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Autore: Parsifal    29/07/2010    4 recensioni
Questa è la storia di Alessandro ed Efestione così come loro me l’hanno raccontata. Sono venuti nei miei pensieri, ne hanno preso possesso e hanno dettato quello che è stata la loro storia dal loro punta di vista. La “storia” dentro la Storia. Mi ha emozionata scriverla, mi hanno emozionato i loro ricordi, la loro struggente emotività .Ogni cosa. Spero che piaccia anche a voi così come è piaciuta a me. \\ Non avevo paura. Così come non ne avevo in vita se morire voleva dire permettere a lui di vivere non ne avevo li, davanti a lui, nell'oscurità più totale.\\
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Alessandro il Grande, Efestione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3° Capitolo
(* Efestione ** Alessandro)

*Continuare a ricordare, adesso che il passato non esiste più, sembra un'utopia.
Viviamo in un perenne presente, in un tempo che non è più tale.
Un'eternità senza fine.
Vicini così come lo eravamo in vita.
Una cosa sola.
Ma, a differenza di quando avevamo un corpo e una mente, adesso sappiamo che la cosa più importante non è portare avanti il nostro sogno ma vivere in esso.
Diventare un sogno noi stessi.
E questo,io e Alessandro, non siamo riusciti a farlo.
Perchè allora sto continuando a ricordare, affidando tutto quello che, per me, era più importante della vita stessa a chi vive ancora e non sa, non può nemmeno immaginare, che cosa sto provando?
Perchè solo in questo modo il mio passato diventerà veramente storia.
Insegnamento per qualcuno.
Affinchè non si ripetano sempre, all'infinito, gli stessi errori.
Ma sopratutto perchè il nostro era veramente un amore grande.
Così grande da superare la storia, il tempo, la vita stessa, per continuare a vivere anche qui.
In Colui che custodisce la Vita e non la spreca, come facciamo noi, quando abbiamo ancora un corpo che pensiamo indistruttibile.
C'è un episodio legato al tempo in cui conquistammo la Persia, che mi fece pensare, per la prima volta, a quanto noi siamo fragili e facilmente corrutibili.
Crediamo di conoscere ogni cosa di noi stessi, di essere in grado di controllarci quasi alla perfezione, senza pensare che questo non è affatto vero.
E che l'unica cosa che sappiamo di noi è il giorno della nostra nascita.
Per il resto, per tutto il resto, siamo più ignoranti di un bambino che non è ancora andato a scuola e che ignora tutto del mondo, sia passato che futuro.
Perchè un bambino è come una lavagna vuota che anela di essere riempita dal gesso bianco.
Noi adulti invece...siamo così pieni di noi da non renderci conto che quello che sappiamo sono solo nozioni errate, senza senso.
E che non facciamo spazio a quelle esatte.
Quelle che potrebbero salvarci la vita.
Mi fece sposare la sorella minore della sua seconda moglie.
Non ero geloso delle sue mogli, questo va chiarito.
Sapevo che doveva sposarsi, altrimenti i suoi nemici avrebbero ballato sul suo trono.
Sposando la sua prima moglie dimostrò, però, che lui e soltanto lui era il re e che nessuno, nemmeno loro, potevano pensare di imporgli qualcosa.
Una moglie tantomeno.
Mentirei se dicessi che ero contento di saperlo con qualcuno che non ero io ma i miei bisogni cessavano quando iniziavano i suoi.
Gelosia è una parola che va oltre il suo significato, una parola che non mi è mai piaciuta.
Come siamo meschini noi esseri umani quando, in nome di un sentimento che crediamo di conoscere così bene come l'amore, scambiamo per tale anche la gelosia e la giustifichiamo dicendo a noi stessi che l'amato è nostro e come tale nessuno deve metterci gli occhi, o le mani, sopra.
Rifiutiamo di farci chiamare “gelosi” ma, in realtà, ci siamo immersi fino al collo.
Ma io ne ero proprio immune?
E' vero, non ero geloso delle sue mogli perchè sapevo bene che il posto che occupavo io nel suo cuore nessuno poteva portarlo via.
E a me questo bastava.
Eppure, se qualcuno lo guardava con un interesse particolare, se qualcuno accarezzava quel corpo con occhi che non erano quelli dovuti a un Re, ero pronto ad uccidere con le mie mani quei poveri incoscienti.
Non mi piacevo in quei momenti.
Non era una questione di fiducia in lui o in me.
Non si trattava nemmeno di senso del possesso troppo radicato.
Era molto più complicato.
Guardandolo in quella maniera loro si permettevano di andare oltre la sua regalità.
Di cercare, in lui, qualcosa che io sapevo era solo mio.
E questo mi trasformava.
No, non mi piaceva quello che provavo ma non potevo farci nulla.
Assolutamente nulla.
Perchè, quando si trattava di Alessandro io non avevo più nessun controllo su me stesso.
 
** Perchè gli feci sposare la sorella di Statira, la mia seconda moglie?
I motivi erano tanti ma, principalmente, si poteva ridurre in uno soltanto:
Per far si che, se io fossi morto prima di lui, cosa che mi auguravo ogni volta che aprivamo gli occhi su un nuovo giorno insieme, nessuno potesse muovere delle obiezioni al fatto, innegabile,che lui potesse, dovesse, diventare Re al mio posto.
Nessuno era in grado di continuare il mio sogno, di mantenere unito il regno che, con  immensa fatica e dolore, avevamo duramente conquistato.
Avevamo.
Non sono mai stato così stupido da pensare di non aver bisogno di nessuno.
Di poter fare tutto da solo.
Però ero pienamente consapevole che io e soltanto io potevo mantenerte unito il mio regno.
Gli altri, tutti gli altri generali “miei amici”, l'avrebbero distrutto in poco tempo.
Un sogno è più grande se viene condiviso insieme.
Questo lo sapevo perfettamente, ma sapevo anche che gli altri non erano mossi dai miei stessi ideali, non condividevano i miei sogni.
Non bruciavano del mio stesso fuoco.
Soltanto Efestione riusciva a starmi dietro.
Sentivo, in lui, lo stesso fuoco che bruciava in me.
Lo stesso desiderio che mi divorava.
Anche se non così forte come avrei voluto.
Però lui e lui soltanto avrebbe potuto prendere il mio posto.
Avevo fatto i conti perfettamente, calcolando ogni cosa al millesimo.
Ogni possibile obiezione, ogni esitazione negli sguardi di chi ci stava con il fiato sul collo, non sarebbe stata tollerata.
L'avrei stroncata sul nascere con la morte.
E nessuno si azzardò a dire nulla davanti a me.
Nessuno.
L'unico che lo fece fu proprio lui.
Efestione.
Non posso dire che questo pensiero non avesse nemmeno sfiorato la mia mente.
Non era il fatto di sposare una donna che non tollerava.
Non gli importava affatto chi avesse vicino, sapeva perfettamente che nessuno poteva prendere il mio posto nel suo cuore.
E lo sapevo anche io.
Quello che non riusciva a mandare giù era il pensiero che io lo facevo sposare per fargli prendere il mio posto.
Il mio posto.
Voleva dire che io speravo di morire prima di lui.
Questo pensiero gli era intollerabile.
Non era uno sciocco, affatto.
Sapeva bene che rischiavo la vita ogni volta che respiravo.
Ad ogni battito di ciglia in terra nemica e, purtoppo, anche in terra amica.
Era la vita che volevamo, che ci eravamo scelti,anche se su questo, adesso, potrei parlarne per ore.
Quello che gli faceva male e che non accettava era il pensiero che io volessi morire prima di lui.
“Per il bene che mi vuoi...come puoi desiderare di morire prima di me? Come puoi farmi provare lo strazio della tua morte?”
Questo me lo fece diventare ancora più caro e la mia decisione di fargli sposare la sorella di Statira crebbe notevolmente.
Lui e solo lui poteva prendere il mio posto.
Nessuno mi avrebbe amato così.
Nessuno avrebbe mai pronunciato queste parole per me.
E nessuno avrebbe potuto amare il mio regno con la stessa intensità con cui l'avrebbe fatto lui.
 
**Come fargli capire che non volevo che lui pensasse, anche solo lontanamente, di pianificare il suo post-morte? Mi era intollerabile immaginare che la sua mente potesse fare questi piani inconcepibili, per me.
Non ero uno sciocco, sapevo che doveva pensare anche a che cosa sarebbe stato del suo regno dopo la sua morte, morte che accarezzavamo ogni giorno.
Ma una parte di me voleva ignorare tutto questo.
Non voleva nemmeno sentirne parlare.
Io che continuavo il suo sogno?
Io che vivevo, combattevo e amavo senza di lui?
Che eresia.
Che assurda eresia.
Ma, chiaramente, il Re era lui e lui soltanto poteva decidere.
Così, alla fine, sposai Dripetide, per pura obbedienza.
Non vissi accanto a lei abbastanza per dire di averle voluto bene ma il ricordo che ho di lei è di una donna mite, dolce e molto buona.
Compii i miei doveri coniugali fino alla fine, anche se il mio cuore era soltanto di Alessandro.
Ricordo che una sera uscii dalla camera con la sola vestaglia addosso e andai nella parte del palazzo che, sapevo, dimorava lui, il mio Re.
Speravo di incontrarlo, quel giorno avevo addosso una strana inquietudine e avevo litigato con quasi tutti quelli che avevano avuto a che fare con me.
Non era mio solito fare così.
Non sono mai stato una testa calda.
Non mi facevo mettere i piedi in testa da nessuno ma il mio rispetto non lo conquistavo con la forza.
Non ne avevo bisogno.
Certo...c'erano le eccezioni, c'era chi non riuscivo proprio a digerire ma...erano, appunto, eccezioni.
Quindi non mi trovavo a mio agio nei panni di quello che allontanava tutti con un solo sguardo.
Avevo ferito anche Dripetide e lei non lo meritava.
Con questo stato d'animo, con questa inquietudine a cui non sapevo dare un nome e che non mi abbandonva, lo incontrai.
Non ci fu bisogno di dire una sola parola.
Ci trovammo insieme, con lo stesso tormento negli occhi, la stessa voce nell'anima.
Come se un'ala nera si fosse aperta su di noi.
Più tardi, l'uno tra le braccia dell'altro, cercammo di scacciare quella sensazione oscura continuando con i nostri progetti.
Con il nostro sogno.
Voleva diventare lo zio dei miei figli.
Voleva che diventassimo una sola grande famiglia, dove i nostri figli avrebbero regnato sul nostro regno.
Eppure non riuscivo a scacciare il gelo del mio cuore.

** Le sue parole non dette trovarono eco dentro di me.
I suoi silenzi si allargavano nella mia anima e nemmeno il nostro amarci profondamente riusciva a scacciare tutto ciò.
Non credete a quello che si dice o si vede su di me.
Non mi ero piegato, non mi ero arreso mai a nessuno.
Efestione non mi teneva in pugno, Efestione mi amava.
E il suo amore era così forte da darmi quella sicurezza che nessuno, né anima viva nè cosa immota, riuscva a darmi.
Mi sentivo al sicuro nei nostri progetti.
Nel mio sogno lui c'era, era vivo, reale, presente sempre.
Avrebbe preso il mio posto.
Semplice.
Lineare.
Perchè allora quell'oscurità che stringeva così il suo cuore e che riusciva a trasmettermi così bene?
Così come riusciva a trasmettermi ogni cosa?
Quella notte passata tra le sue braccia non scacciò ciò che provvamo ma ci unì ancora di più.
Una determinazione ferrea si impadronì di me.
Non lo avrei permesso.
Qualsiasi cosa dovesse accadere io non lo avrei permesso.
Quanto siamo piccoli e sciocchi noi esseri umani.
Com'è possibile che sfidiamo così il cielo, pensando di essere molto più grandi e più forti di lui?
Quella fu l'ultima notte che passammo insieme nel mio palazzo.
E per quanto io mi sentissi grande, per quanta forza credevo di avere nelle mie vene, nel mio corpo e nel mio cuore, non riuscii a fermare il tempo.
Non riuscii a oppormi a un disegno che era più grande di noi.
 

   
 
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