ESSERE UN
EROE
“Mamma! Mamma! Guarda quel signore che faccia strana
che ha!”
La
voce allegra e curiosa di una bambina riecheggiò nel parco semideserto sotto
l’abbraccio del vento freddo d’inverno.
La
figura china sotto il suo tocco si voltò di scatto, strappando un gridolino
spaventato alla piccola, che corse a rifugiarsi dietro la schiena della madre,
gli occhietti vispi furono attraversati da un lampo di terrore; la donna
sospirò, abbozzando un inchino imbarazzato all’indirizzo dell’interessato, prima
di allontanarsi a passo svelto, portando via la
figlioletta.
Ichi
restò fermo, immobile, come paralizzato, mentre osservava triste l’allontanarsi
delle due, una strana sensazione di amarezza fece capolino dal suo cuore, tentò
di reprimerla, ma senza successo.
Aveva
voglia di piangere.
Il
ragazzo si morse il labbro inferiore, sentiva gli occhi pungere e bruciare; le
mani pallide e ossute riemersero dalle tasche profonde e calde per tirare su il
cappuccio della felpa, celando al mondo quelle lacrime dolorose che non si
meritava; alzò lo sguardo al cielo coperto di nubi oscure, la malinconia si fece
più forte, tanto che quasi fu tentato di lasciarsi cadere sul sentiero di ghiaia
e sfogare quel dolore che aveva messo radici nel suo
cuore.
Ma si
trattenne, una volta di più, e riprese sui suoi passi, lentamente e goffamente,
come un neonato che stava imparando a
camminare.
Abbassò il capo, poggiando il mento contro lo sterno, sentì la pelle
sfiorare la superficie morbida del maglione, le piccole ferite appena
rimarginate protestarono col dolore per quel trattamento poco gentile, ma il
guerriero le ignorò, percorrendo distrattamente la lunga e sinuosa via che
girava attorno al laghetto; c’erano due cigni solitari, che sonnecchiavano sulla
riva.
Come
se fosse stato richiamato da qualcosa, Ichi si poggiò alla ringhiera che
delimitava lo specchio d’acqua e si perse a osservare il piumaggio candido dei
due addormentati, per un momento, provò una forte invidia: “Voi siete ammirati
da tutti… Anche i bambini vi amano e fanno a gara per darvi da mangiare…”
mormorò tra sé e sé con amarezza, “Da me invece fuggono tutti…” borbottò,
lanciando con rabbia un sassolino nel piccolo
stagno.
Il
tonfo svegliò di soprassalto i pennuti, che presero a gridare impauriti e si
rifugiarono nel sicuro lago, guardandolo con disappunto per averli disturbati;
ma ormai il ragazzo si era voltato e allontanato, il rimprovero dell’uccello
passò inascoltato.
Una
folata di vento gelido lo fece rabbrividire, portando via quel poco calore che
era riuscito a fatica a conservare.
Si
guardò attorno, ormai quel luogo idilliaco che tanto amava era diventato cupo e
triste, non aveva più senso stare lì, forse avrebbe fatto meglio a tornare a
casa prima che calasse la notte, magari sarebbe riuscito a trovare qualcosa da
fare, qualcuno con cui parlare…
“Scusami…”
Una
voce sottile e debole lo fece trasalire, inaspettatamente; si guardò intorno e
vide davanti a sé una nonnina, dall’aria gentile e un poco triste, stretta nel
suo scialle di lana, curva sotto il peso dell’età: “Scusami, figliolo,” ripeté
lei con tono spiaciuto, “Non volevo disturbarti ma il mio gatto è salito
sull’albero e non so come fare a recuperarlo…” disse
lei.
Ichi
alzò lo sguardo, notando la palla di pelo bianca tra i rami spogli, la coda
lunga e fluente che ondeggiava ritmicamente; il ragazzo fece un profondo ed
educato inchino: “Non si preoccupi, me ne occupo io.” la rassicurò, deviando dal
percorso.
Con
un salto, raggiunse il primo ramo e agilmente cominciò ad arrampicarsi come una
scimmietta, un passo dopo l’altro, il piccolo animale sembrava sfidarlo dal suo
alto trono; Aspides sogghignò, era un’altra sfida, tutta per lui: “Ridi, ridi…”
si disse, “Tanto non vincerai tu.”.
Un
minuto dopo, infatti, il felino soffiava seccato tra le braccia della padrona,
rivolto a quell’adolescente impertinente e seccatore che esibiva un sorriso di
trionfo per la vittoria conseguita ai suoi danni; il viso della donna esprimeva
felicità: “Grazie ragazzo, senza di te non so cosa avrei fatto… Sono anziana, e
un numero come il tuo non sarei stata in grado di farlo vent’anni fa,
figuriamoci adesso.” sorrise lei, sfregando la guancia sul pelo morbido del
micio, “e tu, cattivo!” rimproverò l’animale, “non puoi arrampicarti così in
alto, poi come faccio a recuperarti. Ringrazia questo bravo ragazzo.” esclamò,
sollevandolo sino a giungere davanti al volto del
ragazzino.
La
palletta di pelo soffiò arrabbiata e alzò una zampina, graffiando la punta del
naso di Ichi.
“Oh,
ma guarda questo maleducato!” strepitò, dando un buffetto sulla testa del gatto,
“Scusalo… Vieni a casa, ti disinfetto quel graffio, questa peste lascia dei
segni niente male.” disse lei; l’adolescente scosse la testa: “non è
necessario…” provò a dire, ma la donna fu irremovibile: “Ma neanche per sogno, e
poi, fa freddo, ti offro una cioccolata.” gli
sorrise.
Ichi
si sentì avvampare d’imbarazzo a tanta gentilezza, la seguì, scambiandosi
occhiatacce con il gattino per tutto il
tragitto.
Le
ombre della notte cominciavano ormai a calare quando giunsero davanti a una
casetta che sembrava quella di Hansel e Gretel, oppure quella della nonna di
Cappuccetto Rosso, favole europee che gli aveva raccontato Shiryu, una volta che
si era per caso trovato in biblioteca; non amava molto leggere, ma quelle due
storie gli erano rimaste particolarmente impresse, il motivo non lo sapeva,
forse la loro ambientazione. E in quel momento, gli sembrava davvero di veder
spuntare il Lupo Cattivo con tanto di cuffietta da dietro la
casetta.
“Prego, entra. Ci dovrebbero essere delle pantofole nell’angolo. Scusami,
non ricevo ospiti tutti i giorni.”
La
voce della nonnina lo strappò alle sue elucubrazioni e lui la seguì di buon
grado dentro la piccola ma accogliente abitazione; con un rapido colpo d’occhio,
notò che lo circondava un mobilio in stile tradizionale, un tavolo a kotatsu
stava nel centro, il micio si era già rintanato là sotto, la sua lunga coda
spuntava appena, l’intera casa era un posto così caldo e familiare: “Ma guarda
questo pestifero, si è già appropriato del kotatsu!” esclamò con una risata
argentina lei, “Dammi pure la giacca.” aggiunse, voltandosi verso di lui con le
braccia tese per ricevere l’indumento.
Il
ragazzo si levò la felpa, restando in maniche corte, e gliela consegnò,
piegandola con cura, era vecchia e logora, ma ci era affezionato, quasi non
ricordava da dove venisse, forse era un vecchio regalo di compleanno, però la
indossava sempre, gli piaceva quel blu scolorito e quel serpentello verde erba
disegnato sopra.
Si
sedette con le gambe sotto la trapunta, incrociando le braccia davanti a sé, il
suo sguardo vagò per tutta la stanza, che profumava di
incenso.
“Eccomi.”
La
sua nonnina uscì dalla cucina, portando un vassoio, che poggiò sul tavolino, lo
servì di una grossa tazza piena di cioccolata e di una fetta di flan di azuki
appena fatto: “Ecco a te.” disse, tenendone per sé una di tè verde e un certo
numero di dolcetti di riso, “spero ti piaccia e che ti riscaldi lo stomaco, con
questo freddo.”; Ichi annuì e portò alle labbra la bevanda, era buonissima,
dolcissima e calda, gli sciabordò con facilità nello stomaco
vuoto.
Affamato, addentò anche la fetta di torta, sotto lo sguardo benevolo
della donna.
“Devi
proprio avere fame per farti piacere la mia cucina.” scherzò lei, sorseggiando
il suo thè, “è buona,” si affrettò a dire lui, attorno alle labbra erano rimaste
tracce di cioccolato, dandogli un’aria buffissima, la nonnina scoppiò a ridere:
“Che pasticcione,” disse materna, passandogli un fazzoletto, “tieni, usa
questo.” affermò, “Allora, spiegami un po’, come ti chiami?” chiese poi,
curiosa.
“Ichi, signora, Ichi Kido.” si presentò lui, mordendo la fetta di dolce,
“lei è una cuoca eccezionale.” osservò, “Nemmeno mio fratello è bravo come lei.”
esclamò ammirato, “Troppo buono, figliolo ma sono semplicemente una vecchia con
l’hobby della cucina.” ridacchiò allegra, “sei un bravo ragazzo, non sono molti
i tuoi coetanei così gentili. Cosa fai in giro per il parco tutto
solo?”.
Il
viso del fanciullo si fece triste.
“Passeggiavo.” disse solo, incupendosi improvvisamente, “E riflettevo.”
aggiunse, stringendo i pugni poggiati sulle ginocchia; la donna sorseggiò il suo
tè con aria pensierosa: “su cosa?” domandò curiosa, “il parco non è un bel posto
in questa stagione, soprattutto a quest’ora. Ci vengono certi giovinastri…”
dichiarò lei con aria seria, addentando un dolcetto di riso; il ragazzo sorrise appena,
rassicurandola con un cenno del capo, “Sono perfettamente in grado di cavarmela
da solo. Non sono uno sprovveduto.” continuò con
orgoglio.
La
vecchina scoppiò in una sonora risata: “Lo vedo, se meni le mani come ti
arrampichi, sfido chiunque a mettersi contro di
te.
“è
che… mi sento così solo. Il parco e il suo silenzio, di solito, mi
tranquillizzano, ma oggi mi hanno reso ancora più cupo del solito.” sospirò
triste l’albino; la nonnina inarcò un sopracciglio, “Perché solo?” chiese, “non
hai una famiglia, qualcuno che si occupi di te?”, il tono della voce si fece
improvvisamente malinconico.
Aspides annuì: “Certo. Ho i miei fratelli,” disse con una sfumatura di
affetto nella voce, “ma i miei problemi sono legati ad altro. Ho passato la mia
vita a combattere e a soffrire, eppure non riesco ancora a farmi accettare dalle
altre persone.” sospirò, poggiando la tazza, “il mondo è terrorizzato da me.
Sono brutto…” ammise, chinando lo
sguardo.
“Non
dire questo.”
L’ammonimento della vecchietta era duro e deciso, nessuno gli aveva mai
parlato in quel modo così materno e al tempo stesso forte, tranne forse la sua
Dea: “Chi non ti vuole, non ti merita e chi ti evita solo perché hai un aspetto
che non è quello usuale, non sa vedere aldilà del proprio naso.” dichiarò,
“l’aspetto non conta.” aggiunse, puntandogli un dito sottile e ossuto al petto,
“Quello che conta è qui dentro, e si chiama cuore. E tu hai un cuore grande,
grandissimo.”.
Il
primo istinto che il ragazzo ebbe fu di abbracciarla, commosso, e lo seguì: si
gettò con affetto su di lei, stringendola forte, alcune lacrime scivolarono
lucenti giù dai suoi occhi neri come la
notte.
“Ehi,
ehi!” esclamò lei, lasciandosi però abbracciare: “Che impeto, ragazzo.”
ridacchiò, stringendolo non appena sentì i primi singhiozzi; lo lasciò sfogare,
accarezzandolo su quella buffa cresta e sfiorandogli le cicatrici che facevano
bella mostra di sé sulla pelle.
Restarono così a lungo, sino a quando il ragazzo non cominciò a perdere
coscienza sotto le sue dita.
La
nonnina sorrise, lasciandolo scivolare sul morbido futon accanto al kotatsu, con
qualche difficoltà riuscì a farlo sdraiare sotto le coperte, il ragazzo dormiva
finalmente sereno, un delicato sorriso gli increspava le
labbra.
La
donna sospirò intenerita, poi prese in braccio il micio: “Andiamo anche noi a
dormire…” gli sussurrò, dandogli un buffetto sulla
testolina.
§§§
La
coperta in cui Ichi era avvolto era quanto di più morbido e caldo il ragazzo
avesse mai visto; ci si rannicchiò sotto, grugnendo infastidito per la luce che
lo colpiva in viso. Aprì stancamente gli occhi, dalla piccola finestra
distingueva un frammento di cielo azzurro solcato da sbuffi di nuvole leggere,
era giorno fatto.
Frastornato e confuso, cercò di mettersi seduto ma le ultime nebbie del
sonno faticavano a dissiparsi e il morbido futon su cui era disteso invogliava
senza dubbio a tornare a dormire.
“Sei
sveglio?”
La
voce energica della vecchina risuonò lontana ed ella sbucò dalla porta di quella
che doveva essere senza alcun dubbio la cucina, l’odore penetrante di thè era
inconfondibile; la donna lo guardò con affetto, muovendo piccoli passi nella
stanza, tra le mani portava un piccolo vassoio laccato nero, “Dovevi proprio
essere esausto, sei crollato addormentato talmente rapidamente che mi è quasi
stato impossibile prepararti un letto adeguato” sorrise, dandogli la tazza,
“Tieni, ti scalderà un po’, qui in salotto di notte fa abbastanza freddo.” disse
in tono di scusa.
Il
ragazzo scosse la testa, restituendole il contenitore vuoto, sentiva una
sensazione di tepore scorrergli in tutto il corpo, scaldandogli anche la punta
delle dita: “Ho dormito benissimo, grazie di avermi ospitato e scusi tanto per
il disturbo.” affermò serio, chinando la testa; “Baka!” rise lei, dandogli un
buffetto sulla testa, “Ora però ti conviene andare, saranno preoccupati per te.
Di notte si fanno brutti incontri e non è bello far stare in ansia i propri
cari.” dichiarò, porgendogli la felpa e osservando pensierosa fuori dalla
finestra, “è una bella giornata, potrebbe spuntare anche un po’ di sole.”
rifletté lei, accogliendo in grembo il micio che prese a strusciarsi sulle sue
ginocchia.
Ichi
si inchinò profondamente: “Grazie di cuore signora, per tutto!” esclamò lui,
afferrandole le mani e stringendole forte, “le sono grato, dal profondo del
cuore…” mormorò, prendendo da tasca un foglietto, “se avrà bisogno di me, non
esiti a chiamarmi!” le sorrise sghembamente, poi si chinò sulla palla di pelo
che lo fissava con estrema curiosità, “E tu, pestifero!” ridacchiò il ragazzo,
“Non arrampicarti più sugli alberi, siamo intesi!?” lo sgridò con piglio
severo.
Il
gatto soffiò, rizzando il pelo e mordicchiandogli il dito incautamente tenuto
vicino a lui.
“Lo
prendo per un sì!”
§§§
La
giornata si prospettava fredda ma serena quando Hydra lasciò la casa per
inoltrarsi nel parco deserto.
Il
lontano suono di una campanella di qualche scuola gli fece capire che ormai
l’alba era trascorsa da un pezzo e che, molto probabilmente, la sua mancanza a
casa era già stata notata: “Perfetto…” borbottò, rintuzzando le mani nelle
larghe tasche del maglione, “Non volevo far preoccupare Saori-san… Che stupido
che sono.” si rimproverò, dandosi uno scappellotto sulla
testa.
Il
ragazzo allungò il passo, dirigendosi verso l’uscita del parco e rabbrividendo
per il vento gelido che si infilava sotto la felpa, voleva tornare a casa il
prima possibile; ma tutti i suoi buoni propositi finirono a gambe all’aria
quando udì il pianto di un ragazzino nelle
vicinanze.
Il
Saint si fermò, tendendo l’orecchio per distinguere ogni singolo suono che gli
portava il vento: sentì ancora il pianto e le richieste d’aiuto, miste alle
risate crudeli di altri ragazzi, forse più
grandi.
Non
ci stette nemmeno a pensare su, il
guerriero.
In
meno di un attimo, Ichi tornò sui propri passi e a larghi passi raggiunse un
punto imprecisato nel boschetto alle spalle della casetta della vecchia
signora.
Dieci
minuti dopo, un gruppetto di ragazzini con le divise delle medie scappavano
terrorizzati in un bailamme di cartelle e pagine volanti, i volti leggermente
graffiati trasfigurati in una maschera di spavento, inseguiti a breve distanza
da Hydra: “Razza di vigliacchi, prendetevela con qualcuno che è alla vostra
altezza!” gridò furioso, la maglia stracciata da un colpo di coltello
all’altezza del ventre, i pugni stretti e la faccia cosparsa di tagli più o meno
profondi, ma ormai i teppistelli erano già lontani, i loro improperi suonavano
estremamente confusi e sconnessi.
Sogghignando vittorioso, l’albino si chinò poi sul bambino rannicchiato a
terra, sollevandolo con gentilezza: “è finita,” lo rassicurò sussurrandogli
all’orecchio, “Riesci a stare in piedi?” gli chiese, ma i deboli lamenti del più
piccolo non erano molto di conforto sulla
situazione.
Un
gran trambusto venne dal limitare della macchia di alberi e, nel cono di luce
che filtrava tra i rami, il giapponese distinse la sagoma di un agente di
polizia nella sua divisa fiammante, subito dietro veniva l’adorabile vecchina
che lo aveva ospitato: “Bontà divina!” la donna singhiozzò, “Che è successo?”
chiese, accorrendo ad aiutare il ragazzino con il ferito semidisteso a terra,
“Dei compagni lo hanno pestato,” sbuffò lui arrabbiato, “sono intervenuto appena
in tempo ma è conciato male…” valutò Aspides, osservando critico i segni sul
viso e la divisa scolastica strappata.
L’agente prese il telefono per chiamare aiuto ma Ichi lo bloccò: “Ci
penso io,” disse, “Mi dia quel telefono.” ordinò con piglio
severo.
Dieci
minuti dopo, la volante della polizia sfrecciava a sirene spiegate verso la
clinica della Fondazione.
§§§§
“Lady
Saori, c’è una chiamata per lei.”
La
voce inquieta di Tatsumi mise in allarme la Dea che prese il cordless dalle mani
dell’assistente: “Si?” chiese la ragazza con voce leggermente tremolante,
“Milady, sono Meiko, la chiamo dalla clinica.”, il tono ansioso dell’infermiera
la preoccupò maggiormente, “si tratta di Ichi-kun,” precisò la donna, “è qui con
un ragazzino, il poliziotto che li ha accompagnati mi ha spiegato che sono
rimasti coinvolti in un pestaggio e…”.
Athena non udì il resto della conversazione, rispose meccanicamente alle
richieste della ragazza poi scattò in piedi, ordinando all’uomo dinanzi a sé di
far preparare la macchina.
“Ojou-sama,” provò a ribattere lui, “Che sta…” cominciò, ma la fanciulla
lo fulminò con lo sguardo, impedendogli di dire altro, “Sbrigati.” disse severa
lei, prendendo la giacca e uscendo dallo
studio.
§§§
Quando la ragazzina finalmente arrivò, dopo un tempo che le parve
infinito, si accorse di avere smesso di respirare nell’esatto attimo in cui
aveva messo piede nella hall del complesso ospedaliero e di ricominciare a farlo
solo quando aveva visto il suo guerriero seduto su una delle scomode poltroncine
in plastica della sala d’attesa.
Il
giovanissimo si voltò di scatto, alzandosi per andarle incontro: “Athena-sama…
Io…” balbettò senza riuscire a spiegare alcunché; lei scosse la testa,
sorridendogli materna, “Calmati, stai bene, vero?” gli domandò, osservandone il
maglione stracciato e i tagli appena fasciati, “Si, ojou-sama.” annuì Hydra, “il
medico dice che il ragazzino ne avrà almeno per una settimana, ma sta bene anche
lui… Sua madre è dentro la stanza.” affermò l’albino, indicando la porta chiusa
davanti a lui e sfregandosi gli occhi, “Mi spiace averla fatta preoccupare… Se
fossi stato forte come Seiya-chan o Jabu-kun, forse non mi sarei conciato così…
e non mi sarei fatto strappare la felpa come un qualunque teppistello di
strada…” s’immusonì.
La
Dea gli accarezzò il viso arrossato per il freddo e per le ferite: “Non dire
certe cose,” lo rimproverò, “Hai protetto una vita umana, se non ci fossi stato
tu, probabilmente per lui sarebbe stato troppo tardi,” lo rassicurò, “E poi, tu
sei tu e non c’è cosa più bella. In questo mondo, siamo tutti diversi ma sono le
nostre azioni a dimostrare quello che siamo veramente e quello che tu hai fatto
oggi… Hydra Ichi, oggi sei stato un
eroe.”.
Il
guerriero si sentiva confuso e allo stesso tempo euforico, le parole della sua
signora lo avevano profondamente
colpito.
Mai
prima d’ora si era reputato un eroe, lui che, in effetti, non era mai stato una
figura di rilievo nei combattimenti che li avevano visti coinvolti, lui che era
sempre stato una figura di contorno delle sanguinose guerre che avevano
affrontato e vinto.
Lui
che, quel giorno, il Destino aveva tramutato all’improvviso in un eroe, quello
che non pensava mai che sarebbe
diventato.
§§§§
La
via di casa a Hydra non parve mai tanto lunga come in quel
momento.
Semisdraiato sul sedile posteriore, la testa dolcemente poggiata sulle
ginocchia della sua Dea e stretto nel cappotto che la giovane donna gli aveva
dato per coprirsi, cercava di riordinare le idee sulla strana situazione in cui
si era trovato, sulle parole di autentica riconoscenza che la madre del
fanciullo che aveva salvato gli aveva rivolto una volta uscita dalla camera del
figlio, tutte quelle attenzioni e parole gentili lo avevano messo in imbarazzo,
in estremo imbarazzo; era stato solo in grado di annuire distrattamente,
pregando che Athena lo liberasse.
Si
era improvvisamente sentito stanchissimo e desiderava tornare il prima possibile
a casa.
Saori
doveva essersene accorta perché i suoi ricordi frammentari riportavano la voce
lontana della nobile duchessina che parlava con la donna e il medico mentre lui
veniva portato via in braccio da qualcuno, l’odore della pessima acqua di
colonia che gli pizzicava il naso riconduceva senza dubbio a
Tatsumi.
E poi
nulla, i suoi ricordi frammentari terminavano lì, doveva essersi appisolato
perché, quando aveva riaperto gli occhi, il cancello di Kido Manor si stagliava
possente davanti a loro.
“Ben
svegliato,” la voce delicata della ragazza aveva una sfumatura divertita, “Hai
dormito per più di un’ora, siamo rimasti bloccati nel traffico ma tutta quella
confusione di clacson e improperi non ti hanno minimamente scosso. Siamo
arrivati.” concluse lei, dando un colpetto al vetro di comunicazione con
l’autista; di buon grado, Ichi si tirò seduto, sfregandosi gli occhi per
l’improvvisa luce del Sole che lo aveva colpito in
viso.
Il
verde del parco non gli era mai sembrato così
bello.
“Razza di incosciente!”
Le
grida di Nachi precedettero la comparsa sua e di Seiya nello spazio visivo del
guerriero appena sceso dall’auto assieme alla Dea, un pugno lo colpì alla
spalla, sbilanciandolo non poco: “Ma che diavolo combini, si può sapere??”
esclamò Wolf risentito, “Meiko-chan ci ha chiamato dalla clinica e ci ha detto
che eri lì, ci hai fatto spaventare!” lo rimbrottò Pegaso, incrociando le
braccia al petto.
In
quel momento, una delle cameriere di casa uscì sotto il portico, tra le mani
aveva il cordless dello studio di Saori: “Milady, c’è una telefonata per il
signorino Ichi.” disse solo, consegnando l’apparecchio
all’interessato.
L’albino lo guardò come si guarda un verme particolarmente viscido, poi
se lo portò con cautela all’orecchio: “Pronto?” ebbe appena il tempo di dire che
un miagolio insistente, seguito da qualche mezza imprecazione, lo fece
sobbalzare; “è possibile congratularsi con l’eroe del giorno?” la voce della
gentile signora riuscì in qualche modo a sovrastare il chiasso che il felino
faceva.
Il
ragazzo sorrise, sedendosi sui gradini di marmo: “Non ho fatto nulla di che.”
replicò con estrema semplicità, “Non dire stupidaggini, figliolo, allora non sai
solo arrampicarti sugli alberi per recuperare gatti pestiferi alle vecchiette.”
la risata della donna dall’altro capo del telefono era contagiosa, il Saint si
sentì improvvisamente di buon umore, “No, credo proprio di no.” ammise lui,
lasciando vagare lo sguardo sul cortile semideserto, tranne che per la
troneggiante presenza di Tatsumi impegnato a posteggiare l’auto, “Sa, credo che
abbia ragione lei.” dichiarò lui, giocherellando con un filo della maglietta,
“Riguardo a cosa?” domandò dubbiosa la donna, “Quello che conta è il cuore…
Prima d’ora, non ci avevo mai seriamente pensato su, però ora ho capito che è
così.”.
La
nonnina battè le mani allegra: “Vedi, che ti avevo detto? Tu hai un cuore
grandissimo, le tue azioni di oggi lo hanno dimostrato. Ed è proprio questo che
ti rende speciale, un vero eroe.” concluse, “Mi aspetto che tu venga quanto
prima a trovarmi, guarda che ci conto!” decretò lei, “Verrò a trovarla,
promesso, a patto però che lei prepari ancora quella deliziosa torta!” replicò
il giovanotto, “Arrivederci, e grazie
ancora.”.
Chiusa la comunicazione, Ichi poggiò il telefono ai propri piedi,
lasciandosi accarezzare sul viso dal vento
gelido.
“Ehi,
crestato, hai deciso di congelare qui
fuori?”
Il
soprannome che Jabu ormai gli aveva appioppato da parecchi mesi lo fece
sorridere sotto i baffi: “e privare così il mondo della mia insostituibile
presenza?” esclamò con aria orripilata, “Giammai!” disse, scattando in piedi ed
entrando in casa.