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Autore: _Syn    03/08/2010    2 recensioni
SpagnaxSudItalia a sfondo storico [Guerra di successione spagnola del 1713-14 e leggero riferimento alle migrazioni degli uomini del Meridione verso gli Stati Uniti agli inizi del Novecento]
Le coperte rosse profumavano di Antonio, della cena che avevano gustato la sera prima, del vento che li aveva accarezzati e di tante altre cose. Era come se il tempo fosse stato risucchiato da quella coperta. Il loro tempo. Era tutto lì e Romano ne rimase così stravolto che non sobbalzò neanche quando Antonio si girò su un lato per abbracciarlo e posare le labbra calde sul suo collo, sussurrando parole che non colse. Stava pregando? Non poteva sentirlo... E lui non sapeva per cosa pregare, perciò lasciò che il vento caldo che entrava dalla finestra gli intorpidisse le membra. Fu solo quando Romano avvertì il respiro di Antonio diventare regolare che si accorse che si era addormentato. E dormì anche lui.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Corrupciòn – La pioggia sospira per te

Personaggi: Sud Italia/Romano, Spagna/Antonio

Genere: Angst, Introspettivo, Storico

Rating: Giallo

Avvertimenti: Oneshot, shounen-ai

Note: Punto primo: In questa one shot tratterò – per quanto la mia conoscenza degli eventi potrà consentirmi – la Guerra di Successione Spagnola (conclusasi nel 1713-14 con la fine della dominazione spagnola in Italia), in particolare la sempre più inesorabile divisione tra Spagna e SudItalia, ormai destinata ad essere caduta agli Asburgo, i Borbone e i Savoia. Non so se lo farò, ma poiché durante la GdSS compaiono molte altre nazioni, come Inghilterra, Francia, Sacro Romano Impero, le Province Unite (Paesi Bassi), Portogallo e Danimarca, potrei scrivere anche una raccolta con loro protagonisti. Ma non aspettatevi nulla. Per ora, ho semplicemente voluto immaginare quali devono essere stati i pensieri di Romano e Spagna durante quel periodo.

Se dovessi affrontare ogni cosa, infatti, dovrei spiegare la vittoria inglese, il fallimento delle mire espansionistiche francesi, la nascita del Regno di Prussia, l’affermazione dell’Austria e altri particolari. Tutto questo troverà spazio altrove, si spera.

Inoltre, verso la fine, accenno appena alle migrazioni degli uomini del meridione verso gli Stati Uniti.

 

Ora, non è necessario leggere quanto segue, ma vi aiuterebbe a comprendere meglio la fanfiction. A voi la scelta.

 

Secondo punto. Come probabilmente saprete, è spesso emerso il quesito riguardo i quasi due secoli di dominazione spagnola e sull’effetto che ciò ha avuto sull’Italia. Il quesito è sostanzialmente questo: il dominio spagnolo fu effettivamente apportatore di corruzione, miseria e decadenza? Le opinioni sono state tante e contrastanti. Soprattutto in passato è prevalsa la convinzione che quel dominio per gli italiani era significato servilismo, ipocrisia, sfruttamento, miseria, ignavia e corruzione. Tante sono anche le testimonianze dei poeti, poi riportate dagli storici, secondo cui la Spagna avrebbe portato piuttosto il desiderio di servire, in Italia, che non quello di comandare. Altri affermavano che gli italiani smisero di avvertire il desiderio di libertà, pronti a servire qualunque padrone. Altri incitavano gli italiani a ribellarsi contro “le arpie terribili e devastatrici delle piazze e delle case di Italia” (Tassoni). L’azione corruttrice spagnola risalta anche dai canti popolari meridionali, in cui viene affermato che la Spagna rovinò l’Italia, con il sovraccarico dei pesi fiscali, le discordie tra grandi e piccoli feudatari, nobiltà e popolo; con il deprimere la cultura, con il tenere soddisfatta la Chiesa; con il non consentire ad alcuno di raggiungere eccessiva ricchezza. La rovina, secondo alcuni, fu: morale, religiosa, culturale, politica ed economica.

Invece, all’inizio del secolo scorso, questi giudizi furono oggetto di una più serena revisione storica. La tesi sostenuta è sostanzialmente la seguente: l’Italia non fu corrotta dalla Spagna, perché non si può esercitare alcun tipo di influenza “dove non ‘c’è un animo ben disposto ad accoglierlo ed elaborarlo.”Cioè, la decadenza e la corruzione italiana del periodo spagnolo non fu portata o causata dalla Spagna ma già esisteva nella vita della penisola prima e indipendentemente dall’instaurazione del governo spagnolo. Viene inoltre affermato che gli italiani non odiarono gli spagnoli, potendosi dimostrare che molti furono fieri di essere al servizio della Spagna. In conclusioni, “la Spagna non corruppe l’Italia”, bensì “fu una decadenza che s’aggiunse ad un’altra decadenza”. Lo scadimento morale italiano esistenza già, indipendentemente dalla Spagna e traeva origine dalla conservazione nella quale l’Italia s’era messa per opera della Controriforma, dal suo attaccamento agli ideali del passato, mentre il resto d’Europa sviluppava una vita nuova. Tutto ciò cesserà con il Risorgimento, quando gli italiani cercheranno di inserirsi nel ritmo culturale, politico ed economico delle nazioni moderne.

 

Ci sarebbe altro da dire, ma mi rendo conto che potrei stendere un trattato. Spero questo basti, in ogni caso. Buona lettura!

Alexiel.


P.S.: Questa versione definitiva – sì, ce n’era anche una non-definitiva pubblicata altrove – la dedico un po’ a ChocoSky, cara amica che ho conosciuto all’università, e un po’ ad Aphrodite aka Ika. E’ stata la prima a commentare la mia prima storia di APH e poi sono la sua Lady U_U

Godetevela, per quanto possibile.



Corrupciòn – La pioggia sospira per te




Guarda la pioggia,

mio piccolo prigioniero,

lascia che essa pianga per te,

ché le pozzanghere dei tuoi occhi

non scioglieranno mai l'abisso di disperazione

che ho creato nella tua anima

ormai arida.

[Addio]






Risvegliarsi da un sogno è come lasciarsi morire.

Risvegliarsi dalla vita è come prepararsi a morire.

Risvegliarsi dalla morte... è sopravvivere.



Quando Romano decideva di scherzare o di essere serio, in entrambi i casi ci andava giù pesante, e alle volte non era neanche chiaro se dicesse la verità o lo prendesse in giro.

“Un giorno andrò via. I pomodori si trovano ovunque, no?”

Spagna rise, andando ad abbracciarlo così forte da soffocarlo, e Romano cominciò a borbottare contro la sua spalla – in realtà avrebbe anche urlato se qualcuno non l’avesse soffocato.

“Io non ti lascerò andare via.” giurò allora Antonio, solenne. Invece si capiva sempre quando lui era serio. La sua voce cambiava un po’.

“Bastardo di un dominatore.”

Ma certe volte aveva paura, Antonio, che Romano diventasse più serio ogni volta che lo diceva. Si consolava dicendosi che Romano non sapeva mai di che parlava, e quando lo sapeva lo faceva a sproposito e non aveva quell’espressione. No di certo.

“Anche tu dominerai, un giorno.” pensava sempre in grande per il suo Italia. Pensava che sarebbe diventato grande un giorno, come lui, e avrebbero regnato insieme. Dopotutto, se doveva essere davvero un dominatore bastardo, tanto valeva esserlo a tutti gli effetti. E Spagna non aveva mai perso la speranza e l’ambizione di espandere ancora e ancora i suoi domini.

“Sai che noia. A me bastano i pomodori e qualche ragazza.”

“I miei pomodori non ti vanno bene?”

“Sei tu che non mi vai bene.”

Antonio ridacchiò, stringendolo di più in quell’abbraccio. Era bello toccare Romano, così bello che sarebbe stato davvero folle lasciarlo andare. Era caldo come lui, forse un po’ di meno.

“Ma a me vai così bene che ce lo faremo bastare.” replicò Spagna. Era davvero sicuro, mentre il respiro di Romano si infrangeva come un’onda travolgente sulla sua spalla, che quelle parole sarebbero bastate a tenerlo vicino.

Ma così come è semplice trovare qualcosa, allo stesso modo è facile perderla. La parte difficile è conquistarla e poi tenersela stretta.



“Aaah, Romano, i tuoi capelli profumano come...”

“Non voglio saperlo!”

“Andiamo, Romaaaano...”

“Vuoi chiudere quella bocca?!”

“Lasciami toccare i tuoi capelli!”

“NO!”

“Dai!”

“Bastardo, allontanati!”


Era davvero semplice ritrovarsi a osservare una scena simile in casa di Spagna. Magari cambiava solo l’oggetto del suo interesse, ma che fossero i capelli o le mani di Romano non era importante. Spagna non perdeva mai tempo ad allacciarsi le scarpe per paura di cadere, lo rincorreva comunque, anche quando si trattava di correre tra i campi.

E i capelli di Romano erano così belli, sotto il sole; la sua pelle che da chiara, d’estate, diventava scura come la propria...

“Ti ho preso!” esclamò Antonio, affondando il capo tra la spalla e il collo dell’altro. Avevano quasi lo stesso profumo, solo che quello di Romano sapeva di bruciato a tratti, il suo sapeva di peperoncino.

“Lasciami!” Romano cercò di divincolarsi, scalciando e agitando la testa, quasi speranzoso di dargli una capocciata per spaccargli il naso.

“Ma ti ho appena preso.” protestò Antonio, stringendo di più al corpo di Sud Italia. Forse era l’estate, forse il fatto che avessero corso come matti per quasi mezz’ora, ma il corpo di Romano non era mai stato così caldo, come se volesse sciogliersi per lui, adesso.

“Perché devo rincorrerti anche quando sei mio?”

Il suo tono, in quel momento, non era né scherzoso, né rilassato o dolce. Romano si irrigidì così all’improvviso che colse Antonio di sorpresa, come se fosse stato attraversato da una scarica di brividi. Bastò quell’istante per liberarsi.

E lui rimase senza risposta, mentre Romano scappava ancora, con il solo ricordo del suo profumo a fargli una solitaria compagnia.


Era strano, ma più passava il tempo, più Romano sembrava sfuggirgli dalle dita. Era strano, perché quando l’aveva portato a casa sua, nonostante gli iniziali rapporti non proprio felici, gli era sembrato che non sarebbe mai andato via. Aveva sì pensato di scambiarlo con suo fratello Feliciano, ma alla fine... Era rimasto con lui. Aveva peccato di superbia credendo che non l’avrebbe mai lasciato, che anche in quella situazione sarebbe stato totalmente suo?

Dopotutto, Romano era Romano, e lui era Spagna. E il tempo, se non rende più forti, lascia che i fili che ci legano agli altri si logorino per creare solitudine o nuova compagnia.

Ma lui era pronto a lasciarlo andare?





“E’ passato Francia a farti visita, prima.” lo informò Romano, scorbutico, non appena tornò a casa. Sembrava aver rimosso in fretta l’episodio del campo, come sempre dopotutto, e stava cercando di cucinare qualcosa. Ma la cucina non era in uno stato ottimo, tutt’altro.

“L’ho incontrato. E’ difficile sfuggire a uno come lui.” ammise Spagna, rivolgendo un’occhiata divertita all’enorme macchia di pomodoro che imbrattava la maglietta dell’altro.

“Che voleva? L’ultima volta ha cercato di attaccarmi.”

“Niente di che, sai com’è Francia. Ogni tanto salta fuori, quando meno te l’aspetti.” sembrava volesse sviare il discorso. Solitamente era facile lasciargli dire che Francia non l’avrebbe attaccato senza pagare le debite conseguenze. L’aveva sempre difeso – e qualche volta l’aveva anche ringraziato, per poi dimenticarselo.

“Ho fame, dannazione! Quell’idiota mi ha fatto bruciare la cena.” urlò Romano, indicando il pentolone fumante. L’odore non era dei migliori.

Antonio sorrise istintivamente. Non preoccuparsi, almeno per un paio d’ore, forse gli avrebbe permesso di passare un bel pomeriggio.

“Vediamo che possiamo fare. Ci sono altri pomodori qui... ce li faremo bastare, eh, Romano?” non attese risposta, né reazione, ma si mise subito al lavoro. Sembrava una giornata come un’altra: la cena bruciata, Romano arrabbiato e Antonio che faceva il possibile per rimediare ai suoi danni. Andava tutto bene...



La cena della sera prima, Romano dovette ammetterlo a malincuore, era stata ottima. Era vero che avevano dovuto dividersi una porzione tra di loro, ma alla fine era stranamente sazio. Spagna non era neanche stato così fastidioso, pensò Romano. Si era comportato bene e lui aveva evitato di insultarlo per ben due ore. Era rimasto sorpreso. Avevano mangiato fuori; era un’estate calda e le sere erano fresche e piacevoli.

Tra le altre cose, non aveva fatto grandi danni, a parte lanciare un bicchiere contro la finestra quando una scarafaggio vi si era arrampicato sopra. Spagna aveva riso forte, mandando via quella “bestia schifosa” ed era subito entrato per prendere un altro bicchiere. Solitamente, a Romano tutta quella gentilezza dava il voltastomaco. Ma non ce l’aveva proprio fatta a mandare al diavolo Spagna, quella sera. Ci aveva provato, ma era come se avesse le labbra cucite, e se tentava di dire anche una sola parolaccia gli andava in fiamme la gola. Aveva dovuto rilassarsi davvero e godersi la serata.

Niente aveva turbato quella serenità, eppure a Sud Italia era sembrato tutto fin troppo tranquillo.

E Spagna, quella mattina, non si decideva a uscire dalla sua camera.


“Ehi!” bussò energicamente alla porta, preparandosi ad aprirla anche senza il permesso di Spagna. Gli aveva insegnato, quando riceveva ancora lezioni di buone maniere, che prima di entrare in una stanza bisogna bussare e aspettare il permesso. Non l’aveva mai ricordato e, dopo i primi cinque secondi, già si stancava di battere le nocche contro la porta.

“Hai bevuto ieri, eh, bastardo? Poi non farmi la predica.” continuò Romano, abbassando la maniglia per entrare. Non aveva mai capito il significato della parola “privacy”, nemmeno quando Inghilterra gli aveva fatto un disegnino – colpa sua, non aveva il senso dell’arte.

Quanto entrò nella stanza gli si parò davanti una scena inusuale. Spagna, un braccio sul volto, disteso sul letto già fatto e ordinato, di traverso. Sembrava essere crollato sul materasso.

“Che stai facendo, si può sapere?”

Solo in quel momento Antonio scostò il braccio e lo vide.

“Ah, sei tu, Romano.” sussurrò.

“Chi ti aspettavi? Francia?” berciò lui, mollando la scopa che teneva in mano sul pavimento. Era già stanco di spazzare i pavimenti, e aveva cominciato da appena cinque minuti. Ma la polvere non finiva mai e lui non poteva pulire lo stesso punto per cinque volte in un giorno solo. Era davvero stufo... Quella casa stava diventando il rifugio della decadenza e della polvere, come se nessuno fosse più in grado di sostenerla. Le fondamenta stavano marcendo. E Spagna...

“No... non ti ho sentito entrare.” disse. Non rispondeva alle provocazioni, sembrava non sentirle neanche. Romano lo guardò a lungo, senza dire niente. Spagna fece lo stesso. Intanto la polvere si accumulava, e nessuno faceva più nulla per farla svanire. Tutto era sporco, tutto invecchiava... Il tempo aveva accelerato la sua corsa.

“Pregheresti con me, Romano?” gli chiese, dopo una quantità di tempo indefinita. Forse era già passato un secolo, forse Francia era passato durante quegli anni e aveva inglobato entrambi nei suoi territori. Romano aveva quasi paura di aprire bocca per sentire uscire qualcosa di simile a: fils de pute!

Ricordò che un tempo pregavano spesso. Ora pregava da solo e Spagna combatteva le sue battaglie per quel dio in cui credeva. Gli diceva, qualche volta, che è sempre meglio combattere per qualcuno buono come Dio che per il puro gusto di spargere sangue. Non sapeva, Romano, se ci credesse davvero, se lo dicesse per non rivelare che, in realtà, anche lui era come tutti gli altri. Goloso di possedimenti, avido di potere. Era un equilibrio instabile su cui erano finiti entrambi, in un modo o nell’altro. Perché Romano credeva in quello stesso dio, ma lui non ne faceva mai una giusta. Per chi combatteva, alla fine?

“Sempre meglio che spazzare... La tua casa fa schifo.” si premurò di informarlo, mentre Spagna gli faceva cenno di avvicinarsi.

“Non ho voglia di andare fino alla cappella. Preghiamo qui, Romano. Sai... Dio ci sente lo stesso.” era ancora sdraiato – credeva di pregare così? - e non smetteva di fissarlo. Quasi stesse pregando lui.

Romano, imbarazzato o forse solo poco abituato a situazioni come quella, si stese accanto a lui. Tante volte erano finiti così, ma non avevano mai pregato insieme in quel modo.

Le coperte rosse profumavano di Antonio, della cena che avevano gustato la sera prima, del vento che li aveva accarezzati e di tante altre cose. Era come se il tempo fosse stato risucchiato da quella coperta. Il loro tempo. Era tutto lì e Romano ne rimase così stravolto che non sobbalzò neanche quando Antonio si girò su un lato per abbracciarlo e posare le labbra calde sul suo collo, sussurrando parole che non colse. Stava pregando? Non poteva sentirlo... E lui non sapeva per cosa pregare, perciò lasciò che il vento caldo che entrava dalla finestra gli intorpidisse le membra.

Fu solo quando Romano avvertì il respiro di Antonio diventare regolare che si accorse che si era addormentato. E dormì anche lui.


Era già da qualche giorno che Spagna si rinchiudeva in camera senza mostrarsi in giro per ore intere. Diceva di avere degli affari da sbrigare, ma Romano si domandava come potesse pensare al lavoro quando era chiaro che le occhiaie scure che gli adombravano il volto l’avrebbero trascinato nel sonno prima ancora che potesse rendersene conto. Poteva anche essere un buono a nulla, piagnucolone e fifone, ma quando vedeva una persona stanca la riconosceva. E Spagna era stanco.

Avrebbe dovuto approfittarne e crogiolarsi nella pigrizia... Com’è che si diceva in lì? Ah, avrebbe dovuto concedersi qualche ora di siesta.

“Sei un bastardo, lasci a me tutto il lavoro mentre tu resti chiuso in quella cazzo di stanza!” lo accusò Romano, stanco quanto lui, forse. Ma la cosa più strana, era che ogni volta che si avvicinava alla stanza di Antonio l’unica cosa che gli sembrava di udire non era la penna che scorreva sul foglio – magari per inviare lettere alle altre nazioni e costringerle ad inchinarsi al proprio potere – ma solo le sue dita correre tra i capelli. E poi un sospiro che somigliava ad un “mi dispiace”.

“Esci prima di cena e dammi una mano, non posso fare tutto da solo.”

Romano si allontanò dalla porta, prima di lanciare un’ultima occhiata sospettosa; si strinse nelle spalle, come per esorcizzare quelle sinistre sensazioni, e si chiese cosa avrebbe mangiato quella sera.

Solo una piccola parte di lui, celata, si domandò se almeno quel giorno Antonio avrebbe cenato con lui. Ancora una volta.

Si chiese quanto avesse pregato, in quei giorni. Ma se quelli erano i risultati, era chiaro che da quella stanza Dio non poteva sentirlo.





Quella era la sua stanza preferita: profumava di vento e basilico, e se riusciva a ricordare i giorni in cui, da bambino, Antonio si caricava sulle spalle le casse di pomodoro lasciando che lui ne mangiasse un paio lungo la via, allora era possibile avvertire anche l’odore di quei frutti rossi.

Romano si lasciò cadere sull’unico, grande divano che c’era in quel salone e chiuse gli occhi. Mezzanotte passata: e Antonio non era ancora uscito dalla sua stanza. Mezzanotte passata: la stanza puzzava di polvere e tempi passati, senza il sapore della dolce nostalgia. Non c’era posto neanche per lei, perché era come se tutto fosse finito da secoli, e lui non se n’era accorto.

Aggrottò la fronte, pizzicando il bordo di un cuscino. A Spagna piaceva sprimacciarli e poi lanciarli in aria o in faccia a Romano. A quel pensiero, Sud Italia schiacciò il cuscino con un pugno, un ringhio a deformargli il volto e a macchiare l’aria.

“Quel cuscino era il tuo preferito.”

Mezzanotte e mezza.

Romano sobbalzò e rivolse ad Antonio, in piedi davanti all’entrata, una delle sue occhiatacce. Una delle peggiori; s’impegnò talmente tanto che si morse la lingua. Succedeva. Se s’impegnava troppo si mordeva la lingua e cominciava a sentire il sapore ferroso del sangue. Odiava quel sapore. Gli ricordava che aveva ottenuto solo quello durante gli anni, e si chiedeva se sarebbe sempre andata avanti così.

“Non me lo ricordo.” replicò Sud Italia, allontanando la mano dal cuscino.

Spagna sorrise, cordiale. Non gli riusciva proprio di arrabbiarsi di fronte alla scortesia o all’essere scontroso di Romano. Forse perché lo conosceva fin troppo da sapere che c’era di più dietro quell’espressione.

“La prima volta che ti ho portato qui ti ci sei accoccolato e ti sei addormentato. Eri così piccolo che avanzava anche spazio.” continuò Antonio. Restava lì, dove non poteva irrompere nello spazio di Romano. Come se non volesse stargli tra i piedi o rubargli l’aria. Come se l’avesse fatto già per troppo tempo.

“Sono cresciuto e sono passati... quanti? Centocinquant’anni? Non me lo ricordo più.”

“All’incirca. Passa il tempo, eh?” la voce di Antonio sembrava rotta, come quei carillon a cui dai la carica ma singhiozzano melodie invece di lasciarle scivolare lievi e soavi nell’aria. Spagna era spezzato, e Romano era l’unico a cui si era aggrappato.

“Sì. Il tempo sì.” osservò Romano, il capo poggiato al divano e lo sguardo lontano dagli occhi di Antonio.

“Perché? C’è qualcosa che non passa?”

L’altro sgranò gli occhi, mugugnando qualche insulto a mezza voce. Non si era neanche reso conto di aver espresso quel pensiero ad alta voce.

“Sì, il fatto che tu sia un bastardo.”

Un altro giorno Spagna avrebbe ridacchiato, portandosi una mano dietro la nuca e chiedendosi perché Romano dovesse essere sempre così scontroso – ma non si rispondeva mai, non ce n’era bisogno.

Quella notte, invece, si limitò a sospirare. Non cambiò espressione, non cambiò nulla. Solo centocinquant’anni di convinzioni.

“Ti ho detto che sei un bastardo!” rincarò Romano, adirandosi davvero. Odiava essere ignorato in quel modo, e tutto a un tratto Spagna gli ricordò qualcuno che non aveva bisogno di essere buttato a terra, ferito fisicamente e nell’orgoglio, perché aveva già toccato il fondo.

“Bastardo, bastardo, bastardo.” ripeté Romano a bassa voce, tra i denti, mentre il sangue occupava ancora ogni percezione.

Già... ma se Spagna aveva toccato il fondo, presto sarebbe toccato a lui.

“Vaffanculo.”


Il giorno dopo le cose non cambiarono, né il giorno dopo ancora, né quello dopo ancora. Romano si rese piano piano conto che lo sguardo di Spagna cambiava, che la frase che gli sentiva ripetere ogni tanto non aveva più senso. Spagna... la terra della passione dove non tramonta mai il sole. Forse il sole non era tramontato, era solo esploso.

E lui non aveva fatto niente per impedirlo. Eppure era sempre lì, quella dannata cosa luccicante, e lo infastidiva. Prima era così diverso.

Il sole quella mattina sembrava voler penetrare le iridi di Romano per costringerlo a piangere parole e confessioni. Erano catene di fuoco, ma lui non aveva mai avuto abbastanza coraggio da afferrarle a mani nude per poi mostrare ad Antonio le piaghe e le ferite. Non sapeva se avesse più paura delle ferite o di quello che avrebbe pensato Spagna. Non sapeva se avesse paura di dimostrarsi corrotto dentro, inevitabilmente, oppure un vigliacco semplicemente capace di additare Spagna come principale colpevole del proprio stato.


Il sole, per moltissime mattine, continuò a passare davanti al suo viso. E lui chiudeva gli occhi. Davvero, non avrebbe mai pensato che quel sole l’avrebbe raggiunto persino nel mondo in cui credeva di essere al sicuro, privo di paure, scrigno di segreti inconfessabili ed emozioni mai svelate.

Forse era davvero giunto il momento di parlare.

Forse non ci sarebbero più stati altri momenti.



“Ho fatto un sogno, stanotte.” rivelò Romano, quasi parlasse con il silenzio stesso e non con l’uomo che gli era seduto davanti, in una posa elegante che sapeva di decadenza, tuttavia.

Spagna, dei fogli tra le dita, accavallò le gambe e fece un gesto con le mani – elegante – come per ribadire l’ovvietà della frase di Romano. Tra i fogli scorse il nome scarabocchiato di Inghilterra, ma non vi fece caso.

“Tutti sogniamo.” poggiò i fogli sul divano, voltati. Non sembrava che Spagna avesse intenzione di consultarli o bruciarli. Ma per Romano era come se fossero già in fiamme, perché era tra le spire di quel fumo soffocante che si trovava nel sogno.

“Io non sognavo da anni.” replicò. Dopotutto, anche le ovvietà possono venire spezzate. Magari da un bacio, magari da una parola. Spagna inclinò il capo di lato, come se avesse compreso. Come se volesse farsene una colpa.

Immagino il perché.” sembrava avesse detto.

“Cosa hai sognato?” chiese.

Il ragazzo si appoggiò alla poltrona, abbandonando la testa. I cuscini erano così morbidi che avrebbe potuto addormentarsi subito e ritrovare quel sogno. Sapeva che ripensarci da sveglio non sarebbe servito, gli scivolava dalle mani come acqua, come fumo, come un pensiero veloce.

Erano solo frammenti di fumo e respiri affannati.

“Credo... che stessi per morire.”

“Stavi per morire, oppure eri morto?”

“Che differenza fa? Stavo schiattando, non ti basta?”

“Sai, Romano, morire e stare per morire sono due concetti differenti. Se stai per morire, vuol dire che c’è ancora la possibilità di sopravvivere.”

“Ma io sentivo che non ci sarebbe stata alcuna possibilità di sopravvivere. Era troppo vicina...” non si riconosceva neanche in quelle parole. Non voleva pronunciarle, ma non poteva evitarlo. Si chiedeva chi stesse cercando di ferire, se se stesso oppure Antonio.

“Allora vuol dire che desideravi che la morte ti raggiungesse.”

“Che cazzata. Chi vorrebbe morire?”

“Davvero? Allora perché l’hai sognato?”

“Io... Non...”

“Hai paura di morire?”

“Non ho paura di morire.”

E Romano all’improvviso ricordò l’ultima parte del sogno, così simile alla discussione che stavano avendo in quel momento che gli si spezzò il respiro. E in quel sogno Spagna era così diverso da come era sempre stato. In quel sogno, la definizione “dominatore bastardo” gli si addiceva più che mai. Aveva l’avidità negli occhi e il sangue sulle mani.


Hai paura di morire, Romano?”

Non ho paura di morire.”

Strano, Romano. Sei sempre stato un vigliacco.”

E tu un ipocrita. Sai, forse è colpa mia se le mie terre sono in questo stato, ma a te rimane l’ipocrisia. Sono felice di essere un poveraccio, se diventerò questo quando mi perderai.”

Sei tu che perderai me. Tu... tu sei solo una delle tante terre. E non ti volevo neanche. Tuo fratello... oh, lui sì che sarebbe stato la conquista perfetta.”

Non sei stato abbastanza forte per averlo. Il mio stupido fratellino si è rivelato più forte di entrambi, alla fine. Oppure solo fortunato...”

Può darsi. Ma la fortuna gira. E io sarò più forte, un giorno.”

Perderai tutto ancora una volta... come sta succedendo ora. E’ così, no? E’ per questo motivo che preghi, che mi sbatti in faccia la tua fottuta ipocrisia più di prima. Ti stai rendendo conto che non sei più il grande dominatore del passato.”

Hai paura di morire, Romano?”

No, non ho paura.”

E poi tutto cambia, e Spagna perde quegli occhi oscuri.

Io sì.”



“In quel sogno devo averti davvero fatto male.” disse Spagna osservando l’espressione di Romano. Stava in silenzio da qualche secondo, perso nel ricordo del sogno, e i suoi occhi stavano conoscendo la verità. “Penso di averti ucciso, Romano.”

Sbuffò, l’altro, dicendosi che probabilmente era ancora troppo presto per la fase “mi addosso la colpa, magari mi redimo”. Ma forse stava solo cercando di farsi odiare, per renderlo forse una volta che fosse rimasto solo, senza una potenza come lui a dominarlo. Sarebbe sopravvissuto in quella confusione che era il mondo? Da solo?

“Tu non mi hai ucciso. Sono vivo.” ribatté Sud Italia. La vedeva, ora, la sua paura di morire. Era sempre stato forte, aveva sempre brillato insieme al suo solo eterno, e ora il buio lo terrorizzava. Cominciava a comprendere le visite di Francia. Presto sarebbe arrivato anche Inghilterra, sicuramente furioso per non essersi presentato per primo e per essersi fatto precedere da Francia. Poi avrebbero cominciato a litigare e avrebbero dato loro il tempo di dirsi addio. Perché era di quello che stavano parlando. Di un addio.

“Il tuo sguardo... sai, potrei disegnarlo.” sussurrò Spagna.

“Provaci.” e sapeva bene, Spagna, che Romano non si riferiva certo al disegno.

“La tua vita tra le mie mani? Penso di non averne più il diritto.”

“Significa che non hai intenzione di farlo?”

“Significa che entrambi sappiamo come va a finire.”

“Cioè?”

“Sopravviviamo entrambi. E poi ci svegliamo.”


Già... nel sogno non era morto. Era tutta una farsa. Nel sogno c’era la debolezza di Spagna, quella vera, l’essenza. Ma anche nella realtà la sua forza stava svanendo piano. Si stava ammalando, quasi non aveva la forza di reggersi in piedi. Ancora un po’ e avrebbe dovuto sorreggerlo, Romano, e non sapeva se ne aveva voglia. Non gli piaceva per niente provare pena per qualcuno, come non gli piaceva provare pena per se stesso. Si comincia a provare pena quando le cose vanno male e quando non c’è più il tempo di fare ciò che si vuole. Si prova pena quando arriva il tempo delle responsabilità e delle scelte, quando si diventa grandi.

Centocinquant’anni. E lui era cresciuto abbastanza per essere cacciato di casa, per trovare la forza da solo. Niente più cuscini da sprimacciare, niente più abbracci e respiri sulla pelle. Ora ci sarebbe stata la miseria di sentirsi soli e il dubbio delle colpa. Chissà se avrebbe mai saputo per colpa di chi sarebbe diventato il Sud Italia del futuro.

Forse per colpa di nessuno. Forse doveva andare così. Ma quando ci pensava, quando vedeva gli uomini e le donne della sua terra abbandonarlo per andare da America, allora, gli tornava in mente lo sguardo di Spagna alla fine del sogno.

Io sì.

Spagna aveva avuto paura di morire perché era sempre stato forte.

Lui, ora, aveva paura di diventare ancora più debole e misero perché credeva che non potesse andare peggio. Cosa c’era dopo la miseria assoluta?

Le braccia di America che accoglievano i suoi uomini.

La forza che non riusciva mai a trovare per andare avanti, la forza che doveva essergli stata offerta, una volta, ma che lui aveva ignorato per mangiare pomodori e andare dietro ai piaceri.

O forse era sempre stato accecato dalla forza di Spagna per poter immaginare qualcosa di più grande che potesse appartenergli. Non avrebbe mai saputo – oppure non voleva mai saperlo – di chi fosse stata la colpa. Della corruzione, di Spagna, sua, del sole che non era riuscito a toccare. Non c’erano risposte in una casa sempre più vuota. Ma il rumore della pioggia lo sentiva sempre. E non era così diversa dalla pioggia che sentiva e toccava a casa di Spagna. Anzi, a volte credeva che fosse proprio lui a mandarla, perché non aveva il coraggio di andare a trovarlo. Sì, gli aveva detto di non provare a mettere piede a casa sua o l’avrebbe riempito di pugni, ma quando mai quel cretino faceva quello che gli ordinava...

No, era solo che il tempo di Romano e quello di Spagna, in quei momenti, era troppo bambino per potere reggere i secoli che li avevano uniti e divisi. Solo la pioggia poteva sentire le preghiere di entrambi e sussurrarle nell’aria.




Ascolta la pioggia,

mio antico prigioniero,

lascia che il suo suono ti infonda la forza;

ché il ricordo di noi due

non scioglierà mai la colpa e l’irreparabile.

Ascolta la pioggia,

e stringi il sole

lasciando che in futuro possa splendere

accecando la corruzione.



FINE

  
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