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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    30/07/2010    1 recensioni
“Mamma! Mamma! Guarda quel signore che faccia strana che ha!” La voce allegra e curiosa di una bambina riecheggiò nel parco semideserto sotto l’abbraccio del vento freddo d’inverno. La figura china sotto il suo tocco si voltò di scatto, strappando un gridolino spaventato alla piccola, che corse a rifugiarsi dietro la schiena della madre, gli occhietti vispi furono attraversati da un lampo di terrore; la donna sospirò, abbozzando un inchino imbarazzato all’indirizzo dell’interessato, prima di allontanarsi a passo svelto, portando via la figlioletta." IchiCentric, Post Hades. Fa parte del mio ciclo di fanfic sui Cinque Bronze Minori. Dedicata a Heather-chan, come sempre! Ichi ha un problema di autostima piuttosto grosso, come farà a risolverlo?
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hydra Ichi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Kido Family'
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ESSERE UN EROE

“Mamma! Mamma! Guarda quel signore che faccia strana che ha!”

La voce allegra e curiosa di una bambina riecheggiò nel parco semideserto sotto l’abbraccio del vento freddo d’inverno.

La figura china sotto il suo tocco si voltò di scatto, strappando un gridolino spaventato alla piccola, che corse a rifugiarsi dietro la schiena della madre, gli occhietti vispi furono attraversati da un lampo di terrore; la donna sospirò, abbozzando un inchino imbarazzato all’indirizzo dell’interessato, prima di allontanarsi a passo svelto, portando via la figlioletta.

Ichi restò fermo, immobile, come paralizzato, mentre osservava triste l’allontanarsi delle due, una strana sensazione di amarezza fece capolino dal suo cuore, tentò di reprimerla, ma senza successo.

Aveva voglia di piangere.

Il ragazzo si morse il labbro inferiore, sentiva gli occhi pungere e bruciare; le mani pallide e ossute riemersero dalle tasche profonde e calde per tirare su il cappuccio della felpa, celando al mondo quelle lacrime dolorose che non si meritava; alzò lo sguardo al cielo coperto di nubi oscure, la malinconia si fece più forte, tanto che quasi fu tentato di lasciarsi cadere sul sentiero di ghiaia e sfogare quel dolore che aveva messo radici nel suo cuore.

Ma si trattenne, una volta di più, e riprese sui suoi passi, lentamente e goffamente, come un neonato che stava imparando a camminare.

Abbassò il capo, poggiando il mento contro lo sterno, sentì la pelle sfiorare la superficie morbida del maglione, le piccole ferite appena rimarginate protestarono col dolore per quel trattamento poco gentile, ma il guerriero le ignorò, percorrendo distrattamente la lunga e sinuosa via che girava attorno al laghetto; c’erano due cigni solitari, che sonnecchiavano sulla riva.

Come se fosse stato richiamato da qualcosa, Ichi si poggiò alla ringhiera che delimitava lo specchio d’acqua e si perse a osservare il piumaggio candido dei due addormentati, per un momento, provò una forte invidia: “Voi siete ammirati da tutti… Anche i bambini vi amano e fanno a gara per darvi da mangiare…” mormorò tra sé e sé con amarezza, “Da me invece fuggono tutti…” borbottò, lanciando con rabbia un sassolino nel piccolo stagno.

Il tonfo svegliò di soprassalto i pennuti, che presero a gridare impauriti e si rifugiarono nel sicuro lago, guardandolo con disappunto per averli disturbati; ma ormai il ragazzo si era voltato e allontanato, il rimprovero dell’uccello passò inascoltato.

Una folata di vento gelido lo fece rabbrividire, portando via quel poco calore che era riuscito a fatica a conservare.

Si guardò attorno, ormai quel luogo idilliaco che tanto amava era diventato cupo e triste, non aveva più senso stare lì, forse avrebbe fatto meglio a tornare a casa prima che calasse la notte, magari sarebbe riuscito a trovare qualcosa da fare, qualcuno con cui parlare…

“Scusami…”

Una voce sottile e debole lo fece trasalire, inaspettatamente; si guardò intorno e vide davanti a sé una nonnina, dall’aria gentile e un poco triste, stretta nel suo scialle di lana, curva sotto il peso dell’età: “Scusami, figliolo,” ripeté lei con tono spiaciuto, “Non volevo disturbarti ma il mio gatto è salito sull’albero e non so come fare a recuperarlo…” disse lei.

Ichi alzò lo sguardo, notando la palla di pelo bianca tra i rami spogli, la coda lunga e fluente che ondeggiava ritmicamente; il ragazzo fece un profondo ed educato inchino: “Non si preoccupi, me ne occupo io.” la rassicurò, deviando dal percorso.

Con un salto, raggiunse il primo ramo e agilmente cominciò ad arrampicarsi come una scimmietta, un passo dopo l’altro, il piccolo animale sembrava sfidarlo dal suo alto trono; Aspides sogghignò, era un’altra sfida, tutta per lui: “Ridi, ridi…” si disse, “Tanto non vincerai tu.”.

Un minuto dopo, infatti, il felino soffiava seccato tra le braccia della padrona, rivolto a quell’adolescente impertinente e seccatore che esibiva un sorriso di trionfo per la vittoria conseguita ai suoi danni; il viso della donna esprimeva felicità: “Grazie ragazzo, senza di te non so cosa avrei fatto… Sono anziana, e un numero come il tuo non sarei stata in grado di farlo vent’anni fa, figuriamoci adesso.” sorrise lei, sfregando la guancia sul pelo morbido del micio, “e tu, cattivo!” rimproverò l’animale, “non puoi arrampicarti così in alto, poi come faccio a recuperarti. Ringrazia questo bravo ragazzo.” esclamò, sollevandolo sino a giungere davanti al volto del ragazzino.

La palletta di pelo soffiò arrabbiata e alzò una zampina, graffiando la punta del naso di Ichi.

“Oh, ma guarda questo maleducato!” strepitò, dando un buffetto sulla testa del gatto, “Scusalo… Vieni a casa, ti disinfetto quel graffio, questa peste lascia dei segni niente male.” disse lei; l’adolescente scosse la testa: “non è necessario…” provò a dire, ma la donna fu irremovibile: “Ma neanche per sogno, e poi, fa freddo, ti offro una cioccolata.” gli sorrise.

Ichi si sentì avvampare d’imbarazzo a tanta gentilezza, la seguì, scambiandosi occhiatacce con il gattino per tutto il tragitto.

Le ombre della notte cominciavano ormai a calare quando giunsero davanti a una casetta che sembrava quella di Hansel e Gretel, oppure quella della nonna di Cappuccetto Rosso, favole europee che gli aveva raccontato Shiryu, una volta che si era per caso trovato in biblioteca; non amava molto leggere, ma quelle due storie gli erano rimaste particolarmente impresse, il motivo non lo sapeva, forse la loro ambientazione. E in quel momento, gli sembrava davvero di veder spuntare il Lupo Cattivo con tanto di cuffietta da dietro la casetta.

“Prego, entra. Ci dovrebbero essere delle pantofole nell’angolo. Scusami, non ricevo ospiti tutti i giorni.”

La voce della nonnina lo strappò alle sue elucubrazioni e lui la seguì di buon grado dentro la piccola ma accogliente abitazione; con un rapido colpo d’occhio, notò che lo circondava un mobilio in stile tradizionale, un tavolo a kotatsu stava nel centro, il micio si era già rintanato là sotto, la sua lunga coda spuntava appena, l’intera casa era un posto così caldo e familiare: “Ma guarda questo pestifero, si è già appropriato del kotatsu!” esclamò con una risata argentina lei, “Dammi pure la giacca.” aggiunse, voltandosi verso di lui con le braccia tese per ricevere l’indumento.

Il ragazzo si levò la felpa, restando in maniche corte, e gliela consegnò, piegandola con cura, era vecchia e logora, ma ci era affezionato, quasi non ricordava da dove venisse, forse era un vecchio regalo di compleanno, però la indossava sempre, gli piaceva quel blu scolorito e quel serpentello verde erba disegnato sopra.

Si sedette con le gambe sotto la trapunta, incrociando le braccia davanti a sé, il suo sguardo vagò per tutta la stanza, che profumava di incenso.

“Eccomi.”

La sua nonnina uscì dalla cucina, portando un vassoio, che poggiò sul tavolino, lo servì di una grossa tazza piena di cioccolata e di una fetta di flan di azuki appena fatto: “Ecco a te.” disse, tenendone per sé una di tè verde e un certo numero di dolcetti di riso, “spero ti piaccia e che ti riscaldi lo stomaco, con questo freddo.”; Ichi annuì e portò alle labbra la bevanda, era buonissima, dolcissima e calda, gli sciabordò con facilità nello stomaco vuoto.

Affamato, addentò anche la fetta di torta, sotto lo sguardo benevolo della donna.

“Devi proprio avere fame per farti piacere la mia cucina.” scherzò lei, sorseggiando il suo thè, “è buona,” si affrettò a dire lui, attorno alle labbra erano rimaste tracce di cioccolato, dandogli un’aria buffissima, la nonnina scoppiò a ridere: “Che pasticcione,” disse materna, passandogli un fazzoletto, “tieni, usa questo.” affermò, “Allora, spiegami un po’, come ti chiami?” chiese poi, curiosa.

“Ichi, signora, Ichi Kido.” si presentò lui, mordendo la fetta di dolce, “lei è una cuoca eccezionale.” osservò, “Nemmeno mio fratello è bravo come lei.” esclamò ammirato, “Troppo buono, figliolo ma sono semplicemente una vecchia con l’hobby della cucina.” ridacchiò allegra, “sei un bravo ragazzo, non sono molti i tuoi coetanei così gentili. Cosa fai in giro per il parco tutto solo?”.

Il viso del fanciullo si fece triste.

“Passeggiavo.” disse solo, incupendosi improvvisamente, “E riflettevo.” aggiunse, stringendo i pugni poggiati sulle ginocchia; la donna sorseggiò il suo tè con aria pensierosa: “su cosa?” domandò curiosa, “il parco non è un bel posto in questa stagione, soprattutto a quest’ora. Ci vengono certi giovinastri…” dichiarò lei con aria seria, addentando un dolcetto di riso;  il ragazzo sorrise appena, rassicurandola con un cenno del capo, “Sono perfettamente in grado di cavarmela da solo. Non sono uno sprovveduto.” continuò con orgoglio.

La vecchina scoppiò in una sonora risata: “Lo vedo, se meni le mani come ti arrampichi, sfido chiunque a mettersi contro di te.

“è che… mi sento così solo. Il parco e il suo silenzio, di solito, mi tranquillizzano, ma oggi mi hanno reso ancora più cupo del solito.” sospirò triste l’albino; la nonnina inarcò un sopracciglio, “Perché solo?” chiese, “non hai una famiglia, qualcuno che si occupi di te?”, il tono della voce si fece improvvisamente malinconico.

Aspides annuì: “Certo. Ho i miei fratelli,” disse con una sfumatura di affetto nella voce, “ma i miei problemi sono legati ad altro. Ho passato la mia vita a combattere e a soffrire, eppure non riesco ancora a farmi accettare dalle altre persone.” sospirò, poggiando la tazza, “il mondo è terrorizzato da me. Sono brutto…” ammise, chinando lo sguardo.

“Non dire questo.”

L’ammonimento della vecchietta era duro e deciso, nessuno gli aveva mai parlato in quel modo così materno e al tempo stesso forte, tranne forse la sua Dea: “Chi non ti vuole, non ti merita e chi ti evita solo perché hai un aspetto che non è quello usuale, non sa vedere aldilà del proprio naso.” dichiarò, “l’aspetto non conta.” aggiunse, puntandogli un dito sottile e ossuto al petto, “Quello che conta è qui dentro, e si chiama cuore. E tu hai un cuore grande, grandissimo.”.

Il primo istinto che il ragazzo ebbe fu di abbracciarla, commosso, e lo seguì: si gettò con affetto su di lei, stringendola forte, alcune lacrime scivolarono lucenti giù dai suoi occhi neri come la notte.

“Ehi, ehi!” esclamò lei, lasciandosi però abbracciare: “Che impeto, ragazzo.” ridacchiò, stringendolo non appena sentì i primi singhiozzi; lo lasciò sfogare, accarezzandolo su quella buffa cresta e sfiorandogli le cicatrici che facevano bella mostra di sé sulla pelle.

Restarono così a lungo, sino a quando il ragazzo non cominciò a perdere coscienza sotto le sue dita.

La nonnina sorrise, lasciandolo scivolare sul morbido futon accanto al kotatsu, con qualche difficoltà riuscì a farlo sdraiare sotto le coperte, il ragazzo dormiva finalmente sereno, un delicato sorriso gli increspava le labbra.

La donna sospirò intenerita, poi prese in braccio il micio: “Andiamo anche noi a dormire…” gli sussurrò, dandogli un buffetto sulla testolina.

§§§

La coperta in cui Ichi era avvolto era quanto di più morbido e caldo il ragazzo avesse mai visto; ci si rannicchiò sotto, grugnendo infastidito per la luce che lo colpiva in viso. Aprì stancamente gli occhi, dalla piccola finestra distingueva un frammento di cielo azzurro solcato da sbuffi di nuvole leggere, era giorno fatto.

Frastornato e confuso, cercò di mettersi seduto ma le ultime nebbie del sonno faticavano a dissiparsi e il morbido futon su cui era disteso invogliava senza dubbio a tornare a dormire.

“Sei sveglio?”

La voce energica della vecchina risuonò lontana ed ella sbucò dalla porta di quella che doveva essere senza alcun dubbio la cucina, l’odore penetrante di thè era inconfondibile; la donna lo guardò con affetto, muovendo piccoli passi nella stanza, tra le mani portava un piccolo vassoio laccato nero, “Dovevi proprio essere esausto, sei crollato addormentato talmente rapidamente che mi è quasi stato impossibile prepararti un letto adeguato” sorrise, dandogli la tazza, “Tieni, ti scalderà un po’, qui in salotto di notte fa abbastanza freddo.” disse in tono di scusa.

Il ragazzo scosse la testa, restituendole il contenitore vuoto, sentiva una sensazione di tepore scorrergli in tutto il corpo, scaldandogli anche la punta delle dita: “Ho dormito benissimo, grazie di avermi ospitato e scusi tanto per il disturbo.” affermò serio, chinando la testa; “Baka!” rise lei, dandogli un buffetto sulla testa, “Ora però ti conviene andare, saranno preoccupati per te. Di notte si fanno brutti incontri e non è bello far stare in ansia i propri cari.” dichiarò, porgendogli la felpa e osservando pensierosa fuori dalla finestra, “è una bella giornata, potrebbe spuntare anche un po’ di sole.” rifletté lei, accogliendo in grembo il micio che prese a strusciarsi sulle sue ginocchia.

Ichi si inchinò profondamente: “Grazie di cuore signora, per tutto!” esclamò lui, afferrandole le mani e stringendole forte, “le sono grato, dal profondo del cuore…” mormorò, prendendo da tasca un foglietto, “se avrà bisogno di me, non esiti a chiamarmi!” le sorrise sghembamente, poi si chinò sulla palla di pelo che lo fissava con estrema curiosità, “E tu, pestifero!” ridacchiò il ragazzo, “Non arrampicarti più sugli alberi, siamo intesi!?” lo sgridò con piglio severo.

Il gatto soffiò, rizzando il pelo e mordicchiandogli il dito incautamente tenuto vicino a lui.

“Lo prendo per un sì!”

§§§

La giornata si prospettava fredda ma serena quando Hydra lasciò la casa per inoltrarsi nel parco deserto.

Il lontano suono di una campanella di qualche scuola gli fece capire che ormai l’alba era trascorsa da un pezzo e che, molto probabilmente, la sua mancanza a casa era già stata notata: “Perfetto…” borbottò, rintuzzando le mani nelle larghe tasche del maglione, “Non volevo far preoccupare Saori-san… Che stupido che sono.” si rimproverò, dandosi uno scappellotto sulla testa.

Il ragazzo allungò il passo, dirigendosi verso l’uscita del parco e rabbrividendo per il vento gelido che si infilava sotto la felpa, voleva tornare a casa il prima possibile; ma tutti i suoi buoni propositi finirono a gambe all’aria quando udì il pianto di un ragazzino nelle vicinanze.

Il Saint si fermò, tendendo l’orecchio per distinguere ogni singolo suono che gli portava il vento: sentì ancora il pianto e le richieste d’aiuto, miste alle risate crudeli di altri ragazzi, forse più grandi.

Non ci stette nemmeno a pensare su, il guerriero.

In meno di un attimo, Ichi tornò sui propri passi e a larghi passi raggiunse un punto imprecisato nel boschetto alle spalle della casetta della vecchia signora.

Dieci minuti dopo, un gruppetto di ragazzini con le divise delle medie scappavano terrorizzati in un bailamme di cartelle e pagine volanti, i volti leggermente graffiati trasfigurati in una maschera di spavento, inseguiti a breve distanza da Hydra: “Razza di vigliacchi, prendetevela con qualcuno che è alla vostra altezza!” gridò furioso, la maglia stracciata da un colpo di coltello all’altezza del ventre, i pugni stretti e la faccia cosparsa di tagli più o meno profondi, ma ormai i teppistelli erano già lontani, i loro improperi suonavano estremamente confusi e sconnessi.

Sogghignando vittorioso, l’albino si chinò poi sul bambino rannicchiato a terra, sollevandolo con gentilezza: “è finita,” lo rassicurò sussurrandogli all’orecchio, “Riesci a stare in piedi?” gli chiese, ma i deboli lamenti del più piccolo non erano molto di conforto sulla situazione.

Un gran trambusto venne dal limitare della macchia di alberi e, nel cono di luce che filtrava tra i rami, il giapponese distinse la sagoma di un agente di polizia nella sua divisa fiammante, subito dietro veniva l’adorabile vecchina che lo aveva ospitato: “Bontà divina!” la donna singhiozzò, “Che è successo?” chiese, accorrendo ad aiutare il ragazzino con il ferito semidisteso a terra, “Dei compagni lo hanno pestato,” sbuffò lui arrabbiato, “sono intervenuto appena in tempo ma è conciato male…” valutò Aspides, osservando critico i segni sul viso e la divisa scolastica strappata.

L’agente prese il telefono per chiamare aiuto ma Ichi lo bloccò: “Ci penso io,” disse, “Mi dia quel telefono.” ordinò con piglio severo.

Dieci minuti dopo, la volante della polizia sfrecciava a sirene spiegate verso la clinica della Fondazione.

§§§§

“Lady Saori, c’è una chiamata per lei.”

La voce inquieta di Tatsumi mise in allarme la Dea che prese il cordless dalle mani dell’assistente: “Si?” chiese la ragazza con voce leggermente tremolante, “Milady, sono Meiko, la chiamo dalla clinica.”, il tono ansioso dell’infermiera la preoccupò maggiormente, “si tratta di Ichi-kun,” precisò la donna, “è qui con un ragazzino, il poliziotto che li ha accompagnati mi ha spiegato che sono rimasti coinvolti in un pestaggio e…”.

Athena non udì il resto della conversazione, rispose meccanicamente alle richieste della ragazza poi scattò in piedi, ordinando all’uomo dinanzi a sé di far preparare la macchina.

“Ojou-sama,” provò a ribattere lui, “Che sta…” cominciò, ma la fanciulla lo fulminò con lo sguardo, impedendogli di dire altro, “Sbrigati.” disse severa lei, prendendo la giacca e uscendo dallo studio.

§§§

Quando la ragazzina finalmente arrivò, dopo un tempo che le parve infinito, si accorse di avere smesso di respirare nell’esatto attimo in cui aveva messo piede nella hall del complesso ospedaliero e di ricominciare a farlo solo quando aveva visto il suo guerriero seduto su una delle scomode poltroncine in plastica della sala d’attesa.

Il giovanissimo si voltò di scatto, alzandosi per andarle incontro: “Athena-sama… Io…” balbettò senza riuscire a spiegare alcunché; lei scosse la testa, sorridendogli materna, “Calmati, stai bene, vero?” gli domandò, osservandone il maglione stracciato e i tagli appena fasciati, “Si, ojou-sama.” annuì Hydra, “il medico dice che il ragazzino ne avrà almeno per una settimana, ma sta bene anche lui… Sua madre è dentro la stanza.” affermò l’albino, indicando la porta chiusa davanti a lui e sfregandosi gli occhi, “Mi spiace averla fatta preoccupare… Se fossi stato forte come Seiya-chan o Jabu-kun, forse non mi sarei conciato così… e non mi sarei fatto strappare la felpa come un qualunque teppistello di strada…” s’immusonì.

La Dea gli accarezzò il viso arrossato per il freddo e per le ferite: “Non dire certe cose,” lo rimproverò, “Hai protetto una vita umana, se non ci fossi stato tu, probabilmente per lui sarebbe stato troppo tardi,” lo rassicurò, “E poi, tu sei tu e non c’è cosa più bella. In questo mondo, siamo tutti diversi ma sono le nostre azioni a dimostrare quello che siamo veramente e quello che tu hai fatto oggi…  Hydra Ichi, oggi sei stato un eroe.”.

Il guerriero si sentiva confuso e allo stesso tempo euforico, le parole della sua signora lo avevano profondamente colpito.

Mai prima d’ora si era reputato un eroe, lui che, in effetti, non era mai stato una figura di rilievo nei combattimenti che li avevano visti coinvolti, lui che era sempre stato una figura di contorno delle sanguinose guerre che avevano affrontato e vinto.

Lui che, quel giorno, il Destino aveva tramutato all’improvviso in un eroe, quello che non pensava mai che sarebbe diventato.

§§§§

La via di casa a Hydra non parve mai tanto lunga come in quel momento.

Semisdraiato sul sedile posteriore, la testa dolcemente poggiata sulle ginocchia della sua Dea e stretto nel cappotto che la giovane donna gli aveva dato per coprirsi, cercava di riordinare le idee sulla strana situazione in cui si era trovato, sulle parole di autentica riconoscenza che la madre del fanciullo che aveva salvato gli aveva rivolto una volta uscita dalla camera del figlio, tutte quelle attenzioni e parole gentili lo avevano messo in imbarazzo, in estremo imbarazzo; era stato solo in grado di annuire distrattamente, pregando che Athena lo liberasse.

Si era improvvisamente sentito stanchissimo e desiderava tornare il prima possibile a casa.

Saori doveva essersene accorta perché i suoi ricordi frammentari riportavano la voce lontana della nobile duchessina che parlava con la donna e il medico mentre lui veniva portato via in braccio da qualcuno, l’odore della pessima acqua di colonia che gli pizzicava il naso riconduceva senza dubbio a Tatsumi.

E poi nulla, i suoi ricordi frammentari terminavano lì, doveva essersi appisolato perché, quando aveva riaperto gli occhi, il cancello di Kido Manor si stagliava possente davanti a loro.

“Ben svegliato,” la voce delicata della ragazza aveva una sfumatura divertita, “Hai dormito per più di un’ora, siamo rimasti bloccati nel traffico ma tutta quella confusione di clacson e improperi non ti hanno minimamente scosso. Siamo arrivati.” concluse lei, dando un colpetto al vetro di comunicazione con l’autista; di buon grado, Ichi si tirò seduto, sfregandosi gli occhi per l’improvvisa luce del Sole che lo aveva colpito in viso.

Il verde del parco non gli era mai sembrato così bello.

“Razza di incosciente!”

Le grida di Nachi precedettero la comparsa sua e di Seiya nello spazio visivo del guerriero appena sceso dall’auto assieme alla Dea, un pugno lo colpì alla spalla, sbilanciandolo non poco: “Ma che diavolo combini, si può sapere??” esclamò Wolf risentito, “Meiko-chan ci ha chiamato dalla clinica e ci ha detto che eri lì, ci hai fatto spaventare!” lo rimbrottò Pegaso, incrociando le braccia al petto.

Hydra scoppiò a ridere, puntando l’indice contro la fronte di Pegasus: “Parli tu di spavento?” lo sgridò, “ormai Meiko-chan deve averci fatto l’abitudine alla nostra presenza lì da lei.” borbottò Ikki, comparso all’improvviso alle spalle del più piccolo tra loro e prendendolo per un orecchio, “E tu, torna di filato da Shiryu prima che gli venga una crisi nervosa e venga a prenderti lui, non dovresti nemmeno muoverti senza aiuto.” la Fenice sembrava estremamente preoccupata per lui, “E questo vale anche per te, serpentello, entra in casa se non vuoi ammalarti.” disse il maggiore, spingendo in avanti Aspides con il più giovane.

In quel momento, una delle cameriere di casa uscì sotto il portico, tra le mani aveva il cordless dello studio di Saori: “Milady, c’è una telefonata per il signorino Ichi.” disse solo, consegnando l’apparecchio all’interessato.

L’albino lo guardò come si guarda un verme particolarmente viscido, poi se lo portò con cautela all’orecchio: “Pronto?” ebbe appena il tempo di dire che un miagolio insistente, seguito da qualche mezza imprecazione, lo fece sobbalzare; “è possibile congratularsi con l’eroe del giorno?” la voce della gentile signora riuscì in qualche modo a sovrastare il chiasso che il felino faceva.

Il ragazzo sorrise, sedendosi sui gradini di marmo: “Non ho fatto nulla di che.” replicò con estrema semplicità, “Non dire stupidaggini, figliolo, allora non sai solo arrampicarti sugli alberi per recuperare gatti pestiferi alle vecchiette.” la risata della donna dall’altro capo del telefono era contagiosa, il Saint si sentì improvvisamente di buon umore, “No, credo proprio di no.” ammise lui, lasciando vagare lo sguardo sul cortile semideserto, tranne che per la troneggiante presenza di Tatsumi impegnato a posteggiare l’auto, “Sa, credo che abbia ragione lei.” dichiarò lui, giocherellando con un filo della maglietta, “Riguardo a cosa?” domandò dubbiosa la donna, “Quello che conta è il cuore… Prima d’ora, non ci avevo mai seriamente pensato su, però ora ho capito che è così.”.

La nonnina battè le mani allegra: “Vedi, che ti avevo detto? Tu hai un cuore grandissimo, le tue azioni di oggi lo hanno dimostrato. Ed è proprio questo che ti rende speciale, un vero eroe.” concluse, “Mi aspetto che tu venga quanto prima a trovarmi, guarda che ci conto!” decretò lei, “Verrò a trovarla, promesso, a patto però che lei prepari ancora quella deliziosa torta!” replicò il giovanotto, “Arrivederci, e grazie ancora.”.

Chiusa la comunicazione, Ichi poggiò il telefono ai propri piedi, lasciandosi accarezzare sul viso dal vento gelido.

“Ehi, crestato, hai deciso di congelare qui fuori?”

Il soprannome che Jabu ormai gli aveva appioppato da parecchi mesi lo fece sorridere sotto i baffi: “e privare così il mondo della mia insostituibile presenza?” esclamò con aria orripilata, “Giammai!” disse, scattando in piedi ed entrando in casa.

   
 
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