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Autore: BeGD    02/08/2010    0 recensioni
una fuga d' amore mette scompiglio nel mondo della musica e all' interno dei Green Day. Vecchi rancori emergono nella preoccupazione, mentre la compagna d' avventura di Billie Joe, Eleonora, vive esperienze straordinarie con colui che credeva essere solo un sogno. E' la mia prima ff.. gradita clemenza..
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano a Rodeo, a casa di Billie Joe, in un freddo pomeriggio d’ inverno del 1989. Fuori l’ aria era gelida e il clima all’ interno della casa non era da meno, dato che la famiglia di Billie non poteva permettersi nulla per riscaldarsi, se non una misera stufa e qualche coperta. Erano lì per mettere appunto un paio di pezzi da suonare il sabato sera successivo al Gilman e Billie era tutto eccitato, cosa che lo rendeva ancora più bello.

-non vedo l’ ora, John, quanto sarà bello! Non immagini nemmeno quante volte ho sognato questo momento!-

John lo ascoltava poco e niente, troppo impegnato a scrutarlo e ammirarlo. Dio, quanto era bello; piccolo e magro, dolce, con quegli occhioni da cerbiatto che avevano fatto impazzire John. Aveva perso la testa, non ce la faceva davvero più, si sentiva scoppiare la testa e, soprattutto, i jeans. Troppo stretti in quel momento. Billie era vicinissimo a lui, erano sotto la stessa coperta sul piccolo divano del soggiorno. Bastò poco. Bastò che Billie lo abbracciasse a scatenare la parte animale di John che, sfruttando tutta la sua forza fisica, stese Billie sul divano per sovrastarlo e violargli la bocca. Il resto fu veloce e John lo ricordava come qualcosa di confuso, indistinto, una scarica elettrica eccitante e dolorosa che per lui aveva ancora il sapore del senso di colpa per essersi approfittato in quel modo del suo migliore amico. Billie che gemeva, sentendosi violare la bocca in modo violento e feroce, John che sentiva di fargli del male e non si era fermato, Billie che si divincolava e John che lo bloccava stringendogli i polsi tanto da lasciargli i profondi segni delle unghie sulla pelle lattea, Billie che scoppiava a piangere urlando in quella scura casa vuota e John che gli tappava la bocca con la sua spingendoci con forza e passione la sua lingua, Billie che soffriva vedendo l’ amico strappargli i vestiti di dosso, John che ansimava a contatto con ciò che aveva sempre voluto, John che non reggeva più, John che infilava di forza le mani sotto la cintura del chitarrista, John che metteva tutte la sue forze nell’ intento di eccitare Billie, di fargli provare piacere e fargli smettere di opporre resistenza, di fargli smettere di piangere. Ci riuscì, ma John  sapeva che, anche avendo abbandonato il progetto di divincolarsi dalla stretta infernale del batterista, Billie non era felice di essere lì, con le gambe e le mani bloccate, succube e prigioniero di colui che credeva essere uno dei suoi migliori amici, una persona che non lo avrebbe mai abbandonato, che non lo avrebbe mai VIOLENTATO. Perché era quello che John stava facendo, ammise a se stesso, lo stava violentando, lo stava violando, stava approfittando di lui e della sua debolezza. Billie non avrebbe voluto essere lì, mentre con gli occhi serrati avvertiva il suo sesso nelle mani prepotenti di John, mentre altre due dita del compagni di band si infilavano aggressivamente e con fretta tra le pieghe del suo corpo. John gli aveva lasciato sanguinanti graffi sulla schiena nel tentativo di farlo stare fermo e di farlo tacere, e quelle ferite facevano un male cane a contatto con la stoffa del divano e della pelle di chi le aveva provocate. Poteva essere davvero John? Si chiese Billie mentre piangeva senza sosta, in preda a quel piacere che non aveva voluto provare di sua spontanea volontà, che era stato indotto a provare, meccanicamente, perché una cosa era consequenziale all’ altra nel suo corpo, e anche senza coinvolgimento emotivo e in preda al terrore e al dolore i suoi ormoni erano lo stesso entrati in circolo nel sangue all’ impazzata, come api di fronte a un nemico, coalizzati nel far del male al loro padrone. E fu male che Billie provò, un male atroce fisico e morale, quando John, giunto al limite, entrò dentro di lui, violandolo definitivamente, svuotandolo di quella minima speranza che Billie potesse nutrire fino a quel momento: quella che John si sarebbe fermato, giunto a quel punto, che avrebbe avuto il minimo rispetto della sua persona. Si sentì come un oggetto, come una bambola di pezza nel momento in cui venne, in cui quell’ incubo finì, in cui John uscì da lui con la stessa fretta con cui era entrato, in cui Billie si sentì ancora più male, in cui si accorse che nulla sarebbe stato più come prima.

-Fu così che Billie cominciò a sentirsi davvero un oggetto e ad avere storielle di una notte con una buona parte dei suoi colleghi- continuò Mike, deciso a rivelare a Trè tutti i segreti di Billie e suoi, finalmente libero dalla violazione dell’ amico. In fondo che male c’ era, erano amici da sempre, o no? – si sentiva un oggetto di piacere davvero, ora, e lo è rimasto ancora adesso.-

-Quindi è per questo che John fu cacciato dalla band, prima che entrassi io?- chiese Trè sconcertato, non avrebbe mai immaginato che esperienza orribile aveva vissuto Billie all’ età di quei diciassette anni di confusione. Non immaginava poi che fosse stato davvero JOHN a fargli del male, il ragazzo a cui aveva insegnato a suonare la batteria, il giovane burrascoso ma dolce che aveva visto crescere tra i piatti e i tamburi.

-Esatto, anche se questa faccenda non è venuta mai allo scoperto. Abbiamo preferito tenerla tra noi. Billie soffriva troppo e domande indiscrete da parte di qualche giornalista stronzo sarebbero state fatali per lui. Pensò al suicido, sai?- continuò Mike – eravamo nella nostra casa a Oakland, quella baracca che abitavamo insieme. Era rientrato dal lavoro e lo trovai appena in tempo. Aveva una lametta in mano e la puntava dritta al polso, ripetendo tra sé e sé che tanto nessuno si sarebbe accorto della sua assenza e che sarebbe stato meglio così, perché avrebbe terminato di soffrire. Era tanto assorto e concentrato che non si accorse di me, che gli piombai dietro e lo abbracciai stretto strappandogli di mano la lametta. Cercò di liberarsi dalla morsa tremando come una foglia e chiamando a gran voce il nome di John-  Mike era immerso nei ricordi, con gli occhi velati di malinconia e un tenero sorriso dipinto sulle labbra, come se fossero ancora nell’ ‘89, in quello squallido bagno di quell’ altrettanto squallida casa.

-Allora capii che non stava davvero bene. Lo portai sul divano del soggiorno e lo lasciai lì, ancora tremante, a fissarmi e a piangere a dirotto, urlandomi contro ogni insulto per averlo sottratto al suo destino, per avergli permesso di continuare a soffrire, a martoriarsi. Non ribattei e andai a preparargli una camomilla per tranquillizzarlo. Ero sotto shock, puoi immaginarlo. Tornai in soggiorno e lo trovai ancora in lacrime, con le ginocchia in grembo e la bocca piegata in una smorfia di disperazione. Solo allora capii che a lui tenevo più di qualsiasi altra cosa al mondo, che era lui la mia vita, che era per lui che avevo speso tutti i miei miseri 17 anni, che era per lui che mi alzavo la mattina, che era per lui che sorridevo, che era per lui che, in quel momento, soffrivo terribilmente. Quando mi sedetti sul divano, attento a non toccarlo per non fargli male o per non sentirlo tremare, tutto parve veloce: lui che mi abbracciava, che mi baciava, che mi toccava in ogni centimetro quadro di pelle, lui che mi spogliava e si lasciava spogliare, che si fermava e lasciava proseguire me, io che andavo in automatico e che, pieno di passione e dolcezza, gli sfilavo i jeans, lo accarezzavo e mi fondevo con lui. Lo vedevo sorridere, respirare profondamente e stare bene per la prima volta, abbandonarsi a me senza paura e dimenticarsi di John. Da allora è cominciato tutto, tra noi.-

 

 

 

   
 
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