freddo, impenetrabile, glaciale.
Isabelle non mostrava mai cedimenti né tentazioni, era
costantemente riflessiva, all’erta ed aveva una sola regola:
obbedire sempre e solo a se stessa. Lei e Satana erano una cosa sola,
potevano leggere l’uno i pensieri dell’altra e
prendere decisioni solo con la complicità di uno sguardo.
Ma nessuno, nemmeno Lui, sarebbe stato capace di scatenare terrore
quanto lei, ed ogni volta che tornava a palazzo, prima di posarsi ai
piedi del suo signore, la domanda era la stessa:
-Quanti ne hai uccisi oggi?-
Sette… Nove… Dodici… Venti... Ogni
giorno, a seconda della voglia, uccideva un gran numero di umani e
questa cosa la rendeva temibile da tutti.
Anche quel giorno, quando varcò i cancelli
dell’inferno, sentì la solita voce nella sua
testa: “Lasciate ogni speranza, o voi che entrate”
e il suo subconscio rispondere:
“Per me si va nella città dolente, per me si va
nell’eterno dolore, per me si va tra la perduta
gente”.
Dante era stato lì quasi cinquecento anni prima, Isabelle lo
aveva incontrato, ma non gli aveva rivolto la parola, poiché
i Demoni sono riluttanti nei confronti della Divina Commedia dato che
il poeta aveva descritto Lucifero come un essere orripilante ed
eternamente incastrato nel ghiaccio, ma quando si erano incontrati,
Satana era come in quel momento: seduto sul suo trono fatto di ossa, di
sangue secco e di pelle umana, con i lunghi riccioli biondi a cadergli
sul volto e con due occhi di un macabro color perla che avrebbero
incantato perfino un angelo.
Dopotutto, Lui era stato un angelo, il più bello del
Paradiso, ed anche se aveva osato alzare lo sguardo per pura
curiosità, era stato sbattuto laggiù, a regnare
su una massa di angeli neri come lui. Questa era la sua teoria e anche
se molti pensavano che invece aveva voluto sfidare Dio, nessuno osava
ammetterlo. Sarebbe morto.
Isabelle attraversò l’antinferno,
dopodiché slittò sull’Acheronte e si
tuffò nel baratro infernale. Al suo passaggio, ad ogni
girone ed ad ogni bolgia, le anime dei dannati si scansavano ed
urlavano ed ogni volta, Isabelle tirava un sospiro di piacere.
Anche i morti la temevano. Questa era la sua vera fonte di forza.
Una volta giunta al termine del baratro iniziò a camminare a
passo lesto e dopo aver attraversato il lungo corridoio di ghiaccio si
ritrovò di fronte ad una porta senza serrature né
manici e con un semplice gesto della mano la aprì.
Continuò ad avanzare ed attraversò quella soglia
senza badare all’improvviso silenzio che prese il posto del
brusio di voci di poco prima dovute dai demoni che vivevano a corte,
sempre troppo presi a festeggiare e a lussureggiare e senza avere alcun
tipo di interesse per il mondo dei vivi. Lì erano al sicuro,
dal primo all’ultimo, e tra questi c’erano alcune
conoscenze di Isabelle.
Isabelle spostò lo sguardo da una persona
all’altra in quella sala, quando improvvisamente vide un bel
ragazzo dai capelli color cioccolato e gli occhi azzurri come il mare
che alzando il calice di cristallo che aveva in mano disse:
-Ehi, Isabelle! Quanti ne hai fatti fuori questa volta?-
-Cinque- rispose lei sorridendo.
-Solo cinque?- domandò il demone ridendo un poco.
-Cos’è successo?!-
-Non avevo fame- rispose secca.
Pian piano si era formata tra i demoni una fila libera, lasciando
spazio a sufficienza per permettere ad Isabelle di raggiungere il suo
padrone.
Si fermò, come ogni altra volta
s’inginocchiò e come ogni altra volta ancora Lui
la fece alzare e la invitò a sedersi sulle Sue gambe, come
un padre fa con la figlia.
Si scambiarono uno sguardo complice ed in quel momento tutti
incominciarono nuovamente a parlare, a danzare e a ridare vita alla
sala, quando Satana, senza voltarsi verso Isabelle, domandò:
-Come mai solo cinque?-
-Non avevo molto appetito- rispose, anche lei senza voltarsi a
guardarlo.
Lui rise. -Ultimamente non ti nutri molto. C’è
qualcosa che non va- disse secco.
-La vostra non sembra una domanda- osservò Isabelle.
-Infatti non lo è- ammise Lui voltandosi a guardarla e lei
fece lo stesso.
Lui sorrideva, lei no, era seria e lo guardava come per trasmettergli
fermezza.
-Lo sai che con me puoi stare tranquilla. Puoi parlare di qualunque
cosa- la voce di Satana si fece più sensuale.
-Ed io non ho niente da dirvi- ammise ferma lanciandogli uno sguardo
severo.
Entrambi, a quel punto, si girarono a guardare la sala, ma dopo qualche
secondo Lui, senza voltarsi disse con tono indifferente:
-Ti avevo detto di smetterla di darmi del voi. Mi innervosisce-
-Non posso smettere, mio signore. Io sono come tutti gli altri. Non
sono speciale-
-Oh, sì che lo sei…- e dicendolo
attirò la sua attenzione.
Dopo che lei si voltò anche Lui lo fece e posandola
dolcemente sul trono lui si alzò e le porse la mano
invitandola a seguirlo.
Probabilmente qualcuno si accorse che se ne stavano andando, ma Satana
ed Isabelle non vi badarono ed iniziarono ad incamminarsi per un lungo
corridoio deserto illuminato solamente da qualche fiamma qua e
là.
Ma i demoni non hanno bisogno della luce per vedere…
Arrivarono lentamente davanti ad una porta e dopo averla aperta, Lui la
fece entrare in una camera da letto accompagnandola di fronte a
sé con la mano ancora stretta in quella di lei, che dopo
essersi voltata si ritrovò il suo padrone a qualche
centimetro di distanza che, respirando lievemente, apriva la bocca e la
posava dolcemente sulla sua.
Isabelle non oppose resistenza e lasciò che il suo signore
facesse scivolare le labbra sulle sue, dando vita ad un bacio che di
per sé non emanava amore, ma solo desiderio.
Il bacio s’intensificò, così tanto da
permettere a Satana di far scivolare le braccia sul corpo di Isabelle,
ma quando arrivarono alla schiena, intenzionate a sciogliere il
vestito, lei lo fermò e si allontanò, mordendosi
le labbra e senza abbassare lo sguardo.
-Ci sarà mai una volta in cui cederai?- domandò
lui divertito.
-Non mi spingerò oltre. E voi lo sapete- e se ne
andò.