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Autore: freak on a leash 13    02/08/2010    0 recensioni
Il viso che vede quando chiude gli occhi è sempre fuori dalla sua portata, un fantasma di ricordo in un mondo di cose reali e solide che lei continua a rincorrere sapendo che non lo raggiungerà mai.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Laguna Loire, Rinoa Heartilly
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Final Fantasy VIII e i suoi personaggi sono proprietà Square-Enix, e vengono qui utilizzati senza scopo di lucro: nessuna violazione del copyright è pertanto da ritenersi intesa.

CHASING GHOSTS
scritta da freak.on.a.leash.13, tradotta da Alessia Heartilly

La pioggia cadeva fuori dalle finestre, fitta e rumorosa. Il suono dei suoi piedi che camminavano lungo il corridoio era a malapena udibile al di sopra della tempesta là fuori. Non riusciva mai a dormire durante le tempeste; i tuoni e il buio e il vento la tenevano sempre sveglia.

Le tempeste le ricordavano la morte. Le ricordava incidenti d'auto causati dal cattivo tempo, l'indossare un abito nero e mettere un fiore bianco sulla bara e chiedere a papà, "quando torna a casa la mamma?"

Mai. La mamma non sarebbe mai tornata a casa, era perduta per sempre, come tutte le altre cose che amava. Come Squall...

Pioveva, quella notte. Era un missione di routine, ma la morte era sempre una possibilità nel suo tipo di lavoro. Poteva ricordare ogni dettaglio; il fatto di indossare i pantaloncini del suo vecchio pigiama e una delle sue maglie (perché le piaceva sentirlo intorno a sé, anche quando lui non c'era) e stava diluviando, fuori, e aveva sentito bussare alla porta. Poteva ricordare di aver camminato alla porta a piedi nudi, due unghie del piede sinistro laccate, perché voleva sembrare carina quando Squall sarebbe tornato, il giorno dopo. La maniglia della porta era sembrata fredda nella sua mano, e ancora prima di aprire aveva capito.

Era un'intuizione improvvisa, dal nulla, un'esplosione pulsante sul fondo del cervello. Aveva aperto la porta, e ascoltato l'uomo che diceva quelle parole. Aveva annuito, mentre le girava la testa. Lui aveva chiesto se stava bene. Lei era caduta a terra.

Quanto tempo era durato, lei a terra immobile, mezza impazzita? Cosa succedeva a una Strega una volta che perdeva il suo Cavaliere? Adele era impazzita, e non voleva diventare così. Non voleva essere nulla. Voleva morire.

Un altro vestito nero, una folla di visi, la bara che scendeva nel terreno. Quistis al suo fianco, che la guardava come se fosse una bambola di porcellana sul punto di rompersi. Selphie, che cercava comunque di sorridere attraverso le lacrime.

E poi c'era Laguna. Lui capiva il suo dolore, la sua perdita. Non le aveva detto che sarebbe andato tutto bene. Non aveva mentito. L'aveva invitata a stare con lui, per sfuggire ai ricordi per un po'. Lei aveva accettato.

Era stato settimane prima. Quella notte era solo una delle tante in cui si trovava ancora una volta ad andare verso la sua camera, spaventata e sola. La porta non era chiusa a chiave, quando la raggiunse. Lui doveva aver visto le previsioni del tempo prima di andare a letto.

Dolcemente, aprì la porta; solo la luce fioca della lampada da notte illuminava la stanza. Nessuno dei due riusciva più a dormire al buio. La luce ricordava loro che questo era reale, loro erano reali. Non era un sogno.

"Laguna?" chiamò, la voce bassa e dolce. Non l'avrebbe svegliato, non se dormiva. Il sonno era un dono troppo raro per rovinarlo.

"Rinny, sei tu?" disse lui debolmente, facendola sorridere solo un po'. Aveva iniziato a chiamarla con quel soprannome solo un giorno dopo che si era trasferita lì. A nessuno dei due importava che la faceva sembrare una bambina, non la donna di quasi vent'anni che era.

"Sì, sono io. Non riuscivo a dormire," disse, mordendosi nervosamente il labbro. Si sentiva una bambina, in piedi lì ad aspettare che lui parlasse. Forse era quello il suo problema, non era mai cresciuta.

Lui si spostò, facendo un gesto con la mano. "Entra."

Le si affrettò a raggiungerlo, scivolando sotto le coperte, grata del loro calore. Sembravano calde e sicure, e tutte le cose che il suo letto non era. Pensò che fosse per il profumo, quel profumo fioco di qualcosa di arioso e leggero, e maschile. Laguna usava la stessa acqua di colonia di Squall (lo sapeva, l'aveva comprata lei per entrambi, dato che l'acqua di colonia era sempre un regalo accettabile per un uomo, soprattutto se non si ha idea di che cos'altro comprare).

"Hai i piedi freddi," disse lui con voce assonnata.

"Mi dispiace."

"Di avere i piedi freddi?" C'era quasi una risata nella sua voce. "Che è successo alle tue ciabatte?"

Rinoa non voleva dirgli che Angelo aveva deciso di divertirsi un po' con loro, soprattutto dato che aveva deciso di portarle nell'ufficio di Laguna per farlo. "Non erano dove le avevo lasciate."

Lui fece un rumore per commento, e ricadde sui cuscini. Lei si lasciò cadere accanto a lui, scivolando un po' più vicino. Notti come questa erano difficili. Non che lui non sapesse che lei vedeva in lui solo una vaga ombra di suo figlio a cui aggrapparsi, e non che lei non sapesse che lui vedeva una vaga ombra di sua madre.

Anche se sua madre non era stata il suo vero amore, era stata un amore e l'amore era sempre bello, a prescindere dalla sua forma.

"Seifer?"

Una figura si voltò, guardandola con occhi inespressivi. (Per favore, per favore non nominare Squall.)

"Io-io ero," la voce le mancò.

"Non posso salvarti, Rinoa."

Lasciò che gli occhi gli esaminassero il viso in silenzio, tra i piani e le linee, la curva delle labbra, il naso, fino agli occhi. Dopo un lungo momento, lui si voltò sul fianco a guardarla. "È un po' spaventoso, sai."

"Stavo cercando Squall," rispose lei, con la mente annebbiata. "Ha le tue lebbra."

Lui sospirò e la guardò negli occhi. "Sono abbastanza vecchio da essere tuo padre."

"Potresti esserlo," rispose lei stupidamente. Lui scosse la testa.

"Non è divertente."

"Lo so," rispose lei, stendendosi sulla schiena.

Lui sospirò. "Rinny..."

Lei lo guardò. "Non pensi mai che sia sbagliato?"

"Sempre," rispose lui, tornando a guardarla. Lei rimase immobile. "Baciami."

"Non stanotte," rispose, voltandosi e fissando il soffitto. Lei gli si avvicinò, posandogli la testa sulla spalla. Lui sospirò pesantemente. "Voglio solo sentire qualcuno intorno a me. Non essere sola."

A quelle parole, gli occhi di lui si spostarono veloci sul suo viso, e le fece scivolare un braccio intorno alla vita. Lei affondò il viso nell'incavo del suo collo, inalando il suo profumo (e quello di Squall). Era solo questione di aspettare. Avrebbe ceduto a lei perché lo faceva sempre. Ebbe la prova di aver ragione quando la mano di lui cominciò a scorrerle pigramente lungo il fianco, le punte delle dita che le sfioravano la pelle avanti e indietro e avanti e indietro...

Lei si lasciò sfuggire un piccolo 'mh' di contentezza e la sua mano si fermò. Gli sfiorò il mento con le labbra, il tocco più leggero possibile, e la sua mano si fece improvvisamente più stretta alla sua vita, al punto di fare quasi male. "Non possiamo continuare a farlo," disse dopo un secondo.

Rinoa si liberò, sollevandosi sui gomiti. Abbassò lo sguardo, incontrando i suoi occhi. "Tutto ciò che volevo era un bacio della buonanotte."

Lui borbottò qualcosa a bassa voce che lei non riuscì a capire, e ne fu grata. Litigare era l'ultima cosa che voleva. Non aveva l'energia per farlo. Come poteva giustificare il fatto che l'unica cosa in cui si sentiva viva, in cui sentiva qualcosa era quando era qui, quando era tra le braccia del padre dell'uomo che amava?

Non riguardava il sesso, quello era troppo volgare e sporco, riguardava il ricordo. Perché in quell'unico momento accecante in cui gettava indietro la testa e chiudeva gli occhi e il suo intero corpo tremava, sentiva un legame con Squall. Quasi come se fosse insieme a lui, e poi apriva gli occhi ed era andato, era sparito, ma come poteva esprimerlo a parole e dirglielo? Non poteva, ma lui lo sapeva comunque.

Era una questione di cacciare via il dolore.

"Non possiamo continuare a rincorrere fantasmi," disse Laguna. Era ancora strano per lei sapere che solo lei vedeva questo lato di lui. Durante il giorno era spensierato e allegro ed enigmatico. Di notte, mostrava gli strati sottostanti.

Non l'aveva mai pensata a questo modo. Ma in certo senso era quello che stavano facendo. Lei rincorreva il fantasma di Squall, e non importava quanto veloce corresse, non lo raggiungeva mai.

"Ti prego... non farlo. Non sono pronta... a dire addio. Non ancora," disse lei, strizzando gli occhi. Gli addii era troppo comuni nella sua vita.

"Quando torna a casa mamma?"

"...non torna più a casa."

Non tornerà mai a casa.

"Mi dispiace signorina, ma-"

No, no, no, no. Non quel ricordo. Non quella notte. Tutto ma non quello.

"Stai bene?" chiese lui, sembrando preoccupato, sembrando più il suo Laguna di giorno che il suo Laguna di notte. Come l'uomo che si comportava da padre con lei, in contrasto con l'uomo che sostituiva il suo innamorato.

Da qualche parte, in fondo alla mente, si rese conto che c'era qualcosa di molto sbagliato in lei nel volere entrambe le cose da lui.

"Papà, mamma è in paradiso con gli angeli?"

Una pausa, un sorriso forzato. "Esatto. In paradiso con gli angeli."

In paradiso con gli angeli. Forse lei e Squall si erano incontrati lassù, forse erano diventati grandi amici. Forse non c'era nessun paradiso ed era finita lì. "Avresti dovuto baciarmi e basta. Allora non avrei pensato."

"Cosa succede a una Strega quando perde il suo Cavaliere?"

I fiori le scivolavano dalle mani. Aspettava. Lui sarebbe arrivato. Aveva promesso.

La voce di Edea. "Non impazzirai, Rinoa."

"E se fossi già impazzita?"

E se fosse stato così? Cosa fare, allora?

"Posso essere il tuo Cavaliere."

Un veloce sguardo indietro, occhi verdi che la guardavano. Pietà. Rimorso. Cose che non voleva.

"No, non puoi."

"Sto cercando di farti stare meglio."

Una risata che le sfuggiva dalle labbra. "Non vuoi salvare me. Vuoi salvare te stesso."

"Capisco."

"Nessuno capisce."

Forse lui sì. Era un Cavaliere senza Strega, lei era una Strega senza Cavaliere. Ma Laguna era reale, era tangibile era...

Che cos'era?

Era la sua delega, il suo piccolo pezzo di salvezza a cui si aggrappava perché non poteva aggrapparsi a niente altro. Tutto era fumo e specchi, e ricordi e bugie e lui sembrava reale. Sembrava sicuro. Ed era tutto quello che voleva, sentire qualcosa, qualsiasi cosa tranne il dolore, o peggio, la totale mancanza di sensazioni.

"Ho paura. Non voglio smettere, perché io-io non voglio... non voglio perderlo. Non voglio perdere me. Questo - noi, è l'unica cosa che è ancora reale," rispose Rinoa, nemmeno sicura se lo stesse dicendo perché ci credeva o solo perché era l'unica cosa da dire. Come poteva qualcosa che sapeva essere falso, qualcosa che sapeva basato sulla finzione essere l'unica cosa reale che aveva? Era triste nella maniera più patetica.

"Questa è l'ultima volta. Ci sarò comunque per te, ci sarò sempre te... ma non così, Rinny. Dovresti andare a casa, andare da tuo padre. Non posso essere lui, e non posso essere Squall," disse Laguna con calma, le parole pungenti.

Lo odiava per averlo detto, per averle fatto affrontare la dura realtà. La realtà doveva sempre ferire di più dei mondi costruiti nella fantasia e nei sogni. Ma anche mentre lo odiava, aveva bisogno di lui e lo amava - lo amava semplicemente per il fatto di essere il padre di Squall, a prescindere dal fatto che fosse sempre stato un buon padre oppure no.

In un istante, era rotolata di nuovo su lui, premendo le labbra sulle sue. La sua mano le si intrufolò nei capelli ed era tutto carezze disperate e parole sussurrate, un dire il nome sbagliato, un dire cose che non intendevano davvero. Ma non importava perché mentre era intrappolata in lui, i corpi che dondolavano allo stesso ritmo, il mondo si fermava e non poteva essere intrappolata in se stessa, e poi all'improvviso il mondo girava sempre più forte mentre si avvicinava al culmine e si sarebbe spezzato e frantumato e per un unico, glorioso momento vedeva la faccia di un altro uomo che la guardava.

Poi finiva tutto e lei rimaneva stesa nel suo senso di colpa, afferrandosi ai bordi della sua mente perché le restituissero solo un altro sguardo fugace, solo un altro momento che non arrivava mai. Il viso che vede quando chiude gli occhi è sempre fuori dalla sua portata, un fantasma di ricordo, in un mondo di cose reali e solide, che continua a rincorrere sapendo che non lo raggiungerà mai.

Eppure, con il braccio di Laguna caldo e confortante intorno a lei, si sente al sicuro e salva, fermamente chiusa in un mondo che c'è, come trattenendola dal volare via e diventare un'ombra di ciò che è, un fantasma di se stessa. Per un solo secondo si sente nuovamente completa, tutte le sue parti insieme e tenute al loro posto da lui.

Quello, pensava, era il fantasma più difficile da rincorrere. Il fantasma di se stessa, di chi era prima che Squall morisse, l'immagine fioca di chi poteva essere ancora.

Forse un giorno lo avrebbe raggiunto. Ma significava lasciare andare Squall. Cercare di aggrapparsi a lui... significava perdere se stessa. Non poteva avere entrambe le cose.

"Laguna?"

Io sarò qui...

Perché?

"Sì, Rinny?"

Ti aspetterò... qui...

Cosa?

"Non lasciarmi, ok?" mormorò, e la sua voce sembrava vibrare dai muri, echeggiare tutt'intorno a lei.

Aspetterò... te... quindi

Se verrai qui...

Mi troverai.

"Non lo farò. Prometto."

Prometto.

*****
Nota della traduttrice: storia tristissima, struggente, disturbante e insieme bellissima. Non ho altro da aggiungere, se non che mi strazia il cuore ogni volta ;_;
Grazie a Little_Rinoa per il betareading, e come sempre, ogni vostro commento sarà tradotto e inviato all'autore originale. Alla prossima! - Alessia Heartilly

  
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