A Fede. Perché
glielo devo. <3
So di
averla già pubblicata all’interno della mia raccolta, Fede-chan, e so anche che tu stessa l’hai già
letta e commentata, e ti ho già detto che non ti so esprimere a parole
la mia gratitudine. Ma dal momento che non riusciamo mai a sentirci – dal
momento che la mia posta elettronica è ancora kaputt – e che non so come altro chiederti scusa, la pubblico
così, singolarmente, e la dedico a te. Perché te lo devo, di
nuovo.
Ti
voglio bene. <3
SPOILER
sull’ultimo episodio dell’anime ~ Prompt:
Childhood [15 hugs]
Tra le macerie
« Farà
male? »
« Sì… Un po’. Cercherò di essere il
più delicato possibile… »
« No.
Fa’ in modo che sia più doloroso che puoi. Scolpisci il dolore della
mia esistenza nella mia anima. »
« Yes, my lord. »
Non
era come si aspettava.
C’era
buio, tutto intorno. Non era il buio tipico delle notti a Villa Phantomhive. Non era freddo e vuoto; questo era un buio
vivo, un buio pronto a circondarlo e ad ingoiarlo senza neanche un rumore.
Eppure
non era ancora il nulla.
Perché sono
qui?
Percepiva
con tutti i sensi la propria presenza, tangibile, in quel buco nero e caldo e
pieno dell’odore della vita e non della morte. Un odore familiare.
Cos’era… Fiori? Fiori di campo? No… Un giardino. Che strano.
E
le voci, le voci. Le sentiva. Ma come
poteva esserci qualcuno lì con lui? Quella era la sua fine.
La
cosa più strana era che ridevano.
« Ciel, Ciel! »
Elizabeth?
« Ciel, sei
troppo veloce! Non riesco a seguirti! »
«
Sbrigati, Lizzie, sbrigati! È arrivata la zia
Anne! »
Aveva
visto e vissuto troppe cose irrazionali, in quegli ultimi due anni di non-vita,
per sorprendersi anche di questa.
Il
buio si popolò. Non erano immagini di sogni o di ricordi. Non erano
fantasmi. Era tutto vero, atrocemente
vero. Due bambini attraversarono di corsa l’oscurità davanti a
lui, ridendo. Una era la sposa che non avrebbe mai avuto. L’altro era lui
a sei anni.
« Sei troppo
veloce, Ciel… »
«
Ehi, Lizzie, guarda! »
Il
suo piccolo sé si era fermato a guardarlo. Faceva davvero uno strano
effetto guardare se stessi, soprattutto perché quello era un se stesso
che non sarebbe tornato mai, che non sarebbe potuto tornare in alcun caso. Un
se stesso i cui occhi avevano ancora lo stesso colore.
Una
fitta di rimpianto inutile gli percorse il corpo – non puoi recuperarla quell’innocenza, Ciel Phantomhive,
non puoi – e il buio tornò un mostro addormentato.
« Zia Anne, zia Anne! »
Una
macchia di rosso nel nero profondo.
Una
donna avanzò dalle ombre. Tra le sue braccia il bambino di poco prima.
Ridevano insieme, sembravano felici. Così
tanto.
Il
suo sguardo vagò su quel viso a sua volta appartenente al perduto, sulla
pelle bianca contrastante con i capelli, le labbra, l’abito di fuoco. Da lei
si irradiava lo stesso odore di fiori che aveva già sentito. Rose, le
stesse che gli aveva portato lui come ultimo saluto. Rose rosse per
l’assassina – rosso al
sangue, rosso alla morte! Venite a vedere tutti, signori miei, che la morte
è rossa e non nera.
« Zia Anne, tu sai chi
è quel ragazzo? »
Si
voltarono entrambi a guardarlo. Il bambino curioso, la donna sorpresa.
Come
potevano essere così reali? E soprattutto, cosa pensavano, mentre
guardavano il suo essere muto e immobile spettatore della loro felicità?
Una
nuova fitta, più lacerante – non
puoi riaverlo quell’abbraccio, Ciel Phantomhive,
non puoi – mentre quelle figure sparivano nel luccichio di una lunga
lama dentellata, comparsa dal buio vivo e di nuovo morta in esso, accompagnata
da una risata di squalo rosso anche lui.
« Continuate
a combattere! Dobbiamo proteggere il signorino! »
«
Finian, togliti di mezzo o colpirò te! »
«
Non potete, non potete farlo, non potete prendere la villa! »
Altre
immagini, altre persone. Tre sagome in guerra, non tra di loro ma per lui.
E
lui vedeva, sentiva, annusava: era tutto vero. Tutto vero. Gli spari, le grida.
La paura. Avevano paura, ma avevano un compito. Lo avrebbero portato a termine
perché era il loro riscatto sulla vita, ed era la loro promessa fatta
tra le macerie ad un maggiordomo nero, ed era la loro espiazione.
Il
dolore stavolta si fece sentire più a lungo – non puoi ritrovarla quella lealtà, Ciel Phantomhive,
non puoi – più penetrante. Cadde in ginocchio nel buio e ne
sentì la consistenza calda e stranamente morbida.
Avrebbe
fatto male, gli aveva detto lui. Ed
era giusto così. Voleva che
fosse così.
Ma
non aveva immaginato quanto male
potesse fare.
« Ciel? »
Di
nuovo la sua voce, ma ora Elizabeth aveva di nuovo dodici anni. Si aggirava, lo
cercava, lo chiamava, tra le fiamme alte che ora nascondevano i corpi dei tre
combattenti, dei tre amici. In lacrime.
Lo
cercava e questa volta non lo vedeva.
« Ciel, perché non mi
rispondi, perché non torni da me? »
Perché non
posso, perché non posso.
Sentì
le unghie affondare nei palmi mentre stringeva i pugni, ma non era paragonabile
al dolore che aveva dentro, nel petto – non puoi asciugarle quelle lacrime, Ciel Phantomhive,
non puoi – lì dove, beffardo, il suo cuore batteva ancora.
Le
fiamme di Londra lambirono la ragazza, la plasmarono – “London Bridge is falling down, falling down, falling down”.
La trasformarono in qualcosa che lui aveva già visto e che non avrebbe
voluto vedere mai più.
L’occhio
di sua madre lo scrutava dal viso di suo padre.
No, questo no, questo no!
Si
accasciò su se stesso, sfuggendo a quella vista, e vomitò anche
l’anima. Quell’anima che lui
ancora non era venuto a prendersi, maledetto demone.
Stava
crollando, come ogni altra pedina. Scacco al re. E non ci sarebbe stata una
prossima mossa, mai, mai, mai.
Gli
ci volle un po’ per rendersi conto che le presenze e le voci ormai erano
soltanto ricordi, per quanto reali e tangibili.
« Sbarazzati
dell’impuro. »
Non voglio
ascoltarti di nuovo!
« Zhou
sognò di essere una farfalla. O forse fu la farfalla a sognare di essere
Zhou? »
Un
altro sparo. Un uomo che cadeva. Aberlain, razza di stupido.
« Hai la possibilità di
riavere il tuo futuro. Non devi dimenticarlo. »
Bugiardo.
Una
risatina acuta.
« Hai finalmente deciso di
prendere posto nella tua speciale bara? »
Una musica di campane, il ricordo di
una falsa pace.
« Ciel…
Ti vogliamo bene. »
Basta! Basta!
Basta!
Cercò
di gridarlo, ma la bile si era portata via la sua voce. Aprì gli occhi
– entrambi, sì, perché ora erano liberi, ora non
c’era più ragione di nasconderne uno – e urlò solo
con la mente le sue domande.
Perché mi
stai mostrando tutto questo? Che senso ha? Perché non mi strappi
l’anima dal corpo e non mi lasci al nulla?
Il
buio di colpo si placò. Le fiamme sparirono, le voci tacquero. Soltanto
una presenza, ancor più definita delle altre, ma invisibile al suo
sguardo – dov’erano, dov’erano quegli occhi rossi? E poi
l’unica voce che avrebbe potuto donargli il sollievo e che però
glielo negava.
« Perché perdere la
propria anima, signorino, significa ridurla in mille frammenti: le scelte fatte
e le occasioni perse, i rimpianti e i ricordi; e vederli scorrere via da
sé. È per questo che fa male. »
Non
puoi sopportare di perdere la tua infanzia, Ciel Phantomhive,
non puoi.
Scacco al re.
Il
tempo nella bestia buia non esisteva, perciò Ciel Phantomhive
non poteva sapere quanto ne fosse passato quando si ritrovò tra le
braccia del maggiordomo nero, aggrappato a lui come all’ultimo appiglio,
all’ultimo pezzo destinato a lasciarlo vuoto.
Singhiozzava.
Per la prima volta da molto tempo, Ciel Phantomhive
si ritrovava a fronteggiare il senso di perdita con le lacrime, l’ultima
cosa che gli era rimasta e l’ultimo sollievo che avrebbe potuto avere.
Sebastian
Michaelis lo cullò tra le braccia, amorevole,
ironica imitazione di conforto – o forse era buffo proprio perché
era vero anche questo?
«
Ha fatto molto male, vero, signorino? »
Non
gli rispose. Tra le cose che il buio gli aveva portato via c’erano anche
le parole.
Il
demone gli carezzò quasi dolcemente i capelli e lo tenne stretto
contro di sé, mentre l’oscurità circostante sembrava farsi
meno viva, meno crudele, più vuota e simile alle notti vere, a quelle
che si limitano a osservare indifferenti e non ti divorano dentro.
«
State tranquillo. »
Sentì
il suo sorriso. Chiuse gli occhi e si augurò di non dimenticare anche
quello.
«
Ora potete dormire. »