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Autore: cartacciabianca    19/07/2010    4 recensioni
L’attivazione del Frutto dell’Eden durante e dopo lo scontro finale ha cosparso Masyaf di una maledizione. Avvenimenti insoliti turbano la quiete della sua gente. Altaїr e Malik, imbrigliato il governo della cittadina, si troveranno ad affrontare le stranezze di una città caduta nelle polveri del tempo e sprofondata nelle paludi della deficienza. Non sono concesse debolezze: il popolo ha bisogno di loro, ma ignorare i propri istinti diventa impossibile quando si ha più bisogno l’uno dell’altro. Un misterioso battaglione armato sta razziando le terre attorno alla roccaforte e minaccia di circondare la base dell’Ordine degli Assassini. Che siano nuovi Templari? Pronti a riaprire vecchie ferite e disposti a sgozzare innocenti pur di annientare una volta per tutte i loro epocali avversari? Oppure è qualcosa di molto più grande dei Templari stessi? Magari una forza sovrannaturale che ha cosparso germogli di guerra e si presenta come la reincarnazione della Potenza Divina...
Per scampare alla morsa della pazzia e risolvere questo mistero, i nostri assassini dovranno tenere a mente due cose soltanto: che niente è reale e che tutto è lecito.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad , Malik Al-Sayf
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Attenzione!
Capitolo altamente non-sense (senza senso…).
Istruzioni per l’uso: evitare la lettura per menti fragili o facilmente influenzabili da istinti omicidi. Insultare la scrittrice al concludersi della consultazione, al fine educativo di evitare che la cosa si ripeti.
Grazie per l'attenzione.




V




Il silenzio della valle era rotto dallo scalpiccio degli zoccoli ferrati. I tre cavalli apparvero nella gola, al galoppo, mentre inseguivano l’ombra di un’aquila che vegliava sul loro cammino dall’alto. Il suo grido s’infranse sulle pareti screpolate dai venti e tuonò sino all’orizzonte, dove la boscaglia arida e mediterranea scompariva inghiottita dalla cavità rocciosa sotto ai raggi del sole estivo.
Malik aveva detto “voglio vederti in sella prima del mezzogiorno”; per attraversare tutta la valle e giungere sui confini dei territori degli Assassini ci sarebbe voluta qualche ora. L’andatura dei cavalli era quella che era e non potevano certo rischiare di stremarli ancor prima di concludere i patti. Cosa ne sarebbe stato di loro se fossero stati costretti a fuggire e i mezzi a corto di energie? Sotto quel sole bollente, che insabbiava la terra e arroventava la pietra sul cammino, Altaїr malediceva le parole di Malik venute fuori dalle sue labbra, immaginando l’investitura ad ambasciatore come una sorta di punizione. Ma cosa aveva fatto per meritarsi tanto… disprezzo? Forse continuare a tormentarsi sugli atteggiamenti insoliti del suo compagno avrebbe finito per distrarlo e Altaїr non poteva permetterselo; più precisamente, non poteva permettersi di regalare a Malik un altro fallimento e qualche buon pretesto per deriderlo ancora.
Alle sue spalle Khalid e Maher, in quest’ordine, procedevano ad un galoppo sostenuto, rispettivamente in sella ad un baio e un pezzato grigio. Il nero stallone di Altaїr era forse, tra le tre, la bestia che soffriva di più.
La caluria dipingeva goccioline di sudore sulla loro fronti; un bavero davanti alla bocca impediva alla polvere sollevata dagli zoccoli d’impastare la lingua o intasare il respiro. Sarebbe sembrato di galoppare nel deserto, se qua e là non avesse fatto la sua comparsa qualche cespuglio di sempreverdi bruciate dal sole o un ulivo che metteva i frutti acerbi tra le piccole foglie. Il cielo azzurro era sgombro di nuvole, il caro sole si prendeva gioco delle loro ombre, divertendosi a modellarle nelle forme più bizzarre una volta contro le strette pareti della cavità rocciosa, una volta tra gli arbusti di una felce, una volta semplicemente distesa sulla terra infuocata.
Gli sbuffi dei cavalli si confondevano ai gemiti d’insofferenza dei rispettivi cavalieri; gli occhi incollati sul sentiero da percorrere e l’andatura costante erano una danza ipnotica, un insieme di costanti che addormentavano i sensi; se poi ci si metteva anche il sibilo di un serpente a sonagli nascosto tra le felci, ecco che a quella si aggiungeva una nuova melodia assuefante. L’aria diventava irrespirabile e il richiamo dell’aquila pareva la supplica di un avvoltoio che insegue le sue prede.
Altaїr aveva imparato ad ignorare gli agenti atmosferici: camminare per giorni sotto la pioggia, scalare le vette delle montagne più fredde o arrancare intere settimane nelle tempeste di sabbia più violente avevano formato il suo fisico come parte stessa delle intemperie. La natura l’aveva plasmato fin da bambino, il destino l’aveva affibbiato ad una setta incline al sacrificio quanto al bisogno di dissetare la mente col sangue. Sopportare il caldo e il freddo, il vento e la pioggia, la neve e la grandine non era nulla in confronto al tremore delle mani di un primo omicidio; ecco perché accanto al naturale insegnamento di vita, la setta insisteva con l’imprimervi affianco quello di morte.
Le correnti dell’oceano che trascinano due volte indietro la tua barca quando tu arranchi di una, insegnano a non smarrire la speranza.
E dove c’è speranza, c’è vita.
La guardia che ti corre incontro per piantarti la spada nella carne, lasciandoti assaporare il tuo sangue, t’insegna a non smarrire la fede.
E dove c’è fede, c’è morte…

“Maestro!” un fanciullo dagli occhi scuri alzò la mano di colpo. Il cappuccio, per il gesto affrettato, gli ricadde sulle spalle. Un bambino che aveva la metà dei suoi anni, vedendo gli altri attorno ridere di lui, gli rialzò il copricapo sulla testa con la premura di una madre, anche se in modo un po’ goffo.
Il vecchio Mualim, che sedeva a terra in mezzo al cerchio di ragazzi, acconsentì la sua richiesta con un cenno del capo. L’intero viso era nascosto dall’ombra del cappuccio verde smeraldo, unico colore a troneggiare in quel tripudio di bianco candido che erano le tuniche degli scolari.
“Maestro, perché dite che avere fede è come morire?” chiese quello. “Avere fede non dovrebbe significare poter vivere e continuare a vivere, anche dopo la morte stessa?” aggiunse oltremodo con tono saputello.
Nel gruppo girarono i primi brusii.
Al Mualim rimase composto nell’erba, ma non rispose subito o direttamente. Piuttosto, sorridendo, decise di cedere il fardello della parola ad un ragazzo del quale mai si era udita la voce, fino ad allora. Il fanciullo prescelto era inginocchiato e un po’ curvo, in tutt’altro luogo con le orecchie che il cappuccio molto calato sul volto nascondeva. Le vesti da novizio lo identificavano tale assieme ai suoi confratelli attorno.
“Altaїr” chiamò Al Mualim. Il ragazzo aveva lo sguardo assorto nel terreno e, quando sentì pronunciare il suo nome, irrigidì le spalle. “Perché non condividi con Malik e i tutti i tuoi compagni quello che ti ho detto alcune sere fa?”.
Il silenzio si fece pesante. Era la prima volta che Al Mualim interpellava il misterioso figlio di nessuno, o almeno, era la prima volta che lo faceva in pubblico stante.
Kadar si arpionò con le unghie delle dita piccole e sottili alla manica del fratello maggiore. Malik era una maschera di serietà e imbarazzo assieme; non sapeva se temere cosa ne sarebbe stato della sua domanda o il fatto di aver scomodato sia il Maestro sia quello strano ragazzo.
Altaїr, senza alzare il mento dal petto e immobile come una statua di marmo, ridusse gli occhi a due fessure. Per qualche interminabile istante nel giardino non si udì altro che il fruscio del vento primaverile che soffiava tra gli alberi e sulle loro tuniche bianche, giocando a rincorrere una coppia di rondini cinguettanti.
“Altaїr” lo chiamò un ragazzo dall’altra parte del cerchio. “Il Maestro ti ha fatto una domanda. Rispondi” gli ordinò. Era di qualche anno più grande, perciò poteva permettersi una sorta di rimprovero, ma Al Mualim non tollerò comunque il suo intervento e lo fece rigar dritto con un impercettibile tremore dell’occhio felino solcato dalla cicatrice.
Era vero: Altaїr non aveva mai parlato. Alle volte i suoi compagni interpretavano il suo silenzio come una ribellione, dovuta al fatto che il giovane assassino si sentiva prigioniero della setta piuttosto che suo fedele sottomesso. E non avevano tutti i torti. Era stato quel pensiero a far nascere tra lui ed Al Mualim il discorso della “fede” in senso di complicità, lealtà e fiducia in un fine o entità superiore.
Lo stupore di quando i suoi compagni udirono la sua voce fu pari a quello della vittoria di Davide sul gladiatore Golia.
“La vita è una lunga e buia galleria. Poniamo la fede in ciò che crediamo di conoscere. La fede accende una candela e a noi non resta che seguirla. Ma dove conduca o quanto ancora resti da percorrere nessuno lo sa. L’uomo trascorre la sua esistenza sperando di raggiungere qualcosa che, al momento della separazione dell’anima dal corpo, compensi quella mancanza. La morte è la fine della galleria. La candela non ci serve più, la fede non ci serve più. La fede è la morte.”
Concluso il discorso, non passarono che pochi secondi prima di una nuova domanda:
“Ma il Salto della Fede che mio padre ha fatto la scorsa stagione cosa c’entra con la morte?” chiese un ragazzo.
Al Mualim accennò un sorriso, compiaciuto dell’eccellente risposta, ma non aggiunse niente né al suo né agli interventi che vennero dopo.
Altaїr tornò a rinchiudersi nel suo mutismo con le spalle curve, mentre Al Mualim congedava i ragazzi invitandoli a farsi una bella nuotata nel lago a valle. Quelli, rispettosamente e non come ci si sarebbe aspettato da una mandria di ragazzini, s’inchinarono uno per volta e lasciarono i giardini della Fortezza.
Ultimo ad alzarsi dal prato fu Malik, preceduto dal fratellino che gli tirò la manica lamentandosi di avere caldo e anche un po’ sete. Il maggiore lo azzittì e lo mandò via, scorbutico, dicendo che lo avrebbe raggiunto più tardi. Kadar trottò fuori dal giardino. Il vecchio Maestro, rimasto ad osservare la scena da sotto il cancello, gli posò entrambe le mani sulle spalle e lo accompagnò fin nel salone della Fortezza, dove lo affidò ad un assassino più grande per il tragitto dalla cittadella al lago.
Nel frattempo Malik si avvicinò alla figura inginocchiata nell’erba di Altaїr, che non si era mosso per tutto il tempo. Se il vento non gli avesse scomposto i lembi della veste da novizio, si sarebbe potuto dire di lui una statua davvero. Il mento affondato nel petto, i pugni stretti sulle cosce, gli occhi chiusi. Stava pregando o piangendo? Si chiese Malik avvicinandosi ancora. O magari si tratteneva a stento dallo strozzarlo? Forse la sua pidocchiosa domanda lo aveva infastidito, o forse aveva semplicemente voglia di ammazzare qualcuno, come ce l’avevano tutti lì dentro.
“Hai una bella voce” disse il giovane falco con le braccia lungo i fianchi. Sembrava tranquillo, ma un qualsiasi occhio ben attento avrebbe potuto notare l’indice della mano sinistra che grattava nervosamente l’unghia del pollice. “Non capisco perché te ne vergogni tanto” concluse con un timido sorriso.
Silenzio, ma un impercettibile tremore dei gomiti tradì l’interpellato.
Malik si morse la lingua. Cos’altro aveva sbagliato? Il complimento era sincero e sapeva che Altaїr l’aveva capito. Non poteva essere realmente entrato in uno stato di trans come dava a vedere. Ci sentiva benissimo, forse anche meglio di lui, che stava cominciando ad innervosirsi sul serio: adesso nemmeno otteneva risposta! Tanto la sua voce ormai l’avevano sentita tutti quanti… perché quel ragazzo si ostinava a volerla tenere solo per sé?
Malik s’inginocchiò di fronte a lui. Altaїr sobbalzò appena, ma non staccò gli occhi da terra e il mento dal petto. Affondò le unghie nel palmi così forte da farseli sanguinare.
“Ehi, ti ricordi almeno come si respira?” domandò Malik allegro quel tanto da far distendere la cicatrice sulle labbra sottili dell’aquilotto.
Il falco sorrise a sua volta. Forse adesso gli avrebbe parlato da persona normale. Ma prima che potesse aggiungere qualche altro commento divertente, l’aquila tornò al suo volto di pietra e spiegò le ali, scegliendo di cambiare aria.
Alzandosi dal prato in un fruscio del vento, Altaїr gli diede le spalle e abbandonò il giardino.
Malik guardò la sua ombra perdersi nella Fortezza, oltre il cancello, e rimase inginocchiato nell’erba esattamente come c’era stato il figlio di nessuno fino a pochi attimi prima.

-Maestro Altaїr- lo chiamò Khalid, sbuffando assieme al suo baio che batteva gli zoccoli sul terreno arido, sollevando la polvere. –Maestro Altaїr, siamo arrivati… penso-.
L’aquila abbandonò i ricordi all’improvviso, concentrandosi sullo spettacolo che si stagliava poco sotto di loro. Si erano posizionati su un’altura rocciosa che abbracciava buona parte della valle ancora da attraversare. I profili delle montagne si confondevano ai prati ingialliti dal sole. Le pietre scintillavano come argento in quella distesa di grano dorato dove, come tanti piccoli funghi selvatici, era sorto l’accampamento più strano che Altaїr avesse mai visto.
Da una parte, nel luogo in cui le onde del lago s’infrangevano sulla costa, era stato improvvisato un ponticciolo con tanto di quattro imbarcazioni ormeggiate. Le vele sbattevano ad un vento che non c’era, le croci argentate sul petto dei soldati dalle tuniche luccicavano come pietre preziose incastonate in un mosaico bianco/nero. Dall’altra, una trentina di tende di stoffa ospitavano il via vai di un formicaio nel pieno del lavoro. Non c’era il solito trambusto delle fucine, non c’era il rumore del metallo contro il metallo; voci e suoni di passi si mescolavano a quelli della natura, unica a regnare su quel paesaggio inconsistente… magico, anzi.
Altaїr fece impennare il suo cavallo mentre nitriva. Dietro l’ombra del cappuccio non tradiva emozione alcuna se non un interiore stupore.
-Sono loro- disse Maher accarezzando la criniera del suo maculato grigio. -Sono i saccheggiatori della mia città- aggiunse coi denti che si frantumavano per quanto stringeva la mascella.
-Calma, ragazzo- lo ammonì Altaїr. -Rammenterai che siamo qui per chiedere un’udienza pacifica. E quando saremo in quella tenda,- proseguì l’aquila senza staccare gli occhi da un campeggio in particolare, la più grande di tutte le tende, sormontata da una croce dorata, -ti converrà avere le mani in tasca- gli suggerì con un’occhiata.
Maher sbuffò fumo dal naso. –Terrò conti del consiglio.-
Altaїr accorciò le redini. -Fidati di me… per esperienza personale- concluse l’assassino; l’ultima delle sue intenzioni era ricordare a Malik la missione nel Tempio di Salomone.
Il gruppo iniziò la discesa nella valle.

Il bianco dei tendoni era accecante. Il sole vi si rifletteva come su uno specchio e conferiva all’ambiente un’atmosfera… paradisiaca.
I tre, vestiti di stracci a confronto col candore maniacale di quel bianco, raggiunsero a passo misurato quello che parve loro l’ingresso dell’accampamento, presieduto da quattro guardie. Smontarono da cavallo, ma nessuno, nemmeno mentre avanzavano sempre più vicini ai cancelli, venne loro incontro per domandare chi fossero e quali le intenzioni.
Altaїr, in testa al triangolo, avanzava spedito senza guardarsi alle spalle. Dietro di lui, ai lati, c’erano il furente Maher e il silenzioso Khalid, che si guardava attorno circospetto. Ad un tratto, muovendo i primi passi nell’accampamento vero e proprio, quel poco di rumore che c’era stato fino ad allora s’interruppe e l’intero presidio militare sembrò calare nel silenzio di un cimitero. La sola melodia era quella del vento che agitava i vessilli e le vele delle quattro barche ormeggiate sul porticciolo. I soldati li lasciavano passare, facendosi da parte e interrompendo le mansioni da svolgere voltandosi a guardarli attraversare l’accampamento. Al posto degli elmi indossavano una maschera che ne nascondeva il volto, ma le particolari vesti svelarono che tra loro c’erano anche delle donne. Altaїr osservò quanto poté e apprese tutto ciò che Malik, in caso non fosse stato il generale a parlargliene pacificamente, avrebbe voluto sapere sui misteriosi mercenari. Ora che ci faceva caso, però, tutto quell’argento e quell’oro sulle uniformi e sulle tende facevano pensare poco ad un gruppo di cavalieri erranti. Forse erano stati sufficienti a seminare scompiglio in un villaggio di contadini, ma non sarebbero mai bastati a sopraffare la Fortezza. Masyaf contava un centinaio di guardie; in quell’accampamento potevano esserci al massimo una cinquantina di persone, metà delle quali erano donne, e anche molto silenziose.
Dove la sabbia della spiaggia del lago non veniva inghiottita dalle acque del lago, sorgeva, arroccata sulla scogliera, la tenda del generale; la più grande e la più bella, per così dire, i cui decori ornamentali e colori non si limitavano al bianco/nero intarsiato d’argento, come nel resto dell’accampamento, ma variavano dai più prestigiosi arabeschi orientali alle raffigurazioni delle battaglie più sanguinose, ove il rosso porpora della linfa mortale era stato sostituito da fiumi di oro bianco e argento vetrato. Vi erano cucite, ed era bello ammirarle solo dall’esterno, creature leggendarie ed esseri mostruosi al tempo stesso; figure, quelle, che s’incastravano perfettamente le une alle altre; come il cielo e la terra, l’acqua e il fuoco, il bianco e il nero.
Altaїr cominciava a sospettare che fosse tutto solo un sogno, ma Maher, al suo fianco, gli teneva svegli i sensi pronti a scattare nel caso il ragazzo avesse ceduto alla tentazione di staccare la testa a chi l’aveva staccata a sua madre.
Due lanceri sull’ingresso della tenda aprirono loro uno spiraglio per passare, mostrando un interno tanto spazioso da ospitare quattro colossi africani dalle grandi orecchie e la piccola coda. Dal soffitto pendevano strani gingilli astronomici, le pareti erano tappezzate di scaffali colmi di libri e pergamene senza età. Oro e argento di bigotteria e ammennicoli vari, sparsi qua e là tra cuscini, un tavolo e un paio di sedie non minavano la tranquillità di quella che, invece della tenda di un generale di battaglia, pareva il rifugio di un qualche sciamano egiziano. A tradire un po’ la presenza di tanta cultura e sapienza, erano le due lame incrociate appese alla parete di fondo, di fronte ad un uomo in casacca bianca e nera che dava loro le spalle. Il lungo mantello si allargava sul pavimento, mostrando in bella vista la croce dorata di cui aveva parlato Maher.
-Vi aspettavo, Assassini-.
Altaїr portò istintivamente il braccio sinistro all’indietro, sgranchendosi le dita della mano che era pronta ad azionare il meccanismo della lama nascosta. Il palmo destro era mollemente adagiato lungo il fianco. Khalid, su quel lato dell’aquila, era pronto ad estrarre i pugnali dalla cintura. Guardando Maher, che a malapena sarebbe stato in grado d’impugnare una spada, Altaїr non seppe dire se tremava di paura o di rabbia repressa.
L’ingresso della tenda si richiuse alle loro spalle senza che vi entrasse nessun’altra guardia. L’uomo si voltò, mostrando il volto coperto da una maschera a dir poco inquietante. Una prima metà era dipinta di bianco e decorata d’oro: le labbra tese verso l’alto in un sorriso e le sopracciglia sollevate. Una seconda, dipinta in nero: un ghigno crudele e gli occhi arcigni.
Maher indietreggiò con un balzo. Altaїr non si lasciò intimorire dall’aspetto del generale armato che, sul petto ampio, aveva tanti pezzi di una prestigiosa armatura da far invidia ai fasti di Saladino. La croce dorata di cui avevano parlato Imad e Maher, da vicino, pareva tutt’altro che un vessillo Templare. Più che un Crocifisso, aveva l’aria di un geroglifico egizio. Ma Altaїr conosceva l’Egiziano male quanto il Fenicio e il greco arcaico, pertanto non sarebbe stato capace di stabilire la natura di quel simbolo. Forse, se ne avesse parlato con Malik, forse…
-Chi siete?!-.
Altaїr si era distratto giusto un attimo, ma questo aveva permesso a Maher di avanzare minacciosamente impugnando una piccola arma. La punta del pugnale tremava assieme a tutto il braccio. Le lacrime gli rigavano il volto.  –Perché avete saccheggiato la nostra terra?! Cosa volete?! Schiavi?! Donne?! Oro?! Mi sembra che ne abbiate già abbastanza!- gridò.
-Maher- Altaїr guardava il ragazzo con la coda dell’occhio, pesando soprattutto il modo in cui stava reagendo il generale. –Maher, torna qui. Ora- ordinò.
-Rispondimi, bastardo!- il giovane paesano ignorò del tutto il comando, continuando a rivolgersi al misterioso mascherato.
Altaїr non volle attendere oltre: prima che la situazione si compromettesse, diede ordine a Khalid d’immobilizzare il ragazzo. L’assassino afferrò Maher per il braccio e glielo contorse con un gesto fulmineo. Il ragazzo, con un gemito, perse la presa sul pugnale non appena sentì l’osso piegarsi come non avrebbe dovuto. Maher cadde in ginocchio sul tappeto che copriva il pavimento della tenda, ma Khalid sostò all’ordine di Altaїr di continuare a vigilare su di lui anche se innocuo.
-Quello che il mio confratello intendeva dire…-  cominciò l’aquila, respirando piano.
-Lascialo a me-.
Altaїr incontrò gli occhi scuri dell’uomo attraverso le fessure della maschera. –…Cosa?- chiese senza capire.
-Se la sua presenza t’infastidisce, Assassino, lascialo a me-.
Khalid aggrottò la fronte, scoccando un’occhiata al suo superiore, ma Altaїr era altrettanto colpito da quell’offerta. –Non…- esitò, ma si maledisse. –Non siamo qui per contrattare esseri umani-.
-Cosa resta di umano in chi è disposto ad uccidere un suo simile?- domandò con voce profetica il generale.
Maher soffocò un grido. –Allora il primo a non essere umano siete voi!-.
-Chi ha mai sostenuto il contrario?-.
Ad Altaїr vorticava vertiginosamente la testa; doveva chiudere quella conversazione prima di collassare. –Avete attaccato il villaggio di Al Quadmus e ora minacciate le nostre terre. Il mio Signore chiede chi siete, da dove venite e cosa cercate- disse di punto in bianco.
Il mascherato, che apparentemente era sembrato disarmato, estrasse dal mantello una lama sottile come un ago. –Lascio a voi, Assassini, il decidere del vostro destino-.
Altaїr strinse i denti. –In questo periodo siamo poco inclini a versare del sangue- ammise. –V’è possibilità di stabilire… un accordo?-.
-C’è altro di più importante che occupa la vostra mente, Assassino? Mi sembri… distratto- la parte allegra della sua maschera di beffava di lui con una risata malsana.
L’aquila strizzò gli occhi. Non aveva mai avuto a che fare con generali così poco abbienti alla loro mansione primaria. Piuttosto che un residuo di guerra, l’uomo che aveva di fronte sembrava un giullare di una qualche corte francese; le glorie dell’estremo oriente sull’armatura e sul volto ne abbellivano la natura inquietante. Sì, Altaїr era distratto da molti pensieri al di fuori del suo ruolo di ambasciatore.
Il desiderio di tornare a Masyaf, anche a mani vuote, e di stringere Malik tra le proprie braccia tornò a farsi più vivido. Il sapore della sua pelle che aveva assaggiato la notte scorsa tornò a mancargli sulla lingua, e il mogano dei suoi occhi che si scioglieva mentre lo possedeva fu…
-Rispondete alle mie domande!- eruppe Altaїr, spazientito.
Cosa gli stava succedendo?! D’un tratto qualcosa o qualcuna sembrava essere entrato nella sua mente rievocandogli simili emozioni! Poteva davvero essere il misterioso mascherato l’artefice di un nuovo desiderio di peccato?
L’uomo sembrò soddisfatto di se stesso; rinfoderò la sua lama sottilissima in un fodero quasi invisibile, nascosto tra le pieghe del mantello. –Sai chi siamo, Assassino, e sai benissimo cosa vogliamo e perché-.
-Perdonatemi, mio Signore, ma così offendete la mia ignoranza: di grazia, illuminatemi!-.
Il mascherato tacque a lungo e, come se lo avesse ordinato loro col pensiero, nella tenda fecero irruzione quattro armigeri che trascinarono a forza gli incappucciati fuori dai suoi appartamenti. Maher si alzò da terra con l’aiuto di Khaled, che non gli mollava il braccio nemmeno per far circolare il sangue. Quel ragazzino aveva messo a dura prova la pazienza di troppe persone assieme.
Altaїr prese quel gesto come diniego, ma quando il generale mascherato si ripresentò al loro cospetto, nel centro dell’accampamento e sotto l’attenzione di tutti i soldati, in una qualche strana maniera il discorso si riallacciò alle sue condizioni di partenza.
-Due giorni e due notti a partire dalla prossima luna. Questo è il tempo che vi diamo per assecondare la nostra richiesta e ridarci ciò che ci appartiene. La Conoscenza non è nata per essere prigioniera dell’uomo, e pertanto dovete restituircela. In caso contrario, sappiate che non ci saranno altre possibilità contrattare e questa sarà l’ultima volta che vedrete le nostre maschere, prima di battervi faccia a faccia con il collasso della vostra civiltà-.
Altaїr sentì bruciare la cicatrice sul labbro mentre le figure dei soldati bianchi e neri, come pedine degli scacchi, stringevano lui e i suoi compagni in un cerchio sempre più piccolo. L’aquila tentò di oltrepassare la barriera di corpi, ma appena sfiorò la spalla di un soldato, questi lo respinse come se Altaїr si fosse abbattuto contro un muro. Khalid fece la sua parte, mostrando la spada se necessario, ma nessuno degli armigeri sembrava in vena di lasciarli uscire da quella morsa. L’unica possibilità sarebbe stata librarsi in volo con un paio di ali proprio come faceva l’aquila sopra le loro teste.
Ma cosa diavolo vogliono ancora?! Altaїr strinse i denti, già pronto a mietere vittime con la lama nascosta. Forse il generale aveva qualcos’altro da dire prima di lasciarli andare, ma si era dissolto nel nulla prima che l’aquila si fosse potuto voltare a guardarlo.
Solo quando i tre assassini furono schiena a schiena, stretti a tal punto da non poter stendere le braccia, si decisero a sfoderare le armi.
Khalid fu il primo a trapassare la stoffa di un usbergo avversario, piantando la spada nel torace di quella che si presentò, gridando, come una donna.
Forse agire in quel modo avrebbe significato morte certa: erano tre…
L’aquila ci pensò un attimo.
Si corresse: erano due addestrati assassini e un pivellino con la rabbia contro una cinquantina di soldati; durante il travagliato cammino verso Arsuf, lui solo ne aveva sbaragliate forse il doppio, pur di arrivare ad infliggere il colpo di grazia a Roberto de Sable. Ma le circostanze erano diverse, il primo sangue era stato per lui, e il fine per la vittoria era sensato!
Quando la donna colpita da Khalid cadde in terra senza versare una goccia di sangue, dissolvendosi poi nella polvere, Altaїr ebbe la conferma di arrancare tutt’altro che nella realtà. Più di un dettaglio aveva tradito l’assurdità della situazione e solo ora un barlume leggerissimo si era acceso nella sua mente ancora troppo sconvolta. Ma per portare la sua conclusione a Malik, prima che fosse troppo tardi, doveva uscire vivo da quello che si prospettava un martirio.
Maher aveva impugnato mal fermo la sua lama corta, faticando a tenere il braccio alzato. La prima linea di armati era indietreggiata di qualche passo, ma non abbastanza da aprire spazio sufficiente per fuggire. Khalid stava per mietere un’altra guardia, ma l’aquila gli afferrò il gomito imprecando sotto voce di aspettare; ma aspettare cosa? Una reazione di qualsiasi genere, una risposta all’aggressione che tutti sembravano aver ignorato, a parte i tre incappucciati. L’avvertimento non era stato sufficiente; la donna colpita non solo si era dissolta in termini di materia, ma anche nelle menti dei suoi compagni, che sembravano averne ignorato e dimenticato in fretta la morte.
Basta, tutto questo è assurdo!
Il sudore freddo si accumulava sulle sue tempie senza che Altaїr sapesse come agire. Il sole alto nel centro esatto del cielo affondava, come artigli, i suoi raggi bollenti nelle vesti, riscaldando il corpo fino al limite della sopportazione. L’assassino non era lucido abbastanza per dettare ordini o semplicemente gesticolarne qualcuno. Stava lentamente perdendo coscienza; i sensi si affievolivano, la vista calava e così la presa delle dita sul gomito di Khalid che, dopo aver visto inginocchiarsi inerme il suo superiore, aveva cominciato ad affondare la spada nel primo soldato a tiro. Le guardie cadevano come fantocci ai suoi fianchi, mentre Altaїr era due ginocchia e un palmo per terra. La consistenza della sabbia bollente tra le dita era quasi fastidiosa quanto poteva esserlo ustionarsi al sole. Nel frattempo il suo unico accompagnatore capace mieteva vittime accompagnando il fruscio della lama nella carne con gemiti sommessi, trattenuti: anche lui stava cedendo.
I sensi si addormentavano: chiudere gli occhi, ormai inutili poiché una nebbiolina soffusa ne occultava la mansione, fu un gesto voluto dalla natura. Altaїr stava cadendo, cadendo come si cade nel sonno dopo essersi distesi a letto al fine di una giornata pregna di fatiche. Dalle labbra dischiuse, mentre sia Maher sia Khalid si accasciavano ai suoi fianchi lasciando cadere le armi, salì un’ultima supplica. La pietà era rivolta a chi avesse osato stregare o avvelenare lui e i suoi uomini in quel modo. Non poteva trattarsi d’altro, si disse l’aquila. Magia, veleno… non c’era differenza alcuna: era barare contro qualsiasi regola d’onore, e di onore se ne parlava tanto e poco allo stesso tempo.
Sentendosi mancare addirittura le forze di tenere alta la testa, col viso proteso verso lo stesso sole bastardo che gli aveva assopito la cognizione, Altaїr lasciò che il mento sprofondasse nel petto e le spalle s’incurvassero.
Il suo ultimo pensiero sensato, prima di abbracciare forse la morte o forse una semplice, amara e vile sconfitta, fu il seguente:
Se quella era davvero magia e se i loro fittizi nemici erano davvero capaci di padroneggiarla, chi lo raccontava a Malik che l’aquila aveva collezionato un altro fallimento?















.:Angolo d’Autrice:.
ATTENZIONE! Una promettente artista emergente col berretto rosso si è cimentata in una rappresentazione sensazionale del Malik di questa storia, onorandola con la sua bravura! *ç* Date un’occhiata voi stessi e preparatevi ad invidiare le doti con la tavoletta grafica di questa ragazza!
[The Scream of the Hawk by ilaEfra-chan on DeviantArt]


Quando ho cominciato questa storia, nelle note iniziali che esplicavano un po’ come si sarebbe evoluta la faccenda, ho dimenticato di aggiungere “alta presenza di flashback sull’infanzia di aquila e falco”. Spero che questa mia pallosa/profetica/filosofica (a seconda dei gusti…) interpretazione della fede non vi abbia… annoiati troppo, o peggio, sconvolti. Al momento del colloquio nel flashback, Altair e Malik li ho immaginati sui 12 anni circa. Il piccolo Kadar lo vedo un po’ come mio fratello, attualmente di sette anni e mezzo.

A parte il flash back, sarebbe da idioti pensare che non ci sia altro da “spiegare”.
Ecco, io sono idiota.
Lascio a voi la parola. Parolacce e insulti bene accetti, per il semplice fatto che io me ne sono detti tanti da sola da impastarmi la bocca! XD
La verità è che mi vergogno da morire di quello che ho scritto, ma un’altra verità dice anche che è l’unica cosa che scrivo da parecchio tempo… la famosa citazione “ispirazione bastarda torna da me” si unisce a quella “voglia di scrivere abbatti la pigrizia e non farti spaventare dal caldo!”. E che diavolo, noi comuni mortali patiamo quest’Inferno… be’, diciamo che c’è un po’ di autobiografico nel viaggio dei tre assassini verso l’accampamento dei soldati. Insomma, ho fatto delirare Altair un po’ come delirerebbe chiunque stando seduti su una sedia imbottita in una stanza quattro per quattro davanti a un monitor che sprizza energia! W l’estate!
Col cavolo!
Io odio l’estate. Non so voi, ma odio la sua nullafacenza, il doversi costruire da soli qualcosa da fare. Almeno personalmente la mia estate la passo così, trascinandomi sudaticcia da una stanza all’altra, arrancando e strisciando sul pavimento con la lingua di fuori; fantasia vagabonda che saltella da un disegno all’altro e l’ispirazione alla scrittura che va a farsi benedire…
Vabbe’, basta, cerchiamo di essere seri.
E’ stata proprio lei, l’artista di quel disegno, a farmi tornare la voglia di lavorare su questa storia, sperando ovviamente di non aver deluso nessuno… (almeno non troppo…). Perciò, un ringraziamento speciale a RebyEMiko. Subito dopo abbiamo dark dream, che ormai si sorbisce ufficialmente tutte le mie storie senza più riuscire a distinguerne una dall’altra (cosa che potrebbe succedere anche a me… speriamo che Elena non salti fuori all’improvviso O.O ). Tendo a ribadire che l’intera fan fiction è dedicata a tutti coloro che sostengono la causa “non dimentichiamoci di AC anche se è uscito AC II – e io aggiungerei Brotherhood”, ma con un riferimento speciale a PotterWatch, appena rientrata dalle vacanze e volenterosa di rimettersi al pari con le ultime novelle Ubisoft, al fine di deliziarci con le sue non fan fiction, ma profezie! *ç*
Si ringrazia anche Ama, RunaMagus (Dio, leggete la sua Bianca come il Peccato, è un ordine!) e Phantom G per aver aggiunto la storia alle seguite. ^^
Spero di ricevere presto vostri commenti :D oltre alla mela di Newton sulla testa per l’ispirazione!
Come direbbero i miei compagni del corso di matematica di recupero…
Bellaaaaaaaa! :D
   
 
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