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Autore: Varg    23/07/2010    1 recensioni
La Seconda Guerra della Strega è finita, ma il mondo non conosce ancora la pace. Tra squilibri politici e strascichi di ribellione, i Garden sono continuamente occupati nel mantenimento dell'ordine. Rinoa si addestra per diventare un SeeD e intanto impara poco a poco a conoscere il suo potere. Ma una nuova minaccia sta per profilarsi all'orizzonte, e la Strega dovrà prepararsi ad affrontare la SUA battaglia.
Genere: Azione, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Selphie era dispiaciuta di essere stata così severa con Rinoa. Se fosse stato per lei, le avrebbe permesso di seguirla, anche se le era sembrata un po’ scossa. Ma gli ordine del preside erano stati tassativi. Doveva trattarla come una recluta qualsiasi alla sua prima missione. Del resto era comprensibile. Rinoa poteva anche essere la Strega, ma se voleva essere anche un SeeD, doveva imparare a obbedire agli ordini.
Scorse Simon sdraiato a terra. Perdeva molto sangue da un braccio, nel quale erano entrati due proiettili. Seth era accovacciato vicino al compagno. Il nemico doveva essersi ritirato nella stanza più interna.
“Seth, porta Simon al sicuro, dove ho lasciato Rinoa, e occupati di lui” ordinò.
“Ne sei sicura?” domandò lui, ma stava già aiutando l’altro ad alzarsi.
“Qua mi arrangio io” assicurò lei. “Dopo penseremo alle armi”.
Seth annuì, e senza dire altro trasportò via il ferito.
“Ora vediamo dove ti sei cacciato, bastardo” sussurrò Selphie alla stanza vuota. Si diresse silenziosamente verso il corridoio che portava alla parte più interna dell’edificio. Scivolò lentamente contro il muro, pronta a reagire a qualunque rumore. Sbirciò cautamente oltre l’ultima porta. Nessuno. C’era un’apertura nel soffitto, al centro della stanza. Una scaletta di metallo arrugginita pendeva nella tenue luce lunare che entrava da sopra. Selphie si avvicinò, cercando di intravedere qualcosa oltre la botola, ma non c’era nessun nemico ad aspettarla sul bordo.
Dannazione, non sarà scappato? Selphie attivò un nuovo paraincantesimo di protezione su di sé e si affrettò a salire la scala. Guardò oltre il bordo, prima di uscire, e lo vide. Era in piedi sul tetto dell’edificio e le dava le spalle. Aveva le braccia incrociate. Sembrava quasi che la stesse aspettando con impazienza.
Selphie emerse dalla botola e si ripulì la polvere di dosso.
“Chi diavolo sei?” esclamò.
Lui si voltò con una certa flemma. Non era un soldato di Galbadia. Indossava un’uniforme di stoffa rosso scuro, con un cappuccio in testa. Era disarmato.
“Non ha importanza”. La voce era di un uomo molto giovane, e trasmetteva una sicurezza beffarda.
“Non ti allarmare” continuò, alzando le mani. “Non ho intenzione di combatterti, non più. Ormai sarebbe inutile. Avete fatto fuori tutta la mia squadra di recupero, e certamente non ho intenzione di battermi con quella che c’è là sotto”.
“Rinoa…” mormorò Selphie tra sé. “Che diavolo ne sai tu di Rinoa?”
Lo sconosciuto prese a camminare tranquillamente avanti e indietro, ignorando la domanda.
“Una mossa davvero fortuita la vostra” disse, scuotendo la testa. “Mai avrei previsto che Kramer la mandasse in un posto come questo. Beh, di certo ciò mi solleva da ogni responsabilità…”
Selphie notò che questo tizio era un vero chiacchierone…si sarebbe pentito del suo amore per la teatralità. Mentre lui parlava, lei si concentrava, chiamando la presenza che giaceva sepolta appena sotto la superficie di quello stagno scuro che rappresentava, nella visualizzazione, il suo inconscio.
“Allora perché sei rimasto qua? Non riesci a resistere al mio fascino?” ironizzò, puntandogli contro la pistola. La coscienza aliena che dormiva nel profondo della sua mente iniziava a svegliarsi. Una liscia, splendida, luminosa testa di serpente piumata emergeva dal pelo dell’acqua nera e quieta.
Lui ridacchiò, e la sua risata le sarebbe potuta sembrare addirittura piacevole, se non fosse stato un bastardo che aveva appena ferito il suo compagno.
“No, ma ti assicuro che in una diversa circostanza, un pensiero su di te lo farei, bellezza”.
“Non fare tanto lo spiritoso, non sei l’unico qua a usare la magia” disse lei, sentendo la poderosa forza liberarsi dentro di sé. L’aria cominciava a odorare vagamente di ozono.
“Sono rimasto per darti un messaggio” spiegò il ragazzo misterioso. “Un avvertimento in realtà. Avrei dovuto inviare una mail al vostro preside, ma parlare direttamente con un SeeD…”
Si interruppe e si voltò di scatto verso di lei. “Che stai facendo?”
Un secondo dopo Selphie gridò il nome di Quetzal e un lampo squarciò il buio della notte. Il grande serpente alato apparve istantaneamente, sopra di lei, come frantumando lo spazio-tempo.
Udì indistintamente lo sconosciuto gridare qualcosa, poi l’aria divenne incredibilmente più leggera, rarefatta. I peli del suo corpo si rizzarono, pieni di elettricità statica.
Luce accecante. La terra che tremava sotto il fragore del tuono.
Poi la figura maestosa e iridescente scomparve come era venuta, e il campo magnetico si dissolse. Il misterioso avversario giaceva a terra, gli abiti bruciati.
“Se sei ancora di questo mondo, potrai dare al preside tutti i messaggi che vorrai, adesso…” disse Selphie al corpo riverso e fumante. Si avvicinò e gli tastò il polso. Non era morto. Di sicuro, come aveva previsto, aveva una barriera magica intorno a sé. Attaccarlo con un paraincantesimo non sarebbe stato abbastanza, gli avrebbe solo dato un motivo per fuggire. Per fortuna era stato così incauto da accorgersi dell’evocazione solo all’ultimo momento.
Selphie accese il comunicatore. “Seth, mi senti? Qua è tutto a posto. Abbiamo un bel coniglietto da mettere in gabbia”.
“Ricevuto” rispose la voce di Seth.

Rinoa fu contenta di veder riapparire Selphie.
“Hai evocato Quetzal” le disse. Non era una domanda. Anche senza vederla, l’evocazione di un G.F. era un evento che colpiva le sue percezioni come una secchiata d’acqua gelida in faccia.
Selphie annuì. “Ma è vivo. Solo un po’ arrostito”.
L’espressione di Rinoa era stanca. Selphie si accovacciò vicino a lei, sorridendole.
“Vado a vedere come sta Simon”.
Rinoa fece cenno di sì con la testa. Selphie si rialzò e uscì dalla stanza.
“Simon” si rivolse poi al giovane ferito. “Come va il braccio?”
“Meglio. Non sanguina più…però non credo proprio che potrò aiutarti con la roba nel magazzino” fece lui con un tono di scusa.
Lei sospirò. “Posso farcela da sola”.
Seth rientrò in quel momento, con il prigioniero legato in spalla.
“Come la mettiamo con il materiale da recuperare?” domandò, posando il ragazzo a terra.
Selphie si strinse nelle spalle. “Cerco di arrangiarmi. Simon non può fare niente ridotto così”.
Seth annuì. “Se vuoi una mano…”
“Porto Rinoa”.
La guardarono stupiti..
“Cosa?” sbottò Simon. “È solo la sua prima missione!”
“Scemo” lo apostrofò lei. “Rinoa combatteva nella resistenza di Timber quando tu frequentavi il primo anno e non sapevi nemmeno da che parte si tiene un’arma”.
“Ma non è addestrata a maneggiare esplosivi!” ribatté lui.
“Non ho detto che le farò toccare esplosivi” puntualizzò Selphie. “Voglio solo che non si senta sminuita. La farò solo assistere”.
Simon lasciò cadere la questione.
“Tenete d’occhio i prigionieri” ordinò lei, lasciando la stanza. “E tu Simon, vedi di non fare altro casino!”
Lui la congedò con un gesto poco educato e una risata.

Tornata da Rinoa, Selphie le si avvicinò, cercando di essere più rassicurante possibile.
“Vieni con me” le disse, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi. Lei l’afferrò.
“Dove?” mormorò Rinoa.
“A vedere che cosa si nasconde sotto questa catapecchia, naturalmente!”
“I…io?”
“Certo, stupidina” rispose Selphie, armeggiando con l’unica pesante porta d’acciaio che era rimasta chiusa. “Simon ormai è utile come un calzino spaiato. Ci dobbiamo pensare noi donne, come al solito…”
Rinoa decise di non replicare.
Dopo un po’ la serratura cedette. Dietro si intravedeva una scala buia scendere sottoterra. Selphie accese le luci, poi fece strada.
La scala era più lunga di quanto si potesse immaginare. Illuminate dalle smorte lampade al neon, si vedevano solo pareti grigie e scrostate. Quando finalmente arrivarono in fondo, trovarono un’altra spessa porta blindata.
“Maledizione, che scocciatura” si lamentò Selphie, accingendosi a scassinare anche quella.
Dopo un po’ che ci lavorava, sentì la voce di Rinoa alle spalle.
“Selphie…scusami per prima”.
Selphie le rivolse uno sguardo amichevole, senza smettere di trafficare con la serratura.
“Non pensarci, è nomale farsi prendere dall’agitazione. Sei riuscita a evitare i colpi, e alla fine è andato tutto bene”.
“Non intendevo quello…” fece Rinoa, con un tono da cane bastonato.
Selphie interruppe il lavoro.
“Cosa allora?”
“Prima…quando ti sei avvicinata e mi sono…tirata indietro…” spiegò Rinoa a bassa voce. “Per un momento…mi hai fatto paura”.
Selphie si morse un labbro, guardando a terra per un momento. Poi si voltò verso di lei e le fece un sorriso dolce.
“Allora scusami tu”.
Rinoa scosse forte la testa. “No, è solo colpa mia. Certe volte mi sento ancora come un anno fa…quando tutto questo mi sembrava terribile, e non riuscivo ad accettarlo…”
Selphie la guardò negli occhi grandi e neri e lucidi.. Non le avrebbe detto che combattere era duro ma necessario. Non le avrebbe raccontato un’ottimistica bugia, dicendole che combattere ora avrebbe assicurato la pace domani. Non le avrebbe nemmeno ricordato le sue responsabilità in quanto detentrice del potere della Strega. Non ce n’era alcun bisogno. Tutte quelle cose Rinoa le sapeva benissimo.
“Rin, io mi fido di te”.
Quello serviva a Rinoa. Fiducia. Doveva sentire di essere utile alle persone che amava, doveva sapere che loro avevano bisogno di lei come lei aveva bisogno di loro. Doveva tornare ad essere un Gufo. Era stato Squall il primo a capirlo. Ed era stato lui a convincere Rinoa ad addestrarsi per diventare un SeeD. Selphie ne era rimasta sorpresa, perché credeva che lui avrebbe cercato di proteggerla da tutte le cose brutte del mondo chiudendola a chiave in un luogo sicuro…ma si era sbagliata di grosso, l’aveva sottovalutato.
“Tu sei coraggiosa, Rinoa” continuò Selphie. “Probabilmente sei molto più coraggiosa di me” disse, con una risatina. “Io sarei terrorizzata all’idea di diventare una Strega. E a quindici anni non sarei mai stata capace di gettarmi contro un intero esercito invasore. A dire la verità avrei avuto una paura pazzesca anche a frequentare uno come Seifer!”
Ora fu Rinoa a lasciarsi sfuggire una risata.
Selphie tornò seria. “Rin, se tu sei al mio fianco, mi sento sicura. So di avere un’amica pronta a combattere insieme a me”. Poi aggiunse, allegra: “E anche a impedirmi di fare stupidaggini”.
Rinoa le sorrise. Quel ribaltamento di ruoli era inaspettato. E piacevole. Questa volta fu lei a posarle una mano sul viso e ad accarezzarle i capelli.
Ora i loro volti erano più vicini. Selphie continuò a guardarla negli occhi. Rinoa era più alta di lei, doveva guardare in su. Ed era davvero bella, con quel viso delicato, quelle labbra tenere, e soprattutto quegli occhioni nerissimi e languidi che sembravano chiedere amore a chiunque.
“Sel…” sussurrò lei. “Ti sembrerò una stupida, ma…”
E senza preavviso posò le labbra sulle sue. Era un bacio lento, delicato, gentile. Selphie, spiazzata, sentì le braccia di Rinoa cingerla dolcemente e provò l’impulso di imitarla. La strinse a sua volta, restituendo anche l’abbraccio delle sue labbra.
In quell’istante di tenerezza la mente di Selphie si svuotò di tutte le idee che aveva a proposito di Rinoa, e lasciò, giusto per la durata di quell’istante, che fosse solo il più intimo affetto che provava per lei a parlare. E al confine della sua mente, per un momento, si affacciò un’immagine sbiadita dal tempo, qualcosa che aveva preferito chiudere in un cassetto e dimenticare.

Selphie aveva quattordici anni, ed era entrata al Garden di Trabia da due. Era una ragazzina ossuta e iperattiva, sempre col sorriso sulle labbra. Aveva già un mucchio di amici. Era contenta della sua vita. Un giorno d’estate aveva visto un’altra ragazza, che se ne stava tutta sola in un angolo buio del giardino. Aveva un’aria triste che l’aveva colpita terribilmente. Domandò a tutti se sapevano chi fosse. Voleva assolutamente capire perché era così triste.
Un compagno più grande le aveva spiegato che era arrivata da poco. I suoi genitori erano morti a causa della guerra tra Esthar e Galbadia, e lei era stata mandata al Garden perché la città dove abitava era stata evacuata. Selphie non aveva ricordi dei suoi genitori, quindi non era sicura di riuscire a capire la tristezza della ragazza, ma se ne sentiva tremendamente addolorata.
Un giorno aveva deciso di provare a fare amicizia con lei. All’inizio era stata dura. Non voleva parlare con nessuno. I suoi amici le dicevano di lasciar perdere, che era un caso senza speranza, e lei si era arrabbiata molto con loro per quello.
Ma alla fine la sua perseveranza la premiò. Lei poco a poco si aprì. Si chiamava Cybil. Aveva una voce bellissima, e Selphie non faceva che cercare di farla parlare, per sentire la sua voce. Era anche molto intelligente, a scuola era bravissima, e Selphie le invidiava la costanza con cui studiava. Passarono moltissimo tempo insieme, e Cybil era ogni giorno meno triste. Ogni volta che riusciva a strapparle un sorriso, Selphie esultava.
Qualche mese dopo, Selphie rimase ferita durante una missione di addestramento, e restò per diverse settimane in ospedale. Tra tutti gli amici che venivano a trovarla, aspettava sempre con gioia le visite di Cybil, che andava da lei tutti i giorni e le teneva compagnia per ore.
Quando finalmente uscì dall’ospedale, Selphie cominciò a frequentare un ragazzo più grande. Thomas si chiamava. Era un vero idiota, ma negli sport non era secondo a nessuno. Era il sogno di buona parte delle studentesse più giovani.
Da quel momento Cybil aveva cominciato a comportarsi in modo strano. Le teneva il muso, era scontrosa. Selphie non riusciva a capire perché.
Una sera l’aveva presa da parte per parlarle a quattr’occhi, per capire cosa avesse. Cybil aveva evitato di rispondere alle domande, facendola imbestialire. Poi, all’improvviso, l’aveva presa tra le braccia e l’aveva baciata.
Selphie aveva attraversato un periodo di confusione. Lei e Thomas si erano mollati poco dopo, ma con Cybil non riuscì più ad avere lo stesso rapporto. Poco a poco si persero di vista. Ognuna per la sua strada.
L’ultima volta che Selphie aveva ripensato a lei era stato quando aveva visto il suo nome sulla lista dei SeeD morti nell’attacco missilistico al Garden di Trabia.
La vita è crudele, troppo spesso, pensava. E noi dobbiamo combattere ogni giorno per sopravvivere.

Rinoa si ritrasse leggermente, lasciandola.
“Scusa…io…non so cosa mi è preso…” farfugliò, turbata.
Selphie la guardò di nuovo, prendendole il viso tra le mani.
“Ehi, ehi, Rin, non è niente” la rassicurò. “Capita…non è la prima volta”.
Sembrava un po’ più vecchia di quanto era.
“Solo, cerca di non farlo quando c’è Squall in giro! Mi ammazzerebbe!” scherzò poi, dandole un buffetto sulla pancia.
Rinoa ridacchiò. “Certo…è solo…ti voglio bene, lo sai, Sel?”
“Come…amica, intendo…” aggiunse un istante dopo, imbarazzata.
Selphie scoppiò a ridere. “Oh, Rin, sei un disastro!”
“Ti voglio bene anch’io, da morire” le disse, tornando seria.
“Ora vediamo di sistemare questa storia, ok?”
Rinoa annuì, scostandosi un ciocca di capelli dal viso. La sua espressione era molto più serena adesso.
Ci volle un po’, ma alla fine anche quella porta cedette sotto le mani abili di Selphie. Entrarono, in guardia.
Il magazzino sotterraneo era fresco e umido, odorava di chiuso e di muffa.
“Rin, so che non lo farai, ma come ufficiale devo ordinarti di non toccare niente”.
“Sissignore!” rispose Rinoa, teatralmente, imitando una voce grossa da soldato.
Selphie sorrise nel buio. Bastava proprio poco a farle tornare il buonumore.
“Ok, qua ci dovrebbe essere il quadro elettrico” annunciò qualche minuto dopo. Nuove, fioche luci al neon si accesero quasi subito.
Si guardarono attorno. Il magazzino era piuttosto grande, ma per la maggior parte vuoto. C’erano molte casse di legno accatastate lungo le pareti e un paio di container. Ma fu la cosa al centro della stanza a catturare la loro attenzione.
Coperta di polvere e semi smontata, davanti a loro troneggiava una grossa macchina con una struttura a raggiera e uno spazio vuoto nel mezzo.
Selphie si avvicinò, studiandola. “Che diavolo è questa roba? Non sembra un’arma”.
A Rinoa bastò guardare il congegno per un momento. “Sel…lo so io cos’è”.
Selphie la guardò con aria interrogativa.
“Ci sono rimasta chiusa dentro per due giorni” spiegò lei. “È una Macchina di Odine”.
Selphie prese a girare intorno alla struttura, toccandone le diverse parti. Si, aveva ragione, era proprio come quella installata nel palazzo della Strega di Esthar.
“Come fa una cosa del genere ad essere qui?” domandò Rinoa.
Selphie scosse piano la testa. “Non lo so. È impossibile che l’abbiano portata gli Esthariani”.
“Però Galbadia non ha mai avuto la tecnologia per costruirne una…” obiettò Rinoa.
“È un bel mistero” sentenziò Selphie. “Di sicuro scatenerà un gran vespaio”.
Rinoa aggrottò le sopracciglia, confusa. “Ma questa roba sarà restituita a Timber…o no?”
“Non ne sarei così sicura” fece Selphie, distrattamente, regolando il comunicatore. “Seth, mi senti? Voglio una linea diretta con il Preside. È urgente”.
  
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