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Autore: Fenandinha    01/08/2010    2 recensioni
Questa One-Shot parla di due ragazzi, Frederick e Sophie. Mi sono ispirata a Twilight, in base ai personaggi intendo. Infatti lui è un vampiro e lei invece è una ragazza normale.(:
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                 <3.E SE FOSSE PER SEMPRE, MI STUPIREI.<3








"E così, questa sarebbe la tua giustificazione?"
Mr. Clapp, il mio insegnante di educazione fisica, mi squadrava arcigno dall'alto del suo metro e ottantacinque. Teneva in mano il foglietto che io avevo diligentemente preparato la sera prima, eppure appariva scettico.
Molto scettico.
Nonostante le bugie che avevo imparato a raccontare negli ultimi mesi, non ero ancora del tutto capace di mentire candidamente come avrei voluto.
Come avrei dovuto, in primo luogo.
Scostai una ciocca di capelli per metterla dietro l'orecchio. Cercai di guardare il professore in viso il meno possibile, per non farlo insospettire più di quanto già non fosse.
Maledizione.
"Ehm, sì, esatto"
Lui sembrò valutare per un momento la mia risposta, poi rilesse di nuovo il foglietto che teneva con entrambe le mani. Dio, ma quanto ci vuole a leggere una stupida giustificazione?
Mi sembrava di essere stata piuttosto brava a dissimulare la firma di mio padre.
E, credetemi, ce ne vuole di impegno per falsificare la firma di papà.
"Quindi" riprese Mr.Clapp senza troppa convinzione "per colpa di una piccola ferita al braccio non potrai seguire le mie lezioni per un'intera settimana?"
Mio malgrado, formulai un'esclamazione di gioia nella mia mente molto somigliante a un "Olè!"
"Già"
Cercai di mantenere il braccio sinistro il più rigido possibile... doveva sembrare una ferita abbastanza grave da non farmi seguire educazione fisica, ma non tanto grave da necessitare di una fasciatura... Forse non sarei mai diventata un'attrice nella vita. Di sicuro, entrare nel mondo dello spettacolo non era la mia priorità numero uno, al momento.
Speravo vivamente che quella tortura terminasse al più presto, e soprattutto che non mi chiedesse di mostrargli alcun certificato medico. 
Frederick mi aveva assicurato che non l'avrebbe fatto, ma come potevo esserne sicura? E non potevo certo andare da un medico chiedendogli un certificato per... per cosa? Per la ferita-che-non-c'è?
Mentre un pallone sorvolava la mia testa seguendo una traiettoria non proprio sicura, Mr.Clapp si schiarì la gola.
"D'accordo"
D'accordo.
D'accordo, aveva detto.
D'accordo??
D'ACCORDO??
Non potevo crederci, c'era cascato.
Nella mia immaginazione mi vidi ballare la samba circondata da un coro di "D'accordo!".
Ovviamente, io che ballavo era una cosa concepibile solo nell'immaginazione, vista la scarsa abilità del prodotto reale.
Dopo che la mia incredulità mista a gioia lasciò spazio a un pò di coscienza, salutai Mr.Clapp e mi fiondai fuori dalla palestra evitando i palloni che venivano lanciati da parte a parte dagli studenti, forse con un pò troppo entusiasmo.


+*+*+*+*+*+*+*+*+*+


Uscii nell'aria umida tipica di Forks, alzando il colletto della maglia. Per quel giorno risparmiai di maledire il freddo, che era comunque presente nonostante s'intravedesse qualche vago raggio di sole, il massimo che potevo pretendere da Forks, ma il mio piccolo alone di felicità mi impediva di farci caso.
E così, era fatta.
Personalmente, ogni singolo secondo che potevo passare in più con lui era causa di felicità.
E non me ne pentivo, tutt'altro.
Nelle ultime settimane mi ero accorta che dieci ore al giorno insieme non mi bastavano.
Le lezioni che seguivamo assieme erano poche, con mio grande rammarico.
Perciò avevamo concordato una "strategia", come la chiamava Frederick, "imbroglio", come lo chiamavo io, per stare assieme qualche ora in più. Il fatto che questo coinvolgesse le mie lezioni di educazione fisica, non era assolutamente una casualità, ed ero pronta ad ammetterlo.
Ma mentre a Frederick era bastato presentare una giustificazione con la sua calligrafia pressochè perfetta all'insegnante di chimica, io, non ancora maggiorenne, ero stata costretta a falsificare quella di mio padre.
Entrai nel parcheggio della scuola, ed eccolo lì, in tutto il suo splendore.
Se ne stava appoggiato di schiena alla Volvo metalizzata, i capelli bronzei al vento, la pelle diafana, il volto dai lineamenti regolari, un fisico statuario che avrebbe potuto far girare la testa a qualunque essere umano di sesso femminile nel raggio di un chilometro.
Portava dei jeans scuri, quasi neri e un pò scoloriti. Addosso a un ragazzo qualunque, sarebbero stati dei semplici jeans. Ma addosso a lui diventavano eleganti, gli conferivano un'aria da ragazzo senza però privarlo del suo tipico fascino composto.
Sui jeans, una camicia chiara sbottonata sul collo e una giacca nera per ripararsi da un freddo che non poteva percepire.
Mi avvicinai alla Volvo, cercando di non inciampare abbagliata da tutta quella perfezione.
Lui alzò i suoi occhi mielati e mi scrutò per qualche istante.
Poi sorrise, uno di quei sorrisi da "te-lo-avevo-detto", beffardo e sicuro di sè.
Un sorriso così incredibilmente e incondizionatamente sexy.
"Bentornata", mi disse.
La sua voce dolce e ironica mi risvegliò dal temporaneo torpore causato dalla sua presenza. Sorrisi con un pò più di convinzione.
Lui avanzò verso di me di qualche passo fino ad avvicinare le labbra fredde al mio viso. Tempo due secondi e sarei andata in iperventilazione, ne ero certa. Sfiorò delicatamente la mia guancia sinistra, mentre il suo respiro fresco mi accarezzava il viso...
Non si allontanò da me, ma restammo abbracciati lì, accanto alla sua Volvo e alla portata degli sguardi di tutti. Le sue mani scesero ad accarezzarmi la schiena, poi posò di nuovo il suo sguardo su di me.
"Allora, com'è andata?"
Cercai di mantenere il controllo. "E' andata" sospirai.
Mi studiò per qualche secondo.
"Te l'avevo detto che non c'era nulla di cui preoccuparsi"
"Sì, bè, hai avuto ragione anche questa volta, Mr.Sapientone". Sorrisi dandogli un pugno scherzoso sul petto scolpito.
Fece una risatina, poi mi prese per mano e mi fece entrare nella sua auto. Mentre saliva dalla parte del passeggero gli dissi:
"Ma cosa stai facendo?"
"Vedrai"
Accese il motore che con un rombo partì lasciandosi alle spalle un alone di gas. Percorse mezzo perimetro della scuola e imboccò una via che non avevo mai visto. Osservando la vegetazione che a mano a mano si addensava capii perchè mi era nuovo, quel posto.
"Siamo nella parte posteriore del cortile". Non ci ero mai stata.
"Ehi, che occhio", mi apostrofò sarcastico.
Gli feci una linguaccia cercando di resistere a tutto quel fascino sfacciato.
"Ma non ci è concesso uscire dal limite della scuola, lo sai. Neanche nelle ore di permesso"
Lui intercettò il mio sguardo nello specchietto. Le iridi calde dai riflessi ambrati mi trafissero.
"Ascoltami, Sophie. Ti fidi di me?"
Deglutii a fatica. Non me l'aveva mai chiesto prima. O, perlomeno, non così apertamente.
"Ce-certo" sussurrai balbettando, ma sicura di ciò che dicevo.
"Bene. Allora fidati"
Durante la nostra breve chiacchierata non avevo notato il panorama attorno a noi, che adesso era quello dell'autostrada. Sfrecciavamo a una velocità infinita tra le auto, ma Frederick teneva sicuro il volante.
Non avevo la più pallida idea di dove volesse portarmi.
Per quanto mi riguardava, poteva portarmi anche in capo al mondo, se ero con lui.
"Allora sei riuscito ad ottenere il permesso?"
Mi osservò con le sopracciglia inarcate, poi la sua espressione fu sostituita da un sorriso sicuro.
"Ovvio. Sono maggiorenne, io". Il suo tono era ironico.
"Già," sospirai "immagino che non ci sia voluto poi molto per la signorina Johnson a darti il permesso. Visto l'effetto che le fai. Visto l'effetto che fai a tutte le ragazze di quella scuola"
Solo dopo aver parlato mi accorsi di quello che avevo detto. Ops. Troppo tardi, Sophie. 
Frederick non rispose subito, continuò a mantenere la velocità costante. Poi imboccò un'uscita dell'autostrada e percorse qualche metro su una via isolata, fino ad inoltrarsi in una strada sterrata costeggiata da una folta chioma di alberi. Dovevamo aver percorso come minimo qualche chilometro, pensai. Arrivammo ad un punto morto in cui la strada tutt'altro che lineare raggiungeva il capolinea. 
Frederick spense il motore e sollevò il viso, senza guardarmi, un'espressione seria sul viso d'avorio.
"Credimi, Sophie" disse, riprendendo le mie ultime parole "sei l'unica che vorrei mai sedurre. Te e nessun'altra. Non m'importa di quelle ragazze, non m'importa di nessuna di loro. Sei l'unica persona che abbia mai amato sul serio. E non mi rendo conto dell'effetto che faccio alle altre perchè... semplicemente perchè non m'importa"
Sbattei le palpebre un paio di volte, mentre cercavo di contenere l'emozione che quelle parole avevano suscitato in me.
"Ti credo" sussurrai.
Lui mi mostrò ancora quel sorriso sghembo da capogiro, poi mi fece scendere dalla Volvo.
Prese la mia mano e oltrepassammo un arco che gli alberi formavano con i loro rami. Non mi ero accorta che ci fosse un'uscita, ma di certo lì la Volvo non avrebbe mai potuto passare, vista la scarsità di spazio a disposizione.
"Allora, me lo dici dove siamo diretti?"
"E' una sorpresa"
Cercavo di non inciampare nella moltitudine di radici sul terreno, ma la sua mano stringeva salda la mia.
Dopo qualche secondo, ecco riemergerci alla luce.
E...
Rimasi letteralmente pietrificata davanti a tanto splendore.
Il mare si stendeva davanti a noi, baciato da quei pochi raggi di sole che filtravano attraverso la coltre di nuvole addensatasi in cielo.
Eravamo su un'altura, uno sperone ricoperto da soffice erba, circondato da una mezzaluna di alberi, quella da cui eravamo appena emersi.
Era uno spettacolo stupefacente.
Se quello che avevo davanti era davvero il mare e non qualche fervido, realistico prodotto della mia immaginazione, voleva dire che avevamo davvero percorso parecchia strada... non eravamo più entro i confini di Forks. 
Frederick mi accompagnò al centro dell'altura, proprio di fronte la vista dell'orizzonte. Ci sedemmo per terra, lui dietro di me e io con la testa appoggiata al suo petto.
"E'... bellissimo" sussurai.
Lo sentii sorridere.
"Volevo condividerlo con te..." disse delicatamente, accarezzandomi una spalla con un dito "Ti sembra banale?"
"No!" risposi, forse un pò troppo di fretta. "E' magnifico... dolce"
Restammo così, per un pò di tempo, a guardare il sole che a mano a mano raggiungeva l'orizzonte.
Poi qualcosa mi tornò in mente.
"Frederick... se siamo qui allora non siamo più a scuola" dissi "E, se non siamo più a scuola, sbaglio o abbiamo contravvenuto a qualche regola che ci impedisce di uscire nelle ore di permesso?"
Lui rise sommessamente, una risata lieve e melodiosa.
"Non siamo fuori dal confine della scuola. O perlomeno, non teoricamente" rise di nuovo "Avrai notato che non c'era nessun limite che segnava la separazione tra il cortile e l'uscita. Quindi è come se fossimo ancora entro i limiti della scuola. Inoltre" aggiunse ironico "non vorrei che l'ispettore Pedaleki, ovvero tuo padre, pensasse che ti ho rapita".
Mi trattenni dal confessargli che poteva anche farlo, per quanto mi riguardava.
"Perchè proprio il mare?" chiesi curiosa.
"Bè, pensavo che fosse bello... non ti piace?"
"No!" esclamai "Cioè, sì... è solo una curiosità. Tutto qui"
"Capisco. Bè, è uno dei pochi posti che conosco dove posso essere me stesso. E poi pensavo che il sole ti mancasse. Qui ce n'è molto di più, rispetto a Forks, e splende sul mare. Bè, splendere è una parola grossa" rise ammaliante "direi che... illumina lievemente l'orizzonte".
Cercai di ricacciare indietro le lacrime.
Cosa diavolo avevo fatto per meritare un angelo così?
"Grazie" riuscii a sussurrare con un groppo in gola.
Lui mi strinse ancora di più a sè, cullandomi e baciandomi i capelli.
Per il tempo restante osservammo il sole tramontare, accarezzati dal vento della sera. Poi mi sembrò di riemergere da un sonno profondo.
Volevo chiederglielo.
Ma no, non potevo, non era il momento. Perchè rovinare quegli istanti così perfetti?
Però sentivo un bisogno incessante, inspiegabile... Formulai le parole ancora prima di pensarci.
"Perchè non vuoi che diventi come te?"
Ops. Troppo tardi.
Mi aspettavo un'espressione arrabbiata, o perlomeno severa.
Ma non si arrabbiò. Certo, non sorrise neppure. Divenne... serio.
Ed era malinconia quella che scorgevo nei suoi occhi?
"Sophie... ne abbiamo già parlato"
"Non mi basta. Parliamone ora"
Cominciava ad esasperarsi, e lo sentivo.
"Cosa c'è da dire? Non ti ho portato fin qui per discutere di una cosa che non accadrà mai"
"Perchè?" chesi, impaziente. Mi stavo addentrando in territorio minato, e lo sapevo. Ma, in quel momento, il proverbio: "Hai voluto la bicicletta? Ora pedala!" mi calzava a pennello. "Perchè non accadrà mai?"
"Perchè..." cominciò. Poi si interruppe e volse il viso dalla bellezza stupefacente verso l'orizzonte. I riflessi del tramonto giocavano sulla sua pelle che, a seconda dell'illuminazione del sole, splendeva di una luce iridescente e cangiante.
Sospirò.
"Sophie, non parliamone più, ti prego. Tu hai una vita tua, non è giusto buttarla via solo perchè vuoi stare con me per sempre"
I miei occhi si riempirono inaspettatamente di lacrime.
"Frederick, ma non capisci? Sei tu la mia vita. Non m'importa di nulla, se non posso stare con te... e sai che un giorno morirò. Prima o poi... accadrà"
Non parlò, anzi continuò a non guardarmi, immobile come una statua di marmo.
Quanto lo amavo. Non se ne rendeva conto?
Non capiva che potevo rinunciare a tutto, ma non a lui?
Poi feci una cosa inaspettata. Mi sollevai sulle ginocchia e presi il suo viso tra le mani.
E, così velocemente da coglierlo alla sprovvista, lo baciai.
Non era un bacio delicato. Ma un bacio forte, pieno di desiderio. Mi cinse la vita con le braccia e schiuse leggermente le labbra.
Quando mi staccai avevo il fiato corto, le lacrime che mi rigavano le guance.
Sorrise asciugandomi il viso umido.
"Ti... ti prometto che un giorno lo farò"
"Farai cosa?" sussurrai. Non capivo cosa intendeva dire.
"Ti prometto che un giorno sarò degno del tuo amore"
"Lo sei già". Nessuno poteva essere più degno di lui, per me.
Scosse il capo sorridendo.
"No, non lo sono. Ma... ti prometto che un giorno lo sarò"
Mi appoggiai intenerita e confusa al suo petto. Ma sorridevo.
"E' una promessa, eh?" lo avvertii, come per sancire un patto. E forse in qualche modo lo era.
"E' una promessa" rispose.
Per degli istanti lontani dal tempo e dallo spazio mi persi nel dolce cullare delle sue braccia, il pensiero rivolto ad una promessa sospesa tra presente e futuro.

  
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