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Autore: _Dubhe    03/08/2010    3 recensioni
Premetto che non scrivo da un bel pò, quindi scpero mi perdonerete eventuali sbavature o errori ortografici. Come suppongo gran parte di voi, sono rimasta scioccata dalla fine di TVD e, incapace di occupare il tempo in altro modo, ho cominciato a immaginare una storia utopistica di cui i protagonisti del telefilm fossero protagonisti. Premetto che ci sono spoiler fino all'episodio 1x22, la storia volgerà necessariamente in un senso unico che ha come cartello stradale [D/E].. claro?? Detto questo, divertitevi!!!
Genere: Romantico, Avventura, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Versò il liquido chiaro in due bicchieri di cristallo finemente lavorati, lasciando che il bourbon arrivasse esattamente a tre quarti del bicchiere, e vi gettò dentro anche due cubetti di ghiaccio, senza battere ciglio. Era una giornata da dimenticare, senza dubbio, ci voleva qualcosa di estremamente forte per affrontare la nottata, soprattutto se erano in tre nel Pensionato, soprattutto se quel “tre” comprendeva Bonnie Bennett.

Le porse il bicchiere e lei lo accettò con un cenno della testa, che nel suo linguaggio dei segni equivaleva ad un ringraziamento, che strappò al moro un mezzo sorriso ironico e un’alzata di sopracciglia altrettanto divertita: il solo veder Bonnie bere sul suo divano, di fronte al caminetto di casa sua, dai suoi bicchieri di cristallo.. beh, valeva qual cosina di più del suo semplice autocontrollo, dopotutto. E poi, molto probabilmente, sarebbe stata una compagna di bevute interessante quasi quanto lo era stata Elena ad Atlanta, ricordò malizioso. La ragazza stava in piedi, osservandoli con occhiate torve: come facevano ad essere così rilassati? Lei stessa faticava a mantenere l’autocontrollo e trattenere le lacrime, come potevano stare semplicemente lì a bere e a punzecchiarsi a vicenda!!?? Sbuffò frustrata, prima di salire gli scalini a due a due e entrare nella sua stanza – sì, adesso a quanto pare ne aveva una.

“Vado a farmi una doccia…” – asserì con voce roca, rispondendo agli sguardi improvvisamente attenti e allo stesso tempo interrogativi dei suoi due cecchini. Non solo non si rendevano conto che Isobel era morta, ma neppure volevano accettare il fatto che era un’altra tacca sulla lista di Katherine, un’altra persona che era morta perché si era frapposta tra lei e il suo inevitabile trapasso, sottraendola alle grinfie del destino ancora una volta, ma non per sempre. Come avrebbe potuto salvarsi per sempre? Non c’era salvezza in un mondo di sensi di colpa e tragedie, lei lo aveva capito ormai.

Damon e Bonnie si scambiarono uno sguardo eloquente.

“Chiama Stefan.. – le disse il vampiro, posando il proprio bicchiere sul tavolino di vetro - ..e dato che ultimamente vedo che siete in particolar modo intimi, digli dove diavolo si trova e per quale maledetta ragione non è ancora qui, con lei..”

Sorrise in maniera sghemba ma fulminea, prima di lasciare la strega sola con il suo bicchiere di bourbon e il telefono in mano. Anche lei era preoccupata, sarebbe stato evidente ad un cieco, ma sembrava al quanto restia a scoprire dove si trovasse realmente Stefan, come se percepisse quel poco che bastava per renderla sicura del fatto che non avrebbe scoperto nulla di buono, telefonandogli. Segreteria. Chiuse la chiamata e gettò con rabbia il telefono sul tavolo: per chi l’avevano presa, per un centralino? Se Stefan Salvatore era troppo impegnato da rispondere alle sue chiamate, lei poteva benissimo essere tanto impegnata da non telefonargli più.

Damon bussò per tre volte prima di entrare – non era il tipo che aspetta davanti alle porte, anche se non è camera sua – e vide che la stanza era deserta. Ma che diavolo…? Dov’era finita quella ragazzina? Due minuti e spariva così? Solo allora la preoccupazione e i sensi all’erta lo avvisarono dell’acqua che scorreva sotto la doccia… gli avrebbe fatto venire un infarto, quella furia, anche se era già morto, tecnicamente. Sorrise fra sé, compiaciuto dal proprio humor. Bussò anche alla porta del bagno ma stavolta non per avere risposta ma semplicemente per avvertirla della sua presenza, in modo che sapesse che era lì.

I vapori dell’acqua calda avvolgevano il bagno color verde muschio, offuscando lo specchio e le due piccole finestre, e rendendo l’ambiente molto simile ad un bagno turco. I singhiozzi erano ben udibili anche con il battere dell’acqua nella doccia. Non attese un invito e scostò i due pannelli trasparenti del cubicolo, trovandola appoggiata di faccia al muro, l’acqua che scendeva come una cascata sulla schiena bianca, i capelli scompigliati sulle spalle. Gli fece tenerezza, come un gattino piccolo sul marciapiede. Lui non si impressionava nemmeno di fronte a quello ma, in termini umani, era il paragone migliore a cui riuscisse a pensare al momento. Le sue mani erano strette al petto, scosso dai singhiozzi. Come si poteva non avere pietà di una creatura simile, pensò lui.

Con un impeto di forte emozione e passione la strinse a se, abbracciando da dietro il suo fragile corpo minuto, stringendola contro i suoi vestiti che stavano piano piano diventando fradici. Lei non si sottrasse al contatto ma rimase lì, tramante, immersa nella beatitudine della forza della sua stretta, protetta, sicura, salva. Quando si voltò per appoggiare la testa alla sua spalla si rese conto che la sua presenza non aveva soltanto un effetto calmante, era essenziale in quel momento, come qualcosa di cui hai profondamente bisogno in un determinato momento, un appoggio senza il quale precipiteresti nel baratro sul limite del quale ti trovi. Lei era esattamente lì, nel punto più vicino del precipizio, i capelli che sventolavano fieri al vento, gli occhi fissi sulla distesa di nulla di fronte a lei. L’unica cosa a trattenerla era lui, Damon, adesso, lì.

Percepì le sue sottili labbra su di lei, piccoli e rapidi baci che sfioravano prima i suoi capelli, poi la sua fronte, la sua guancia.. Con un piccolo gesto rimosse completamente la distanza fra le loro labbra e strinse le mani dei suoi capelli, prima di capire cosa ci fosse di stonato in quella scena. Appoggiò le mani sulla sua camicia, sbottonando ad uno ad uno i bottoni neri, per poi sfilargli l’indumento con un unico deciso gesto. I pantaloni fecero la stessa fine e anche i boxer. Solo allora si concesse di guardarlo negli occhi, nuda non solo nel corpo ma anche nell’anima: ormai non aveva difese contro di lui, se avesse voluto avrebbe potuto farla cadere con la pressione di un dito in quel medesimo istante, tanto era impotente di fronte alla sua persona. Ma lui non l’avrebbe mai fatto: se lei fosse caduta lui sarebbe andato a fondo con lei, l’avrebbe seguita, anche se il biglietto di sola andata era verso l’inferno. Le scostò i capelli dal volto, prendendolo con ambedue le mani e poggiando un casto labbro sulle sue labbra. Non era ciò che desiderava lei.

In quel momento era distrutta, spezzata in mille frammenti, aveva bisogno di una colla, di qualcosa che potesse saldare insieme i pezzi, aveva bisogno di lui. Lo baciò a sua volta, con passione, con fervore.

“Elena, forse non è il caso..” – provò lui, ma inutilmente.

“Codardo. Da quando Damon Salvatore è una simile femminuccia?”

Le sue parole ebbero l’effetto desiderato. Lui la spinse contro le mattonelle fredde della parete, sollevandola di quel poco che bastava perché le sue cosce si avvolgessero al suo torace, e prese a baciarla, voglioso, mentre le mani correvano all’impazzata sul suo corpo, sui suoi seni, su qualsiasi centimetro della sua femminilità che nessun altro avrebbe più profanato, mai, non avrebbe potuto permetterlo. La schiena di lei si inarcò, percependo la sua eccitazione così dura e vicina alla propria, ma sapeva che non era da lui dargliela vinta così facilmente. E  va bene… Lo baciò con ancora più trasporto, gemendo al contatto che le sue dita avevano instaurato con i suoi capezzoli. L’acqua calda era uno stimolante che non aveva mai provato né considerato in una relazione, e invece funzionava. Sembrava renderli ancora più eccitati e pronti del solito. Le labbra di lui lasciarono una scia infuocata sul suo collo, fino ad arrivare a prendere il posto delle mani sul suo petto. Un altro gemito di piacere. Si avvinghiò più forte ai suoi capelli, le dita lunghe e sottili che si aggrappavano convulsamente all’unica ancora che la teneva vicina alla realtà del mondo.

Percepì lingue di fuoco che laceravano la sua pelle bianca, lame che straziavano il suo essere e la sua intimità come coltelli di piacere, forti e implacabili. Solo quando seppe di non riuscire a sopportare oltre lo percepì in lei e l’esplosione che colse nel suo petto, all’altezza dell’ombelico, non riuscì a tenerla ferma e non la trattenne dal curvare la schiena, la testa all’indietro, i capelli adesso bagnati non solo d’acqua ma di sudore. Sentì che anche il suo corpo reagiva con un tremolio crescente a quel contatto e non si sottrasse, offrendo le sue labbra come tacito accordo di quel momento, un patto di sangue e passione.

 Una, due, tre. Ancora. Ancora.

Percepiva i movimenti di lui in lei e si sentì stupida per aver creduto che non ci fosse rimedio al suo dolore, alla sua ansia, a quello straziante senso di colpa: c’era un rimedio, unico nel suo genere, e quel rimedio era lui, era il suo corpo, era la sua essenza, era il suo muoversi accanto e dentro di lei, la forza che riempiva i loro gemiti e i loro corpi che si fondevano di acqua e piacere. Sospirò, sentendo il massimo del limite sfiorarla come una meteora e si accasciò con la fronte contro la sua spalla, ancora tremante e con la bocca aperta in certa d’aria. Le mani di lui erano poggiate contro la parete, prima che le allontanasse e le posasse sui suoi capelli: non gli costava la benché minima fatica tenerla in braccio.

Lei gli concesse un altro bacio – l’ultimo, promise a se stessa – ricordandosi che, malgrado tutto, malgrado restare in quella doccia con lui fosse più che un desiderio infinito, c’era il mondo ad attenderli – oltre a Bonnie, nel salotto al piano terra – e farli aspettare non era esattamente qualcosa di… corretto?

“Non so come hai fatto, né voglio saperlo, ma mi hai alleggerito questa maledetta serata.”

“Giornata! – la corresse lui ironico – Sono le cinque del mattino, è mattino ormai. Tra poco dovrò andare da Rick a dargli una mano con.. lo sai.”

Ecco. Non potevano restare per sempre lontani dal mondo, puntualmente quello tornava per riportarli dalla nuvola in cui si trovavano. Maledizione. Scese da lui, chiudendo il getto d’acqua e avvolgendosi in un asciugamano. Notò che anche lui fece altrettanto.

“Mandaci Stefan. – sbottò, quasi irritata – Se qualcuno ha qualche dovere, adesso, verso di me e Isobel quello è lui. Dove diamine si è cacciato?”

Damon roteò gli occhi al cielo, prima di recuperare il cellulare dal ripiano del lavandino.

“Ehi, sai che odio cambiare questa roba tecnologica. Non potevo lasciare che si bagnasse!”

Compose il numero del fratello, aspettando pazientemente che rispondesse. La sua voce suonò stanca, frastornata e parecchio… confusa? Stefan? Il perfettivo so-tutto-io e non-bevo-sangue-umano e sono-più santo-del-papa Stefan? Woho! Allora anche lui ogni tanto si lasciava andare a qualche seratina di follie, hai capito! Ma non era il momento – anche se era curioso di sapere i dettagli – ed Elena era impaziente, era meglio evitare qualsiasi cosa che potesse riportarla alla condizione di qualche ora prima.

“Senti, playboy. So che non sai nulla ma.. Isobel è morta.”

Aspettò una reazione di sorpresa che, tuttavia, non arrivò. Preferì tralasciare quel particolare, non c’era tempo.

“Rick ha detto che se ne occuperà lui ma ha bisogno di aiuto. Avevo un appuntamento con lui oggi verso le undici al vecchio ponte di West Land, hai presente? Bene, vai e dagli una mano. E’ meglio per tutti che non si sappia che quella donna è morta. E poi…”

Lanciò un’occhiata veloce a Elena, che aveva ripreso a tremare.

“…si, è meglio per tutti. Domande?”

Dall’altro capo della cornetta solo qualche parola sconnessa e incomprensibile.

“Io… Isobel… come? Elena.. devo..”

“Si, si, perfetto. Vedo che hai capito. Addio.”

Gli chiuse il telefono in faccia e lasciò che le sue mani ritornassero al proprio corpo, strette intorno alla minuta e fragile figura di Elena.

***

Cosa diamine…? Fece cadere il telefono sul comodino.

Allora non si era affatto sbagliato: Isobel era morta. Lui l’aveva vista, quella massa di capelli corvini e con i riflessi bluastri sotto l’albero, l’altra sera, erano proprio i suoi. Come aveva potuto ignorarla così e rigare dritto, senza voltarsi e aiutarla? Chi..?

E poi il ricordo vivido della notte precedente invase la sua mente, come un uragano a ciel sereno lo scosse e lasciò che il brivido freddo gli scorresse lungo la schiena, dalla nuca fino alle dita dei piedi e ai mignoli delle ruvide ma bianche mani. Cosa aveva fatto? Ogni sentimento di odio, di rancore, ogni singolo frammento di quelle lacrime e di quella sofferenza che aveva incatenato la sua esistenza al ricordo di quella donna.. fumo, solo fumo negli occhi. Gli era bastato un attimo, un misero attimo per ricominciare da dove avevano finito nel 1864..

“Buon giorno! – cantilenò una voce acuta, mentre la ragazza a cui apparteneva varcava la porta – Dormito bene? Ah, che sciocca! Certo che l’hai fatto, eri con me dopotutto! E non fare quella faccia. Ci siamo divertiti, noi due, come ai vecchi tempi..”

“Hai… ucciso.. Isobel.”

La mora sbuffò, come una bambina che non riesce ad ottenere un giocattolo che desidera. “Quanto la fai lunga! Anche tu e Damon vi odiate, io ho solo esternato i miei sentimenti, non è mica tanto sbagliato sai? E poi non sembravi tanto preoccupato per quello questa notte..”

Si avvicinò di qualche passo, fino a raggiungerlo, ma i sensi affilati del biondo furono più veloci. Saltò giù dal letto e si allontanò da lei. La ragazza lo fissò divertita. Poi semplicemente alzò le spalle con noncuranza e raggiunse di nuovo la porta.

“Io adoro giocare al gatto e al topo, dovresti saperlo. Resterei volentieri ma ho una questione importante da sbrigare, adesso. Ci vediamo domani notte nel mio letto, sempre che tu voglia.. divertiti con Isobel, io l’ho fatto!”

Si chiuse la porta alle spalle. In corridoio stava ancora ridendo.

***

Damon ed Elena scesero mano della mano. Lei indossava un paio di jeans e una camicia larga, bianca, con un paio di infradito che risaltavano per le tre pietre colorate che avevano sopra: una rosa, una blu, una bianca con venature nere. Erano un regalo. Di Isobel. Damon invece sfoggiava il solito look alla “corvi si nasce” con un abbigliamento completamente nero. Bonnie li salutò con una occhiata disinvolta al di sopra della sua rivista.

“Spero che ti sia rilassata sotto la doccia.. – disse, ironica, per poi aggiungere sottovoce - .. visto che ci hai messo un’ora e mezza.”

“Ho rintracciato Stefan. – disse semplicemente Damon, notando subito come quelle parole avessero avuto il potere di catturare l’attenzione della strega – E andrà lui da Rick per aiutarlo con la faccenda. Io posso restare qui, non è fantastico?! Potremmo giocare a monopoli!”

Asserì divertito, battendo le mani come un finto deficiente e poi tornando serio un attimo dopo.

“No, scherzavo. Ho solo l’x-box, niente giochi da tavolo.”

Si sedette sul divano, lasciando che Elena si accomodasse sulle sue ginocchia.

“Forse, adesso, sarebbe il caso di capire chi hai ucciso Isobel! – propose timidamente la strega.

“E ci sono dubbi? – s’intromise Elena – E’ stata Katherine!”

“Anche a me piace pensarlo ma, Katherine? Insomma era comunque sua sorella… avrebbe dovuto avercelo un minimo di pietà per un membro della sua famiglia, no?”

“Ha bruciato i suoi genitori soltanto perché le davano fastidio.. credi davvero che si farebbe degli scrupoli per una che ha ostacolato i suoi piani da sempre ed ha anche creato me? Non penso che avrebbe rinunciato ad una simile occasione..”

“Si – concesse Bonnie stancamente – ma…”

Si fermò, i sensi all’erta, gli occhi socchiusi. Quando li aprì il terrore si lesse nelle sue iridi color cioccolato. “Damon..” – mormorò spaventata. Troppo tardi. Una forza invisibile l’aveva sospesa in aria e poi inchiodata contro la parete più vicina, e bastò poco perché anche Damon facesse la stessa fine. Elena cadde dalle sue ginocchia sul pavimento, sorpresa del movimento repentino. Furono le parole pronunciate all’unisono da Bonnie e Damon a farle capire cosa stava succedendo.

“Alexander!” “Katherine!”

Alzò gli occhi e li vide avanzare: lui sobrio nei suoi jeans chiari, camicia blu e giacca grigia; lei bellissima nell’abito di stoffa beje scuro, con stivali neri, sciarpa identica e giubbotto di pelle, nera ovviamente. Mentre gli occhi e il volto di Alexander apparivano inespressivi, quasi apatici – benché stesse tenendo fermi un vampiro ed una strega -  quelli di Katherine sprizzavano gioia omicida e vendetta come fulmini, come fiamme. Sorrise vedendo l’innocente Elena per terra ai suoi piedi.

“Salve, ragazzi. Spero di non aver interrotto niente. Come ho già detto, adoro giocare.. ma, come si dice? Un gioco è bello quando dura poco? Beh mi sono stufata. Voglio posti nuovi… gente nuova, mi spiego? Isobel è andata… ora mi manchi solo tu, dolcezza. Alex, fai ciò che devi.”

Gli occhi terrorizzati di Elena guizzarono all’amica, che fissava con sgomento il coltello che Alexander le stava portando al braccio. Dalla bocca del ragazzo cominciò ad uscire una cantilena, in una lingua che non aveva mai udito prima di allora, parole strane che aleggiavano nell’aria e si avvinghiavano come serpenti.. era una magia, forte, potente, se ne percepiva la forza e l’intensità anche a chilometri. Le bastò poco per mettere a fuoco la scena e slanciari verso l’amica, gridando all’unisono un “No!” con Damon: lei perché temeva per Bonnie, lui perché temeva per lei.

Non andò lontano: una mano bianca l’avverrò, costringendola a voltarsi e imprecare sotto voce. Katherine sorrideva diabolica, muovendo ritmicamente il dito da una parte e dall’altra, come si fa con i bambini piccoli per insegnar loro a rispettare i genitori.

“Verrà anche il tuo turno, non temere.” – disse euforica. Che stronza!

Bonnie percepì le forze fluire: era normalissimo per una strega avere del fluido di energia nel proprio corpo ma era altrettanto difficile da percepire, solo in rare occasioni potevi sentirlo, come alla nascita oppure… alla morte. Era questo che le stava succedendo? Alexander la stava uccidendo?? Pregò con tutte le sue forze di resistere, di farcela, ma era come se ogni forma di energia che l’avesse tenuta in vita, ogni forma di residuo naturale e corporeo che l’aveva portata avanti per quei 18 anni stesse…. Semplicemente, svanendo. Sbattè più forte le palpebre cercando di mantenere il contatto con la realtà, ma non ci riuscì. Era come se il suo corpo fosse paralizzato e lei stesse assistendo come una spettatrice a quello che gli stava accadendo. E poi una parola. Una parola di quella futile cantilena che Alexander stava recitando la attraversò come un coltello, una lama a doppio taglio che la stordì ma la rese anche consapevole.

Sollievo, non stava morendo. Panico, quel bastardo le stava portando via i suoi poteri.

Ansimò in cerca d’aria quando i suoi polmoni cedettero e tossì forte, sentendo un rivolo di sangue che scendeva dalla bocca. Le parole confuse di Elena erano… confuse, appunto. Avrebbe voluto difendersi, anche piangere, qualsiasi cosa pur di rimpadronirsi del proprio corpo, delle proprie mani..

E poi, proprio come tutto era iniziato, finì, in un ultima spinta di grande forza che la privò completamente di tutto quanto c’era nelle sue vene: adesso non era più Bonnie Bennett, una delle streghe più potenti del mondo e del suo casato, era Bonnie e basta e non era una sensazione piacevole. Per quella poca visuale che aveva vide Damon stringere gli occhi e le labbra, immobilizzato anche lui, e Alexander sorridere soddisfatto. Bastardo maledetto! Sentì i suoi polsi liberarsi così come il proprio corpo, e percepì il freddo del pavimento di legno sotto di lei: ovvio, non avevano più bisogno di tenerla imprigionata o legata, era senza poteri, costituiva una minaccia al pari di un insetto. Era inutile, era tornata completamente inevitabilmente e sfortunatamente inutile. Tentò di non perdere i sensi, almeno per adesso, almeno per potersi assicurare che Elena stesse bene: che ironia! Era lì per proteggere Elena e, adesso, non poteva neppure più farlo. L’inutile amica del cuore che ritornava al suo posto, quello dell’amica inutile.

***

Si divincolò ancora più forte ma fu inutile proprio come la volta precedente: non poteva sfuggire a Katherine, non in quell’occasione. Non si era neppure resa conto del fatto che, fino a quel momento, circostanze favorevoli l’avevano bene o male aiutata nel suo intento, quello di preservare la propria vita e il proprio corpo, salvaguardandosi e cercando di non morire. Ma erano stati solo dei casi: Katherine non voleva realmente ucciderla in quelle occasioni – altrimenti l’avrebbe fatto! – e si sentì una sciocca a non essersene resa conto prima. L’inevitabile crudeltà della situazione la travolse: Bonnie giaceva a terra sotto l’effetto di chissà quale maleficio, Damon era schiacciato contro la parete opposta e lei era a terra, i polsi tenuti stretti dalle mani bianche e ben curate di Katherine. Ah! Che fine immonda le toccava.

La vampira sorrise con un ghigno soddisfatto… e così adesso la streghetta era fuori gioco, niente di meglio per portare a termine il suo geniale piano.

“Sai, Elena? – cominciò, tirandola in piedi di peso e adagiandola sul divano, senza togliere gli occhi di dosso a Damon – Vorrei davvero che non interpretassi male le azioni di stasera: io non ho assolutamente nulla contro Bonnie, davvero… insomma, serviva ad Alex, non a me, quindi non vorrei mi considerassi una… stronza, che fa tutto a sproposito..”

“Non c’è pericolo.. – si affrettò a controbattere la ragazza – io già ti considero una stronza, non temere per quello.”

“.. e per dimostrarti che faccio tutto per una ragione.. – continuò la vampira come se non l’avesse sentita - ..ti ucciderò molto lentamente e dolorosamente..” 

Ebbe soltanto il tempo di vedere il ringhio sulla faccia di Damon, ancora bloccato contro la parete, mani e piedi inutilizzabili, e poi sentì qualcosa che si abbatteva sulla sua pelle. All’inizio non percepì dolore, solo un fastidio. Ma il dolore non si fa mai aspettare troppo: arrivò, come un fiume in piena, un corso travolgente di agonia e sofferenza. Emise un debole grido, rendendosi conto che il suo braccio era squarciato da un lungo e profondo taglio, il coltello che Katherine teneva in mano ne era la prova, la sua tortura era iniziata.

Sentì le lacrime scenderle lungo le guance, l’amaro in bocca, il sangue che scendeva nauseante sul suo braccio: come aveva anche solo potuto pensare di salvarsi in qualche mod.. ahia!

Un altro grido, si rese conto, in contemporanea era uscito dalle sue labbra e da quelle del vampiro intrappolato: un altro taglio, un’altra ferita, l’ennesimo dolore straziante, all’altezza dello stomaco stavolta. Osò guardare la vampira che le stava facendo questo e non vide più nessun accenno di sorriso beffardo sul suo volto di porcellana solo ira, furiosa e implacabile ira di uccidere e mutilare, e lei era il suo pezzo di carne, il suo agnello sacrificale. Il fatto che Damon fosse presente, poi, era solo la ciliegina sulla torta.. Avrebbe voluto alzare lo sguardo e cercare conforto nei suoi occhi, ma non ne aveva il coraggio: il solo pensiero di vedervi l’amara consapevolezza della fine l’avrebbe uccisa, letteralmente.

Un altro taglio, la coscia. Un altro. Un altro ancora.

“Brutta stronza, liberami se hai coraggio. Affronta qualcuno alla tua altezza, sei davvero così meschina e puttana da prendertela con un’umana che non può avere nemmeno un quarto della tua forza? Stronza, liberami! AFFRONTAMI!!”

IL sorriso da bambina si riaccese sul suo volto, mentre gettava senza riguardo Elena sul pavimento e si inginocchiava accanto a lei, sollevandole di peso la testa per i capelli.

“Avresti dovuto sapere che io non lascio niente di incompiuto, ragazzino. Ciò che voglio lo ottengo. Volevo l’immortalità, l’ho avuta. Volevo te e Stefan, vi ho avuti. Mia sorella, aggiudicato! E ora… questo prelibato bocconcino è l’unica cosa che al momento mi separa dalla lieta consapevolezza di un’eternità piena di goduria e sfrenato divertimento.. ora, dimmi.. perché dovrei lasciarmi fregare dal tuo giochetto di parole? Giusto Elena?”

Stavolta non si limitò ad un taglio: il sangue sgorgò come una piena, rosso e caldo, scivolando con velocità terrificante prima sulla maglietta e poi sulla coscia fasciata dai jeans.

“Nooooooo! Elena, no! ELENA!!!”

Sentì la sua voce allontanarsi come un debole eco, sempre più lontana, sempre più lontana, come una cantilena antica, sempre più lontanta… lontana..

Si toccò la pancia, scoprendovi una ferita molto più profonda di quanto potesse aspettarsi: il coltello stavolta le era penetrato nella carne in tutta la sua considerevole lunghezza, sfasciandole arterie, vene, muscoli. Carne. Ma il dolore ormai la riempiva tutta a tal punto da toglierle la consapevolezza di percepirlo: i tagli e le ferite successive – non era neppure sicura di poter dire che le fossero inflitte con un coltello, una lama, unghie o quant’altro – le provocarono soltanto altra confusione, ma anche una lieta consapevolezza di avere ancora un corpo, cosa di cui non era stata poi tanto certa, avvolta da quella nube di dolora allucinante.

Ormai non sentiva più nulla, anche se era certa che Damon stesse continuando a gridare. Non seppe neppure per quanto continuò quell’allucinante tortura da film horror… ore, minuti, giorni? Cosa poteva importare? Ormai la consapevolezza della fine l’aveva presa e portata via, cosa poteva esserci di ancora importante da capire o percepire?

Katherine si divertì parecchio: era come se fosse nata per torturare le persone e, il fatto che qualcuno la guardasse e la insultasse, beh.. non faceva altro che aumentare il divertimento. Ma, come ogni gioco, è bello solo se dura poco: mezz’ora ed era già stanca di divertirsi con quell’ammasso di carne ed ossa, sempre se ce ne fossero rimaste di intere… Alexander teneva ancora stretto Damon, si permise di avvicinarsi, il viso con schizzi di sangue, la giacca altrettanto bagnata e sudicia. Lo vide sputarle in faccia ma non ci mise molto ad evitarlo. Gli afferrò il collo, inspirando il suo profumo e godendo nel sentire la sua riluttanza. Assaporò il suo vecchio sapore con la lingua, percorrendo il profilo della sua guancia, fino ad arrivare alle labbra.

Un bacio casto, per i suoi standard, il sapore del sangue di Elena sul rosso delle sue labbra. “Mi mancherai, Damon, davvero. Addio..”

Con un brusco gesto allontanò il suo viso. Poi sembrò ricordarsi qualcosa all’improvviso. “Ah, dimenticavo.. – gli occhi guizzarono su una Bonnie che sembrava aver ripreso un minimo di conoscenza e poi tornarono al vampiro – riferite a Stefan che è sempre il benvenuto nel mio letto, soprattutto dopo stanotte.”

Si sistemò i capelli ed uscì dalla stanza: era ora di lasciare per sempre quella schifosa cittadina, di nuovo. Ormai la piccola Gilbert era sul punto di morire, se già non lo era, morta si capisce. Aveva sprecato molto tempo ma, dopotutto ne era valsa la pena. Fece un occhiolino ad Alexander prima di uscire, e anche lui capì che doveva interpretarlo come un saluto, definitivo grazie al cielo. Era stata un suo alleato, ovvio, ma aveva voltato la faccia dall’altra parte quando il coltello si era abbassato sulla pelle della ragazza: lui non era un assassino, ma Katherine si, e in quella particolare occasione si erano reciprocamente aiutati, ma era stata la prima ed ultima volta. Era sollevato per la sua partenza. Gettò un’occhiata a Bonnie, ancora scioccata e mezza svenuta ai suoi piedi, ad Elena sanguinante ed infine a Damon, ancora sotto l’influsso del suo incantesimo, che lo fissava con odio.

“Ti lascerò andare ma sappi che non ti lascerò vivere se provi a sfiorarmi. Non mi interessa la tua ragazza, non ero qui per lei. Ti lascerò prenderla e portarla all’ospedale. Katherine è andata e non dovrai temere di essere intercettato. Buona serata.”

Con quell’ultima parola galante uscì dalla stanza.

***

“Nessuna novità – lo accolse la monotona voce di Bonnie, le mani congiunte in grembo e la testa sul cuscino accanto a quella della sua migliore amica – non vogliono o non possono dire nulla, Damon. E’ in coma, non è che si possa fare tanto dopotutto..”

Il moro posò un bacio sulla guancia della ragazza, bianca e pallida come non mai, accarezzandole di sfuggita i capelli scompigliati: starle troppo vicino, così come lo starle lontano, procuravano un sentimento unico, dolore, che non poteva essere evitato in nessun modo e che quindi gli procurava agonizzanti torture in ogni caso. Ma almeno poteva sentire il suo cuore battere, mentre era lì, quando si allontanava temeva di non sentirlo mai più..

Cambiò il mazzo di fiori nel vaso con quello nuovo, “Pensavo che preferissi altri tipi di compagnie, fratellino. – asserì ironico, lanciando un sorriso altrettanto divertente a Stefan, poggiato contro la parete opposta alla finestra – Ti ho riferito il messaggio di Katherine, vero? Quella storiella di notti trascorse insieme e letti.. o erano letti e notti.. beh..”

Una scrollata di spalle e si sedette al posto che gli spettava, l’altro lato del letto di Elena. I monitor indicavano che le sue condizioni non erano cambiate: le ferite erano fasciate strette per impedire che l’emorragia ricominciasse, i lividi stavano sbiadendo, lasciando che il blu/viola prendesse il posto del nero. Un tubicino era collegato al suo braccio: alimentatore, l’unica cosa che la tenesse ancora in vita. Era un vegetale, cavolo! Come avrebbe voluto prendere un pizzico di coraggio e trasformarla ma, tra Bonnie e Jeremy e Rick era in minoranza. Anche Stefan non voleva, ma la sua opinione al momento era paragonabile a quella di un pesce palla, quindi.. Non poteva perdonarlo. Mentre Elena stava morendo, squarciata dal coltello di quella psicopatica, lui aiutava Rick a seppellire Isobel, la sorella della vampira che si era portato a letto quella notte stessa. C’erano regole morali – non che lui le rispettasse di solito, ma non significava che non esistessero – e certamente fra quelle il santissimo Stefan avrebbe dovuto rispettare quella che recitava “Non andare a letto con il nemico, soprattutto se è la tua ex ragazza vampira, di cui tuo fratello era innamorato, che ha appena messo in coma la tua ex ragazza e ha lasciato che il suo aiutante togliesse il potere alla tua nuova ex ragazza..”. Chiariva il concetto come spiegazione no? Bonnie ovviamente aveva litigato con Stefan.. Più che litigio era stato un chiarimento: nessuno dei due si era sentito particolarmente legato a quello che c’era stato fra di loro e preferivano restare amici, almeno per il bene di Elena. Che fregatura! Una delusione sentimentale era quello che ci voleva per portare Bonnie dalla sua parte, ma dubitava che senza poteri sarebbe stata di benché minimo aiuto.. poteri..

Il pensiero lo attraversò come un fulmine. “Bonnie, la collana che hai fatto per Elena. L’ha presa al pensionato, non è così?”

La mora alzò gli occhi confusa. “Può anche darsi, perché? Oh!” Capì anche lei, alzandosi e cominciando a rovistare nella sua borsa, per poi prendere un sacchetto e tirare fuori la collana. Anche Stefan guardava curioso. Bonnie fissò Damon con intensità e lui fece un unico rigido cenno di assenso: la strega… oops, Bonnie mise il ciondolo al collo di Elena e tornò a sedere.

“Perché le hai rimesso la collana? – domandò stupito Stefan, avvicinandosi – Insomma non avete detto che Katherine se n’è andata per sempre?”

“Tu non hai voce in capitolo. – asserì secco Damon – Sei tu quello che se l’è scopata la notte scorsa, chi mi assicura che non voglia tornare? Oppure che non ti stia usando per arrivare ad Elena? EH?”

“Sei impazzito?! Non farei mai del male ad Elena!”

“Si, ma a quanto pare ti sei portato a letto quella..”

“Ho già detto che mi dispiace e non so cosa mi abbia preso! Ero drogato di sangue umano, non potevo reagire in maniera diversa..”

“Ah! Di nuovo sangue? Che scusa patetica.. sii più originale!”

“Ora basta!”

Tutti i presenti si voltarono verso la porta, dove il fratellino non più tanto piccolo di Elena si trovava con in mano due bicchieri di caffè fumanti. Jenna era al lavoro, Rick stava sistemando gli ultimi problemi con Isobel e teneva d’occhio Alexander, l’unico rappresentante della famiglia era lui. Entrò, porgendo la tazza a Bonnie, che lo ringraziò riconoscente.

“Sentite, so che qui dentro ci tenete tutti a mia sorella ma, sinceramente, non aiuta che stiate qui a litigare, anzi può solo peggiorare le cose. Se volete litigare o chiarire qualcosa vi consiglio di farlo altrove. Elena ha bisogno di riposo, Bonnie anche, e sono certo che anche i vampiri ogni tanto debbano riposare, quindi direi che serve una schiarita di idee a tutti, non vi pare?”

Damon fissò con stupore Jeremy: si era dimenticato di come tenesse alla sorella e di come, in certe occasioni, si fosse dimostrato capacissimo di esternare il suo lato adulto. In fondo non aveva tutti i torti, litigare non sarebbe servito a nulla, e poi aveva urgenza di fare una telefonata. Accennò un sì con la testa, per poi uscire, seguito a ruota da Stefan.

“Stammi bene a sentire! – proseguì Damon a bassa voce, puntando un dito contro il petto del fratello – perché non lo ripeterò. Quello che è successo ad Elena, non è colpa di nessuno. Ma il solo fatto che tu.. lo sai, fa di te un complice di quella troia. Non ti perdonerò facilmente, fratellino, o forse mai. Volevo solo assicurarmi che lo sapessi.”

Si allontanò a grandi passi, quel moccioso gli stava facendo venire l’emicrania… i vampiri potevano avere l’emicrania? Oh, che importa! Doveva fare quella telefonata e alla svelta.

Segreteria. Fantastico.

“Ehi, sono io. Lo so che non ci sentiamo da molto, anzi non ci siamo mai sentiti dopo il college, ma hai presente la storia del chiamami nel caso ti servisse il mio aiuto? Beh, mi serve, in fretta anche. Mi trovo a Mystic Falls e ti sarei grato se potessi venire qui. A presto.. spero..”

Scosse la testa, chiudendo la chiamata: chissà se davvero si sarebbe fatta viva. Insomma, avevano condiviso tantissimo insieme, era vero, ma quanto di quel tantissimo l’avrebbe convinta a lasciare qualsiasi cosa lei stesse facendo nella sua eccitante vita per correre lì da lui e dargli una mano, senza neppure sapere perché? Beh, la speranza era l’ultima a morire..

***

Alexander entrò con passo spavaldo nella stanza, guardando con piacere il volto di Bonnie sbiancare. Era passata circa una settimana e mezzo, o erano due?, dal loro ultimo incontro. Ripensandoci forse erano anche tre.. comunque la paura e il timore che aveva per lui non erano scomparsi nemmeno un po’: non aveva più poteri, era sola ed indifesa di fronte ad un potente stregone, il nuovo capo della stirpe dei Bennett, chi poteva darle torto? Sorrise compiaciuto.

“Non temere. – affrettò a spiegare – Non sono qui per farti alcun male.. direi che non ce n’è più alcun bisogno. Ma, sai, la verità è che.. da quella volta, al Pensionato dei Salvatore, non è passato giorno senza che ripensassi alla povera ragazzina, dissanguata sotto i miei occhi..”

Scosse la testa, visibilmente dispiaciuto. “Non sono un assassino, Bonnie. Anche se mi vedi come un bastardo: ti ho tolto i poteri, è vero, ma era l’unico modo per ottenere ciò che volevo, un mezzo per raggiungere un obiettivo..”

Parlava con voce bassa e delicata, come una maestra d’asilo che si appresta a spiegare ad un bambino di sette anni che due più due fa quattro.

“Beh, in poche parole mi sento responsabile per quello che è capitato ad Elena.. e vorrei rimediare.”

Bonnie rimase di stucco, ricacciando subito in gola i poco decorosi insulti che già aveva preparato per lui. Aiutare, rimediare? Non erano parole di uno che aveva tentato – ed era perfettamente riuscito – a rovinarti l’esistenza. Era strano da immaginare che fosse così diverso da Katherine, impossibile anzi.

“Rimediare? – gli fece eco Bonnie – E potrei sapere come? Elena è in coma, i dottori dicono che non si riprenderà presto, forse mai, a meno che tu non mi ridia..”

La risata di Alexander riecheggiò nella stanza. “Ho detto che sono una persona coerente, non un idiota: non sono qui per ridarti i poteri, piccola, mi dispiace. Chi mi assicura che poi non tenteresti di uccidermi? Anzi, sono certo che lo faresti eccome! Ma questo piccolo angioletto non ha fatto nulla… mi permetterai di guarirla?”. La fissò con occhi ammalianti.

C’era qualcosa nelle sue parole che la spaventava terribilmente, ma d’altra parte cosa avrebbe potuto fare per peggiorare le cose? Uccidere Elena? Se non ci avesse pensato lui l’avrebbe fatto il tempo di sicuro: ormai la mora non era altro che un vegetale, con lividi violacei su tutto il corpo e tagli talmente profondi da far impallidire chiunque. “Sappi solo che se le farai del male, poteri o no, troverò il modo di ucciderti Alexander, e se non ci riuscirò io stai pure certo che Damon e Stefan sarebbero felici di strapparti un pezzo qua e là.”

Il ragazzo sorrise educatamente e si avvicinò al letto; posò una mano su quella di Elena, l’altra all’altezza del suo cuore, vicino al collo. Passarono cinque minuti buoni prima che iniziasse a parlare, sufficienti perché Bonnie si convincesse quasi a chiamare aiuto. E poi iniziò a parlare, anche se non era la parola esatta: dalla sua bocca uscivano sì dei suoni ma non erano nemmeno lontanamente paragonabili alle parole. Una litania, lenta e ipnotizzante, con sibili tanto acuti e ringhi tanto gravi, un’alternarsi continua di suoni e di fischi e di.. altro. Bonnie era quasi del tutto certa che una cosa come quella non si trovasse nei libri di magia comuni, era una magia potente, al di là della sua portata, anche se avesse avuto ancora i poteri. E non passò molto prima che si accorgesse che stava facendo effetto: i lividi cominciarono a sbiadire, risucchiati verso il proprio epicentro come se qualcuno li stesse aspirando dall’interno, i graffi cominciarono a rimarginarsi piano, anch’essi risucchiati dentro il corpo da una forza invisibile. Le ferite, probabilmente ancora sanguinanti erano bendate quindi non potè vederle, ma suppose l’effetto fosse lo stesso. Ogni ferita si rimarginò sotto lo sguardo incredulo di Bonnie, piano e lentamente ma lo fece. Quando il corpo latteo tornò ad essere perfetto, ancora ricoperto di cerotti e bende, Elena Gilbert sbattè gli occhi, mettendo a fuoco quello che la circondava.

“Oh, Elena! – Bonnie le gettò le braccia al collo, stringendola forte come se stessero per portargliela via – Ho avuto così tanta paura, così tanta paura!”

“Elena, piccola mia!” Anche zia Jenna gettò le braccia al collo della nipote, ancora stordita e disorientata, attirata nella stanza dalle grida dell’amica, seguita a ruota da Rick e da Jeremy. Bonnie ebbe il tempo di vedere Alexander sorridere, voltarsi e uscire, ignorato da tutti per l’euforia generale. Aveva appena salvato la vita di Elena, l’aveva curata, come se fosse.. buono?

“Ahia! Vi prego mi fate male, devo ricordarvi che sono stata.. ahi!”

Solo allora Bonnie ritornò con gli occhi sull’amica: ma che..? Le ferite erano esattamente dove avrebbero dovuto essere, i lividi, i graffi. Era come se la miracolosa guarigione di Alexander fosse stata un miraggio, un miracoloso miraggio ma senza alcuna sostanza. E poi capì.. una lampadina le si accese in testa e tutto le fu chiaro: non sbagliava pensando che quella fosse una magia difficile, impossibile forse. Elena era uscita dal coma e questo era il primo passo della guarigione, con il tempo anche le ferite si sarebbero rimarginate, e le magia le aveva mostrato in pochi minuti quello che il corpo di Elena avrebbe fatto in giorni e settimane, ovvio! Nessun taglio o coltellata scompare.. neppure per magia!

“Piccola, vuoi dirmi cosa ti è successo? – zia Jenna stava piangendo, agitata da morire – Quando sono arrivata eri in queste condizioni, Damon ti aveva portato qui ridotta peggio di uno scolapasta.. tesoro, non è che lui..?”

“No! – sostenne con veemenza la mora, per quanto le fosse possibile nelle sue condizioni suonare convincente – Non è stato assolutamente Damon, come ti salta in mente?”

Come se fosse stato sempre fuori dalla porta, Damon entrò nella stanza seguito a ruota da Stefan. Ispezionò il corpo di Elena, avvicinandosi al letto e tentando di capire se stava bene.

“Sto bene. – disse lei, accarezzandosi distrattamente il collo e capendo all’istante di indossare il ciondolo di Bonnie – Davvero..”

Le sopracciglia alzate fecero capire a Damon che non era prudente toccarla e togliere quella collanina sarebbe parso sospetto. Annuì in silenzio. E poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo sorrise: non sembrava un sorriso rivolto a qualcuno in particolare, neppure ad Elena, era come se fosse piacevolmente compiaciuto. E lo era. Elena era salva.

***

“Ti prego Matt sto bene, lo giuro. Volete smetterla di trattarmi come se fossi di pastafrolla?”

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e continuò a sistemarle i cuscini. “Senti, quando sarai in grado di fare tutto da sola me ne andrò, ce ne andremo tutti!”

“Parla per te, ragazzino. – ghignò Damon, seduto dall’altra parte del divano con le gambe di Elena in grembo – Io non ho proprio intenzione di andarmene.”

Matt rispose alla frecciatina con gli occhi al cielo. A differenza della galanteria di Stefan, Damon non aveva il concetto di “cortesia” o “educazione” profondamente radicati in sé: gli risultava difficile essere carino o disponibile con qualcuno che non rientrasse direttamente nella sua cerchia di fedeli, e probabilmente l’ex della sua attuale ragazza non era fra quelli. Ma Elena aveva bisogno di lui e quindi quella coesistenza forzata avevano pur dovuto affrontarla in quelle due settimane..

“Matt, davvero. Caroline ha chiamato almeno cinque volte, vai da lei. Io ho Bonnie, e Damon, e Jeremy qui, non voglio che tu abbia dei problemi per colpa mia. E poi dovrò pur iniziare a fare qualcosa, o poi non riuscirò a fare nulla e dovrete assistermi per la vita.”

Qualcosa nello sguardo di Matt diceva che non gli sarebbe dispiaciuto. “Si, boyscout, vai dalla tua ragazza. Alla mia ci penso io, grazie.” Perché tutte le frasi di Damon avevano un vago senso di minaccia?

Matt annuì con un sorriso radioso e salutò tutti con un “A presto.”

“Potresti anche essere più gentile, sai? Insomma, è stato carino!”

“E’ già tanto che io l’abbia sopportato queste due settimana, sai? E poi perché non posso badare io a te?”

“Perché.. – si intromise Jeremy, appena entrato con una ciotola di biscotti e un bicchiere di latte per la sorella - ..zia Jenna ti sopporta a malapena, crede ancora che potresti essere stato tu a ridurre Elena in quello stato, e aspetta solo una buona occasione per cacciarti fuori a calci. Ti basta come spiegazione?”

Elena e Jeremy lo fissarono con quell’espressione da “chiaro, no?” e il vampiro fu costretto ad arrendersi: con una Gilbert poteva ancora farcela, se erano in due era inutile provarci. La resa era una soluzione più che onorevole.

Il campanello suonò. “Vado io.” – si propose Damon, sperando che fosse di nuovo Matt e di potergli quindi dare un bel pugno in faccia lontano dagli occhi di Elena. Ma non era Matt. Aperta la porta si ritrovò davanti una ragazza, donna ormai, sulla trentina, con un fisico mozzafiato e capelli ondulati biondi. Il suo sorriso era qualcosa di molto vicino allo svenimento.

“Damon! – esultò lei, gettandogli le braccia al collo – Stefan ha detto che eri qui, sono corsa appena ho potuto. Sai, ero impegnata in Africa con un sortilegio abbastanza potente… sono stata così felice di sapere che avevi chiamato!”

L’occhiata che il vampiro gettò in salotto, leggermente scombussolata, gli rivelò un’Elena e una Bonnie sconvolte per la gonna super corta della bionda, i tacchi vertiginosi e il giubbotto di pelle. Sembrava una Damon al femminile, dall’abbigliamento, e ancora non sapevano che era perfettamente identica a lui anche nel carattere. Sorrise radioso, abbracciandola a sua volta e sollevandola da terra, per poi girare in tondo come un bambino di cinque anni. Infine la posò a terra e la salutò con un bacio. Un vero bacio, con tanto di bocca e.. chiaro no? “Non sai che piacere rivederti, Annie.”


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Spazio autrice alias moi ù.u

Lo so, lo so: volete linciarmi perchè non aggiorno da un secolo. Avete ragione, tutti. E' solo che.. coem posso rinunciare al sole e al mare, proprio adesso? Soprattutto quando manca così poco alla fine di quest'estate fantastica? Però c'è da aggiungere che la mancanza della linea, che mi ha tagliato fuori dal mondo per una settimana, ha contribuito anch'essa!

Così.. ecco un piccolo regalino per farmi perdonare.. due capitoli in uno.. contenti? Spero di si! Altrimenti dovrete sorbirvi da furia di trilly.. dio solo sa quanto tempo e impegno ci abbiamo messo per far uscire fuori questa trama.. e quanto si hanno rimesso i nostri poveri fondoschiena.. ok, basta citazioni.

Spero che vi siate tutti goduti questo doppio-capitolo. Un bacio enorme, enorme, enormeeeeeeee quanto il globo terrestre a quanti trovano il tempo di commentare.. vi ringrazio tanto, mi fa sempre un sacco di piacere sapere che continuate a seguirmi.

Un abbraccio e alla prossima! *____________*

   
 
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