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Autore: Criros    09/08/2010    3 recensioni
A Milano, Victoria ha sempre avuto una vita da sogno: reginetta della scuola, capitana della squadra di pallavolo, amici e fidanzato perfetti. Ma, dopo essersi improvvisamente trasferita in un paesino in mezzo al nulla, dovrà faticare non poco per tornare ad essere la ragazza popolare che è sempre stata. Soprattutto se i suoi piani verranno costantemente ostacolati dalla Queen Bee Margherita, dall’odiosissimo snob Alessandro e dal criptico Damiano.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO I: First day of the rest of your life


Non ti preoccupare. Andrà tutto bene. Devi solo rimanere calma.

Da più di mezz’ora Victoria Reali era totalmente immersa in un’assidua opera di auto-convincimento davanti all’enorme specchio del proprio bagno, ma nonostante tutti quegli sforzi mentali solo un pensiero aleggiava vivido nella sua mente: Il Liceo Classico Vittorio Bianchi. Una scuola pubblica situata in un paesino in mezzo al nulla, lontano dalla propria città natale: Milano.

Si era trasferita alla fine di Luglio, dopo essere tornata dalla vacanza migliore della sua vita: solamente lei, la mia migliore amica Jennifer con i suoi genitori e le fantastiche spiagge della Florida. Due settimane da sogno prima dell’inaspettato inferno. Prima ancora di mettere piede dentro casa, suo padre le aveva dichiarato ufficialmente che per motivi di lavoro si sarebbero dovuti trasferire. All’inizio la ragazza non aveva capito cosa intendesse con la parola “trasferimento”. Insomma, suo padre era un uomo piuttosto importante nella imponente ditta in cui lavorava e credeva che se ne sarebbero finalmente andati a Parigi, Londra o magari anche Montecarlo. Certo, le sarebbero mancate da morire le migliori amiche, senza dimenticare Michele, il suo fantastico ragazzo, e il suo liceo – e quando dico suo, intendo veramente suo visto che Victoria Reali ne era la regina indiscussa -.
Invece il suo sorriso sognante si spense subito non appena il padre pronunciò il nome di un paese che non aveva mai sentito.
“E dove sarebbe?” chiese subito allarmata, quasi strillando. Il padre le lanciò uno sguardo timoroso prima di continuare a parlare, segno che non avrebbe gradito ciò che stava per sentire.
“Beh, a dir la verità non è poi così lontano da qui. È un posto tranquillo, ti piacerà. E c’è pure un liceo classico vicino, così non dovrai prendere il treno e potrai dormire qualche minuto in più…” cercava di sviare il discorso, era ovvio.
“Papà, quanto è lontano da Milano?” chiese, troncando sul nascere quel patetico tentativo di cambiare argomento. L’aveva messo alle strette. La ragazza avrebbe giurato che avesse persino cominciato a sudare.
“Più o meno due orette di macchina, non è poi così distante” disse tutto d’un fiato.
Strano come suo padre davanti a tutti sembrasse uno squalo pronto ad azzannare le sue prede, mentre con la cara figliola diventava in un attimo un timoroso agnellino. Probabilmente gli ricordava troppo la madre ed il suo carattere spocchioso e per questo aveva paura.
Oppure credeva che sarebbe fuggita con un modello svedese ventenne come aveva fatto la ex moglie.
Difficile da dire.
 “COSA? E I MIEI AMICI? LA MIA SCUOLA?” cominciò a urlare subito dopo, per nulla addolcita da quell’atteggiamento remissivo: “ci hai pensato anche a me quando hai accettato quest’offerta?”
No, no, no e ancora no!
Non le era sembrato possibile. Non in quel momento, tra l’altro! Quello avrebbe dovuto essere il suo anno! Aveva così tante cose a cui pensare: era capitana della squadra femminile di pallavolo, era membro del comitato scolastico, era stata eletta per ben due volte reginetta della scuola, aveva una media piuttosto alta, una marea di ragazzine che la seguivano ammirate e schiere di ragazzi che cadevano ai suoi piedi e in più usciva con il capitano della squadra di calcio, dannazione! Cambiare scuola e città così, di punto in bianco, non era certamente un’opzione da prendere in considerazione!
Per cosa poi? Fosse stato per Parigi e il Louvre forse l’avrebbe anche accettato, ma di certo non avrebbe buttato dalla finestra i suoi gloriosi risultati scolastici per andare a vivere in un paesino sperduto!
“Tesoro, non essere così melodrammatica, vedrai che ti troverai bene. Mi hanno offerto di dirigere un’importante filiale, non potevo rinunciare!”
“E se andassi a vivere con Max o con la mamma?”
Ok, mossa sbagliata.
Sapeva che tirare in ballo il fratello o la madre non era una mossa saggia. Massimo era un agente sportivo piuttosto indaffarato e viveva a Roma, anche se si spostava in giro per il mondo piuttosto frequentemente per seguire i suoi atleti. E Carolina… dov’è che viveva ora? In California con Sven. Forse.
Il viso del padre si contrasse in una smorfia triste all’idea che la sua unica figlia femmina potesse preferire uno di loro due a lui, ma tutto questo durò solo un attimo. La solita espressione indifferente e piuttosto snob che aveva durante le cene di lavoro comparve subito come protezione e i suoi glaciali occhi azzurri si puntarono decisi sulle giovani iridi verdi.
“Victoria Elizabeth Reali, è inutile che mi urli in faccia, tu verrai con me. La questione è chiusa. Ora va’ a rinfrescarti un po’, la cena è fra un’ora”
Ecco, l’aveva fatto. Con una calma e una freddezza degna di un iceberg l’aveva chiamata con il nome intero. Nome che aveva scelto la madre, tra parentesi. Sul Victoria aveva avuto ragione, dopotutto la ragazza poteva benissimo essere detta una vincente. Il secondo nome, sebbene alla ragazza sembrasse un po’ troppo simelato, tipico dei romanzi rosa inglesi di inizio ottocento, era riferito all’attrice Elizabeth Taylor.
Non ti preoccupare Vic, non succederà mai! Domani papà capirà di aver fatto uno sbaglio e tutto tornerà normale!


Ora però era lì, davanti allo specchio del bagno della nuova casa – una signora casa, a dirla tutta – in preda all’ansia per il primo giorno di liceo nella nuova scuola. Non ci sarebbero stati amici e ammiratori ad attenderla e nemmeno il sorriso d’incoraggiamento di Mick. Non ci sarebbe stata Jennifer e la sua ossessione per i pettegolezzi, né Claudia con indosso l’ennesimo capo d’abbigliamento firmato e nemmeno Giovanna e la sua totale ammirazione per lei.
Per la prima volta da quattro anni sarebbe stata totalmente sconosciuta. La ragazza nuova. E in un liceo pubblico per di più! Da quando era all’asilo i genitori l’avevano sempre mandata in costosissime scuole private, “le migliori della zona” a detta loro. Era abituata a vivere in un ambiente di un certo tipo, con gente ricca o comunque importante, con professori severi ma anche comprensivi, con regole ferree da rispettare, tra abiti costosi e tessere di appartenenza a vari club esclusivi. Ed ora veniva trascinata nel mondo comune.
Scosse leggermente la testa per scacciare questi pensieri capaci di renderla solo più ansiosa e si ispezionò attentamente allo specchio.
Victoria Elizabeth Reali, non importa dove andrai, resti comunque una vincente.
Si disse mentalmente, compiaciuta dalla propria immagine riflessa: i capelli ramati lunghi fino a metà schiena scendevano copiosi in perfetti boccoli profumati alla mora, il viso di carnagione chiara sul quale si intravedeva qualche lentiggine era liscio come la seta (grazie anche alla dolorosa rinuncia ai cibi fritti e cioccolato), i grandi occhi verdi erano contornati da una linea d’eye-liner nerissimo abbastanza spessa, capace di renderli ancora più magnetici;  il corpo dal fisico invidiabile era fasciato in un semplice abito corto di Guess color panna dall’aria piuttosto fresca ma anche di classe. Ai piedi le inseparabili Louboutin nere. Dopo aver passato sulle labbra un sottile strato di lucidalabbra trasparente uscì dal bagno e prese la fantastica borsa di Burberry (regalo di Sven per il suo ultimo compleanno) nella quale avevo deposto qualche libro scolastico a caso. Prima di uscire salutò con un cenno del capo Tania, la nuova cameriera. Uno degli aspetti positivi del trasferimento era stato sicuramente l’aumento di stipendio del padre, senza contare che la villa dove viveva ora era tre volte più grande del vecchio appartamento in centro Milano.
Scese gli scalini che portavano al vialetto d’ingresso e notò con un certo apprezzamento il fatto che ci fosse una BMW nera ad aspettarla. Un autista personale. Certo, sarebbe stato solo fino a quando non avrebbe preso la patente, ma la cosa era comunque elettrizzante. Niente più odiosissima metropolitana, niente più passaggi strappati a Mick.


Il tragitto verso la scuola fu breve e del tutto monotono. Da quando aveva cambiato casa si era rifiutata categoricamente di uscire ad “esplorare” quel paesino sperduto nel quale si trovava, preferendo rimanere rintanata a bordo piscina con una limonata e una videochiamata con le sue migliori amiche.
Scoprì subito che non si era persa poi un granché: la casa era posta in una zona piuttosto defilata e tutt’intorno, se non si contavano quattro villette nelle vicinanze, non vi era altro che verde, verde e ancora verde per parecchi metri. Solo alla fine della strada, immettendosi nella via principale, cominciavano a farsi largo altre abitazioni, qualche negozio e una piccola stazione. Quando l’auto svoltò a destra, procedendo su una stradina fatta di ciottoli, le iridi verdissime di Victoria furono attirate da un bar dall’aria molto graziosa, all’interno del quale si potevano scorgere parecchi ragazzi più o meno della sua età.
“Ma allora non sono tutti vecchi!” disse meravigliata. Una risata proveniente dall’autista le ricordò di non essere sola in macchina.
“No, signorina. Anche se molti di quei ragazzi vengono dalle vicinanze. Arriveremo al Bianchi in cinque minuti, si trova in fondo alla via”
Piuttosto incuriosita guardò in avanti e non poté non notare un grosso edificio grigio a tre piani dall’aria imponente ma anche piuttosto malconcia. La BMW superò il cancello alla sommità del quale si potevano scorgere le parole “Liceo Classico Vittorio Bianchi” ed entrò nel giardino frontale. A destra vi era un grande spazio asfaltato adibito a parcheggio, mentre sulla sinistra rimaneva una distesa erbosa dove parecchi ragazzi erano sdraiati a fumare o a chiacchierare.
La macchina si fermò davanti all’ingresso e l’autista - un uomo piuttosto simpatico, di una cinquantina d’anni, parecchio stempiato e con un fisico cicciottello che però un tempo doveva essere stato atletico – le porse un biglietto con su un numero di telefono.
“L’aspetto qui a mezzogiorno. Per qualunque problema mi chiami a questo numero.”
“Grazie mille…” lesse con la coda dell’occhio il nome scritto sulla targhetta della giacca “Antonio”
Prima di aprire la portiera la rossa si premurò di indossare i suoi occhiali da sole di Gucci, giusto per fare un po’ di scena.
Si comincia.


Col mento in alto e la sicurezza nelle gambe si avviò apparentemente sicura di sé verso l’ingresso, consapevole di attirare parecchi sguardi. Notò con orrore che quasi tutti i ragazzi indossavano degli anonimi jeans e delle t-shirt nere con qualche stupida scritta colorata, mentre le ragazze … beh, a dire la verità non ve n’erano molte in giardino. Forse erano molto secchione e si erano già rintanate nelle varie classi.
Perfetto. Pensò, ironicamente.
Senza preoccuparsene troppo raggiunse la segreteria al cui interno vi erano due enormi donne più o meno sessantenni che stavano giocando indisturbatamente a carte e una terza più giovane e mingherlina che, dietro i due fondi di bottiglia che aveva al posto degli occhiali, stava controllando qualcosa al computer.
“Mi scusi? Mi chiamo Victoria Reali, mi sono appena trasferita. Al telefono mi hanno detto di recarmi qui” disse a voce piuttosto alta con un timbro autoritario, tanto che anche le due grassone con la pelle unticcia smisero per un attimo di guardare le carte per lanciarle uno sguardo indagatore.
“Sì, mi ricordo! Ti ho chiamata io! Sono Linda e loro sono le mie colleghe Pina e Sandra” disse l’occhialuta, sfoderando un sorriso giallognolo per nulla rassicurante. Le porse una cartelletta con su scritto il suo nome al cui interno, tra le varie scartoffie legali, vi erano una piantina della scuola con segnate le varie classi e i vari laboratori, un orario dettagliato delle lezioni con annessa anche una lista di nomi dei professori e un elenco di attività extrascolastiche.
“La tua classe è la III F. Si trova al terzo piano. Sali le scale e gira a destra. L’aula è l’ultima a sinistra. Riguardo i corsi extrascolastici, non sono obbligatori, ma ti avverto che chi li segue ha di sicuro qualche riguardo in più da parte dei professori” riprese la segretaria con una vocina flebile e piuttosto malaticcia.
Victoria le lanciò uno dei suoi soliti sguardi altezzosi, di quelli che riservava alla gente che trovava patetica, per poi dirigersi a passo spedito verso le scale. I muri erano completamente tappezzati di manifesti riguardo ad alcune feste, cerimonie, eventi e anche inviti per le partite dell’invincibile - a detta loro - squadra di calcio della scuola. Molti dei volantini riguardavano i certi Pink Monkeys, un gruppo musicale rock che si sarebbe esibito quella sera alla festa per l’inizio della scuola.
Scimmie rosa. Che nome idiota per una band!
Proprio alla fine delle scale due ragazzine che dovevano avere circa quindici anni stavano additando proprio uno dei manifesti del gruppo musicale emettendo fastidiosissimi urletti eccitati.
“Non vedo l’ora di stasera! Damon è così figooo!” strillo la più bassa delle due, coperta da una cascata di ricci biondissimi (quasi sicuramente tinti).
O dio mio, pure delle cerebrolese mi dovevano capitare!
“Sì, Damon è figo, ma Dom è di un altro pianeta!” ribatté l’altra, con un tono di voce ancora più fastidioso della prima.
Perfetto, queste scimmie rosa sono anche le celebrità del luogo!
Trattenendo a stento una risata, le sorpassò noncurante, i tacchi alti che risuonavano decisi ad ogni gradino, facendo girare dalla sua parte non pochi visi. Proprio in quel momento suonò la prima campanella.
Il corridoio si stava lentamente svuotando quando arrivò davanti alla III F. Il prossimo anno scolastico l’avrebbe passato in quell’aula. Stava male al solo pensiero.
Entrò senza dire nulla, posando velocemente lo sguardo tutt’intorno, giusto per cogliere qualche particolare. Qualcosa lo notò di sicuro: erano tutti ragazzi!
Da quando aveva varcato la soglia vi era stato un silenzio surreale, sui visi di alcuni vi era una palese sorpresa, ma era nulla se confrontata al livello di sbalordimento che aveva lei: solitamente i licei classici sono popolati al settanta percento da ragazze ed ora si ritrovava ad essere l’unico esemplare femminile nella stanza!
Ma dove sono capitata?
Dal fondo della classe provennero alcuni fischi di ammirazione seguiti da risate sguaiate.
Perfetto, sono finita in un porcile.
“Ma guarda un po’, abbiamo Barbie in classe!” disse un ragazzo alle sue spalle, la voce piuttosto derisoria.
Barbie a chi? Non sono nemmeno bionda!
I suoi occhi si aprirono dalla sorpresa e le labbra si assottigliarono istantaneamente. Ma chi si credevano di essere?
Adesso mi sentono!
Girò il viso esaminando i dieci ragazzi in piedi in fondo alla classe con uno sguardo di fuoco, per soffermarsi sul cretino che aveva parlato. Non l’aveva visto direttamente, ma non c’erano dubbi che fosse stato lui.
Osservandolo attentamente, la rossa pensò di averlo già visto da qualche parte.
Era al centro del gruppetto, come un re in mezzo ai suoi sudditi. Sul viso chiaro era stampato un sorrisetto strafottente incorniciato dalle labbra sottili. I capelli neri non troppo lunghi erano lasciati in un modo che voleva apparire disordinato. Ma la cosa che la colpì ancora di più della camicia di Dolce e Gabbana e dei jeans di ottima fattura furono i suoi occhi. Ghiaccio puro. Mai viste delle iridi più chiare.
Sul momento non riuscì a pensare ad una frase con cui mandarlo a quel paese in modo ricercato.
“Che c’è? Ti ho sbalordito con la mia bellezza? Lo so, faccio questo effetto a molte” disse il moro, non mollando nemmeno per un secondo quel ghigno derisorio.
Ad un tratto Victoria capì perché le era sembrato familiare: quel ragazzo assomigliava a lei. Esattamente, proprio a lei. Stesso sguardo supponente, stesse manie di grandezza, stesso stuolo di ammiratori, stesso gusto nel vestire. Aveva trovato la sua versione maschile!
 “Finalmente un’altra ragazza!” una voce squillante la fece interrompere quella sfida di sguardi che si era creata: davanti a lei erano comparse due ragazze con un bel sorriso stampato in volto.
Quella che aveva parlato era, come dire, pittoresca. Al suo vecchio liceo sarebbe di sicuro risultata strana. Era piuttosto bassa e molto magra con due grandi occhi color verde acqua che la osservavano contenti. I capelli castani erano tenuti liscissimi e alcune ciocche -con orrore della rossa-  erano color rosa shocking. In testa portava una bombetta e tutto il suo abbigliamento mostrava la sua passione per il rock: leggins neri piuttosto leggeri, maglietta bianca dei Beatles, gilet nero lasciato aperto e stivaletti neri lucidi con il tacco alto.
La ragazza al suo fianco era sicuramente più normale, il classico tipo sportivo: coperto da una tuta dell’Adidas rosa si notava il fisico atletico, di sicuro modellato a seguito di estenuanti allenamenti. La prima cosa che saltava all’occhio era il grande sorriso bianco, seguito subito dopo dai curiosi occhi castano chiaro totalmente privi di eye-liner. Il naso era piccolo e schiacciato, non proprio bellissimo. Da un primo sguardo sembrava una ragazza piuttosto dolce, una di quelle che non si arrabbiavano mai.
Sfoggiando il miglior sorriso da star (sapeva perfettamente di essere snob), Victoria allungò distrattamente la mano destra verso di loro.
“Victoria Reali, sono di Milano” disse con tono di sufficienza. Sapeva che non avrebbe dovuto farsi dei nemici il primo giorno di scuola, ma era ancora del tutto convinta che presto sarebbe tornata a Milano. E poi non era un tipo proprio cortese e carino con la gente mai vista. Preferiva piuttosto incutere timore.
Ovviamente dopo quella scena da diva di Hollywood la biondina alzò scettica un sopracciglio mentre la mora la guardò piuttosto sconcertata.
“Buon per te” rispose quest’ultima con un bel po’ di sarcasmo nella voce “Io sono Amelia e lei è Carlotta.” disse in modo sbrigativo per poi appoggiare la sua borsa in un banco poco distante, seguita a ruota dalla sua amica.
Pensando di essere stata un po’ troppo stronza, si costrinse a sorridere e a rivolgersi nuovamente ad Amelia: “Ma qui tranne voi due ci sono solo ragazzi?” chiese, sforzandosi di essere gentile.
La mora rimase qualche secondo interdetta dalla domanda. Un attimo prima era stata trattata a pesci in faccia e l’attimo dopo le venivano chieste informazioni. Poteva essere destabilizzante, in effetti.
“I ragazzi in questo liceo sono più o meno l’80 percento. Il fatto è che in zona di scuole competenti oltre alla nostra ci sono soltanto un liceo artistico, un liceo linguistico e una scuola per estetisti. E i ragazzi scelgono quasi tutti il classico. Oppure vanno all’istituto tecnico qui vicino, ma quel posto è per i criminali, credimi. L’anno scorso sono dovuti intervenire anche i carabinieri!”
La rossa annuì pensierosa e fece per tornare a guardare la lavagna, ma la ragazza parlò ancora: “Senti, se ti va puoi sederti vicino a noi. La nostra è una delle classi con più ragazze: siamo in sedici, undici maschi e cinque femmine e se non ti andiamo a genio noi due, aspetta di vedere Cristina e Benedetta.” Amelia pronunciò quei due nomi con un astio nella voce fin troppo marcato.
“Cip e Ciop” asserì la bionda di nome Carlotta alle sue spalle.
“Meglio, hai presente Pena e Panico? I due mostriciattoli che aiutano Ade in Hercules? Ecco, loro due sono le tirapiedi della più stronza della scuola, Margherita Viterbo. Fortunatamente non ce l’abbiamo in classe, altrimenti i carabinieri sarebbero intervenuti anche qui” rincarò Amelia facendo sorridere Victoria. Anche la sua migliore amica Jennifer usava sempre film e cartoni animati per fare degli esempi!
Margherita Viterbo. La regina della scuola. L’autorità.
 “Bene” disse con un tono un po’ più accondiscendente per poi alzarsi e sistemare le sue cose sul banco di fianco a quello della moretta.
Proprio in quel momento suonò la seconda campanella ed entrò anche il resto della nuova classe, tra cui anche il “magnifico duo”. Erano esattamente come se le era aspettate: una bionda e l’altra mora, una vestita di verde mela, l’altra di lilla. Erano alte all’incirca un metro e settanta ed erano entrambe molto magre anche se la bionda poteva vantare di qualche curva in più. Entrambe avevano gli occhi molto verdi e dall’aria decisa, ma se la bionda appariva innocua, la mora sembrava volesse azzannare il primo capace di guardarla male. La bionda tra le mani teneva una marea di fogli e appunti completi di post-it colorati, mentre l’altra stava conversando con chissà chi al cellulare. Si sedettero in sincrono nella coppia di banchi a destra della cattedra dopo aver fatto un cenno con il capo ai ragazzi in fondo alla classe.
“Li vedi quei fogli? Sono gli ordini da eseguire per conto di Margherita. E quelle due cretine lo fanno senza battere ciglio!” sussurrò Amelia, proprio mentre entrò in classe la professoressa di Italiano.
Tutti si misero a sedere, lasciando vuoto il banco al suo fianco.
Nella mia vecchia scuola avrebbero fatto a gara per sedersi vicino a me! Pensò sconfortata, senza però darlo a vedere. L’apparenza prima di tutto.
“Sono lieta di vedervi ancora tutti in questa classe. Ho saputo che la III B si è praticamente dimezzata” esordì la giovane donna con un sorriso furbo ma anche fiero. Sembrava in gamba. Aveva l’aria competente ma anche umana, non come il suo vecchio professore che non voleva mai sentire opinioni diverse dalla propria.
“Altieri?” chiese la professa iniziando l’elenco e Carlotta alzò la mano, sentendo il suo nome.
In seguito furono chiamati diversi cognomi a cui risposero tutti dei ragazzi.
“Colombini?”
“Il solo e unico!” rispose in modo sfacciato una voce in fondo alla classe, appartenente al ragazzo che l’aveva chiamata Barbie pochi minuti prima.
Perfetto, pure strafottente!
“Noto con piacere che l’estate non ti ha cambiato, Alessandro” sorrise beffardamente la donna, per poi continuare con l’elenco.
 “Polipi?”
Nessuna risposta. La prof alzò il viso e fece vagare gli occhi verde acqua in giro per la piccola classe.
“Qualcuno ha visto Polipi?” chiese a nessuno in particolare. Senza neanche avere il tempo di sentire una qualche risposta, la porta si aprì velocemente e comparve un ragazzo. E che ragazzo!






ANGOLO DELL’AUTRICE
Buon giorno a tutti! ho cominciato a scrivere questa storia per passare un po’ il tempo durante questa estate a mio avviso noiosissima (sarà che tutti i miei amici sono in vacanza tranne me e non so cosa fare!) ed ho deciso di pubblicarla giusto per vedere che reazioni avrebbe potuto suscitare.
Premetto che è da un po’ che non scrivo più nulla e difatti sono fuori allenamento, ma spero comunque di non avervi annoiato! I primi capitoli saranno forse un po’ monotoni perché sono piuttosto dettagliati, ma mi servono per introdurre al meglio la storia, quindi pazientate!
Vic, la protagonista, è stata creata pensando a una ragazza che conosco molto bene: da principio può risultare stronza e antipatica, ma con l’andare del tempo diventa una delle persone più incredibili che si possano conoscere (sebbene un po’ troppo melodrammatica!)
Non so ancora ogni quanto aggiornerò, ora come ora non ho proprio niente da fare, per cui credo anche una o due volte a settimana!
Se ne avete voglia, vorrei tanto che mi scriveste dei commenti per sapere cosa vi è piaciuto o meno oppure cosa devo migliorare! Per ora il rating è Giallo, ma non escludo che potrà alzarsi in seguito
Grazie mille a tutti!
Ross

P.S. qui di seguito ci sono dei link sul guardaroba di Victoria, Amelia e Carlotta durante il primo giorno di scuola, giusto per farvi avere un’idea del tipo di persona che sono.
Victoria: http://www.polyvore.com/cgi/set?id=21725681
Amelia: http://www.polyvore.com/cgi/set?id=21731138
Carlotta: http://www.polyvore.com/cgi/set?id=21733055


  
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