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Autore: GurenSuzuki    06/08/2010    2 recensioni
Non si è mai visto un capitano che ammutina.
Accenni di SebastianCiel.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'Earl Grey riposava in un'elegante teiera di porcellana, dalla foggia inconfondibilmente inglese. Il liquido scuro si mosse in onde concentriche quando Sebastian lo versò nella tazzina dai bordi cesellati. Dopo che la bevanda gli fu posata innanzi il padrone lo congedò con un gesto aggraziato della mano guantata.

Ciel quel triste e piovoso pomeriggio di Aprile era scosso da una strana inquietudine. Sì sentiva spaesato e minacciato. Probabilmente percevipa le stesse emozioni che agitavano la volta celeste quando le cupe e rotondeggianti nuvole antracite la ricoprivano interamente, con disprezzo mordace, non rilasciando dalla propria ferrea stretta nemmeno un fazzoletto d'azzurro.

Fissava fuori della finestra, l'elegante linea del mento posata sul pugno contratto. Vedeva ma non guardava.

"Bocchan non gradisce il tè, quest'oggi?"

Ciel mosse ancora una volta la mano, e il Blue Hope scintillò nell'opaco grigiore della stanza. Il piccolo uomo era scosso da un numero talmente spropositato di quesiti da non riuscire a darvi voce, restando nella propria quieta irritazione. Le sopracciglia cesellate erano tanto imbrociate da toccarsi.

"C'è qualcosa che la turba, per caso?" perseverò seraficamente il maggiordomo, assumendo un'espressione incuriosita.

Ciel sbuffò da dietro la propria uggia e si decise a parlare "Fuori."

Il maggiordomo, dopo essersi elegantemente inchinato, si girò portando il carrello delle vivande verso la porta e lo strusciare sinistro delle ruote sopra al parquet scuro provocò al padrone una scarica di brividi, che andarono ad annodarsi poco sotto la nuca, sfiorendo lentamente.

Chissà quel che Sebastian si sarebbe ritrovato a pensare di lui se gli avesse confidato i propri timori, gli assurdi e infantili quesiti, le infondate accuse.
"Sebastian..." lo richiamò in un sussurro appena udibile, gli occhi voltati verso la porta.

Il maggiordomo si arrestò e sul volto eburneo gli nacque spontaneo un affilato sorriso, niente più dell'arricciarsi genuino degli angoli maliziosi di quella bocca impertinente, ma capace di far innervosire Ciel come niente al mondo.

L'uomo si volse e il sangue di cui erano iniettate le proprie iridi si allacciò all'unico ceruleo frammento visibile del giovane. Sebastian era ben conscio d'essere ammaliato da quegli occhi, cornici di un'anima martirizzata dalla statica attesa che quelle lunghe giornate primaverili avevano portato, assieme ad un clima oltremodo irritante per il suo padroncino.

"...ho delle domande da porti."

Sputò l'ennesimo ordine, al chè il demone non potè far altro che accentuare ancor di più la curva beffarda delle labbra.

Si inginocchiò sul grande tappeto damascato e bordato di frange scure "Yes, my Lord."

"Avvicinati."

Sebastian si fermò proprio di fronte alla scrivania di mogano scuro ingombra di carte, la postura rigida e fiera, le braccia lungo i fianchi magri.

"Mi dica, Bocchan."

Ciel stette in silenzio. Un silenzio annodante, che si insinuò nei pochi metri che separavano le due figure, tessendo una tela di inquietudine che bucò l'animo del giovane come mille aghi appuntiti. Gli si conficcarono nella carne.

Che idiota.

"Cosa... mi aspetterà?"

Lo domandò assottigliando appena gli occhi chiari, osservando il giardino tra le fitte ciglia scure.

"Quando, Bocchan?"

"Quando mi divorerai." lo disse quasi con stizza, tanto veloce da far intuire la paura celata dietro ogni parola. Il demone si riappropriò del mellifuo sorriso.

Gli andò accanto, si sporse oltre il bracciolo lavorato della poltrona e accostò le pallide labbra all'orecchio del Conte, respirandovi sopra.

Il suo fiato era gelido.

"Non c'è luce per chi vende la propria anima ad un demone."

"Intendi il paradiso?"

"Se è così che voi lo chiamate, sì."

Un lungo brivido lo scosse.

"E allora, cosa mi attende?"

Sebastian accentuò il ghigno mefistofelico, allungando una scarna mano guantata a solleticare il lobo, proprio sul piccolo orecchino di zaffiro.

"Se non potete essere avvolto dalla luce, Bocchan, è piuttosto ovvio ciò che vi attende."

Sì, ma troverò pace al dolore che mi compone? Su cui ho costruito la mia essenza?

Ciel, senza l'odio di cui s'era nutrito per tanti anni non sarebbe stato nessuno. Se l'avesse dimenticato, dimenticato i suoi genitori, dimenticato il passato, allora avrebbe rinnegato quegli ultimi anni e rinnegarli avrebbe significato disconoscere il proprio 'io', la personalità che era venuta a crearsi. Significava ripudiare se stessi.

Non si è mai visto un capitano che ammutina.

"Puoi andare Sebastian..." fece per congedarlo e il maggiordomo s'inchino con rispetto, inginocchiandosi.

Riprese il carrello delle vivande tra le lunghe dita e lo condusse fuori della porta, ma prima di richiuderla si volse appena.

"Crede davvero che così facendo la sua sofferenza troverà pace?"

"Non permetterti di contestare le scelte del tuo padrone, Sebastian."

"Mi perdoni."

E così dicendo uscì, lasciando le parole non dette a fluttuare nell'aria e a sussurrare un'innegabile verità al giovane Conte.

Nulla finisce. Niente ha mai fine
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guren's note: non sono per niente sicura, ne che si capisca il senso, ne che ne abbia uno. Posto perchè... perchè è tardi e non riesco a dormire e l'ispirazione coglie in momenti poco opportuni quali le due del mattino. E' stupida. Nonsense puro. E' la prima volta tral'altro che mi cimento nel fandom. Spero di scirvere ancora qualcosa. Magari di un po' più spinto xD. Spero tu abbia capito il senso: Ciel,nonostante il contratto e l'oblio che lo aspetta, non troverà mai fine al suo dolore. Come l'ultima frase. Arrivederci, lettore. A presto.

Guren.
   
 
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