“Ho confermato la tua presenza nella
tappa di Los Angeles del Bublé USA Tour, tanto ti troverai a passare da lì in
quel periodo… mi stai ascoltando, Josh?”
“No, Brian. Ho smesso di darti ascolto un anno fa. Tanto mi farai comunque fare
ciò che vuoi… e allora che senso ha protestare?”
Brian mi guarda con sospetto, quasi avesse paura di me. “Significa che non vuoi
partecipare al concerto di Bublé?”
“Certo che no! Michael e io siamo amici, gli ho promesso la mia presenza a Los
Angeles. E poi mi fa piacere andarci. È la mia città.”
Mi manca la mia città. Da circa tre
mesi Brian mi ha confinato in un posto sperduto sulle montagne del Colorado,
convinto che questo potrebbe aiutare la mia concentrazione.
La verità è che anche la vista di una
montagna deserta riesce a distrarmi. Devo essere un caso patologico. Forse inizio
a capire perché mia madre mi diceva sempre che ero un
bambino/ragazzino/giovanotto impossibile.
La verità è che ho ventinove anni,
ho tutto ciò che potrei desiderare e non so cosa voglio davvero.
Il cellulare del mio agente squilla
e mi riscuote dai miei pensieri. “Avnet. Ok. Ok. Ok. Sì. Va bene. Ok. Glielo
dirò. Ok.”
Riattacca e mi guarda.
“Che cosa devi dirmi, Brian?”
“Oh, niente di importante. Dunque, parlavamo del tour di Bublé…”
“Brian, mi costringerai a rubarti il
cellulare.”
“Josh, non è così importante, credimi.
Al momento conviene che ti concentri sugli impegni che…”
“Brian!”
“Ok, hai vinto.” Appoggia la penna
sui propri appunti e mi guarda. “Sembra che i tuoi genitori stiano litigando e
abbiano deciso di divorziare.”
Mi alzo di scatto. “E questo,
secondo il tuo punto di vista, sarebbe ‘cose da niente’?”
“Josh, se non sbaglio hai detto che
è già successo in passato. Non credo ci sia da preoccuparsi…”
Infilo le mie cose in valigia, alla rinfusa. “Brian, il fatto che abbiano
divorziato e si siano risposati tre volte negli ultimi quindici anni non implica che la cosa non debba
interessarmi. Ora, visto che sei tanto bravo con le parole, chiama l’aeroporto
di Denver e prenotami un posto sul primo volo per Los Angeles.”
“Ok, anche se dubito che riusciremo
a trovare due…”
“Ho detto un posto, Brian. Tu resti
qui.”
“Ma…”
“I miei genitori sono i miei genitori. Non rientrano in nessuna strategia di
mercato.”
***
Un’ora più tardi, mi imbarco sul
volo che Brian è riuscito a trovare per me. Devo riconoscerlo, è uno stacanovista
e a volte anche piuttosto stronzo, ma sa fare il suo lavoro. Dovrò
ringraziarlo.
Non siamo ancora decollati, e già
sento il bisogno di stiracchiarmi: non sono più abituato a volare nella classe
economica, e credo di essere cresciuto dall’ultima volta che ho volato così.
Sì, sono decisamente cresciuto: avevo tredici anni e i miei genitori stavano
portando me e mia sorella a Disneyland. L’anno seguente divorziarono per la
prima volta.
Guardo dal finestrino e seguo il profilo
delle montagne innevate: in fondo, Denver non è male.
“Ehm… chiedo scusa.”
Mi volto, e davanti a me c’è una
ragazza. Mi preparo a firmare il pezzo di carta che mi porgerà: qualcosa di lei
mi dice che è una mia fan.
“Prego.”
“Quello sarebbe il mio posto.”
Osservo il mio biglietto, e scopro
che ha ragione. Il mio posto è il 37 A, non il 37 W. “Oh, mi scusi. Devo essermi
confuso. Sa, ho la tendenza a distrarmi…”
Mentre mi alzo per cederle il posto,
inciampo. E mi ritrovo a cinque centimetri dal suo naso.
“Mi perdoni, non… non era mia
intenzione.”
Arrossisce, mentre aspetta che io
riprenda l’equilibrio. Si sistema lì dove fino a pochi secondi prima c’ero io, allaccia
la cintura, prende un libro e lo apre in corrispondenza di un segnalibro. Non riesco
a staccare gli occhi da lei.
“Che fa, non si siede?”
“Come?” Guardo il mio biglietto. Il
37 A è a sinistra del 37 W. Quindi io starò alla sua sinistra.
Decolliamo.
Io odio i decolli. Sembra sempre che l’aereo stia per disintegrarsi.
Mi aggrappo saldamente al bracciolo, che soltanto un minuto più tardi scopro
essere il braccio della ragazza. Non appena si spegne il segnale, mi slaccio la
cintura. Lei, con calma, imita il mio movimento.
“Ha paura di volare?”
“Soltanto dei decolli.”
“La capisco. Io ho paura degli
atterraggi.”
“Può aggrapparsi al mio braccio, se
vuole.”
“Grazie.”
“Cosa sta leggendo?”
“Persuasione.”
“Bello.”
“Lo ha letto?”
“Non esattamente. Ma ho visto il film. Non era male.”
“Beh, leggerlo è un po’ diverso” mi
risponde, piccata.
“A dire il vero, lo avevo iniziato,
un po’ di tempo fa. Ma poi si sono messe di mezzo altre cose, e…”
“Certo. Immagino non sia semplice essere un cantante di fama mondiale.”
Sorrido. “In effetti, no. Credo sia
più semplice essere…” Lascio la frase in sospeso, e le faccio un cenno per
farle capire che desidero finisca la frase.
“…arredatrice di interni. O almeno,
ci provo. E sì, credo sia più semplice essere me che essere Josh Groban.”
“Ci sono momenti in cui vorrei
essere una persona normale, con un lavoro normale… come lei, signorina…”
“Thomas. Grace Thomas.”
“Grace. Mi piace il suo nome. Mia
nonna si chiamava così.”
Sorride, e dopo avermi stretto la
mano torna al suo libro.
“Mi scusi, la sto distraendo dalla
lettura. Non era mia intenzione.”
Chiude delicatamente il volume e liscia la copertina con una mano. “L’ho letto
così tante volte da saperlo a memoria.” Alza lo sguardo su di me. “Invece
viaggiare in classe economica con una celebrità non capita tutti i giorni.”
Ridacchio. “Di solito Brian, il mio
manager, mi fa riservare dei posti in prima o in business. Ma sono dovuto
partire in fretta… e poi, io mi so accontentare.”
“Spero non sia nulla di grave.”
“I miei genitori si sono messi in testa di divorziare.”
“Oh. Mi…”
“E’ la quarta volta in quindici anni. Di solito divorziano e si risposano nel
giro di sei mesi. Non riescono a stare lontani.”
Abbassa lo sguardo sui propri jeans
e giocherella con una cucitura. “Ai miei è andata peggio.”
“Divorziati anche loro?”
Annuisce. “Avevo dieci anni ed ero
figlia unica. Non è stato un bel periodo. Adesso sono entrambi risposati. Con persone
diverse” sottolinea, con un sorriso. “Ho quattro fratellastri: uno da parte di
papà e tre da parte di mamma.”
Mi lascio scappare un fischio. “Dev’essere
un bel casino.”
“Non saprei. Sono scappata di casa a diciassette anni e cerco di tornarci il
meno possibile.”
Mi ritrovo a fissare il suo profilo,
chiedendomi che cosa nascondano quei grandi occhi neri che prima ho avuto così
vicini.
“Ma cambiamo discorso” sbotta, dopo
qualche istante di silenzio. “Siamo arrivati al punto in cui devo dire che sono
una sua grande fan, ho tutti i suoi dischi e sono stata a tutti i suoi
concerti?”
“Non esageriamo” rido. “Mi
accontento di sentirmi dire che non faccio schifo.”
***
Scendiamo dall’aereo ridendo e
scherzando come due amici di lunga data, eppure ci siamo conosciuti poco più di
due ore fa. Ritiriamo i nostri bagagli e ci avviamo all’uscita dell’aeroporto,
dove arriva il momento di dividersi.
“E’ stato… è stato davvero un
piacere conoscerla, signor Groban.”
“So di sembrare piuttosto stupido,
visto che ci stiamo salutando, ma… ‘signor Groban’ mi fa sentire vecchio.
Preferisco Josh.”
“E’ stato un piacere conoscerti, Josh.”
“Meglio. È stato un piacere conoscere anche... te, Grace.”
Sorride. “Approvo. Beh, allora…
addio.”
“Arrivederci. Suona meglio.”
“Beh, in questo caso…” Si fruga le
tasche del cappotto e mi porge un bigliettino. “Se conoscessi qualcuno che ha
bisogno di un’arredatrice di interni…”
“Mia madre stava giusto pensando di
riarredare il salotto” dico, e non è una battuta. “Di solito ogni volta che
divorzia cambia l’arredamento di un’intera stanza. Le dirò di chiamarti.”
Sorride, le guance arrossate dal
freddo, e si allontana trascinando il proprio trolley.
Rimango a guardarla mentre se ne va
a passo spedito con le sue scarpe da ginnastica consumate, il cappotto dal
taglio semplice e i capelli arruffati.
“Amazing Grace, how sweet that sound…” canticchio, dimenticandomi, per un attimo, dove sono e che
cosa devo fare. Chissà se qualcuno le ha
mai dedicato quella canzone.