Envy.
La
cosa che mi rimase più impressa fu il suo viso.
Non
v’erano parole per descriverne i tratti, troppi e troppo complessi.
Poi,
quegli occhi di un verde così intenso, da sembrare scaglie del mantello di un
serpente.
Uno
sguardo troppo brillante da poter essere sostenuto.
I
suoi capelli di un rosso acceso quasi innaturale, lo facevano sembrare la
personificazione del fuoco.
Tutto
in lui era fuoco.
I
suoi movimenti, il suo respiro, la sua pelle e il suo sguardo, che non ostante
fosse del colore dell’acqua, riusciva a bruciarti l’anima.
Come
un fuoco che danza sull’acqua.
Al
contrario nei miei occhi si riversava il cielo.
Odiavo
i miei occhi.
Soprattutto
quando era lui ad osservarli.
Attraverso
di essi riusciva a leggermi l’anima e la mente. Era come se tutto quello che si
poneva tra il mio corpo e il suo sguardo,
svanisse, lasciando posto solo alla nuda pelle, troppo bramata per sfuggire ai
suoi occhi di smeraldo.
Quegli
occhi a cui tanto ambii, non li vidi mai consumarsi nel pianto.
Troppo belli. Troppo divini.
Al contrario i miei, del colore del cielo vuoto,
dal pianto furono consumati innumerevoli volte, tante che anch’adesso il loro
colore va sfumandosi in un rossore avvilente e doloroso.
Ma forse io che mi crucciavo in ciò che
possedevo, bramando a quegli occhi d’un
colore inesauribile, non comprendevo, che rendendolo partecipe dei miei lamenti
e dei miei capricci, consumavo piano,
piano quegli occhi, a cui ho tanto bramato.
Nel
momento in cui, i nostri corpi incollati l’uno all’altro, diventavano una sola cosa
e i gemiti strozzati uscivano dalle nostre gole come fossero un tutt’uno, quei
suoi occhi smeraldini, appena socchiusi, ogni volta, si soffermano ad osservare
il cielo scarno e vuoto racchiuso nei miei, contemplandolo quasi con invidia.
Ed è allora che tra la pausa fra un gemito e
l’atro, le mie labbra, si allargano in un gran sorriso.
Il
cielo, grande e sconfinato, nella sua immensità, brama di sfiorare la terra che
da sempre contempla.
Il
serpente, che senza dignità striscia sulla nuda terra da sempre brama un paio
d’ali per toccare il cielo.
Dio
è ingiusto.
Ma
noi tanto, della sua benedizione, non ce ne facciamo nulla.