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Autore: Feel Good Inc    19/07/2010    1 recensioni
Rosso al sangue, rosso alla morte! Venite a vedere tutti, signori miei, che la morte è rossa e non nera.
[ ... ] Scacco al re.

Spoiler sul finale dell'anime
{ Potenzialmente nonsense; Ciel centric; accenni SebastianCiel e CielElizabeth }
* A Fede. Perché sì. *
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Ciel Phantomhive
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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A Fede. Perché glielo devo. <3

 

So di averla già pubblicata all’interno della mia raccolta, Fede-chan, e so anche che tu stessa l’hai già letta e commentata, e ti ho già detto che non ti so esprimere a parole la mia gratitudine. Ma dal momento che non riusciamo mai a sentirci – dal momento che la mia posta elettronica è ancora kaputt – e che non so come altro chiederti scusa, la pubblico così, singolarmente, e la dedico a te. Perché te lo devo, di nuovo.

Ti voglio bene. <3

 

 

 

 

 

 

 

 

SPOILER sull’ultimo episodio dell’anime ~ Prompt: Childhood [15 hugs]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tra le macerie

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

« Farà male? »

« Sì… Un po’. Cercherò di essere il più delicato possibile… »

« No. Fa’ in modo che sia più doloroso che puoi. Scolpisci il dolore della mia esistenza nella mia anima. »

« Yes, my lord. »

 

 

Non era come si aspettava.

C’era buio, tutto intorno. Non era il buio tipico delle notti a Villa Phantomhive. Non era freddo e vuoto; questo era un buio vivo, un buio pronto a circondarlo e ad ingoiarlo senza neanche un rumore.

Eppure non era ancora il nulla.

Perché sono qui?

Percepiva con tutti i sensi la propria presenza, tangibile, in quel buco nero e caldo e pieno dell’odore della vita e non della morte. Un odore familiare. Cos’era… Fiori? Fiori di campo? No… Un giardino. Che strano.

E le voci, le voci. Le sentiva. Ma come poteva esserci qualcuno lì con lui? Quella era la sua fine.

La cosa più strana era che ridevano.

« Ciel, Ciel! »

Elizabeth?

« Ciel, sei troppo veloce! Non riesco a seguirti! »

« Sbrigati, Lizzie, sbrigati! È arrivata la zia Anne! »

Aveva visto e vissuto troppe cose irrazionali, in quegli ultimi due anni di non-vita, per sorprendersi anche di questa.

Il buio si popolò. Non erano immagini di sogni o di ricordi. Non erano fantasmi. Era tutto vero, atrocemente vero. Due bambini attraversarono di corsa l’oscurità davanti a lui, ridendo. Una era la sposa che non avrebbe mai avuto. L’altro era lui a sei anni.

« Sei troppo veloce, Ciel… »

« Ehi, Lizzie, guarda! »

Il suo piccolo sé si era fermato a guardarlo. Faceva davvero uno strano effetto guardare se stessi, soprattutto perché quello era un se stesso che non sarebbe tornato mai, che non sarebbe potuto tornare in alcun caso. Un se stesso i cui occhi avevano ancora lo stesso colore.

Una fitta di rimpianto inutile gli percorse il corpo – non puoi recuperarla quell’innocenza, Ciel Phantomhive, non puoi – e il buio tornò un mostro addormentato.

« Zia Anne, zia Anne! »

Una macchia di rosso nel nero profondo.

Una donna avanzò dalle ombre. Tra le sue braccia il bambino di poco prima. Ridevano insieme, sembravano felici. Così tanto.

Il suo sguardo vagò su quel viso a sua volta appartenente al perduto, sulla pelle bianca contrastante con i capelli, le labbra, l’abito di fuoco. Da lei si irradiava lo stesso odore di fiori che aveva già sentito. Rose, le stesse che gli aveva portato lui come ultimo saluto. Rose rosse per l’assassina – rosso al sangue, rosso alla morte! Venite a vedere tutti, signori miei, che la morte è rossa e non nera.

« Zia Anne, tu sai chi è quel ragazzo? »

Si voltarono entrambi a guardarlo. Il bambino curioso, la donna sorpresa.

Come potevano essere così reali? E soprattutto, cosa pensavano, mentre guardavano il suo essere muto e immobile spettatore della loro felicità?

Una nuova fitta, più lacerante – non puoi riaverlo quell’abbraccio, Ciel Phantomhive, non puoi – mentre quelle figure sparivano nel luccichio di una lunga lama dentellata, comparsa dal buio vivo e di nuovo morta in esso, accompagnata da una risata di squalo rosso anche lui.

« Continuate a combattere! Dobbiamo proteggere il signorino! »

« Finian, togliti di mezzo o colpirò te! »

« Non potete, non potete farlo, non potete prendere la villa! »

Altre immagini, altre persone. Tre sagome in guerra, non tra di loro ma per lui.

E lui vedeva, sentiva, annusava: era tutto vero. Tutto vero. Gli spari, le grida. La paura. Avevano paura, ma avevano un compito. Lo avrebbero portato a termine perché era il loro riscatto sulla vita, ed era la loro promessa fatta tra le macerie ad un maggiordomo nero, ed era la loro espiazione.

Il dolore stavolta si fece sentire più a lungo – non puoi ritrovarla quella lealtà, Ciel Phantomhive, non puoi – più penetrante. Cadde in ginocchio nel buio e ne sentì la consistenza calda e stranamente morbida.

Avrebbe fatto male, gli aveva detto lui. Ed era giusto così. Voleva che fosse così.

Ma non aveva immaginato quanto male potesse fare.

« Ciel? »

Di nuovo la sua voce, ma ora Elizabeth aveva di nuovo dodici anni. Si aggirava, lo cercava, lo chiamava, tra le fiamme alte che ora nascondevano i corpi dei tre combattenti, dei tre amici. In lacrime.

Lo cercava e questa volta non lo vedeva.

« Ciel, perché non mi rispondi, perché non torni da me? »

Perché non posso, perché non posso.

Sentì le unghie affondare nei palmi mentre stringeva i pugni, ma non era paragonabile al dolore che aveva dentro, nel petto – non puoi asciugarle quelle lacrime, Ciel Phantomhive, non puoi – lì dove, beffardo, il suo cuore batteva ancora.

Le fiamme di Londra lambirono la ragazza, la plasmarono – “London Bridge is falling down, falling down, falling down. La trasformarono in qualcosa che lui aveva già visto e che non avrebbe voluto vedere mai più.

L’occhio di sua madre lo scrutava dal viso di suo padre.

No, questo no, questo no!

Si accasciò su se stesso, sfuggendo a quella vista, e vomitò anche l’anima. Quell’anima che lui ancora non era venuto a prendersi, maledetto demone.

Stava crollando, come ogni altra pedina. Scacco al re. E non ci sarebbe stata una prossima mossa, mai, mai, mai.

Gli ci volle un po’ per rendersi conto che le presenze e le voci ormai erano soltanto ricordi, per quanto reali e tangibili.

« Sbarazzati dell’impuro. »

Non voglio ascoltarti di nuovo!

« Zhou sognò di essere una farfalla. O forse fu la farfalla a sognare di essere Zhou? »

Un altro sparo. Un uomo che cadeva. Aberlain, razza di stupido.

« Hai la possibilità di riavere il tuo futuro. Non devi dimenticarlo. »

Bugiardo.

Una risatina acuta.

« Hai finalmente deciso di prendere posto nella tua speciale bara? »

Una musica di campane, il ricordo di una falsa pace.

« Ciel… Ti vogliamo bene. »

Basta! Basta! Basta!

Cercò di gridarlo, ma la bile si era portata via la sua voce. Aprì gli occhi – entrambi, sì, perché ora erano liberi, ora non c’era più ragione di nasconderne uno – e urlò solo con la mente le sue domande.

Perché mi stai mostrando tutto questo? Che senso ha? Perché non mi strappi l’anima dal corpo e non mi lasci al nulla?

Il buio di colpo si placò. Le fiamme sparirono, le voci tacquero. Soltanto una presenza, ancor più definita delle altre, ma invisibile al suo sguardo – dov’erano, dov’erano quegli occhi rossi? E poi l’unica voce che avrebbe potuto donargli il sollievo e che però glielo negava.

« Perché perdere la propria anima, signorino, significa ridurla in mille frammenti: le scelte fatte e le occasioni perse, i rimpianti e i ricordi; e vederli scorrere via da sé. È per questo che fa male. »

Non puoi sopportare di perdere la tua infanzia, Ciel Phantomhive, non puoi.

Scacco al re.

Il tempo nella bestia buia non esisteva, perciò Ciel Phantomhive non poteva sapere quanto ne fosse passato quando si ritrovò tra le braccia del maggiordomo nero, aggrappato a lui come all’ultimo appiglio, all’ultimo pezzo destinato a lasciarlo vuoto.

Singhiozzava. Per la prima volta da molto tempo, Ciel Phantomhive si ritrovava a fronteggiare il senso di perdita con le lacrime, l’ultima cosa che gli era rimasta e l’ultimo sollievo che avrebbe potuto avere.

Sebastian Michaelis lo cullò tra le braccia, amorevole, ironica imitazione di conforto – o forse era buffo proprio perché era vero anche questo?

« Ha fatto molto male, vero, signorino? »

Non gli rispose. Tra le cose che il buio gli aveva portato via c’erano anche le parole.

Il demone gli carezzò quasi dolcemente i capelli e lo tenne stretto contro di sé, mentre l’oscurità circostante sembrava farsi meno viva, meno crudele, più vuota e simile alle notti vere, a quelle che si limitano a osservare indifferenti e non ti divorano dentro.

« State tranquillo. »

Sentì il suo sorriso. Chiuse gli occhi e si augurò di non dimenticare anche quello.

« Ora potete dormire. »

   
 
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