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Autore: PrincesMonica    04/08/2010    12 recensioni
Shannon sulla strada dei ricordi.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Il Ciliegio
Autrice: PrincesMonica
Rating: verde
Disclaimer: il personaggio narrante non mi appartiene e mai mi apparterrà (io voglio il fratello). Non ho scritto a scopo di lucro.
Note: l’ho scritta per il contest di DW. Purtroppo non è bella come volevo che fosse, ma ci ho messo tutto il mio cuoricino per scriverla.

Dedicata a Cristel

Questa FF ha vinto i seguenti premi sul sito http://Dreamswriters.forumfree.net



La strada scivola lenta, tranquilla sotto le ruote nere impolverate ed annoiate. Il caldo asfissiante ed umido della mia terra, mi blocca quasi il respiro, nonostante abbiamo deciso di venire fino a qui in decapottabile. L’aria c’è, ma è pesante e non aiuta a rinfrescarsi e quindi mi ritrovo la canotta incollata alla schiena e il sudore che scende dalle tempie.
“Cazzo!”
Ah, e mio fratello affianco. Un fratello terribilmente arrabbiato/irritato/psicolabile. Credo che a breve mi tirerà una coltellata.
“Dove cazzo siamo?” nonostante perfezione sia il suo secondo nome, Jared adesso è sudato quasi quanto me, ha i capelli senza una forma ed è rosso in volto per il sole. Sono sicuro che stasera, quando si tirerà via gli occhiali, avrà il segno dell’abbronzatura, o forse della scottatura, più probabile.
“Da qualche parte in Luisiana, Jay.”
“No, Shannon, da qualche parte nella Fottutissima Luisiana!”
“Bada a come parli. Ricordati che è questa la tua vera madre patria, mica LA o la Germania, vaccata del concerto di Dortmund…. Mamma voleva farti lo scalpo e così bye bye cresta rosa.”
“Melograno…” mormora offeso. Si richiude in un silenzio ostinato e poco collaborativo, ma giuro che preferisco che sia così, piuttosto che frignone solo perché non mi ricordo la strada.
“E non posso neanche cercare una strada tramite BB… qui non c’è rete!” sbotta chiudendo con rabbia la sua droga nel cassetto porta oggetti dell’auto.
“Che pizza… abbiamo girato per anni per l’America perdendoci nei posti più disparati.”
“Sì, ma almeno avevamo una cartina stradale che, a nostro discapito, nessuno sapeva leggere. Stavolta neanche quella!”
“Sei una palla al piede, la prossima volta ti lascio a casa.” Lo sento bofonchiare qualche cosa. “che dici?”
“Ho detto che poi chi la sente la nonna? Con tutto il tempo che ha rotto perché io e te venissimo a trovare la Zia Margot, se le dicevo di no all’ultimo come minimo mi faceva un dramma alla Shakespeare. Meglio perdersi qui in mezzo al nulla.”
Sorrido guardando la strada: l’aria profuma di terra e primavera, sciamo di insetti intorno agli alberi fanno il loro paziente lavoro. E’ una quiete che approvo, che mi ci voleva dopo roboanti mesi passati a registrare e poi in tour, mi ci voleva una sana vacanza. Ingrasserò come un tacchino sotto la festa del Ringraziamento, conoscendo i parenti, ma non me ne frega nulla.
In barba al malumore di Jared accendo pure l’autoradio e le familiari note di “Sweet home Alabama” mi fanno proprio sentire a casa, nel Sud. È una sensazione che non provavo da tempo, mi piace. Los Angeles è una città meravigliosa che mi dà tutto quello che potrei volere, ma la Luisiana… è tutta un’altra cosa. È come respirare una boccata di aria fresca dopo che si è stati chiusi in una stanza per troppo tempo.
Ed è facendo questi pensieri che la macchina si ferma… ebbene sì, a quando pare ha finito la benzina. Jared mi guarda con la tipica faccia di chi vorrebbe strozzare qualcuno. Riesco a condurre l’auto sul ciglio della strada e mi guardo attorno: niente, solo campi a perdita d’occhio. Una favola.
“Mi metto a camminare.”
“E mi lascio qui come un idiota?”
“Mica possiamo lasciare la macchina incustodita. E poi hai il tuo fedele BB a farti compagnia. Ci vediamo tra un po’.”
“Un po’ sto par di cazzi, qui siamo in mezzo al nulla.”
È vero, ha ragione, c’è solo la strada apparentemente infinita, ma non mi interessa. Mi tiro su le maniche della maglietta ed inizio a camminare.

Ormai sarà un’ora abbondante che cammino e non ho trovato nessuno. Zia Margot sta in una casa dispersa in mezzo alle paludi, da piccoli io e Jay ci perdevamo sempre e la nonna, per non farci correre via, ci diceva che se non stavamo fermi un giorno di quelli un alligatore ci avrebbe mangiato le gambe. Cara nonna e i suoi aneddoti, veramente una fonte di rassicurazione.
Ovviamente noi ce ne fregavamo altamente e correvamo ovunque, ci si perdeva e ci si ritrovava. Eravamo bambini in fondo e quindi ci divertivamo come potevamo.
Il problema sta adesso: è vero che ci aspettano, ma noi siamo stati vaghi sull’ora di arrivo perché… bhe non avevamo idea se gli aerei ci sarebbero stati, se avremmo trovato una macchina, se avremmo voluto veramente essere li nella nostra pausa tour. In realtà questo viaggio non è stato minimamente programmato, ma ci è stato obbligato dall’unica donna che riesce ancora a comandarci, cioè mamma.
Poi mi blocco: davanti a me si staglia imperioso un ciliegio completamente in fiore.
È alto, maestoso, getta un cono d’ombra rigenerante, che mi permette di riposare un po’ prima di poter pensare di riprendere il cammino. I suoi fiori hanno un colore rosa e delicato, molto femminili e spargono un profumo intossicante che sta richiamando qualsiasi ape nell’arco di almeno un chilometro. Non mi fanno paura gli insetti, in fondo loro fanno il loro lavoro e io non li disturbo.
Quest’albero mi ricorda qualcosa… un qualcosa che era sepolto da anni ed anni di ricordi.
Quando eravamo bambini io e Jared spesso ci divertivamo ad arrampicarci su un ciliegio, soprattutto quando dai rami scendevano succulente, le più dolci ciliegie che io abbia mai visto. Le mangiavamo direttamente così, senza lavarle, senza guardare se dentro ci fossero o meno i vermetti bianchi, in barba al fatto che poi mio fratello sarebbe diventato il paladino degli animali striscianti. Eravamo felici e spensierati.
E soprattutto non eravamo da soli in queste avventure.
Avevamo un’amica, una bambina peperina quanto noi, che correva, saltava e si arrampicava come se fosse un maschio. E menava come un bambino: ricordo perfettamente quando buttò nel laghetto un bullo che cercava di picchiare Jared. Prima ancora che io riuscissi a fare un passo verso di lui, lei lo aveva “gentilmente” invitato a farsi un bagno.
Sorrido al pensiero: quella bambina è stata praticamente il mio primo amore. Certo, un amore dolce e tenero, assolutamente platonico. Adesso lo definirei più una sorta di rispetto che altro. Le volevo bene, ma non era il classico amore. Solo che all’epoca lo pensavo, tanto che feci pure qualche bella stronzata per quei capelli color del legno chiaro. Ero proprio un poppante.
Tiro fuori una sigaretta dai jeans e mi siedo ai piedi dell’albero: Jared può attendere una sana dose di nicotina e ricordi.
Non lo direi mai ad anima presente, ma amo questa terra. La sento parte di me molto più della California a cui tanto devo. Non so perché, forse perché questa terra è incredibilmente somigliante a me, selvaggia e potente.
Oppure perché mi fa tornare indietro nel tempo, quando non ero Shannon Leto, batterista della band 30 Seconds to Mars, ma solo Shannon. Insomma, mi riporta alla realtà delle cose.
“Ma aspetta un attimo.” Mormoro sorpreso. In lontananza vedo una casa di quelle tipiche del Sud ed è una casa che riconosco. Mi alzo di scatto e inizio a girare intorno all’albero alla ricerca di una cosa che lasciai circa trent’anni fa. Ed eccolo li, un po’ sbiadito dal tempo e della ricrescita della corteccia, c’è ancora inciso un cuore stilizzato con una S e una C nel mezzo.
La mia idiozia più grande. Se JJ viene a sapere quello che ho fatto a dieci anni, mi sputtana a vita.
Lo sfioro sorridendo: era veramente una cavolata.

“Non te ne andare, Shannon”
“Devo, la mamma vuole così.”
“Ma… uffa, e io con chi giocherò se tu e Jared non ci sarete più?”
“Ci sono tanti altri bambini.”
“Non come voi. E poi tu ti dimenticherai di me, lo so.”
“Non succederà mai. Ti scriverò ogni giorno!!” e tirò fuori un piccolo coltellino Svizzero. “Guarda che cosa faccio.”
Non aveva la mano ferma, ma era determinato, con la lingua che faceva capolino tra i denti per la concentrazione. Alla fine sul tronco faceva bella mostra di se un cuore con due lettere nel mezzo.
“La S per Shannon e la C per Cristel. Saremo sempre insieme. E tornerò da te.”
La bambina sorrise e lo baciò sulla guancia, lasciandolo confuso e rintronato.
“E’ bellissimo! Grazie!!” ed infine lo abbracciò, mentre in lontananza i genitori la chiamavano.
E Shannon rimaneva senza parole.

Non l’ho più vista da quella volta e ovviamente smisi di scriverle molto presto, preso soprattutto dalla mia nuova vita ad LA. Del resto quando si è bambini si dimenticano un sacco di cose.
Scuoto la testa e mi incammino verso la grande casa: se non sono completamente rintronato, e l’età potrebbe essere dalla mia, quella è la vecchia casa dei nonni di Cristel e quindi casa di Zia Margot è poco distante.
La ghiaia del vialetto scricchiola sotto le suole e una leggera polvere si alza a causa del venticello. La casa è ben tenuta, le tendine di cotone bianco non permettono di vedere niente all’interno. I muri di legno sono dipinti di un chiaro azzurro e le rifiniture sono bianche. Sembra di essere catapultati in Via col Vento (si, l’ho visto molte volte, non prendetemi in giro. Essere uomo non significa non saper godere dei capolavori del cinema, anche se sdolcinati come questo).
Busso alla porta e pochi secondi dopo questa viene aperta.
Davanti a me c’è una donna e quasi resto male nel vederla solo con un paio di pantaloncini e una canottiera, invece che con un lungo vestito ottocentesco.
Poi il vuoto.
Mi rendo conto di chi sia ancora prima che lei stessa posi i suoi occhi su di me.
Non è molto alta, i capelli castano chiaro scendono sulle spalle in onde voluttuose e la mia mano vorrebbe solo accarezzarli. Il volto ovale è solcato da un sorriso dolcissimo e sbarazzino e gli occhi mi fissano sorpresi e felici. E poi quella canottiera è da istigazione a delinquere visto quanto è stretta. Non lascia nulla all’immaginazione. Ha il pancino scoperto che brilla di sudore e le belle gambe toniche che mi richiamano.
“Non ci posso credere.” Riesco solo a mormorare.
“Bentornato a casa, Shannon.”
E’ lei, la mia piccola principessa, la mia Cristel.
Mi abbraccia esattamente come aveva fatto l’ultima volta che l’avevo vista e stare così contro di lei è dolce e rassicurante.
“Ci hai messo un po’ di tempo, ma alla fine hai mantenuto la promessa eh?” mi dice facendomi entrare in un piccolo salotto arredato sobriamente. Un bel divano beige, un tavolino coperto da dei pizzi, le immancabili credenze del sud con piatti e tazze in bella mostra.
“Ho avuto parecchio da fare.” Mi sorride.
“Lo so, ho seguito la tua carriera musicale.”
E ci mettiamo a parlare come se non ci fossimo mai separati, come se io fossi un normale amico venuto li per fare 4 chiacchiere.
Mi perdo osservando le sue mani che gesticolano in continuazione, le sue belle labbra che scandiscono le parole e quei suoi occhi brillanti che mi rendono sereno.
Ora posso veramente dire di essere di nuovo a casa e pure il mio cuore, di norma freddino ed insensibile, si sente riscaldato da lei.
Lei, che a quanto pare, è la mia stufetta sentimentale personale. Ma diamine, avevo 10 anni, non potevo essermi preso una sbandata così potente.
“Che sei venuto a fare qui in Luisiana, oltre che a trovare me?”
“Mamma ha obbligato me e Jared a venire a trovare zia Margot e quindi eccomi qui.”
“E brava Constance. Ma Jared dov’è?”
Apro gli occhi di scatto ed impallidisco. Mi sono completamente dimenticato di lui.
“Oh Cazzo!”
Guardo Cris che guida sicura la sua Impala Nera verso dove ho lasciato Jared. Canticchia felice dietro le note dell’autoradio e sorride.
Una parte di me fa chiaramente capire che ora come ora lascerebbe mio fratello disperso, prenderebbe Cristel e la farebbe urlare di gioia, ma mi devo contenere. Però mi viene da ridere.
“Che succede? Ho fatto qualcosa di divertente?”
“Nono, tranquilla, ho solo realizzato una cosa.”
“Cosa?”
“Che tornerò in Luisiana molto più spesso.”
In fondo devo riprendermi il cuore lasciato anni fa su un albero.
   
 
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