Pigmalione
Ovvero
La magia dell’arte
We are such stuff
As dreams are
made on: and our little life
Is rounded
with a sleep
(William Shakespeare - The
tempest)
Camus era uno scultore, ed il suo atelier era il più grande del
mondo.
Si estendeva per decine di chilometri quadrati e, virtualmente,
comprendeva ogni
centimetro delle sterminate distese di ghiaccio della Siberia
orientale.
Questo perché il materiale con cui realizzava le sue opere
ricopriva tutto il territorio: era la neve.
Camus aveva cominciato a lavorare con la neve fin da bambino
costruendo i classici
pupazzi di neve, poi un giorno, nella sua mente infantile, aveva
maturato l’idea che fosse
davvero un peccato che quella sostanza purissima, che splendeva
come polvere di
diamanti, fosse sprecata per creare figure così goffe, banali e
prive di fascino, allora aveva cominciato
a creare altre forme.
Ogni cosa che desiderava, gli bastavano pochi tocchi per
renderla reale, così nel cortile della sua casa
avevano cominciato a prendere vita fate di ghiaccio, fiori,
animali, ed ogni genere di cosa che gli
passasse per la testa.
Una volta era uscito di casa nel cuore della notte ed aveva
modellato la sagoma di un orso
polare a grandezza naturale come se l’animale si fosse posato con
le zampe anteriori ed il
busto sul davanzale della finestra dei suoi genitori, e suo
padre si era accorto che era uno
scherzo solo dopo essersi affacciato dal piano superiore per
sparare con la rivoltella.
Poi Camus era cresciuto e creare sculture di neve era diventato
il suo lavoro: gliele ordinavano
apposta dall’Europa e dalla Russia e lui realizzava qualsiasi
soggetto, ma
sempre con la neve perché non era assolutamente capace di
lavorare con l’argilla.
L’argilla era pesante, viscida e scura, non era minimamente adatta
alla sua sensibilità, lui
lavorava solo con la neve, e chi voleva le sue sculture doveva
farne fare un calco in creta
per poterle poi fonderle nel metallo.
Quello era il suo lavoro, ma era anche una passione, e Camus
continuava a modellare
creature fantastiche per il solo gusto di creare, così le sue
sculture di neve erano l’unica
vera attrazione di quel villaggio sperduto tra i ghiacci della
Siberia.
Quella che lo teneva occupato al momento era la figura di un
giovane uomo più o meno della sua età.
Quella creatura dai lineamenti perfetti non era frutto della sua
immaginazione e neanche
una copia di un opera di arte classica, né tantomeno era una
commissione.
Il ragazzo che stava modellando era un sogno.
Camus lo aveva sognato la prima volta pochi giorni prima,
all’inizio solo come una sagoma confusa,
poi sempre più nitido notte dopo notte, finché non era arrivato
a distinguere la luce nei suoi occhi, la
bellezza del volto raffinato ed allo stesso tempo virile ed il
corpo perfetto.
La mattina dopo si era subito messo al lavoro per immortalare
nella purezza della neve l’immagine
che lo aveva letteralmente sconvolto.
I know you, I walked with you
Once upon a dream.
I know you, the gleam in your eyes
Familiar a gleam.
(Sleeping Beauty - Once upon a dream)
Milo faceva il fotografo.
Il suo lavoro era girare per il mondo per la rivista “Òrase*” di Atene e catturare con i suoi scatti momenti
irripetibili che altrimenti sarebbero andati persi per sempre.
Lui non calcolava l’angolazione della luce o il vento, lui
semplicemente arrivava e scattava, riuscendo sempre
ad ottenere foto perfette.
L’altra sua passione era il disegno.
Usava matite morbide o carboncini per dare vita ai suoi schizzi
riempiendoli di luci ed ombre, vuoti
e rilievi che sembravano far emergere le linee dal foglio
bianco.
La sua specialità era scurire gli angoli delle pagine di
documenti importanti per far sembrare che fossero
strappati, e quasi sempre a fare le spese di questi scherzi era
Saga, il suo capo, che regolarmente
sbiancava come un cadavere prima di afferrare il fascicolo e
rendersi conto che non c’era nessuno strappo.
Fino ad allora Milo aveva sempre riprodotto la realtà sia nei
disegni sia nelle foto, non aveva mai provato
a riprodurre qualcosa che non aveva fisicamente davanti, invece
quella mattina in ufficio tutta la sua
concentrazione era fissa su un volto.
Era un giovane uomo più o meno dello sua età, con bellissimi
occhi chiari e fini lineamenti efebici.
Aveva cominciato a sognarlo circa una settimana prima ed
all’inizio non riusciva a distinguerne chiaramente
le forme, ma poi finalmente, quella notte, lo aveva visto
chiaramente, e ne era rimasto assolutamente soggiogato.
Si era messo davanti ad un foglio bianco ed aveva cercato di
catturare un po’ di quella bellezza in un disegno
per paura di dimenticarla e perderla per sempre.
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*Òrase vuol dire “vista” in
greco
Salve a tutti!
Ho preso un po’ di congedo dall’altra mia fiction S.A.I.N.T. per seguire questa momentanea ispirazione.
Non so se come idea è convincente o se fa pena, in ogni caso
ringrazio chi ha letto fino a qua ^-^