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Autore: alister_    28/07/2010    4 recensioni
Breve one-shot che ho scritto anni fa, e che non avevo mai saputo dove infilare prima di notare la sezione ''classici greci e latini''. Non credo che riceverà molti commenti, ma ci tenevo a dar voce al personaggio dei poemi omerici che più amo: Ettore.
Le parole che seguono altro non sono che i suoi pensieri prima del duello con Achille. I dubbi, i tentennamenti, i ripensamenti che fanno di lui uno dei personaggi più umani della letteratura antica.
NOTE:
1: Le frasi di Andromaca sono prese direttamente dall'Iliade, nella traduzione di G. Cerri.
2: So benissimo che prima dello scontro Ettore scappa, ma questa breve storia- se così si può definire- si conclude subito prima che questo avvenga.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La morte è vestita di bronzo

 

 

 

 

''Morirò''.

 

''Presto io morirò''.

 

Si ripeteva queste parole nella testa, come per autoconvincersene; giacchè era inevitabile la sua morte quel giorno- in cuor suo lo sapeva-  non voleva che neppure una piccola scintilla di speranza si accendesse. Illudersi era inutile.

 

''Morirò''.

 

Non aveva scampo, non questa volta. Sentiva distintamente che nessun dio sarebbe stato dalla sua parte. E  di certo il suo valore in battaglia non sarebbe bastato,  non contro un simile nemico.

 

ACHILLE.

 

Un nome pesante, incredibilmente pesante. Quasi si sentiva vibrare nell'aria l'intensità della sua collera, e la sua forza già disumana e resa ancora più implacabile dal dolore, dolore di cui lui, Ettore, era causa. Quindi, almeno in teoria, il desiderio smodato che Achille aveva di farlo a pezzi era giustificato; in pratica, ovviamente, non era così facile accettare il proprio destino.

 

Aveva ucciso Patroclo, era vero; ma erano in guerra, ed un comportamento simile era normale. Achille non aveva infatti ucciso migliaia di Troiani? Ed i suoi fratelli, non aveva forse ucciso i suoi fratelli? Ed i fratelli ed il padre di...Andromaca?

 

ANDROMACA.

 

''Sventurato, il tuo ardore sarà la tua rovina...''

 

Aveva ragione, come sempre. Se fosse nata nel corpo di un uomo, avrebbe potuto diventare un ottimo comandante militare.

 

''Schiera l'esercito al fico selvatico...''

 

Avrebbe potuto farlo. Se l'avesse fatto, se l'avesse ascoltata, probabilmente in quel momento non si sarebbe trovato a trascorrere gli ultimi istanti della sua vita in quell'agonia lacerante, in attesa che il suo nemico infine giungesse e lo trafiggesse con la sua lama di bronzo. Avrebbe potuto essere salvo, nelle mura sicure di casa, tra le braccia della sua sposa che come sempre lo aspettava pazientemente. Lei, la sua Andromaca, l'aveva pregato di seguire il suo consiglio, l'aveva pregato di non abbandonarla. Piangeva, la sua bella moglie, e dalla sua voce, nonostante si sforzasse di mantenere il solito tono dignitoso, trapelava chiaramente la disperazione che stava provando.

 

''Tu, Ettore, sei per me padre e madre adorata ed anche fratello, e sei il mio splendido sposo: ma allora, su, abbi pietà e resta qui sulla torre, non rendere orfano tuo figlio, non fare della tua donna una vedova...''

 

L' aveva sfiorato con la mano fredda, gli aveva mostrato il figlioletto, che ancora non parlava e si spaventava alla vista del suo elmo, della sua corazza d'oro.

 

SCAMANDRIO.

 

Il suo bambino, così piccolo, così indifeso. Che ne sarebbe stato di lui da orfano? E di Andromaca, che non aveva nessuno al mondo al di fuori di lui? Valeva davvero la pena di abbandonarli, di lasciarli soli, tristi, piangenti ed infelici, con un destino davanti a sè non meno infausto del suo?

 

In un istante, si vide chiaramente tornare indietro, fare irruzione nelle stanze dove la sposa stava lavorando alla tela, come le aveva detto di fare; lei di sicuro gli sarebbe saltata al collo, piangente e ridente al contempo, proprio come durante gli istanti finali del loro ultimo incontro.

 

Avrebbe potuto farlo. Era ancora in tempo, forse. Sarebbe bastato voltarsi e correre, prima che arrivasse il suo nemico...

 

NO! Cosa andava a pensare? Lui non era un vile, non era un codardo; era Ettore, il migliore tra i guerrieri troiani, il più forte, il più stimato. Che ne sarebbe stato del suo onore, se si fosse abbassato a tale livello? E di quello dei Troiani? Che cosa avrebbe pensato il suo popolo di un simile vile?

 

Eppure, anche i suoi genitori l'avevano implorato di rientrare, di non gettare via la sua vita; perchè sapevano anche loro che pur essendo un abile guerriero, contro Achille aveva ben poche possibilità di salvarsi. Avrebbe dunque abbandonato i suoi genitori, che per colpa di quella guerra già avevano subito lo strazio di dover perdere tanti figli, il suo popolo, la sua preziosa  moglie, il suo bambino sorridente? Per quanto ancora sarebbe rimasto impresso quel dolce sorriso sul volto del piccolo Scamandrio, una volta rimasto orfano, una volta in balìa del popolo straniero ed ostile degli Achei? E Andromaca, Andromaca portata via come un oggetto da uno dei vincitori, usata come una misera schiava, come se non fosse figlia del re di Tebe, come se non fosse moglie del primo dei Troiani...

 

E se avesse trovato un accordo con Achille? Un qualsiasi tipo d'accordo, una tregua al conflitto, magari in cambio d'oro...

 

Che stupido era. Il terrore della morte lo stava rendendo uno stolto. Achille non sarebbe mai venuto a patti con nessuno, neppure con uno dei suoi compagni achei, figurarsi con lui, la persona che in quel momento odiava di più al mondo, quella su cui avrebbe sfogato tutta l'ira e tutto il dolore che provava per la morte di Patroclo. E, anche nell'assurda possibilità di un loro accordo, ecco che ritornava in ballo la gloria che aveva conquistato in anni di battaglie in prima fila: sarebbe sparita all'istante, e lui sarebbe stato peggio che morto.

 

Ma avrebbe avuto Andromaca, e Scamandrio...Loro l'avrebbero amato ugualmente, loro...

 

No. Doveva capirlo, non c'era possibilità si scelta. Poteva solo smettere di camminare attorno alle mura di Ilio, fermarsi, respirare, ed aspettare a testa alta il suo nemico, come sempre aveva fatto. Forse, probabilmente, sarebbe morto, ma sarebbe morto come Ettore, figlio di Priamo, il più valoroso dei Troiani, e  suo padre, sua madre, suo figlio, sua moglie, il suo popolo, tutti sarebbero stati fieri di lui nel dolore. Piangendo la sua morte, avrebbero elogiato il suo coraggio, il suo amore per la patria, le sue doti in battaglia, ed avrebbero detto:-Ettore è morto da eroe, combattendo sotto le mura della sacra Ilio-.

 

Era giusto così.

 

Non c'era scelta.

 

Chiuse gli occhi e rivide l'immagine della sua amata sposa che non riusciva a rientrare nelle sue stanze senza smettersi di voltarsi e a lanciargli fugaci occhiate tra le lacrime. Vide suo figlio, con un timido sorriso: mai avrebbe imparato a conoscerlo, mai tra di loro sarebbe nata quella complicità che aveva sperato. Per lui sarebbe sempre rimasto un eroe lontano, sconosciuto. Vide sua madre piangere per l'ennesima volta la morte di un figlio, vide suo padre incurvarsi sotto il peso di quel nuovo lutto.

 

E, infine, un rumore lo richiamò alla realtà: passi, cadenzati e feroci.

 

Riaprì gli occhi e vide la morte: era vestita di bronzo.

 

   
 
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