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Autore: marty_chan91    29/07/2010    6 recensioni
London 1888 Misteriosi omicidi sconvolgono l'Inghilterra. Il giardino della regina Victoria sta per essere sporcato da efferati crimini che minacciano la pace cittadina. Per impedirlo occorre l'intervento del "cane da guardia reale", il diabolico Conte dallo sguardo di ghiaccio accompagnato dalla sua fedele domestica. Un passato oscuro si cela dietro il loro indissolubile legame. In un epoca di luce ed ombre si svolge la storia di due anime risputate persino dall'Inferno, la storia dei Bloodhound.
Genere: Dark, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fuoco. Fiamme. Urla. Dolore. Pianti.

Ho paura.

Fa caldo. Fa tanto caldo.

Questo è...l'inferno?

Sì...deve essere così.

Allora io sono...morta?

Non voglio.

Padre... Madre...

Non voglio morire.

Gli addii sono dolorosi.

La fine è dolorosa.

Se io muoio la mamma piangerà. E il papa sarà triste.

Non voglio...non voglio farli soffrire.

Quando sarò morta cosa ne sarà di loro? E di me?

Non li rivedrò più? Rimarrò da sola, per l'eternità?

Dimenticherò ogni cosa...ogni istante vissuto...ogni ricordo.

I sorrisi. Le lacrime.

Io non esisterò più.

La morte cancellerà la mia esistenza.

..

Non voglio.

Qualcuno mi aiuti...

Qualcuno...mi...

London Bridge is falling down...falling down...falling down

London Bridge is falling down...my fair Lady.

Una canzone per bambini.

Chi è?...

Chi sta cantando?

London Bridge is falling down...falling down...falling down

London Bridge is falling down...my fair Lady.

C'è qualcuno?

Non riesco a vedere niente.

E' tutto rosso. Le fiamme mi stanno avvolgendo.

Bruciano. Le fiamme dell'inferno.

Madre?

Padre?

London Bridge is falling down...falling down...falling down...

Ho paura...

Per favore...qualcuno mi aiuti!!

Io non voglio morire!!

London Bridge is falling down...my fair Lady.

Arrivati di fronte alle porte dell'inferno gli uomini chiedono sempre pietà.

Che qualcuno mi salvi... che qualcuno mi aiuti...

Disperazione. Oblio. Paura.

Patetico.

Non si può sfuggire all'inferno come non si può sfuggire alla vita.

La vita terrena, una continua lotta per la sopravvivenza, un continuo soffrire.

Gli uomini sono obbligati a nascere, sono messi al mondo contro la loro stessa volontà, non possono sottrarsi a questo destino, a questo dolore.

La vita stessa è l'inferno.

Perciò, perchè avere paura? Perchè avere paura di quello che c'è dopo la morte se la sofferenza provata non sarà niente di diverso dal passato?

Gli esseri umani sono creature davvero meravigliose. Peccato però che siano anche così sciocche.

Sono capaci di creare macchine e di volare, benchè esso sia contro la loro natura. Eppure non riescono a comprendere se stessi. Hanno paura della morte, loro, creatori di cose immortali. Invocano un Dio che non esiste. Loro, che per primi si sono atteggiati a Dio imponendo leggi per decidere chi deve vivere e chi deve morire. Temono l'inferno e pur di sottrarsi ad esso donerebbero la loro anima al Demonio.

E tu, piccolina...tu...cosa sei disposta a fare per aver salva la vita?

Venderai la tua anima per poter vivere altri anni di sofferenza e di dolore...oppure...morirai qui, questa notte?

Arrivati di fronte alle porte dell'inferno gli uomini sono disposti a tutto.

Anche a rinnegare il Paradiso.

+...From Hell...+

Capitolo 1: Welcome to Hell

The Victorian Age.

La grande epoca Vittoriana. Avviata nel 1832, conclusa nel 1901. Due secoli di gloria e di splendore che diedero alla Gran Bretagna il titolo di prima potenza economica e industriale del mondo.

Un periodo di riforme sociali, cambiamenti politici, progresso, invenzioni, espansioni coloniali e stabilità. E il merito di tutto questo era della regina.

Queen Victoria. Suo era il regno più lungo della storia dell'Inghilterra. A lei si ispiravano e si identificavano i cittadini. Lei e il suo esemplare stile di vita, il suo rigido codice di comportamento, la sua morale e la sua profonda fede religiosa. Il popolo la amava. I ricchi della 'Upper' e della 'Middle class' condividevano i suoi ideali.

La Regina era il simbolo della nazione. Simbolo che tutti veneravano.

Ma "l'illuminata" epoca Vittoriana fu anche un periodo di estrema ipocrisia: se da una parte la borghesia e la nobiltà prosperavano concentrando nelle loro mani il potere politico ed economico della nazione, dall'altra parte vi erano povertà ed ingiustizie sociali.

Le strade di Londra, con i loro alti palazzi anneriti dal fumo, le ciminiere e gli edifici uno identico all'altro, erano il simbolo delle contraddizioni dell'epoca.

East End e West End. Due facce della stessa medaglia. Le due facce di Londra.

West End era il nucleo della classe dirigente, il luogo dove si concentravano i negozi alla moda, le ville più belle, i monumenti che avevano fatto la storia della Nazione. West End era la maschera che nascondeva il vero volto di Londra. La perfezione, l'educazione, le feste e i balli di società.

L'Est End era ciò che ogni rispettabile cittadino voleva nascondere. Ghetti sporchi e insalubri che contenevano migliaia di persone. Bambini ammassati per strada a chiedere l'elemosina o a rubare. Prostitute agli angoli delle strade. Ubriachi sdraiati a terra svenuti.

Loro. La 'terza classe'. I lavoratori delle fabbriche, uomini diventati come macchine, industrializzati da una società che aveva fatto del lavoro la prima ragione di vita.

Questa era la grande epoca Vittoriana. Il periodo della borghesia arricchitasi grazie al lavoro. Il lavoro degli altri.

Nonostante questo furono proprio le Middle e Upper classes a promuovere un codice di valori da rispettare basato su opere di carità, rispettabilità, castità e lavoro. Aiutare i più poveri era uno degli obblighi principali delle classi ricche, un tentativo morale di risolvere questo profondo divario, o forse solo un misero tentativo di pulirsi la coscienza.

Tipico dei Vittoriani essere dei gran moralisti.

Questa era la Victorian Age. Questa era l'epoca di luce e ombre dove tutto ebbe inizio. Questa era l'Inghilterra. Un paese di marionette controllato da un solo burattinaio. Una nave che navigava in mare aperto con il suo capitano e pochi prescelti a bordo. L'arca di Noè del diciannovesimo secolo. Solo le specie più pure potranno salvarsi quando la nave affonderà nell'oblio della notte, nelle acque gelide del Tamigi invaso dalle fiamme dell'inferno.

Quando quel momento arriverà...cosa ne sarà di noi...my lord?

Bloodhound's Manor, 30Th August 1888

"Signore?...Signore si svegli. La colazione è pronta."

Nessuna risposta.

Nel letto dalle lenzuola disfatte arrivò flebile un lamento.

Sospirai. Ogni giorno era la stessa storia.

Aprii le tende della finestra che dava sul giardino.

Erano le nove di mattina. Il sole era ormai alto nel cielo. Neanche una nuvola scura. Nell'aria un piacevole tepore addolcito dal vento fresco.

Eppure mai che si alzasse appena chiamato.

I raggi del sole invasero completamente la stanza rimasta nell'oscurità per troppo tempo. Con piacere notai che era in ordine, tranne che per il letto a baldacchino dalle candide lenzuola di lino.

"My lord " mi avvicinai chinandomi sul comodino di legno " questa mattina le ho preparato del Ceylon Tea..." presi il servizio di porcellana Royal Doulton e versando il tè nella tazza aspettai.

Brontolando si decise finalmente ad alzare le coperte e si portò a sedere.

Osservai incantata i suoi lunghi capelli d'argento spargersi dolcemente sul letto, cadere giù dalla sua schiena. Lo facevo ogni mattina sperando di non essere vista. Erano splendidi, anche se arruffati per la notte trascorsa. Parevano brillare di luce propria.

"Kagome...quante volte ti ho detto di non svegliarmi all'alba?" brontolò con voce lenta, ancora assonnato.

Si strofinò l'occhio destro scostandosi la frangia dalla fronte.

Prese il te che gli porgevo.

L'alba aveva detto. Sorrisi chinandomi lievemente su di lui.

"Sono le nove passate, My lord. Questa mattina ha da svolgere molti impegni. Alle dieci deve incontrare Mister Jones per l'introduzione di quel nuovo prodotto sul mercato, dopo ha le lezioni di pianoforte con Madame Bonnet e scherma con Mister Heatcliff."

Con attenzione cominciai a sbottonargli la camicia da notte. Ogni mattina, come domestica personale del Conte, era mio il compito di vestirlo e prepararlo. Era così da ormai tre anni. Eppure...

"Poi..nel...nel pomeriggio..."

Imbarazzata mi bloccai. Non ero ancora abituata. Abbassai lo sguardo. Come potevo abituarmi? Ero pur sempre una ragazza di sedici anni. E il Conte poi...il Conte era così...

Un sospiro scocciato mi costrinse ad alzare gli occhi dal pavimento.

Degli occhi dorati mi stavano fissando in attesa. Freddi e inespressivi. Gli occhi del Conte non erano cambiati da quel giorno. Erano passati tre anni da allora...tre lunghi anni. Da quella notte di inverno non mi ero mai separata da lui. Ovunque lui andasse io lo seguivo. Questo era il contratto stipulato quel giorno. Questi erano gli ordini che il Conte stesso mi aveva imposto. Ma anche senza obblighi io lo avrei lo stesso seguito fino in capo al mondo. Fino alla morte.

"Allora Kagome? Che diavolo c'è? Cos'hai da fissarmi a quel modo?"

"Eh?"

Riportata alla realtà dalla sua voce scocciata mi ricordai di essere ancora nelle sue stanze, in ginocchio sul pavimento, intenta a sbottonargli la camicia.

"N-niente!"

Arrossendo continuai il mio lavoro.

"C-che stavo dicendo? Ah, si! Oggi pomeriggio verrà a farle visita Hojo-sama dalla filiale del Giappone."

Dopo un' altra sorsata di tè il Conte si fermò.

"Hojo?"

"Yes, sir. Arriverà alla sei, sarà opportuno preparargli una stanza per la notte, il lungo viaggio dal Giappone lo stancherà senz'altro."

Finii poco dopo di vestirlo legando il nastro blu attorno al colletto inamidato della camicia.

Era perfetto con l'elegante completo di tweed marrone. Arrossendo abbassai di nuovo lo sguardo. Proprio per questo mi imbarazzava tanto svestirlo e rivestirlo..il Conte era di due anni più grande di me, uno splendido lord dell'alta società inglese.

Inoltre io...da quel giorno di neve...io...

"Bene..." il Conte tornò a guardarmi negli occhi " dato che oggi abbiamo un ospite importante sai cosa devi fare."

Io annuii.

"Verrà trattato con la migliore ospitalità, degna della famiglia Bloodhound!" risposi inchinando lievemente la testa.

Lui sorrise. Uno dei suoi soliti sorrisi privi di gioia. Il solo sorriso che era capace di fare.

Felice in cuor mio di aver completato la preparazione del Signore feci per alzarmi da terra. Dovevo finire di preparare la colazione ed ero già in ritardo. Una mano però mi bloccò. La mano destra che il Conte aveva posato sulla mia spalla.

Sorpresa lo guardai.

"Desidera qualcos'altro, sir?" chiesi mentre il cuore nel petto cominciò a battere più forte.

Il sorriso sul suo volto privo di imperfezioni si allargò. Prese a chinarsi su di me. Era sempre più vicino. Troppo vicino.

"Ti sei dimenticata..." sussurrò a pochi centimetri dalle mie labbra aperte dallo stupore "...del bacio mattutino."

La bocca del Conte si posò velocemente sulla mia senza che io avessi il tempo di reagire o di comprendere quelle parole dette con un velo di malizia.

Mi paralizzai all'istante. Il bacio... come avevo fatto a dimenticarmene?

Dentro di me qualcosa si ruppe. Il mio cuore stava battendo impazzito.

Le labbra del Conte si erano appena posate lievemente sulle mie quando mi alzai di scatto.

"Devo andare a...a finire i preparativi per la colazione!! Con il suo permesso, my lord!" dissi quasi gridando, rossa in volto.

Mi inchinai e sparii velocemente fuggendo dalla stanza, correndo per i corridoi deserti della villa.

Il cuore mi batteva ancora così forte. Eppure quella, mi fermai poggiando la schiena contro il muro per riprendere fiato, quella non era la prima volta. Quello non era il primo bacio del Conte.

Sfiorai le mie labbra. Anche se questa volta era durato solo pochi istanti. Solo il tempo di un sospiro.

Davvero un peccato...

Sorpresa da quel pensiero mi diedi mentalmente della stupida.

"Io, Kagome, domestica di casa Bloodhound, non devo farmi distrarre da queste sciocchezze!!" gridai al nulla.

Dovevo pensare unicamente ai miei doveri e darmi da fare per far risplendere la villa da cima a fondo!

"E adesso...al lavoro!!"

La verità, che non avevo mai avuto il coraggio di rivelare a nessuno, era che io ero innamorata del mio padrone, del Conte Inuyasha Bloodhound.

"Vediamo un po'...il servizio da tavola Wedgwood è lucidato e splendente, le rose rosse che il padrone ama tanto sono state potate e sistemate nel vaso al centro tavola, le lenzuola della camera degli ospiti sono pulite, l'argenteria è come uno specchio e l'arrosto pronto per essere messo nel forno."

"Praticamente noi non abbiamo fatto niente, Kagome."

"Cosa?"

Sorrisi voltandomi verso le mie spalle.

La "vecchia Kaede", l'anziana domestica della residenza, guardò di sbieco l'anziano maggiordomo al suo fianco, Miyoga.

"Stai zitto, ma se tu non riesci a far altro che combinare guai, vecchia tartaruga! Che cosa avresti voluto fare?" brontolò la donna incrociando le braccia al petto.

Kaede e Miyoga erano al servizio della famiglia Bloodhound da anni. Forse per questo non riuscivano più a sopportarsi. Era molto divertente vederli litigare per delle sciocchezze, sembravano proprio una vecchia coppia di sposi. Sarei rimasta ad osservarli ore ed ore ma spesso toccava a me interromperli per riportare l'ordine.

Sbuffando il vecchio Miyoga continuò a sorseggiare tè verde.

"Neanche tu sei più utile come una volta..."

E dire che il signor Miyoga era una persona tanto calma e pacata. Chissà come riusciva a sopportare la vecchia Kaede.

Correndo entrò nella cucina Kohaku, un ragazzino dai capelli scuri e gli occhi nocciola.

"E' vero che oggi arriverà un ospite dal Giappone?!" chiese sorridendo speranzoso.

Io annuii e lui saltò per la felicità gridando: "Evviva!! Daremo una festa! Che cosa dobbiamo fare? Sistemerò il giardino fino a renderlo bellissimo!"

Kohaku era un ragazzo sempre vivace e solare. Era il giardiniere della villa, il Conte lo aveva assunto due anni fa quando aveva appena dodici anni, ma non compresi mai il perchè. Kohaku non aveva esperienza, non aveva mai curato in vita sua dei fiori, anzi, quando arrivò a palazzo sembrava non aver mai visto un giardino. Ricordo ancora l'espressione stupita quando si ritrovò all'aria aperta, sotto l'immenso cielo azzurro.

E allora perchè fu portato qui?

Forse il padrone lo aveva assunto perchè anche Kohaku era solo al mondo, solo proprio come lei.

Ma in questi due anni il ragazzo non aveva mai voluto parlare del suo passato. E lei di certo non voleva chiedergli niente.

Aprire dolorose ferite a volte può essere fatale. Soprattutto per una giovane anima colma di rancore.

Il fastidioso suono di una campanella mi impedì di rispondergli. Guardai la parete della cucina dove una ventina di campane di ottone erano collegate da cordicelle ad una delle diverse stanze della residenza. In quel momento stava suonando la campana dello studio.

"Accidenti..." sbuffai sistemandomi il grembiule bianco e la cuffietta "Cosa vorrà adesso il Conte?"

Senza accorgermene il cuore prese a battere più forte.

"Potete finire voi?" chiesi ai tre prima di uscire dalla cucina per dirigermi verso lo studio.

Nella cucina scese il silenzio.

Kohaku guardò titubante i due domestici.

"Quando ha detto "finire voi" voleva dire...finire di preparare...noi?" chiese dubbioso.

Miyoga scosse la testa sorseggiando il tè.

"Impossibile."

"Invece sì! Siamo al servizio dei Bloodhound e come tale dobbiamo darci da fare!" ribattè Kaede tirandosi su le maniche.

"Al lavoro! Saremo all'altezza di Kagome! Ci faremo valere!"

Kohaku alzò il bracciò gridando: "Sì!!"

Miyoga li guardò affatto convinto continuando a gustare calmo il tè.

"Mi ha chiamato, Signore?"

Quando entrai nello studio il Conte era a sedere sulla poltrona scarlatta circondato da scartoffie, la testa poggiata contro la mano sinistra. Sembrava annoiato.

"Ho voglia di un dolce." disse.

"Non può, my lord. Se mangerà adesso si rovinerà l'appetito."

"Tsè."

Voltando la sedia verso la finestra il Conte tornò a guardare la tranquilla campagna inglese. Era tutto così calmo. Troppo calmo.

"Odio questa tranquillità. Odio aspettare senza far niente."

Sorpresa guardai lo schienale della sedia. Un attimo dopo Inuyasha si voltò ad osservarmi.

"Sei sporca di farina."

Con imbarazzo mi guardai le vesti. L'ampia gonna nera del completo da domestica era sporca all'altezza del petto. Accidenti, che figura...

"Ehm...mi cambierò immediatamente" mi affrettai a rispondere.

"Conosci il motivo per il quale Hojo verrà?"

Scossi il capo. Perchè all'improvviso mi chiedeva una cosa del genere?

Il conte si scostò una ciocca di capelli d'argento dagli occhi poi parlò.

"Dopo la caduta dei Bloodhound sono riuscito ad estendere il dominio dell'azienda di mio padre anche in oriente. La compagnia Hound possiede adesso fabbriche in Francia, Germania, Italia, India, Giappone e persino in America. Un grande sviluppo in soli quattro anni. Non è ammirevole?"

"Il merito è suo e delle sue capacità, my lord."

Un risata gelida risuonò nella stanza.

"Il merito è mio?" ripetè lui sorridendo. Un brivido mi scese lungo la schiena. "Può darsi...ma non solo."

I freddi occhi dorati del Conte penetrarono sin dentro il mio corpo raggiungendo la mia anima. Di fronte ad essi mi sentivo ogni volta indifesa, come travolta.

"Mi raccomando, Kagome. Hojo-sama deve rimanere soddisfatto della nostra ospitalità. Sono sicuro che riuscirai a stupirmi."

Il tono della sua voce. Freddo ma al tempo stesso velato di passione, quel pizzico di malizia e seduzione che ogni volta mi facevano perdere il controllo.

Sforzandomi di sorridere mi inchinai.

"Yes, my lord."

Avevo uno strano presentimento. Cosa si nascondeva dietro l'arrivo di Mister Hojo? Quella falsa tranquillità stava davvero diventando soffocante.

Anche se la tranquillità non durò molto...

"CHE COSA AVETE COMBINATO?!?!?"

Il giardino completamente distrutto. L'arrosto bruciato. Le porcellane in frantumi. La cucina sembrava essere esplosa.

Mi ero assentata solo un attimo e che cosa avevo trovato al mio ritorno? Sembrava successo il finimondo.

Con terrore guardai prima Kohaku, in lacrime, poi la vecchia Kaede, coperta di cenere da capo a piedi e infine Miyoga, in ginocchio, a prendere tranquillamente il tè come se niente fosse successo.

Fu proprio quest'ultimo a parlare per primo.

"Non guardare me, cara, io non ho fatto niente. L'avevo detto che era una pessima idea."

"Come è potuto succedere?!" gridai furiosa.

"Mi-mi dispiace!! Volevo solo rendere il giardino più bello!!" singhiozzò Kohaku tirando su con il naso.

"E io volevo lucidare ancor più le porcellane ma sono caduta e sono andate in pezzi. Inoltre mi sono scordata di togliere l'arrosto dal forno..." disse la vecchia Kaede in tono colpevole.

Era un disastro. Mancavano meno di tre ore all'arrivo di Hojo-sama. Il servizio da tavola era distrutto, la cena carbonizzata e il cortile un arido deserto.

Se il Conte fosse venuto a saperlo...la mia vita sarebbe finita.

Scossi energicamente il capo. No. Non doveva assolutamente saperlo.

"Ti prego Kagome perdonaci!!"

Kohaku si gettò ai miei piedi disperato. Aveva quattordici anni ma a volte era proprio un bambino.

Sospirai. "Non fa niente...cerchiamo di trovare una soluzione." dissi cercando di calmarlo.

A volte volevo avere anch'io la calma e la spensieratezza del signor Miyoga. Seduto a sorseggiare continuamente tè verde manteneva la compostezza anche nei momenti difficili.

Un momento.

"Sigor Miyoga..." di colpo mi ricordai di un discorso, un vecchio discorso di molti anni fa "lei e la vecchia Kaede siete originari del Giappone, non è vero?"

Pulendosi la faccia dal fumo Kaede annuì.

"Eravamo al servizio della signora Izayoi, la madre del signorino Inuyasha."

La madre del conte...

"La signora Izayoi era giapponese. Fu proprio in quel paese che conobbe il Conte Bloodhound in viaggio per affari. Dopo il matrimonio la seguimmo fino in Inghilterra." continuò Miyoga.

"E ditemi...è rimasto qualche oggetto della signora, dopo l'incidente?"

I due vecchi domestici annuirono.

Perfetto. Forse non tutto era perduto.

Quando Hojo sama arrivò alla residenza Bloodhound erano le sei passate.

Il signor Miyoga, la vecchia Kaede e Kohaku lo accolsero appena scese dalla carrozza.

"Welcome, Hojo-sama." dissero in coro inchinandosi.

Sorridendo l'uomo li seguì fino al portone principale togliendosi cappello e soprabito.

Ad attenderlo sulla scalinata principale della residenza vi era il Conte vestito elegantemente, poggiato al suo fedele bastone d'argento, i lunghi capelli legati da un nastro di seta blu.

"Benvenuto Mr Hojo, avete fatto buon viaggio?" chiese sorridendo come era da educazione.

Hojo ricambiò il sorriso. "Conte, siete cresciuto molto dall'ultima volta che ci siamo visti."

"E' comprensibile, avevo appena tredici anni."

"Incredibile come passa il tempo..."

Conversando i due raggiunsero il giardino della residenza. Un'espressione stupita comparve sui loro volti.

"Sugoi!"

A bocca aperta Hojo-sama osservò il cortile. Era privo di alberi rigogliosi e di piante ed era coperto interamente da ghiaia bianca e da pietre. Un tipico giardino giapponese.

Anche il Conte rimase sbalordito.

Al centro del cortile era stato sistemato il tavolo da pranzo decorato con petali di ciliegio e circondato da paraventi di legno.

Appena i due uomini si avvicinarono mi inchinai profondamente.

"Irraishaimase, Hojo-sama."

Lo stupore sul volto del nuovo arrivato triplicò. Con imbarazzo notai che anche il Conte mi fissava sorpreso.

Mi agitai. Avere lo sguardo del Conte puntato addosso mi rendeva sempre strana.

Forse non era stata una buona idea indossare quel kimono. Lo avevo trovato tra le vecchie cose della signora Izayoi. Era un bellissimo kimono scarlatto dai ricami dorati. Una vera opera d'arte di seta.

Pensavo che per l'occasione sarebbe stato perfetto...ma adesso, osservando gli occhi inespressivi del mio signore, non ne ero tanto sicura.

Incantato Hojo-sama mi guardò attentamente.

"Conte, non sapevo che avevate un simile angelo al vostro servizio."

Sorridendo educatamente mi inchinai ringraziando.

Hojo-sama era un uomo sulla trentina dai capelli nerissimi e gli occhi sinceri. Sembrava una persona meritevole di fiducia.

"Accomodatevi, la cena sarà servita tra poco." dissi tornando al mio ruolo di domestica.

Hojo si accomodò volentieri.

"Non vedo l'ora." esclamò pregustando la deliziosa cena.

Il Conte mi sorpassò per prendere posto all'altra estremità del tavolo. Non disse niente. Continuava a fissarmi.

Per l'occasione avevo preparato dei piatti Giapponesi, anche grazie ai suggerimenti del vecchio Miyoga e Kaede, che lasciarono l'ospite molto soddisfatto.

A cena conclusa mi ritirai per lasciarli soli.

"La vostra domestica è straordinaria. Una ragazza così giovane e carina capace di creare simili meraviglie... siete veramente molto fortunato."

Alle parole dell'uomo Inuyasha sorrise.

"Fa semplicemente quello che le chiedo. In quanto domestica dei Bloodhound è naturale che sappia fare queste cose. "

"Voi Inglesi siete sempre troppo rigorosi."

Il conte congiunse le mani davanti alla bocca.

"Passando al motivo per il quale siete venuto..."

"Ho portato ciò che avete richiesto Conte" concluse per lui Hojo "Spero che la regina rimanga soddisfatta, ho sentito che i topi si stanno moltiplicando a vista d'occhio qui in Inghilterra. Riuscirete a stanarli tutti quanti, nobile Inuyasha?"

"Vi posso assicurare che quei topi non avranno vita lunga, Hojo-sama."

"Che giornata stancante..."

Sbuffando il giovane Conte si lasciò cadere sul letto. L'incontro si era concluso e Hojo-sama si era ritirato nella stanza degli ospiti preparata quella stessa mattina. Dalla finestra la luna ci osservò regalando un po' di luce a quella perpetua oscurità.

Alle parole del Conte non potei che sorridere pensando alla mia giornata. Molto diversa ma altrettanto stancante.

Con attenzione gli sfilai le scarpe.

"L'incontro con Hojo-sama è andato a buon fine?" chiesi.

"Ho ottenuto quello che volevo."

Non approfondii e continuai a sistemare le sue cose. Inuyasha si portò a sedere osservando ogni mio movimento.

"Ti sei cambiata..."

Annuii. Mi ero tolta il kimono riponendolo in un luogo sicuro e avevo indossato di nuovo le vesti bianche e nere da domestica. Deglutendo a fatica mi avvicinai al letto. Conoscevo bene il mio signore, avevo visto molte volte quello sguardo. Lo sguardo gelido e spietato di chi non ha che rancore dentro di se. Indifferente a tutto.

Con attenzione mi chinai su di lui e gli sfilai il fiocco e la giacca.

"Perchè hai trasformato il cortile in un giardino giapponese?"

Sbarrai gli occhi fermandomi di colpo. La sua voce...a chiunque sarebbe sembrata calma e pacata ma io sapevo che non era così. Era seccato.

Sforzandomi di sorridere risposi.

"Ho pensato che Mr Hojo si sarebbe sentito a suo agio. Creare un'atmosfera familiare forse poteva fargli piacere...volevo andare incontro ai gusti del nostro ospite."

"E quel Kimono....dove lo hai preso?"

Una goccia di sudore mi scivolò lungo la fronte. Gli occhi del Conte. Così belli. Così pericolosi. Gli occhi di un demone camuffato da angelo. Quegli occhi mi stavano fissando.

"Ecco io..."

Cosa dovevo rispondere? Qual'era la risposta giusta? Non potevo dirgli che era il kimono della madre morta. La prima regola che il signor Miyoga e la vecchia Kaede mi avevano insegnato appena arrivai a palazzo era di non parlare mai dei genitori del Conte. Soprattutto in sua presenza.

Ancora una volta sorrisi.

"L'ho fatto spedire da Londra. Sembra che negli ultimi tempi vada di moda collezionare oggetti orientali. In Francia molti artisti sono grandi collezionisti di opere Giapponesi e sembra che la passione si sia estesa in tutta Europa, persino in Inghilterra."

Evitando di guardarlo negli occhi gli sbottonai la camicia. Avevo appena cominciato quando lui mi afferrò il polso.

Sorpresa lo fissai.

"M-my lord?" chiesi spaventata. La presa attorno al mio polso si fece più forte. Gemetti di dolore. Provai a strattonare il braccio ma fu tutto inutile. La forza del Conte era nettamente superiore alla mia.

Con terrore vidi il suo volto a poca distanza dal mio. Era come sempre impassibile. Solo i suoi occhi erano cambiati. Un lampo d'ira sconvolgeva la loro indifferenza.

Strattonandomi per il polso mi avvicinò a lui stringendomi tra le braccia. In un'altra circostanza ne sarei stata felice ma in quel momento riuscivo solo a tremare pensando alla sua reazione, alla sua rabbia.

Un brivido mi fece fremere. Avvertii il respiro del Conte sul mio collo. Un gelido sussurro. Il terrore si impossessò di me quando lui disse: "Non mentirmi."

Aveva capito che gli avevo detto una bugia. Come aveva fatto?

"Quel kimono apparteneva a mia madre...così come il resto degli oggetti che hai usato per la cena. Credevi forse che non me ne sarei accorto? "

La stretta si fece più forte. Mi mancò il respiro. Non riuscivo a parlare. Non potevo dire niente. Avevo sbagliato. E meritavo una punizione.

L'unica cosa che riuscii a sussurrare, il volto poggiato contro la sua spalla, il corpo immobilizzato, fu:

"Mi dispiace, sir..."

Una domestica che commetteva un errore doveva essere punita. Lo sapevo. Sapevo anche quanto il Conte fosse severo. Eppure quella sera, quella tranquilla sera di luna piena avvolta da un freddo abbraccio, presagio del vicino autunno, il Conte Inuyasha non mi punì.

La presa attorno al mio polso cessò di colpo. La sua mano, adesso libera, si posò dolcemente sulla mia nuca. L'abbraccio si raddolcì.

"Kagome..."

La sua voce divenne stranamente bassa e malinconica. Cosa gli stava succedendo?

"Kagome..." ripetè sussurrandomi all'orecchio "Non devi mai più mentirmi. Tu...sei l'unica persona a questo mondo di cui mi fido. L'unica."

Sbarrai gli occhi. Stavo forse...sognando? Quelle parole...davvero erano rivolte a me, una semplice domestica?

"Ricordi il nostro primo incontro? Ricordi la tua promessa di servirmi fedelmente?"

La promessa...certo, come potevo dimenticarla. La promessa era l'unica ragione che ancora mi teneva in vita.

La stessa vita che da quel giorno donai a lui. La mia misera vita umana.

Le fiamme delle candele che scarsamente illuminavano la stanza si spensero di colpo. La notte. L'oscurità. Il buio più assoluto calò su di noi.

In quel momento l'ombra scura della notte invase anche il mio cuore. Nella mia anima scesero le tenebre quando udii quelle parole.

"La prossima volta che non rispetterai il contratto, io..."

La labbra del conte si posarono sul mio collo. Un gelido ghigno comparve nell'oscurità.

"Io ti ucciderò."

Allora, quante cose ci sarebbero da dire. Inanzitutto, per chi non lo avesse già capito, questa storia si ispira ad un manga/anime stupendo che ho conosciuto da poco ma che mi ha veramente lasciato a bocca aperta: Kuroshitsuji. Ho adorato l'anime perchè unisce due delle cose che più amo al mondo: i manga (e quindi il Giappone) e l'Inghilterra (e il periodo Vittoriano sul quale ho preparato pure la tesina della maturità).Il primo capitolo è molto simile alla storia di Kuro ma già dal prossimo cap le cose cambieranno parecchio. Se comunque volete sapere altro su questo splendido capolavoro di Yana Toboso non avete che da chiedere. Vi assicurò però che anche chi lo avesse letto o visto questa ff si distaccherà dalla trama del manga/anime. Inoltre questa è una ff un po' diversa dalle altre che ho scritto. La narrazione è parte in prima persona, secondo il punto di vista di Kag, e parte in terza. Di solito scrivo sempre in terza perchè mi lascia maggiore libertà, questo voleva essere solo un piccolo esperimento. Quindi fatemi sapere se vi piace, se vi disgusta sono sempre in tempo a concluderlo! Mi raccomando commentate e fatemi sapere, la storia è appena cominciata!
   
 
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