Telephone
“Non
voglio protestare per il fatto che Takumi sia sempre così
impegnato.
Semmai a ferirmi è il fatto che, quando è troppo
occupato per vedermi, sembra non sentire minimamente la mia
mancanza.”
(Nana
C. nr 19)
- Senti, Nana...-
Takumi cominciava sempre così quando doveva dire qualcosa che, sapeva, lo avrebbe messo in difficoltà.
Non aveva mai perso quell'abitudine -era l'unica cosa che mi permetteva di capirlo.
Anche al telefono, dopo anni, potevo immaginare la sua espressione un po' cupa, chino su chissà quali scartoffie.
Strinsi appena la presa sulla cornetta e mi feci forza.
Aveva chiamato mentre Satsuki era a scuola, avevamo parlato per più tempo del solito e stranamente non mi aveva ancora liquidato con un “sono occupato ora”, oppure “devo andare”.
Takumi lavorava troppo. L'aveva sempre fatto, ma ora che non aveva più nulla per cui lavorare davvero gli diventava sempre più difficile buttarsi anima e corpo nei suoi progetti.
Takumi era felice col lavoro e Reira era tutto ciò che gli serviva.
Razionalmente lo capivo.
Ma capivo anche che, se c'era qualcosa in grado di distrarlo, ero io. Io, i bambini, una casa in cui tornare.
- Ci sei ancora?-
Mi accorsi stupita di non aver risposto, attendendo che continuasse, dando per scontato che lui mi vedesse.
- Sì, certo. Dimmi.-
Silenzio. Lo sentii prendere fiato e mi sembrò vicino, non dall'altra parte del mondo.
Takumi, seppur lontano, era sempre lui e mi stava parlando e io lo stavo ascoltando. L'anello di diamanti brillava ancora al mio dito indice.
- Mi manchi.-
Sorrisi fra me e me, certa che lui riuscisse a indovinarlo. Non sapevo se fosse vero o se si sentisse in colpa per le chiamate sempre più sporadiche, per le assenze o magari per gli errori del passato.
Non mi importava.
A me lui non mancava, non più di quanto mi mancasse Nana. Perché avevo Satsuki, una parte di lui che era sempre con me.
Non feci in tempo a dirgli nulla, a ribattere.
Il telefono squillava già a vuoto.
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