“La stazione e il drago”
Zampetta il piccolino,
mano nella mano
di una mamma un po' distratta
il cui pensiero è un po' lontano.
Lieto il sogno d'un bambino,
delirante fantasia
di chi è ancora piccolino,
non comprende come sia
la follia di questo mondo.
Leva il muso verso l'alto,
controllando, in lontananza,
se il colore del suo cielo
è sempre azzurro oppure cambia.
Con quel passo ancora goffo
segue a stento il marciapiede,
mentre cerca d'avanzare
- ma qualcosa lo trattiene.
Leva il dito verso l'alto:
Una chiazza rossa in cielo.
Sembra esplodere dal nulla,
non ha dubbi quando urla:
“Mamma, un drago!”, e lei si volta
mentre un vento di deserto
avvolge tutto, e nulla molla.
E li investe quel rumore
d'un grido soffocato:
un boato disumano
ed un caldo senza fiato.
Leva il dito verso l'alto:
ed il cielo ormai è rosso,
in un nugulo scarlatto
di fuoco e di fumera
ch'entro breve si fa nera.
Piove cenere, lontano.
E le fiamme come torri
che si addossano alle case
non dan spazio per pensare,
ma soltanto per tremare.
Il bambino è lì impalato,
ed osserva, esterrefatto,
quel che crede l'operato
d'un enorme drago alato.
E lo cerca con lo sguardo,
mentre mamma lo strattona,
mentre il fumo denso sale e
la stazione si divora.
Lieto il sogno d'un bambino,
delirante fantasia,
di chi è ancora piccolino,
non comprende come sia
la realtà d'un fatto assurdo:
d'un vagone ch'era esploso,
di una morte sì istantanea
per le fiamme come lava.
Piange mamma di terrore,
ma lui osserva divertito,
sperando di vedere
la realtà d'un vecchio mito.
Lieto il sogno d'un bambino,
delirante fantasia,
di chi è ancora piccolino,
non comprende come sia
la realtà di questo mondo:
incidente non fortuito,
una morte lenta e grama
per le fiamme come lava.
E giura ancora che l'ha visto,
quel dragone color pece,
turbinare fra le vampe
[dell'incendio del suo dolo,
elevarsi infine in volo.
Lieto il sogno d'un bambino,
delirante fantasia,
di chi è ancora piccolino,
non comprende come sia
che bastava solo l'uomo
per far fare tanto fuoco
ad un treno che passava
e che poi, per niente, è esploso.
Di Viareggio canto il male,
non d'un drago, non di mito,
o di fiamme leggendarie:
ma di come noncuranza
di chi deve ma non suole
alla fine fu mattanza
di trentadue persone.
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Dedico questa stupidaggine, che però ho fatto con tutto il cuore (anche se so che è una stupidaggine e che non li aiuterà), alle vittime di Viterbo, dell'Aquila (e di quanti ancora stanno vivendo in condizioni assurde), ai morti del Vajont, ai morti sul lavoro e via dicendo.
Poiché essi non sono stati uccise dalla natura, ma assassinati da uomini, ch'hanno deciso che il Denaro era più importante della sicurezza dei loro simili.