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Autore: alister_    05/08/2010    9 recensioni
'’Go and catch a falling star…’’
La voce uscì da quelle labbra sottili più melodiosa di quella di un usignolo. E pensare che era un uomo. La femminilità che Howl trasudava da ogni poro non smetteva mai di irritarla.
‘’Cominciava così, ti ricordi, Sophie?’’, continuò candido, come se stesse rivangando l’incipit di qualche romanzo appassionante.
“La maledizione che ti ha terrorizzato per anni”, si sentì allora in dovere di precisare lei. “Certo che mi ricordo, per poco non ci lascio la penne”.
[Storia scritta per la challenge ''Cielo d'estate'' di Fanworld, con il prompt #1: stella cadente del set "Stella gialla".]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Howl, Sophie | Coppie: Howl/Sophie
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Stella gialla
@ Fanworld.it
Autore: alister
#1. Stella cadente
#2. Stella cometa
#3. Stella polare
Storie terminate: 1/3




''Go and catch a falling star…’’

La voce uscì da quelle labbra sottili più melodiosa di quella di un usignolo. E pensare che era un uomo. La femminilità che Howl trasudava da ogni poro non smetteva mai di irritarla.

‘’Cominciava così, ti ricordi, Sophie?’’, continuò candido, come se stesse rivangando l’incipit di qualche romanzo appassionante.

“La maledizione che ti ha terrorizzato per anni”, si sentì allora in dovere di precisare lei. “Certo che mi ricordo, per poco non ci lascio la penne”.

Il mago rise e Sophie trattenne a stento l’ennesimo sbuffo. Quella giornata era stata decisamente estenuante, sin dalle prime ore del mattino. Al suo risveglio, infatti, aveva trovato un Howl insolitamente mattutino che gettava i suoi abiti fuori dall’armadio a tre per volta.

“E’ ora delle pulizie di primavera!”, aveva trillato mentre lei ancora si dibatteva tra gli sbadigli e lo sgomento per il caos che stava dilagando nel castello come un morbo incurabile. Catene montuose di abiti di seta dai colori più sgargianti andavano formandosi alla velocità della luce in ogni angolo ancora libero.

Per l’ennesima volta Sophie si era chiesta per quale motivo Howl possedesse così tanti abiti, dato che grazie ai suoi poteri di mago poteva modificarli come e quando voleva. La risposta era sempre la solita: neppure le sue sorelle messe insieme sarebbero mai arrivate ad un simile livello di vanità.

A nulla era servito ribattere che, oramai, erano in piena estate: il mago sembrava posseduto da uno strano demone dell’ordine, o- a giudicare dalle condizioni in cui si era ridotto il castello dell’arco di pochi minuti- del disordine.

“Ho bisogno del tuo aiuto, Sophie”.

Howl aveva sfoderato uno dei suoi sorrisi pieni di charme e Sophie aveva dovuto dire addio alla sua pacifica colazione.

Inutile dire che le pile di vestiti ‘’da regalare ai poveri’’, “da rammendare”, “da riordinare nell’armadio” e da “rivitalizzare con la magia” non erano state di grande aiuto quando erano arrivati i primi clienti. Con un agile balzo, il mago era scivolato via dal groviglio di disordine per andare ad accoglierle con un sorriso a trentadue denti. E Sophie era rimasta lì, a piegare vestiti su vestiti reprimendo moti di rabbia.

Nel pomeriggio, poi, Howl si era diretto alla porta con passo leggiadro, l’aveva aperta e si era trovato il mago Suliman.

“Sophie!”, aveva urlato, “vieni a vedere chi è venuto a trovarci! Entra, Ben, mi ero dimenticato che dovessi venire proprio oggi. Scusa il disordine”, aveva concluso con l’ennesimo sorriso smagliante.

Sophie aveva allora fatto capolino dal corridoio, con i capelli in disordine e la camicia da notte ancora addosso (le era stato impossibile trovare un attimo per vestirsi tra l’entusiasmo trascinante di Howl) e aveva fatto un cenno con la mano all’altro mago.

“Sophie, cara, potresti finire quel lavoretto mentre io discuto con il mago Suliman, per piacere?”

Senza aspettare risposta, i due colleghi erano spariti in cucina, lasciandola alle sue faccende.

Il “lavoretto” in questione consisteva nel rammendare una montagna di vestiti che si erano scuciti o avevano perso bottoni nel corso delle sue scorrerie di mago. Gettare via vestiti in ottime condizioni ma dai colori “spenti” e tenerne altri disastrati ma ugualmente etichettati come “raffinati” era terribilmente da Howl Pendragon.

Così, dopo una giornata passare a cercare i giusti fili e i giusti bottoni per non far perdere fascino a quegli abiti, Sophie non si sentiva molto invogliata ad assecondare le manie di protagonismo del mago. Sapeva che nel giro di qualche secondo sarebbe iniziato uno dei suoi soliti monologhi melodrammatici e non era nelle condizioni adatte per sopportarlo. Per quel giorno era satura: voleva soltanto andare a dormire e godere così di quel poco di tranquillità che le era concesso. Ancora non sapeva come Howl fosse riuscito a convincerla ad uscire per ammirare “la splendida volta celeste”… Probabilmente non aveva dovuto far altro che esibire uno dei suoi sorrisi abbaglianti, e lei, nervi a fior di pelle o meno, si era lasciata suo malgrado affascinare per l’ennesima volta.

“Sai, Sophie, Hatter è davvero un brutto cognome”, riprese il mago con nonchalance, mentre lei sentiva crescere l’irritazione. “Dovresti cambiarlo, cara. Non si addice affatto ad una promettente strega”.

“Non tutti vogliono essere artefatti come te, Howl”, lo rimbeccò lei, piccata.

Con un sorriso che aleggiava sulle labbra, volse gli occhi cerulei al cielo. Controvoglia, Sophie ammise a sé stessa che alla fin fine aveva fatto bene a lasciarsi persuadere: le stelle quella sera brillavano più che mai, come tanti brillanti incastonati in un ampio mantello color notte.

Ecco, si disse, a furia di cucire abiti le veniva da usarli anche nelle metafore!

Un movimento repentino attirò la sua attenzione.

“Hai visto, Sophie?”, esclamò Howl, volgendo il capo verso di lei. “Una stella cadente! Andiamo a prenderla!”

L’afferrò per una mano, prima ancora che si capacitasse che quella luce argentea che aveva attraversato il cielo scuro per un istante fosse davvero una stella cadente, ed iniziò a correre per la landa desolata in cui riposava sbuffando il castello.

“Howl!”, gli urlò, senza ottenere risposta. Si trovò costretta a correre per non cadere, trascinata com’era dall’entusiasmo del mago.

Che diavolo voleva fare? Catturare un altro demone del fuoco? Santo cielo, ci mancava solo quella! Possibile che non imparasse mai la lezione?

“Howl, sarà lontanissima!” provò a dissuaderlo.

“No, Sophie! E’ caduta molto vicino a noi, fidati del mio intuito!”

Rassegnata, si lasciò trascinare. Per poco non cadde inciampando nel suo stesso vestito quando lui si fermò bruscamente: andò a sbattere contro la sua schiena magra, mentre lui scioglieva la stretta che aveva legato le loro dita fino a quel momento.

Scattò in avanti con un movimento fulmineo. Il suo abito color malva brillava sotto la luce argentea della luna calante. Aveva messo il suo vestito preferito: Sophie lo notò solo allora.

Abbassando la testa per seguire i movimenti dell’uomo, notò che aveva ragione: c’era davvero qualcosa che luccicava di una strana luce bianca per terra. Un bagliore luminescente pulsava dietro la schiena ricoperta di seta di Howl.

Sophie si chinò in avanti, socchiudendo gli occhi davanti alla luminosità che si irradiava tra due rocce della landa. L’ampia manica del mago si sporcò di terra, mentre lui, con un gesto armonioso, lasciava sprofondare la mano all’interno della luce.

“Howl…”

Lui sorrise, e i suoi denti già bianchi sembrarono ancora più scintillanti grazie a quella nuova fonte luminosa. Ma,non appena vi tirò fuori la mano chiusa a pugno, la luce si estinse dopo un ultimo battito.

Howl si voltò verso di lei. Sul suo viso magro, nell’improvviso buio che si era creato, brillavano soltanto gli occhi di vetro e il persistente sorriso sornione.

“Sì, Sophie”, riprese, disinvolto, mentre avvicinava la mano stretta a pugno a quella della ragazza, “Hatter non è affatto un cognome che ti si addice. Credo che ‘Sophie Pendragon’ suonerebbe di certo meglio”.

Il cuore di Sophie mancò un battito.

Mentre le dita ossute di Howl- il vanesio, frivolo ed egocentrico Howl di cui si era innamorata- si schiudevano lentamente, s’impose di non pensare quell’ipotesi che sbatteva contro le barriere erette dalla sua mente. Per autodifesa, ovvio. Aveva imparato che non aspettarsi troppo da quell’uomo era la chiave per risparmiarsi una buona percentuale di delusione e nervosismo.

Un piccolo oggetto brillava sul palmo della mano del mago, non di una luce abbagliante come quella di poco prima ma di un bagliore più timido e modesto. Le ci volle qualche secondo per capire che si trattava di un anello.

“C-come hai fatto?’’, riuscì solo a balbettare in un sussurro. Gli strappò un accenno di risata.

“Permetti, mia cara, che il nuovo Mago di Corte di Ingary abbia i suoi assi nella manica?”

“Nuovo Mago di Corte…? Oh, Howl! Allora era per questo che oggi Ben è venuto! Oh, ma perché non me l’avete detto? Davvero il re…”

“Sophie, Sophie…”, Howl la interruppe posandole un dito sulle labbra e lei si ammutolì, mentre un lieve rossore le imporporava le guance. “Dimmi solo una cosa: ti va di cogliere quest’occasione per liberarti del tuo orribile cognome senza dover ricorrere alla finzione che odi tanto?”

“Guarda, Howl, che ad essere sinceri diventerei la signora Jenkins…”

“Sophie!”, sbottò, alzando gli occhi al cielo. “Per qualche strano motivo sto chiedendo in moglie
l’unica donna che non subisce il mio fascino e non perde occasione per criticarmi, ficcare il naso e mettersi nei guai. Quindi potresti farmi la cortesia di rispondere un ‘sì’ o un ‘no’?’’
Sophie sorrise.

“Un ‘sì’ o un ‘no’ a cosa, Howl?”
Sull’orlo dell’esasperazione, il mago si lasciò sfuggire quella frase così banale che mai avrebbe voluto pronunciare: “Vuoi sposarmi, Sophie?”

“Se la metti così…”, rise, “non posso che dirti che sì, Howl Pendragon, sono l’unica folle in questa dimensione e in tutte le altre disposta a sopportare i tuoi vezzi da ragazzina vanitosa, la tua testardaggine, le tue manie di protagonismo e i tuoi melodrammi da eccentrico per il resto della vita. Ora puoi anche baciarmi, che dici?”

“Prima l’anello, mia dolce Sophie”, rispose lui, lasciando scivolare il gioiello all’anulare della sua futura sposa. “Io faccio il romantico e per tutta risposta tu mi elenchi i miei difetti? Sei proprio una disgrazia, Sophie”.

“Senti chi parla!” ribattè lei. “Hai chiesto la mia mano dicendomi che il mio cognome era orribile!”

“E’ la verità!”

“Hatter è un cognome come un altro!”

“Appunto. E così…banale. Non si addice alla moglie di un potente mago”.

“Oh, ci rinuncio!”, sospirò Sophie alzando gli occhi al cielo: le stelle brillavano, se possibile, ancora più splendenti di prima.

“Sophie?”

“Che c’è?”

“Sto ancora aspettando quel bacio”.

“E’ lo sposo che bacia la sposa, non il contrar…”

Le labbra di Howl chiusero le sue prima che potesse finire la frase e lei si rilassò a quel contatto.

“Ah, Sophie, possibile che non ci sia altro modo per zittirti?”, sogghignò staccandosi da lei.

“Da quando in qua ti dispiace mettere in pratica le tue doti da seduttore?’’

“Seduttore? Sophie, con te non funzionano neppure i gioielli!”

Da lontano, Calcifer scosse la testa vedendoli litigare. Matrimonio o meno, sarebbero rimasti sempre gli stessi. E lui avrebbe potuto divertirsi ancora a fare da spettatore ai loro battibecchi.



Nota dell'autrice: non credo che riuscirò a completare l'intero set, ma era da tanto che volevo scrivere una storia con Howl e Sophie e questo prompt mi ha dato l'ispirazione necessaria.
Se qualcosa vi è poco chiaro in questa storia, è perchè fa riferimento al libro di Diana Wynne Jones, che consiglio vivamente a chiunque abbia amato la trasposizione di Hayao Miyazaki. Ah, la citazione che dà il titolo alla storia è un verso di John Donne, che Diana Wynne Jones stessa usa nel suo libro come maledizione.

   
 
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