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Autore: formerly_known_as_A    16/07/2010    2 recensioni
Le mie mani ultimamente non fanno ciò che ordino loro. E questo mi irrita. Un po' forse mi spaventa. Perché le mie mani agiscono per conto loro? Di cosa devono vendicarsi?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bielorussia/Natalia Arlovskaya, Polonia/Feliks Łukasiewicz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le mie mani ultimamente non fanno ciò che ordino loro. E questo mi irrita. Un po' forse mi spaventa. Perché le mie mani agiscono per conto loro? Di cosa devono vendicarsi?



Sabato scorso, per esempio, faceva molto caldo e non sapevo come passare le ore infinite di una giornata troppo calda per i miei gusti. Ho pensato e ripensato a cosa fare, ma Ivan era fuori per un viaggio di lavoro -lo è tutt'ora, dannazione- e non sapevo proprio come passare il tempo. La mia unica attività mi era preclusa.

Non sopporto quando non posso seguire ovunque mio fratello, mi rende nervosa, mi fa fare strani pensieri. Pensieri che parlano di solitudine e vuoto.

Dicevo che stavo sul divano a mangiare gelato alla stracciatella, con il cucchiaio grande, annoiata e sgambettante e non c'era nulla in televisione.

Qualcuno ha osato bussare e, per mia grande disperazione, era l'unica persona che mi viene a trovare: Toris. Ha balbettato qualcosa sulla mia solitudine, sul fatto che debba farmi degli amici e di questo suo amico che voleva presentarmi.

Il suo amico era lì, nel corridoio e l'ho guardato tra due cucchiaiate di gelato.

Poi ho chiuso la porta con un piede.



Le mie mani, che tenevano la confezione di gelato, hanno cominciato a tremare. Mi è sfuggito un sospiro. Chissà perché, ho detto, sembro quasi felice.

Probabilmente, ho pensato, ho mangiato troppi zuccheri.

Mi sono seduta sul divano e mi sono spruzzata la panna montata in gola.





Lunedì ho incontrato questo amico di Toris in giardino. Dormiva sotto un albero e mi ricordava davvero qualcuno. Mi sono seduta accanto a lui, tentando di ricordarmi dove l'avessi visto e mi è tornato in mente che forse Toris me l'aveva presentato. Ovviamente, me l'aveva presentato Sabato!

Ma forse mi sbagliavo, era un ricordo come di una vita precedente, un ricordo felice. Annebbiato, ma incredibilmente bello.

Ma comunque il signor Sabato -non ricordavo il suo nome- dormiva sotto il mio albero così profondamente che era quasi un peccato svegliarlo. Era carino, un tipo di carino che non piace a me, che piace alla gente comune. Io trovo carini i grizzly, la gente comune non ne capisce la dolcezza.

Il signor Sabato somiglia ad un angelo: è biondo, ma non come me, il suo è il tipico biondo dorato, il mio il biondo pallido di chi non vede mai la luce del sole. Il suo è grano.



Le mie mani si sono mosse da sole e l'hanno sfiorato nel sonno. Io ucciderei chiunque mi tocchi nel sonno. Ma nessuno si sogna mai di toccarmi nel sonno, perché per il mondo sono crudele e meschina, folle.

Forse volevano sapere se i suoi capelli erano davvero come il grano. Invece no, erano morbidi, veramente morbidi. Passare le dita tra i suoi capelli era piacevole.

Sono fuggita in casa anche se le mie dita non lo volevano. Ho aperto la marmellata di arance e l'ho mangiata. Con il cucchiaio grande, come sempre.

Aveva un gusto agrodolce.





Mercoledì ho scoperto una possibile complicità dei miei occhi in questa faccenda. Li ho scoperti mentre fissavano le mie dita. Quasi sentivo lo stesso sentimento che avevo provato all'ombra di quell'albero. Però Lunedì era lontano. Il signor Sabato e i suoi capelli non erano lì.

Ero triste.





Giovedì sono tornata all'albero per usare l'altalena. Mi ci sono seduta sopra, senza andare troppo in alto, semplicemente incastrandomi nel pneumatico da trattore e muovendo le gambe.

Fissavo il punto in cui aveva dormito il signor Sabato e riflettevo. L'erba non sembrava schiacciata, nulla era cambiato da prima che dormisse lì, ma stavo fissando quel punto lo stesso. Stavo fissando quel punto come se fosse importante.

Sono scesa dall'altalena e mi sono inginocchiata di nuovo accanto a quel mucchio d'erba identico a tutto il resto del prato. L'ho osservato da vicino, ma in nulla era diverso. Eppure aveva la mia attenzione.

Mi ci sono rannicchiata accanto, sdraiata sull'erba anonima, guardavo quel verde speciale e sentivo una strana fitta al cuore.



La mia mano sinistra si è mossa da sola e si è appoggiata quasi con religioso rispetto su quella parte fresca e speciale del manto erboso. La fitta è rimasta e dai miei occhi hanno cominciato a sgorgare le lacrime.

Mi sentivo così male che avrei voluto solo morire.





Fino a Sabato sono tornata sull'altalena, senza avvicinarmi a quello spazio sacro. Non volevo piangere, eppure, prima o dopo, ripensandoci, quella fitta tornava, intensa, come uno squarcio nel petto. Ma non piangevo.

Ciao, Natalia, tipo che è una sorpresa vederti qui!”

Voltandomi, mi ci era voluto poco per collegare quella voce al signor Sabato. Eccolo, sorridente e sempre biondo, che senza tanti complimenti si sedeva sotto l'albero, sotto il mio sguardo. Era tornata la fitta, ma quella volta... Diversa.

Non avevo risposto. Non era mia abitudine rispondere. Era raro che mi si chiedesse qualcosa.

Mentre lo fissavo, non diceva nulla, si era appoggiato all'albero ad occhi chiusi e probabilmente si stava addormentando, quando anche la mia voce mi ha tradita.

Come ti chiami?” ha chiesto, l'infame, facendogli subito aprire gli occhi. Dietro ai suoi occhi c'è un mondo. E c'è tanto dolore. Sono verdi, verdi come quelli di Toris, ma hanno una forma diversa, come quelli di un gatto.

Mi piacciono i gatti, sono come grizzly in miniatura.

Come vuoi che mi chiami?” mi ha risposto il signor Sabato, con un sorriso.

Signor Sabato.” mi ha tradito la solita infame. Ho guardato fissa nei cespugli, per non guardarlo ancora. Ma lui ha riso. “Ok, allora sono il Signor Sabato, Natalka.”



La mia mano ha stretto la sua, tesa. E' stata una strana sensazione, attraverso i guanti. Ma sembrava caldo e morbido. La stretta è durata poco, il tempo di intensificare il dolore al petto e sono tornata sulla mia altalena.

Le mie mani hanno tormentato i miei capelli, mentre non smettevo di ascoltare ciò che aveva da dirmi. Cose assurde, a volte davvero fuori dal mondo. Ma le stava raccontando a me. Avevo caldo e male al petto, mentre mi abituavo al suono della sua voce, al suo accento bizzarro, al suo gesticolare convulso.

Quando sono tornata in camera, quella sera, i miei lunghi capelli erano pieni di nodi.

Però ero talmente felice che avrei voluto urlarlo.





E' di nuovo Sabato. Le mie mani sembrano impazzite, mentre si intrecciano tra di loro e tra le corde dell'altalena. Sono nervosa. Ho paura. Le corde che stritolano le mie dita mi fanno sentire viva. Fa meno male di quello che provo al petto.

Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo. Non so se verrà, oggi. Per una settimana l'ho incontrato di sfuggita, incapace di rivolgergli la parola se non eravamo completamente soli.

Non sono le mani ad aver preso vita. Tutto il mio corpo sembra impazzito, davanti al Signor Sabato. La mia gola secca, le mani che tormentano i capelli, che tremano... Tutto insieme è insopportabile.

Sono qui, ferma, incapace di muovermi senza crollare a terra, da ore. Mi sembrano quasi giorni da quanto mi pesano. Sono peggio delle ore trascorse nella noia, ad aspettare che una giornata passi.

Ho il terrore che non mi rivolga più la parola. E' un sentimento semplice, eppure è terribile, mi toglie l'aria, mi pesa sui polmoni come un macigno. Semplice, ma quasi letale.

Natalka!”

Il mio cuore sembra semplicemente esplodere dentro al petto, mentre mi volto e tento di non sorridere. Lui invece sorride, radioso. “Mi aspetti da tanto?”

Mi si avvicina ed aspetto pazientemente che si sieda nel solito posto e cominci a parlare. Realizzo solo in quell'istante che ho bisogno di sentire la sua voce da almeno una settimana. Ho bisogno semplicemente di questo: una frase, una memoria, qualsiasi cosa pronunci andrà bene.

Invece sta in piedi davanti a me, con le mani in tasca. Forse anche le sue mani sono impazzite come le mie. Forse si tratta di un'epidemia. Mani folli. Sì, potrebbe anche essere una spiegazione plausibile.

Ma come spiegare il dolore al petto? Come spiegare l'attesa bruciante? Come spiegare il piccolo sorriso che mi è appena comparso sulle labbra? Tutti sintomi di questa strana malattia?

Tipo che pensavo... Sarebbe troppo totalmente togo andare a fare una passeggiata dalle parti del lago, no?” inizia, guardando l'albero dietro di me con interesse. “Io e te. Soli. E che gli altri ciupino le loro questioni diplomatiche, sai?”

Si volte verso di me, mi vede muta ed immobile e scuote la testa. “Scusami, tipo che non avrei dovuto, ti lascio in pace.” sussurra, dandomi le spalle ed incamminandosi... ovunque e lontano da me.



Le mie mani agiscono di nuovo da sole, magicamente. Le vedo allungarsi ed afferrarlo per la camicia. Lui si ferma, ma non so cosa dirgli, quindi lo lascio. Rimango immobile ad un metro da lui, dritta come un fuso, con milioni di pensieri che mi dicono cosa non fare e neppure uno che mi suggerisce ciò che sarebbe giusto.

Le mie mani sono vuote. Le guardo e sono tristemente vuote. Come me prima del Signor Sabato. Prima che mi riempisse di parole, di gesti. Prima che mi facesse sorridere.

Forse esiste una cura per quella malattia delle mani. Forse mi basterebbe solo riempirle di qualcosa.

La sua mano destra è vuota, abbandonata sul suo fianco. E io volontariamente la prendo tra le mie. Ha un sussulto, volto lo sguardo per non fissare la sua espressione. Ho paura.

Come ti chiami, Signor Sabato?” chiedo, guardando l'albero con interesse.

Feliks.”

Mi volto finalmente a guardarlo: sta sorridendo e anche i suoi occhi sorridono con tutto il suo viso. Ripeto il suo nome, come se lo riconoscessi. Il suo nome ha un'eco lontana, che parla di sentimenti che credevo perduti. Il suo nome mi piace.

Il suo nome porta felicità.

   
 
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