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Autore: Argentey    23/07/2010    1 recensioni
Diana è una ragazza semplice, socievole e simpatica. La conoscono un pò tutti, in paese, da quando era ancora in fasce.
E Diana, dopotutto, ama la sua vita, i suoi amici, il verde della campagna. Poche cose Diana odia, e una di queste è la città.
Anche perchè è proprio in una delle città più famose e popolate come Tokio, che Diana inizierà a vivere..
Genere: Avventura, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il vento soffiava stanco in quel periodo, donava poco refigerio alle vecchie e giovani membra che, assolate e sudate guardavano con interesse la piazzetta del paesino.
Là, tra la polvere e i sassi c'era una ragazza che puliva e strofinava la carrozzeria di una vecchia moto da cross.
Il fango e la terra scivolavano via dalla plastica e si incrostavano sulle sospensioni e sulla marmitta, e la ragazza stava meticolosamente pulendo ogni pezzo del suo mezzo.
<< Diana, perchè ti affatichi tanto? Domani sarai di nuovo in giro e sarà sporca più di oggi >>
Diana sorrideva e, sporca di fango con una radice che le spuntava da in mezzo ai capelli continuava la sua opera. Quando finalmente la moto era pulita lei si dileguava, dicendo che ora toccava a lei, la pulita.
Puntualmente saltavano fuori i ragazzi più grandi con battutine maliziose. Ma Diana già si era dileguata.

Diana era alta, muscolosa, aveva i capelli scurissimi, corti e perennemente spettinati dal vento, gli occhi nocciola e un'innata predisposizione per ficcarsi in situazioni pericolose.
Aveva 19 anni, e amava la vita. Amava la vita in campagna, libera dagli impegni, nel vento e tra la terra.
Le ragazze della sua età la reputavano strana e i ragazzi una tipa 'svitata'.. era troppo maschiaccio per le ragazze e troppo impulsiva per i ragazzi.
non fraintendete, lei andava d'accordo con tutti.. non aveva però quei legami di amicizia stretti e indissolubili che avevano gli altri.
Comunque, a lei questo interessava in minima parte.

La nostra storia inizia in un afoso pomeriggio di agosto, quando la nostra protagonista tornò da una sua gita a due ruote, stanca e sudata.
<< ciao pà!>> apostrofò il genitore affettuosamente scoccandogli un bacio in aria.
<< ciao.. >> un saluto distratto e occhi che vagano per la stanza.
<< pà... è successo qualcosa? >>
<< si.. e non sono belle notizie, figlia mia. >>
La famiglia di Diana era sempre vissuta in campagna e, per un certo verso, lei conosceva solo la realtà dei campi e del lavoro di braccia.
Era stata in città poche volte e non le era piaciuto. Quando se ne erano andati le era parso che fossero passati degli anni. La gente era più veloce e frenetica, la vita era stressante e tutti avevano sempre bisogno di qualcosa da fare.
<< che è successo? >> ripetè cercando di convincersi che qualsiasi cosa fosse, sarebbe stata risolvibile.
<< è arrivata una lettera.. da tua madre. >> Diana guardò negli occhi il padre, che rispose sconfortato.
La madre di Diana viveva in città. Aveva abbandonato figlia e marito per inseguire una carriera che l'aveva fatta diventare abbastanza famosa nel mondo della moda. Un mondo che, a detta di Diana, l'aveva fatta prigioniera delle sue creme e dei suoi vestiti.
<< Quindi? >> La sola idea di andare a trovare la madre metteva ansia a entrambi. La città, l'immensa Tokio col suo ritmo frenetico, le gigantesche strade e gli enormi palazzi.
Un brivido freddo scese lungo le due spine dorsali, mentre un senso di oppressione e mancanza di aria assaliva genitore e figlia. Diana aprì la finestra e l'aria dentro parve sciogliersi un poco.
Era quello che veniva chiamato il morbo del contadino o, più scientificamente cityfobia dai ragazzi che la prendevano in giro.
<< beh.. ecco... dice di raggiungerla.. a Tokio >> Sospirarono entrambi, ben consapevoli che a quell'invito non avrebbero potuto di certo mancare.
<< quando? >>
<< dopodomani.. >>Diana pensò che era arrivato il momento di comprarsi uno specchio. In casa non ne avevano; suo padre non ne sentiva la necessità perchè non voleva vedere le rughe e gli occhi stanchi, lei non ne vedeva l'utilità, in quanto le avrebbe solo fatto perdere tempo a pettinarsi.
Di conseguenza suo padre era impresentabile, aveva la barba sfatta e macchie che non era riuscito a pulire bene sul collo e sulle gambe di olio e terra. Lei non voleva neanche saperelo, come stava presa.

Il giorno della partenza arrivò presto. Troppo presto. Ma non abbastanza presto da impedire a Diana di comprarsi uno specchio e, finalmente, rendersi presentabile alla gente di città.
Diana era a cavallo della sua moto e aspettava il padre fuori da casa, per nulla impaziente. Più tardi partivano, più tardi arrivavano.
Aveva avuto la cura di pettinarsi, per una volta, ma i suoi capelli erano comunque spettinati e ribelli. Era stata attenta a mettersi ciò che di più integro aveva ma comunque le sembrava di essere vestita come la 'gretta contadina che era', come l'avrebbe certamente, e poco affettuosamente, apostrofata sua madre vedendola.
Suo padre non era da meno.
Quando uscì di casa si lanciarono uno sguardo e si scrutarono. Entrambi decisero che l'altro era più elegante e smisero subito di scrutarsi, leggermente imbarazzati per l'assurdità della situazione.
Il padre di Diana non era giapponese, ma americano. Per motivi ignoti, che lui non si era mai azzardato a divulgare, era finito in quella piccola contadina e, dopo essersi ambiantato, c'era rimasto. Si era innamorato di Kiko, si erano sposati ed era nata una bella bambina.
Thomas aveva in spalla uno zaino logoro con le loro poche e indispensabili cose quando montò in moto dietro alla figlia.
<< vuoi che guidi io? >> domandò ben sapendo che la ragazza non gli avrebbe lasciato il manubrio neanche se fosse stata senza braccia.
E infatti Diana partì sgasando per la strada di terra battuta ridendo alla domande del padre.

Tokyo era peggiore di come i due se la ricordassero. Avevano parcheggiato il loro mezzo di trasporto nel garage di un imponete palazzo e osservavano quel luccichio di vetri, fanali e vetrine. La loro immagine era riflessa in ogni vetrina, in ogni muro a cui passavano vicini. Diana si trovò a ridere.
<< e pensare che lo specchio l'abbiamo preso solo ieri. qui sono maniaci dell'immagine! >> spiegò al padre che la guardava perplesso.
Anche Thomasi si sbilanciò in una risata rauca di chi non si trova a suo agio, proprio per niente.
Le cose migliorarono un poco quando si trovarono dentro all'appartamento di Kiko, al sicuro dalle occhiate stupefatte della gente. Ma non di Kiko.
<< oh, siete venuti >> li apostrofò quando li vide sulla soglia, fuoriposto come una lavatrice nel deserto. Aveva in mano un bicchiere di martini con olive, indossava un complicato vestito di seta tutto colorato che ricordava vagamente i kimoni tradizionali giapponesi.
La sua casa era sofisticata e pulita, bianca. Il divano, le pareti e i pavimenti erano bianchi o beige e l'unica cosa nera era la tv. Per un istante padre e figlia furono accecati dal candore del posto. Erano abituati ai toni scuri e alle pareti colorate della loro umile casetta di campagna.
Diana si guardò intorno. Andò verso le finestre a parete, tipiche dei grattaceli e guardò giù. Un leggero brivido le corse lungo la schiena e la sua attenzione venne catturata dalle luci della città e da quelle teste grandi come capocchie di spillo che camminavano lungo la strada.
<< Allora, come state? >> Lo sguardo disgustato di sua madre le fece passare la voglia di intavolare una discussione co lei.
Diana non riconosceva sua madre, da quando lei l'eveva abbandonata per la grande Tokio. E Tokio aveva trasformato la bella e buona Kiko in un qualcosa senza nome e pieno di vestiti. Parlavano solo Kiko e Thomas.
Diana si sentiva estranea e mentre ascoltava il padre parlare della loro vita capì che quella domanda era stata fatta solo per poter parlare di sè. E infatti Kiko interruppe l'ormai ex-marito quasi subito, ed iniziò a parlargli di sè.
Thomas era ancora perso per lei. GLielo si leggeva negli occhi.
Le visite erano così rade che lui ascoltava volentieri la donna parlare, anche se i suoi discorsi erano vuoti e inutili.
Diana si allontanò con una scusa e uscì da quel grande edificio di vetro.
Iniziò a camminare per le strade affollate, pensando alla situazione ed a quando Kiko li avrebbe mandati a casa.
Funzionava Così: Kiko li invitava, faceva qualche festa in loro onore esibendoli come burattini dopo averli conciati come dei pagliacci, secondo Diana, e poi li rispediva a casa loro con una busta di cioccolatini e tanti baci. L'ultima volta che era successo lei aveva ottenuto una promozione sul lavoro, grazie a Thomas che le aveva fatto buona pubblicità.
Presto Diana si accorse che si era allontanata troppo e non era in grado di tronarsene indietro.
Imprecò e iniziò a fare mente locale per percorrere al rovescio le strade che aveva fatto..

  
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