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Autore: April Marywever    28/07/2010    0 recensioni
"Voglio che lei sia felice, e mi dispiace di non vederla crescere. Non riuscirò a vederla ed accompagnarla alla sua Cresima. Ma io comunque ci sarò: sarò in cielo e la osserverò. Chissà come sarà bella… Mi mancherà. Tanto. Troppo."
REViSiONE iN CORSO
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ciao a tutti! Questa è la prima fan-fic che pubblico...quindi siate clementiiii!! =)

Se magari commentate (anche solo poche righe.. 1 mi basta xD) capisco se vi è piaciuta o meno.. Visto che ho già pronta una nuova fanfiction che è collegata a questa..

Va beh.. Vi lascio alla lettura della mia opera (Ahahahahah xD)

 

Come faccio a dirtelo?

Questo era il mio pensiero fisso da circa un’ora.

Erano passati due mesi dalla scoperta di questa mia malattia, ma non lo avevo ancora detto a nessuno.

Mio padre e mia madre ovviamente lo sapevano ma avevo chiesto loro di non dire niente, nemmeno ai nostri parenti.

C’era solo una persona a cui volevo dirglielo: Alex. Il suo nome completo sarebbe: Alexander White, Alex per gli amici. La sua storia è molto simile alla mia, per questo siamo diventati sin da subito ottimi amici.

Eravamo molto in sintonia. 

 È un ragazzo alto, con occhi azzurri e capelli rossicci. In tre parole: un Bronzo di Riace.

Ero innamorata di lui da circa un anno, dal giorno in cui in quella fatidica ora di Storia, i nostri sguardi si erano incrociati. Eravamo nella stessa classe: la 1^ BR.

Volevo dirgli della mia grave situazione, ma non sapevo come fare.

Il mio nome è Smile. Smile Moore. Nome azzeccato direi! Si lo so, è un nome abbastanza insolito. Sono italiana ma mia madre ha voluto darmi un nome straniero. La mia famiglia è di origine americana, ma, dopo il divorzio dei miei genitori, mia madre ha deciso di trasferirci in Italia. Un giorno le avevo chiesto il motivo della sua decisione di affibiarmi un nome straniero, visto che quando si è trasferita non sapeva ancora di essere incinta, ma lei mi ha risposto: «Quando sarai grande ti racconterò.» Peccato che ormai io non potevo più diventare “grande”.

Sono una ragazza comune: non molto alta, capelli castani corti ed ondulati, occhi verdi con sfumature marroncine. Quest’anno avrei dovuto festeggiare i miei 15 anni, però… diciamo che non riuscirò ad arrivare al 27 Febbraio! Mi piace stare al computer, uscire con le mie amiche, e come sport: Tennis.

Ho una sorella più piccola di nome Serena. Anche lei, come tutti i miei parenti, non sapevano niente.

Quella decisione è maturata in non pochi giorni. L’ho fatto perché non volevo che si preoccupasse ulteriormente.

Anche se è in 4° elementare è molto sveglia come ragazzina. Ha capito che c’è qualcosa che non va, ma cerca di celare la sua curiosità. Ne sono una dimostrazione le numerose frecciatine che mi lancia ogni giorno.

Voglio che lei sia felice, e mi dispiace di non vederla crescere. Non riuscirò a vederla ed accompagnarla alla sua Cresima. Ma io comunque ci sarò: sarò in cielo e la osserverò. Chissà come sarà bella…

Mi mancherà. Tanto. Troppo.

Insomma, è mia sorella. Anche se litighiamo quasi sempre, le voglio davvero un mondo di bene.

Passarono circa due giorni, ma alla fine mi convinsi. Ad Alex gliel’avrei detto a scuola, il giorno dopo.

Arrivò il giorno e passai tre ore, seduta al mio banco, pensando. Più e più volte i professori mi richiamarono, ma non mi importava… Mi importava soltanto di dirglielo.

Suonò la campanella dell’intervallo. Nessuno sarebbe entrato in quella odiosa stanza in cui ci passavamo circa sei ore del nostro tempo. Avremmo parlato tranquillamente lì.

Lo chiamai facendogli un cenno con il braccio e mi diressi verso la nostra classe. Incominciai a parlare:

«Senti…sai qualcosa di malattie?» chiesi, buttandola lì sull’ironico. Lo so, non c’era niente da ridere. È che se non avessi cercato di fare sembrare “ironica” la mia domanda, i lucciconi avrebbero sicuramente debordato.

«Ehm…si. Ma perché questa domanda?» chiese ridacchiando.

«Ti devo dire una cosa molto importante, anzi…in realtà due.» un respiro profondo, Dai Smile, diglielo.

«Ok. Ti ascolto.»

Dai Smile…su che ce la fai…

«Però prima devo fare una cosa.» sorrisi, imbarazzata.

Mi avvicinai a lui, tirandolo verso di me per il colletto della sua camicia. Posai le mie labbra sulle sue.

Lui ovviamente sorpreso si irrigidii, scatenando in me un’ondata di paura. Ma dopo qualche secondo, contraccambiò il bacio. Siii… e una è fatta.

Mi staccai e gli dissi dolce:

«Mi sono innamorata di te. Ti amo dal primo momento in cui ti ho visto. Sei tutta la mia vita.»

«Non so cosa dire.» disse lui altrettanto dolce.

Abbassai lo sguardo. Proprio ora dovevo dirglielo? Proprio ora che mi restavano solo pochi mesi da vivere?

Mi alzò il mento con un dito.

«C’è qualcos’altro…giusto?»

«Si, ma prima devo sapere una cosa. Io ti ho detto che ti amo…ma tu ami me?»

Dovevo saperlo. Ecco.. ci siamo…

«Sì. Non avevo il coraggio di dirtelo ma ti amo anche io da quando ti ho incontrata.»

Oddio mio. Mi aveva detto di sì. Mia aveva detto ti amo… Sorrisi, gettandogli le braccia al collo e abbracciandolo.

Lui mi strinse di più al suo petto, stritolandomi nella sua presa.

Quando ripensai al motivo per il quale glielo avevo detto mi punsero gli occhi, facendo scendere una lacrima solitaria sul mio viso.

«Ehi…perché piangi?» chiese triste.

Se avessi una laurea segreta in medicina lo capiresti meglio…pensai.

«Alex…sono malata di leucemia.» dissi mormorando, sperando che non mi sentisse.

Lo sentii immobile, dosando ogni suo respiro. Era palese che mi avesse sentita.

Continuai a parlare. Doveva sapere.

«Circa due mesi fa mi sentivo strana e così sono andata da un medico. Dopo giorni che non si faceva sentire, lo chiamai. Mi aveva riscontrato la leucemia, stava ancora facendo tutti gli accertamenti. Dopo tre giorni mi confermò la malattia. Ero distrutta… Mi ha detto anche che ho ancora 3 mesi di vita.»

Sussurrai piangendo. «Gli unici che lo sanno sei tu, mamma e papà. Ti prego non dirlo a nessuno.» tremai.

Non rispondeva, e questo mi fece preoccupare ancora di più.

Non udendo risposta mi scostai dalle sue braccia, scappando in lacrime dalla nostra classe.

Che avevo fatto? Non dovevo dirglielo!!! Stupida, stupida e stupida!!!!

Corsi in bagno, chiudendomici dentro.

Le lacrime e i singhiozzi non accennavano a smettere. Perché, perché l’avevo fatto?

Non dovevo assolutamente dirglielo! No!

Proprio in quel momento, sentii la campanella suonare. Dovevo tornare in classe.

Mi diressi a passo incerto verso la mia prigione personale e mi sedetti al mio posto.

Sentivo un’occhiata perforarmi la schiena, era lui. Lo percepivo.

Cercai di ignorarlo, ma sentendo il suo sguardo su di me, ripresi a piangere.

Mi asciugai di fretta quelle poche lacrime, cercando di non pensarci. Ma come potevo farcela?

Accidenti!!! Era a meno di un metro da me!!!

Perché il professore ci aveva messo così vicini di banco?

Pensai, maledicendo mentalmente il mio insegnante di lettere.

Sentivo prepotente quello sguardo. Piantala…Dai basta…

Mi girai per farlo smettere, ma poi incontrai i suoi occhi. Erano tristi, addolorati, in pena.

Ecco. Sapevo che sarebbe successo. Provava pena per me. E io non volevo questo.

Ecco il motivo per il quale sapevano solo in pochi la mia malattia. Non volevo tutto il giorno quello sguardo puntato addosso. Io sono una persona forte. Cavoli…ho resistito per ben due mesi alla cura che mi era stata sottoposta!! Sto sopportando la mia malattia, sto cercando anche di non pensare che ho pochi mesi di vita!

Proprio in quel momento, ebbi un attacco di crisi respiratoria. Feci come il mio dottore mi aveva insegnato, per prevenire lo svenimento. Ma questa volta, stranamente non funzionò.

I miei respiri divennero sempre più brevi, più affannati. Dovevo resistere. Mi accovaccia sul mio banco, la testa posata al centro di esso.

Tranquilla, respira…

Per lo sforzo, mi scesero anche delle lacrime. Oddio, stavo morendo.

No. Non posso morire. Ho resistito a tutto questo per non far soffrire tutte le persone che amo.

Con voce tremante chiesi al prof se potevo andare in bagno. Lui titubante in un primo momento, acconsentì. Mi fiondai fuori dalla porta e, inciampando mi accasciai a terra.

Sentii la porta della classe schiudersi e qualcuno afferrarmi per le spalle.

Mi voltai impaurita. Nessuno doveva vedermi in quello stato. Nessuno. Mi rincuorai riconoscendo la persona dietro di me. Era Alex.

Era venuto a vedere come stavo. In quel momento il mio cuore si riempì di dolcezza.

«Tutto bene?» mi chiese, alzandomi dal pavimento.

«Si. Adesso si.» gli sorrisi. Di tutta risposta mi arrivò anche da parte sua un bellissimo sorriso.

«Perché sei uscito?» dissi, indicando la nostra classe.

«Ti ho vista strana, mi sembrava che non riuscissi a respirare… mi sono preoccupato. Quindi, sono corso subito qui.»

«Grazie Alex.» mormorai, contentissima che si voleva accertare del mio stato di salute.

«Senti… mi devi spiegare alcune cose.» disse improvvisamente serio.

Di tutta risposta io gli mormorai un “sì” appena accennato. Sapevo che mi avrebbe fatto questa domanda. E io volevo dirgli tutta la verità. Basta segreti, basta tutto.

Ritornammo in quell’odiosa stanza, sotto gli sguardi curiosi dei nostri compagni di classe: io rossa come un peperone, mentre Alex mi prendeva per mano e mi accompagnava al mio posto.

Chissà le mie amiche che avranno pensato... mi chiesi. Anche a loro prima o poi avrei dovuto dire tutto.

Quel pensiero mi mise tristezza.

La giornata passò in fretta, tra varie interrogazioni e verifiche a più finire…

Tornai a casa spossata, il “quasi svenimento” non aveva di certo aiutato la mia salute.

Salutai mia mamma, e ritornai alla calma quiete della mia adorata camera. Quelle quattro pareti avevano partecipato in prima persona a tutti i sentimenti che mi avevano attanagliato. Mi avevano vista piangere, durante il periodo dopo la scoperta della leucemia, mi avevano vista ridere, gioire quando chiacchieravo con le mie amiche e mi avevano vista preoccupata, specialmente quando dovevo dire a mia mamma che avevo preso un brutto voto. La mia vita era racchiusa in quelle quattro pareti che circondavano la mia stanza.

Dopo questi “insoliti” pensieri, andai subito a farmi una doccia.

Mi rilassai sotto il getto dell’acqua calda. Aveva un effetto calmante. Sgombrava la mia mente da qualsiasi pensiero. Mi sentivo leggera, come se non fossi più padrona del mio corpo.

Era una sensazione stupenda.

Stavo uscendo dalla doccia, quando sentii il campanello suonare.

Mia madre andò ad aprire, mentre io mi nascondevo sulle scale, con solo l’asciugamano addosso.

«Buongiorno, Smile è in casa?» disse una voce celestiale. Una voce che poteva appartenere solo a lui. Alex!

«Sì. È di sopra. Sta facendo la doccia. Aspetta un attimo che te la chiamo. Prego accomodati.» gli rispose mia mamma, dirigendosi verso camera mia.

Mi vestii di fretta: indossavo una tuta nera a righe dorate e una maglietta a maniche corte anche essa nera. Lasciai i capelli bagnati, sciolti sulle spalle che ricadevno in molteplici e delicati boccoli castani.

«Smile! C’è qui Alex. Vuole parlarti.» disse la voce della mia cara mammina, da dietro la porta.

«Arrivo!» urlai, precipitandomi giù dalle scale.

«Ciao.» Ero a corto di fantasia.

«Ciao.»

Come poteva solo la sua voce mandarmi letteralmente in paradiso?

«Ero venuto a vedere come stai. Dimmi… ti senti meglio?» mormorò avvicinandosi.

Per un momento rimasi interdetta poi balbettai un “sto bene”.

«Possiamo parlare in privato?» disse, notando la mia mamma curiosa che ci osservava dalla porta della cucina.

«Sì. Vieni.»

Andammo in camera mia. Li di sicuro mia madre non sarebbe venuta a “curiosare”.

«Per favore. Devi dirmi tutta la verità.» Ok. Sono pronta.

«Come ti avevo già detto due mesi fa mi riscontrarono la leucemia. Io, nelle settimane dopo la notizia, stetti malissimo. Infatti non sono venuta a scuola per qualche giorno. Dopo, stranamente mi ripresi.

Non volevo morire, perché avrei fatto del male alle persone che mi vogliono bene, quindi iniziai la cura, che sto continuando anche adesso. Devo prendere farmaci su farmaci. Sai che io odio le punture…» mormorai sorridendo.

«…Beh… adesso i dottori mi hanno detto di procedere con la cura e… di aspettare.» sospirai, triste.

«Per qualunque cosa io ci sono. Capito? Conta sempre su di me.> disse Alex abbracciandomi.

«Grazie. Non sai quanto mi facciano bene tutte queste emozioni “positive”. Tu non sai quanto ti amo…»

Diventai rossa per l’imbarazzo.

Lui mi accarezzò una guancia, per poi posare le sue labbra sulle mie per la seconda volta.

«Tu non sai quanto io amo te…» che dolce!!

Rimanemmo abbracciati per un momento a me eterno. Non volevo che se ne andasse. Volevo rimanere accanto a lui.

«Ehi… Mi è venuta un’idea… Vorresti fermarti a cena da noi?» incrociai le dita, non facendomi vedere.

«Certo!» disse, per poi baciarmi di nuovo.

Già il mio cuore aveva i battiti contati… come faceva ad essere così maledettamente stupendo da farmi dimenticare di respirare?

«Dai. Andiamo.» meglio uscire da quella stanza diventata improvvisamente troppo piccola.

Trovammo mia madre in cucina, intenta a cucinare gli spaghetti al tonno che, per precisare, è il mio piatto preferito!!!

Dopo avergli detto che Alex si fermava a mangiare da noi, mi squadrò con uno sguardo indagatore.

Poi notò le nostre mani intrecciate e le sorrisi, mordicchiandomi il labbro. Lei, dopo aver visto il mio sorriso, si entusiasmò talmente tanto che non riusciva a stare ferma. Anche io ero dello stesso umore.

Alex era stata una benedizione per me ed era anche il mio primo ragazzo.

Io non avevo una vita sentimentale molto “ricca”. Non uscivo quasi mai, solo se costretta mi allontanavo

Da casa. Ero una persona “sedentaria”, se così si può definire.

Mi piaceva stare da sola, magari ascoltando della buona musica oppure leggendo un libro.

Amavo leggere. Stavo ore ed ore seduta sulla piccola poltroncina della mia camera, intenta a leggere un libro. La mia ultima scoperta era stata una raccolta di romanzi, scritti da Stephanie Meyer: la saga di Twilight. Li avevo “divorati” in circa due settimane. Erano quattro: Twilight, New Moon, Eclipse e Breaking Dawn. Teoricamente doveva esserci anche un quinto libro: Midnight Sun, ma qualche persona idiota ha diffuso alcuni capitoli prima della pubblicazione ufficiale, quindi la scrittrice ha deciso di continuarlo più avanti. Data da destinarsi da qui a due anni.

Alla fine della cena, salutai Alex con un dolcissimo bacio e gli dissi che ci saremmo visti domani mattina a scuola. Come avevo previsto mia madre mi assalì di domande.

«È il tuo ragazzo?»

«Sì, mamma.»

«È nella tua classe?»

«Sì, mamma.»

«State insieme da molto?»
«No, mamma.»

Mia madre esasperata, mi supplicò: «Qualche particolare in più?»

«Si chiama Alex. Viene da un quartiere non molto lontano da qua. Ci siamo messi insieme oggi, durante l’intervallo. E, quando eravamo in camera gli ho raccontato tutto.»

A quella affermazione sembrò incupirsi: «Tutto? Ma proprio tutto tutto?»

«Sì. Tutta la verità.»

«Wow. Come l’ha presa?» L’espressione cupa non aveva ancora abbandonato il suo viso.

«All’inizio l’ha presa male, poi, dopo aver sentito tutta la storia, si è “ripreso”.»

Si tranquillizzò, facendo scomparire i solchi di preoccupazione dalla sua fronte.

«Mamma, ho sonno. Vado a dormire.» quella giornata sembrava non voler finire mai.

«Ok, tesoro. Buona notte.» disse, dandomi un delicato bacio sulla fronte.

«Notte, sogni d’oro.»

E con quella frase, salii le scale, fiondandomi nella mia stanza e lanciandomi nel mio soffice letto, sperando in un sonno pieno di sogni. Ovviamente tutti riguardanti Alexander.

~

Mi risvegliai di buonumore, contenta di essere viva e soprattutto di essere felicemente innamorata.

Scesi le scale in un secondo, impaziente di andare a scuola e rivedere Alex.

Mi vestii con una camicetta azzurra e un paio di jeans, con un maglioncino abbinato.

Che penserà di me? Sono carina così? O devo cambiarmi? Forse sono troppo formale vestita così… meglio più “spensierata”, in stile “ribelle”? Basta. Sembro una di quelle ochette superbellissime della mia classe!

Alex ti apprezzerà così come sei… Ai suoi occhi sei sempre stupenda… Ecco. Adesso parlo anche con la vocina della mia coscienza. Sembra di essere in una favola per bambini, con me al posto di Pinocchio.

Ridacchiai e decisi di porre fine a quei pensieri, aprendo la porta e andando incontro al mio destino.

Eccoci alla noia mortale della Scuola Superiore A. Fantoni.

È noioso dover ripetere sempre la stessa routine: casa-scuola-casa-scuola.. in un ciclo continuo.

Per fortuna che oggi c’era il mio sole personale ad accogliermi. Trovai Alex vicino alla porta d’ingresso, che scrutava tutti i passanti.

Mi avvicinai e gli sussurrai piano:

«Cercavi me?»

«Sì.» disse, prima di avvicinarsi e posarmi un leggero bacio a fior di labbra.

«A cosa devo questo bacio?» mormorai, cercando di riprendere fiato.

«Lo devi al fatto che ti amo.» mi rispose, dolce come il miele.

«Ti amo anche io. E tanto.» aggiungo ridendo.

In quel preciso istante, proprio quando tutto era estremamente perfetto, quella stupida campanella cominciò a suonare. E così, ci dirigemmo subito in classe, mano nella mano.

La mattinata trascorse lenta, come la solito… Beh, forse meno lenta… Solo perché c’era Alex che continuava a lanciarmi occhiate frettolose, quasi per assicurarsi che stessi bene e che fossi lì, ancora seduta al mio banco. Stava diventando “leggermente” iperprotettivo… pensai sarcastica.

Alla fine delle lezioni, Alex si offrì per accompagnarmi a casa e dopo esser arrivati, lo invitai a fare i compiti con me. Lui acconsentì, dicendomi che mi avrebbe aiutato a completare gli esercizi di Economia.

Sapeva che quella era la materia che più odiavo e disprezzavo… Sinceramente, a cosa ci serve l’ Economia?

Questo mi dimostrò quanto mi conoscesse bene. E io che pensavo di essere invisibile ai suoi occhi!

Passammo un pomeriggio fantastico. Feci i compiti, guardammo insieme la televisione… e soprattutto ci baciammo tantissime volte! Era una sensazione unica quella che provavo mentre le sue labbra si muovevano in sincronia con le mie. Era come essere accolti in paradiso.

Purtroppo arrivò mia madre ad interromperci. Alex si fermò come al solito a cena da noi e da quel giorno le sue visite si fecero sempre più frequenti.

La mia routine ora era: casa-scuola-Alex-casa-scuola-Alex… anche essa in un ciclo infinito.

~

Sono passati 3 mesi da quel magnifico pomeriggio passato insieme ad Alex.

Ebbene sì, non sono ancora morta. Nessuno era più sorpreso di me, anzi… forse i più sorpresi erano stati i medici. Non riuscivano a spiegarsi questo piccolo “miracolo”.Questo però non significava che fossi guarita. Anzi, tutt’altro.

I miei attacchi divennero abituali, e man mano che i giorni passavano, aumentarono anche di intensità.

Una volta perfino mi avevano dovuta portare d’urgenza in ospedale.

Sto peggiorando, questo lo so. Ma io non avevo smesso un minuto di combattere per la mia vita.

Io voglio e pretendo di vivere. Era questa la frase che mi dava la carica necessaria per superare tutte le mie difficoltà. Era diventata il mio motto.

Scesi le scale di corsa, ancora una volta ero in ritardo per la scuola. Aprii la porta di casa e trovai Alex sulla scoglia che mi stava spettando. Che carino… Tutti i giorni mi viene a prendere…e io che lo faccio sempre aspettare… Domani giuro che mi sveglio presto.

«Ciao amore.» mi disse, baciandomi velocemente. Non gliel’avevo mai detto ma adoro quando lui mi chiama così! Però, probabilmente l’avrà capito. Ogni volta che mi chiama così faccio una faccia da pesce lesso, con gli occhi sognanti e il cuore che fa mille battiti al secondo!

«Ciao! Scusa per averti fatto aspettare…» gli risposi, rossa come un peperone per la vergogna.

«Stai tranquilla… Non mi hai fatto aspettare.» Sapevo che diceva questo per non farmi preoccupare. Guardai l’orologio: 7.40 e lui è arrivato alle: 7.25 Ecco! Lo sapevo che lo faceva solo per farmi contenta!

«Ah, sì è?» mormorai sarcastica, riducendo gli occhi a due fessure. Per fortuna non mi aveva sentito…

Ridacchiai silenziosamente. Lui che si arrabbia è uno spettacolo irripetibile! Diventa rosso e inizia a balbettare frasi sconclusionate e senza senso.

Arrivammo in classe stranamente in orario. I nostri compagni ci avevano fatto l’abitudine a vederci sempre mano nella mano. Ormai tutta la scuola era a conoscenza della nostra storia. Ovvero che stiamo insieme. La lezione, dopo qualche minuto, iniziò.

Invece di prestare attenzione al mio insegnante di Matematica, ripensai ai mesi precedenti. Ripensai alla decisione di tenere la mia malattia segreta, di non dire niente nemmeno alle mie migliori amiche.

Non è che non volevo dirglielo… Non volevo farle preoccupare, ecco. A questo ci pensava Alex…

Infatti, era diventato molto, anzi… troppo protettivo nei miei confronti. Però dovevo ammettere che le sue attenzioni mi lusingavano. Era diventato il mio piccolo angelo custode. Però non erano necessarie tutte queste attenzioni da parte sua. Non volevo essere un peso. Volevo che anche lui vivesse la sua vita.

Così come mia madre. Lei si preoccupava sempre troppo. Si spaventava persino per ogni mio colpo di tosse o starnuto... Le avevo detto che stavo bene, che non c’era bisogno che si spaventasse così tanto. Ma ovviamente non mi aveva dato retta. Quando le madri danno retta alle proprie figlie? Ok, forse qualche volta succede, ma la maggior parte dei casi… No.

Ribadisco: Non voglio essere un peso. Per nessuno.

Ritornai con la mente a seguire la lezione, disinteressandomi di qualunque cosa non fosse Algebra.

Dopo sei ore di puro tormento, ritornai con Alex alla mia piccola casetta.

Beh… tanto piccola non era. Era un edificio di circa 12 m x 14 m. era di un colore giallastro, misto a qualche sfumatura di rosa. L’interno era ben arredato: il piano dove c’erano cucina e salotto era costeggiato da divanetti e poltroncine, con elettrodomestici di ultima generazione e un bancone dove si mangiava. Il piano superiore comprendeva la mia stanza, il bagno e quella di mia madre.

La mia aveva le pareti dipinte di diverse tonalità di verde, il mio colore preferito. Avevo una piccola televisione e un computer portatile, collegato ad Internet. Accanto ad un enorme letto a baldacchino c’era un comodino in legno chiaro e, di fronte ad esso, sulla sinistra, c’era una poltroncina coordinata con le pareti. Sembrava il regno di un piccolo folletto.

La camera di mia madre era più grande, con un enorme letto matrimoniale e altre cose come: televisione, divanetti, armadi… La sua però aveva le pareti d’intonaco bianco. A differenza della mia stanza, la sua aveva anche un piccolo bagno privato. In definitiva il bagno posto tra le nostre camere era il mio.

Per domani avevo una marea di compiti: Algebra, Scienze Natura, Francese e Grammatica.

Ovviamente Ale era sempre al mio fianco che mi aiutava. Era un supersecchione. Aveva i voti più alti della classe in tutte le materie. Io me la cavavo, ero nella media. Non ero bravissima, ma perlomeno mantenevo la sufficienza.

Finimmo in poche ore, e stanchi e stremati, ci sedemmo sul divano, abbracciati.

Era da tantissimo che non mi baciava. “Tantissimo” per me equivaleva ad un giorno.

Lo attirai a me, e lo bacia dolce. Quanto lo amavo. Non c’era unità di misura esistente a questo mondo per esprimere tutto l’amore che provavo per lui. Mi sdraiai completamente sul divano, con lui sopra di me.

Adoravo il contatto del suo corpo con il mio. Mi metteva sicurezza e protezione.

Dopo qualche istante, posò il capo sul mio petto, mantenendo il mio stesso respiro. Io intanto gli accarezzavo i suoi morbidi, castani capelli. Sembrava che ascoltasse il mio cuore. Anzi, sembrava che si accertasse che esso stesse battendo. Sempre il solito iperprotettivo.

Che sensazioni uniche. Mi sentivo estremamente bene in quei momenti. Troppo bene, visto che dopo alcuni istanti, mi addormentai, con il mio angelo custode a vegliare su di me.

~

Mi ritrovai nel mio letto. In un primo momento non capii come ci fossi finita lì, ma dopo mi ricordai del pomeriggio della giornata precedente.

Probabilmente Alex mi avrà portata di sopra… pensai. Dovrò ricordarmi di ringraziarlo…

Mi alzai, ancora assonnata, e fui colpita da una fortissima ondata di vertigini.

Caddi sul pavimento come una patata lessa, non riuscendo a muovermi e dire niente.

Eccoci. Questa è finalmente la mia fine. Il destino sta per portarmi via con se. Dopo mesi che la speranza era albeggiata nel mio, anzi nostri cuori, la morte sta sopraggiungendo.

Addio Alex. Ti amo.

~

Il concetto di vita è di per se semplice; il reale significato, al contrario, non lo è affatto.

Perché ormai io non possedevo più una “vita”.

Sono in paradiso? Questo fu il mio primo pensiero. Che starai facendo? Mi manchi.

Alex… Alex… Alex…

Perché?! Perché quella stupida malattia aveva dovuto colpire proprio me?!

Che avrò fatto di così malvagio da meritare una fine del genere?!

Continuai ad imprecare contro una persona invisibile.

NO! Perché?! PERCHÉ?!

Mi manchi. Da morire. E ancora quel pensiero: Che starai facendo?

~

Ad un tratto, riaprii gli occhi. Ehi… Ma io non dovevo essere nell’aldilà??

Osservai tutto ciò che stava accanto a me. Notai con rammarico che ero coricata in un letto d’ospedale, con mille tubicini attaccati addosso. Sentivo anche un fastidioso “Bip… Bip…” che suonava nell’aria.

Mi accorsi di un’ombra, vicino alla finestra dalle tendine gialle.

Quel “qualcuno” si avvicinò a me, rivelandomi chi fosse. Alex…

In un primo momento lo guardai: notando le sue enormi occhiaie marcate, intuisco che è stato sempre vicino a me, senza concedersi alcune ore di riposo. Il suo viso era stravolto, i suoi occhi spenti.

Non riesco a guardarlo, ridotto com’è.

Mi sollevai di slancio, cercando di abbracciarlo. Purtroppo non ero del tutto guarita –lo ero mai stata?- e ricaddi fra i cuscini, con un tremendo mal di testa. Ale mi ripose con dolcezza la coperta sul mio corpo.

«Shh… Rilassati… Stai tranquilla…» mi sussurrò soave e rassicurante.

«Che è successo?» dissi, riportando la mia mente a pochi istanti prima. Avevo un milione di domande.

«Ti ha ritrovata tua madre in camera tua, distesa sul pavimento priva di sensi. Ha chiamato subito un’ambulanza. I medici hanno detto che devi rimanere ancora una settimana qui dentro… Adesso, devi solo pensare a riposarti, chiaro?» sarcastico e serio al tempo stesso.

«Grazie per tutto quello che fai per me. Non te l’ho mai detto, e ho fatto male a non dirtelo. È che sembrava scontato per te farlo… Beh.. comunque grazie. Grazie, grazie, grazie!!» esultai.

«Puoi abbassarti un secondo? Hai detto che non devo muovermi.» ripresi, con un sorrisetto.

Si abbassò e io lo circondai con le mie braccia. Gli sussurrai ancora quanto lo amassi e quanto ero grata che lui facesse tutto questo per me. Alla fine, ci scambiammo un tenero e dolcissimo bacio, colmo d’amore.

Dopo pochi istanti, mi staccai per riprendere fiato. Come poteva anche solo la sua vicinanza a sconvolgermi del tutto?

~

Passarono due settimane da quel giorno. Ormai stavo giungendo alla mia fine.

Ero sdraiata nel letto di casa mia. Non c’era più nulla da fare, i medici mi avevano detto che mi rimanevano poche ore, e stavolta non sarebbe avvenuto nessun miracolo. Era ovvio che prima o poi avessi dovuto morire. È che quegli ultimi giorni passati insieme ad Ale mi avevano donato un piccolo bagliore di speranza. Inutile, purtroppo.

Avevo chiesto di portarmi a casa. Volevo morire osservando ancora una volta la mia stanza.

Quella stanza, resa partecipe di tutto: della mia disperazione, del mio “risveglio” e alla fine, ora della mia morte. Nel mio letto sentivo che le forze iniziavano a venir meno. Mi sentivo fredda, nonostante le due pesanti coperte che mi sovrastavano. Accanto a me, c’era Alex. Rimasto qui insieme a me per l’ultimo saluto. La mia morte era vicina. Pochi attimi e il mio cuore si sarebbe spento per sempre.

Però, prima… dovevo fare un’ultima cosa.

«Alex…» lo chiamai, sofferente.

«Si?» la sua voce era stanchissima. Causa: le numerose notti insonni provocate dalla mia persona.

«Ti prego, promettimi una cosa.»

«Quale?»

«Vivi la tua vita. Ricordami, ma ti prego non voglio che il mio ricordo sia causa di altra tristezza da parte tua. Ti ho fatto soffrire molto… me ne rendo conto. E non trovo le parole per dirti quanto mi dispiace.» ripresi fiato.

«Ricorda i bei momenti passati insieme, ricorda che ti amerò per sempre. Ricorda che veglierò su di te per l’eternità.» ormai, ad ogni parola singhiozzavo.

«Vivi la tua vita. Dal cielo vorrò vederti sposato, chiaro?» il mio tono perentorio venne smorzato dalle lacrime. «Magari con una bella moglie, che darà alla luce i tuoi bambini. Di sicuro saranno come te. Dolci, simpatici e soprattutto uguali alla splendida persona che ho di fronte ai miei occhi.»

Anche lui, ora, aveva iniziato a piangere.

«Shh… Non piangere amore mio.» gli sussurrai, cancellando le lacrime con dei piccoli baci.

«Ti amo.» questa era l’ultima parola che avrei pronunciato. Lo sapevo, il momento tanto atteso era giunto. Quel momento, che speravo non arrivasse mai. Addio Alex, grazie di tutto.

Dopo pochi secondi, le mie palpebre cedettero, circondandomi di buio, mentre sentivo i singhiozzi disperati del mio piccolo angelo.

 

POV Alex         [Dopo la morte di Smile]

L’Apparente Risveglio

 

Ed eccomi qui, ancora una volta, a parlare ad una lapide, nel cimitero di questa piccola cittadina.

Sono passati tre anni dalla morte della mia stellina, ma ancora non ci ho fatto l’abitudine.

Ormai ho quasi 18 anni.

Oggi è esattamente il 27 Febbraio. Se lei  fosse ancora qui, accanto a me, a quest’ora sarebbe già maggiorenne, una giovane donna adulta.

Questa data è tanto bella quanto triste.

Perché? Perché significa che un altro anno è passato, un altro anno senza la mia piccola Smile.

Il ricordo di lei è ancora vivido nella mia mente. Mi manca tanto.

Mia madre mi ha consigliato di abbandonare l’Italia e di trasferirmi altrove, ma non voglio abbandonare il mio amore. Un’altra ondata di lacrime si fa strada dentro di me.

«Piccola mia, che ti hanno fatto?» sussurro al vento, preso dalla disperazione.

«Non dovevi morire! Almeno, non in questo modo! Avevi una lunga e felice vita davanti a te, pronta ad aspettarti… e invece…» non riuscii a terminare la frase, ormai ero preda dei singhiozzi.

Mi ricordo il giorno della sua morte come se fosse ieri: le sue parole… sono stampate per bene nella mia mente. Le sue lacrime, ormai mie, mentre pronunciava quelle frasi dolorose per entrambi. Il nostro ultimo sguardo, il nostro ultimo saluto.

Intanto, preso dai miei pensieri, una poesia si fa strada dentro di me.

 

Tu, mio sole… il mio tenero e dolce fiore…

La vita ti è stata tolta ingiustamente… non doveva finire così.

Tu, così pura, così fragile…

Amore mio, perché mi hai abbandonato a me stesso? Mi manchi… mi manchi.

L’unica domanda che mi viene in mente è: Perché tu?

Tu non dovevi morire, tu dovevi vivere.

La mia piccola stellina…

Ti amerò sempre, per sempre.

La mia vita, ormai vuota senza te, è inutile…

Essa passa scandita dagli anni… il tempo passa veloce…

Troppo veloce… troppo in fretta…

L’unica cosa che posso dirti è questa:

Ti amo.

Finché il mio cuore esalerà i suoi ultimi battiti, aspetterò di ricongiungermi a te.

Alla tua splendida e perfetta persona.

Non ti dimenticherò mai, è una promessa.

Arrivederci, mio unico amore.

 

Non mi accorsi che ormai si era fatta sera. Questa da due anni era la mia routine. Venivo tutti i pomeriggi a salutare la mia piccola, e a raccontarle la mia giornata. Decisi di mettere per iscritto la mia poesia dedicata a lei e poi di lasciarla accanto ai fiori poggiati sulla sua  tomba.

Dando un bacio alla sua  lapide, dove c’erano incisi i dati anagrafici del mio amore, ossia: nome e cognome; data di nascita (27 Febbraio 1995); data di morte (27 Gennaio 2010); e diedi l’ultimo saluto di quella giornata.

«Ciao Smile, ci vediamo domani.»

Un vento innaturale si alzò, e mentre stavo raggiungendo il cancello posto all’entrata del cimitero, potei giurare di avere sentito la sua  voce dire: «Ciao Alex, ti aspetterò per sempre.» 

 FiNE

 


 

Lo so, è molto triste... Pensate che ho pianto anche io quando la rileggevo!

Volevo solo far capire quanto una ragazza riesce a sopportare tutto quello che la circonda.. Tutta la forza d'animo che ci mette..

È da questo pretesto che è nata questa storia.. dal coraggio di una ragazza.. da qui il titolo: Fight for Life: Combattere per la Vita.

Spero vi sia piaciuta =)

Un bacione

SarettaCullenWriter

 

   
 
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