Non so bene neanch’io
dove andrò a finire con questa raccolta. Ma so che, da quando mi
è venuta l’idea, ho scritto quattro capitoli in due giorni,
perciò penso che in fin dei conti un pensierino posso farcelo e posso
iniziare a pubblicarla.
All’epoca in cui ho scoperto i
15_hugs sono rimasta molto colpita anche dai 15_spells, che
però ancora non sapevo come utilizzare. Ho tenuto l’idea da parte
fino ad ora. Poi pochi giorni fa mi è venuta voglia di scrivere una
raccolta sull’Organizzazione XIII in cui ogni capitolo mostrasse un
particolare incontro tra un membro ed un personaggio Disney – tutto ciò
perché mi sarebbe piaciuto crossoverare l’Organizzazione
anche con quei film Disney che nel videogioco non vengono mai utilizzati. Quindi
ho ripreso in mano i prompt dei 15_spells, ho dato un’occhiata
alle “coppie” (non intendetele ancora in senso romantico,
per carità) che mi ero inventata, ho fatto le varie associazioni e ho
cominciato a scrivere il capitolo che avete sotto gli occhi.
Ripeto, non so ancora dove andrò
a finire, ma voglio scoprirlo poco alla volta. ^^
Possibile presenza di OOC, ma è una cosa da
verificare. Ah, e la magia non sarà sempre il tema di base.
Prompt: #9. Water to wine and back again
Rating: Verde
Genere: Dark
Ambientazione: Poco dopo la nascita dell’Organizzazione
XIII
I
Qualcosa
che si è perso una volta non tornerà mai più indietro.
{ Kuroshitsuji }
Il
cielo è nero, quasi come nel Mondo Che Non Esiste. Fulmini sottili lo
solcano come cicatrici che parlano in una lingua che sa di maledizioni. Neppure
il lieto fine di una storia è in grado di far arrivare il sole dove
c’è qualcuno che il sole non lo vuole e non lo vorrà mai.
Sul picco si innalza una costruzione dal
sapore di abbandono, tutta rocce e sassi e legno e cose che non servono
più a niente, che non costituiscono più una vera dimora.
La donna che non è più una
donna abita lì.
L’uomo che non è più un
uomo sta andando da lei.
Si ferma per qualche istante con la mano guantata di nero sul cancello, un ammasso di ferro cigolante
ad ogni alito di vento, in contemplazione e in riflessione. Poi si decide, lo
spinge leggermente e un cigolio più acuto e più sinistro lo
accoglie nel mondo della strega.
Mentre percorre il sentiero sterrato che
conduce al portone, ascolta l’eco di tutto ciò che gli hanno detto
di lei e si prepara ad offrire la sua merce di scambio.
La rocca esiste da quando se ne ha memoria,
ma la donna che non è più una donna non è sempre vissuta
lì. C’è stato un tempo in cui la sua gioventù e la
sua bellezza hanno illuminato le stanze di un immenso palazzo e sono state
ammirate ed esaltate ovunque nei confini del regno. Ma poi, proprio nel momento
in cui tutti la credevano invincibile, una ragazzina qualunque ha osato
mettersi sulla sua strada, al suo cospetto, alla sua altezza, e da lì è iniziato il declino della signora
del reame.
L’uomo, o quel che ne resta, giunge
al portone e picchia piano sul battente. L’ululato del vento cattura il
suono delle sue nocche sul legno, ma non può coprire il gemito delle
ante che si aprono come animate di volontà propria. Dall’altra
parte, un ambiente unico, umido, illuminato soltanto dal riverbero dei lampi
che si insinuano nelle feritoie che sono le finestre – non c’è
traccia di vetri nella stanza, né di specchi – e dal guizzo stanco
di un’unica candela accesa su un tavolo.
La donna, o quel che ora è, lo
guarda dalla penombra appena al di là della candela, e il fuoco è
un riflesso vago nei suoi occhi appannati.
« Ti stavo aspettando. »
Nel buio della soglia e del cappuccio, lui
sorride.
La porta inizia a chiudersi alle sue spalle
mentre una mano rugosa entra nel cerchio di luce rossastra, un dito sottile
inarcato ad indicargli di farsi avanti.
« Vieni più vicino. I miei
occhi sono stanchi. »
Obbedisce, lui che non ha obbedito
più ad alcuno da tempo immemore, solo per il suo personale desiderio di
guardarla in tutta la sua magnifica decadenza.
La vecchia è come l’ha vista
raffigurata nei libri e come l’ha immaginata prima ancora di studiare la
sua storia. Curva nella poltrona antica e guasta, unica testimone di
un’epoca di splendore, ha gli occhi incavati e grandi, ancora animati da
un riflesso di folle mania. Le mani aggrappate ai braccioli, i capelli lunghi e
bianchi; la bocca è come una piega nella ragnatela di rughe del viso di
donna non più bella, non più potente. Eppure eccola lì, la
regina, la strega, quella che conosce i segreti delle arti più oscure,
quella di cui lui ha bisogno.
La guarda a lungo e pensa che è
perfetta.
« Come ti chiami? »
Sputa quelle parole con voce raggrinzita,
un ghigno beffardo sulle labbra secche. Conosce già la risposta, ma
vuole sentire tutto da lui, vuole che lui sia debole fino in fondo.
L’uomo glielo concede. Si scopre il
volto, abbassa lo sguardo e si china su un ginocchio, sollevando dalle assi
consunte del pavimento una nube di polvere e uno scricchiolio.
« Il mio nome oggi è Xemnas, vostra altezza. »
C’è un filo di sorpresa nel
suo sguardo, ora. Deve essere passato molto tempo da quando qualcuno si
è rivolto a lei con quelle parole, o da quando lei stessa si è
ricordata di essere stata la signora del reame.
Ma è solo per un istante. La vecchia
annuisce, quindi posa gli occhi sulla candela consumata per metà e le
mani sulle pagine muffite del libro che tiene sulle ginocchia. La tunica nera
si muove con lei, frusciando appena ai suoi movimenti.
Inizia a parlare come se avesse dimenticato
la sua presenza.
« Un tempo, quando ancora per il
mondo avevo un nome, non ero così. » Non si riferisce al proprio
aspetto, intuisce lui, senza interromperla né alzarsi. « Non avevo
conoscenza alcuna di ciò che mi circondava. Ero giovane, bella e ricca,
e mi bastava questo per essere felice. Ma presto i miei studi mi portarono a
scoprire la magia. »
Sfoglia piano le pagine. Nella sua voce, un
ricordo di qualcosa che è simile alla tenerezza.
« La magia, il solo mezzo per avere
ciò che desideriamo di più. La magia, l’unica vera potenza
che trascende il denaro e la nobiltà. Divenne la mia ossessione. Sono
sicura che puoi capire. »
L’uomo a terra non si muove e non
parla. Sorride, semplicemente.
La vecchia improvvisamente sospira e
abbandona il capo contro la poltrona, perdendo lo sguardo nelle asperità
del soffitto e forse in qualcosa che vede solo lei.
« E tuttavia la magia è
diventata, come vedi, il mio fardello e la mia prigionia. »
È il momento che aspettava. Si
inchina nuovamente.
« Per questo sono venuto a tendervi
la mano e a proporvi di lavorare insieme. Con le vostre arti, io sarò di
nuovo un uomo. Con le mie conoscenze, voi sarete di nuovo una regina. »
La vecchia scoppia a ridere. Sguaiata, cattiva. Lui attende in silenzio che la
sua ilarità si spenga, senza scomporsi. Non può permettersi di
esitare, non può.
Quando la risata muore, la strega è
nuovamente stanca e amara. Si china oltre il tavolo per prendere qualcosa che
lui non riesce a vedere, senza mai staccargli gli occhi di dosso.
« Avvicinati ancora, Xemnas. Siedi con me. C’è qualcosa che voglio
mostrarti. »
Obbedisce di nuovo. Si alza e va a sedersi
su una seggiola che prima non c’era,
ne è sicuro.
La vecchia sposta la candela, afferrandola
con la fermezza sorprendente di una mano che è più simile a un
artiglio. Al suo posto depone un calice polveroso pieno d’acqua. Lo
fissa, e non c’è traccia di allegria nel suo sogghigno.
« Guarda attentamente. »
Circonda con le dita magre e sporche il
bordo del calice, mormorando parole in una lingua sconosciuta. Pochi istanti, e
lì dove c’era l’acqua ora c’è un liquido rosso
dal profumo speziato.
La vecchia gli tende il calice, lo invita a
bere.
Vino. Ha
trasformato l’acqua in vino.
Non una traccia di sorpresa traspare
dall’espressione di lui, ma suo malgrado è impressionato. E
soddisfatto.
La strega si riprende il calice, posa di
nuovo i polpastrelli sull’orlo e ripete la stessa litania, al contrario.
Il vino torna ad essere acqua.
« Le tue conoscenze ti permettono
di fare una cosa di questo genere? »
C’è una sfida impercettibile
nella sua domanda. Gli costa molto rispondere con sincerità.
« No, vostra altezza. Ma abbiamo la
scienza. La scienza può ovviare alla mancanza della magia. »
« Scienza. » Lei ripete quella
parola sporcandola di disgusto. Scuote la testa. « La scienza non
raggiungerà mai il livello della magia. Riflettiamo, dunque, giovane Xemnas. Se la tua scienza
non è in grado di trasformare l’acqua in vino e viceversa »
di colpo abbassa il cappuccio della tunica, mostrando senza remore al suo
sguardo la vista del suo capo canuto e fragile, gli occhi folli, « pensi
che sarebbe in grado di farmi tornare quella che ero? »
Non risponde. È una cosa diversa,
vorrebbe dirle. Possono unire le forze. Possono raggiungere i loro obiettivi
insieme. Ha bisogno di lei. Ma non le
risponde, non glielo sa dire.
Di fronte al suo silenzio, la vecchia si
lascia andare di nuovo nella sua poltrona, e gli parla con quella che un tempo
è stata la voce della regina Grimilde, la
più bella del reame.
« Quelli come te non hanno mai
capito. Non capite che, a lungo andare, l’ambizione rende l’uomo
schiavo. Non capite che vi ritroverete rinchiusi in una prigione e che quella
prigione ve la sarete costruita da soli*.
Desiderare così tanto, ottenere così tanto, e rimpiangere
così tanto ancora… Guardami, Xemnas;
guardami e dimmi: ne vale davvero la pena? »
Il silenzio che segue è rotto da un
tuono.
L’uomo che non è più un
uomo conosce in quel momento la risposta: lei non lo aiuterà.
« Adesso vattene » sputa ancora
la strega, prima di chinarsi di nuovo sul libro. « Nessuno di noi
riavrà quello che ha perso. Vattene. »
E di nuovo, non potendo fare altro, Xemnas obbedisce. Si alza e se ne va, questa volta senza
concederle un ulteriore sguardo o un ulteriore inchino.
È solo una vecchia, così come
lui è solo un Nessuno.
Ripercorre i propri passi con il sapore
asciutto della frustrazione in bocca. Non della sconfitta, no; non
c’è solo lei, non c’è solo la magia, per ottenere
ciò che vuole. Semplicemente gli ci vorrà un po’ più
di tempo. Ma alla fine ce la farà.
Riotterrà il suo cuore, e
tornerà ad essere un uomo.
Solca la porta che si è riaperta per
lui, e si volta per guardarla poi chiudersi.
E gli sembra che, nell’ombra, una
mano esausta si tenda a spegnere la fiammella della candela.
* Frase liberamente
adattata da Io uccido, di Giorgio
Faletti