Un amore
nato per puro caso
Il primo
incontro
Una classicissima giornata di scuola è appena trascorsa, ma non ho nessuna voglia di ritornare a casa. Sono in punizione, per l’ennesima volta, i miei mi hanno sorpresa a fumare nel bagno, e d’allora a casa si è scatenato il putiferio. Mi è vietato uscire, avere la paghetta, e soprattutto fumare. Ma quel che è peggio è che sono costretta a lavorare, naturalmente senza essere pagata, in uno dei ristoranti dei miei genitori. Voglio morire.
Sono appena arrivata a casa, non faccio neanche in tempo a posare lo zaino nell’ingresso, che mia madre, più scontrosa che mai, mi dice – cara è inutile che sei rientrata in casa, saresti dovuta andare direttamente al ristorante per aiutare tuo padre- mio padre possiede vari ristoranti, ma quello in cui mi sarebbe toccato lavorare è “il bacaro”, è uno dei più illustri di tutta Lecce, la mia città.
Poi mi guarda fintamente sorpresa
e dice – come tuo padre non ti ha avvertita? Fila subito al Bacaro che c’è
bisogno di te- ecco! E poi non mi vuole neanche fare mangiare questa? Ho
capito, ho sbagliato, ma questo è esagerato. –mamma ma io non ho ancora
mangiato! Ho fame! E poi mi sembra leggermente esagerata questa punizione, già
mi avete tolto la paghetta-
- non mi importa fila, che anche quelli del ristorante hanno fame!-.
-ma anche io ho fame!-
-muta! E corri- ecco adesso si, sembrava proprio una mafiosa pronta a
minacciare il povero malcapitato con una pistola se non avesse fatto tutto
quello che gli era stato ordinato di fare.
Inutile specificare che il mal capitato, anzi mal capitata, in questo
caso ero io!
-va bene vado! Mio dio che famiglia di matti, ma porca miseria tutto
questo per una cavolo di sigaretta?-
-si certo Giorgia si inizia con una sigaretta e poi vai a finire in una
clinica per disintossicarti da chissà quale tipo di droga! Bell’esempio che dai
a tua sorella più piccola!-
Ecco ora giocava la carta della sorella più piccola! –mamma era una
sigaretta, non vuol dire che morirò di overdose, e poi mica ho fumato davanti a
Monica, non sono così idiota-
-certo certo- sono molto incazzata è meglio che me ne vada il più presto
possibile, se no qua rischia di succedere il finimondo. –ok vado. Torno questa
sera. Ciao babbuina.- è così che chiamo la mia sorellina più piccola una vera
peste. E poi dice a me!
-ciao Giò a sta sera-. E detto questo me ne esco furiosa, sbattendo la porta e borbottando insulti inventati sul momento.
Ed ecco qui una parte della mia famiglia. Mia madre Claudia una persona perlopiù normale, ma a volte ha scatti di pazzia, che non si possono prevedere, purtroppo. Mia sorella Monica, ha 12 anni è una vera e propria peste, altro che io. Io sono Giorgia ho 18 anni, sono all’ultimo anno del liceo classico, sono una persona abbastanza testarda e parecchio acida e sono un autentico maschiaccio.
Corro veloce per il giardino troppo grande e maledico mentalmente i miei per la troppa strada che ogni volta devo fare.
Prendo la macchina, e mi dirigo in centro verso quel ristorante che tanto non sopporto, essendo frequentato dalla più alta “borghesia” della mia città.
Parcheggio, ma a causa della mia solita sbadataggine la mia tracolla
cade a terra aprendosi e tutti i miei libri si spargono sul marciapiede,
maledico a evidente voce alta quella cazzo di tracolla e scendo dal motore.
Cammino senza guardare dove vado, visto che sto ancora tentando di sistemare
quel casino nello zaino, e sbatto contro qualcuno. Sento un infastidito –ehi,
perché non guardi dove metti i piedi?- non avevo ancora guardato chi fosse il
malcapitato che avessi colpito, avevo tutta l’intenzione di chiedere scusa, ma
dopo il suo tono scontroso, tutta quella voglia mi era passata all’improvviso.
–ehi calmati non l’ho fatto apposta e poi tu che cavolo te ne stai così
impalato? -
Cavolo ora si che lo avevo visto. Porca miseria mi ero scontrata con
Romano! Romano il giocatore, non ci posso credere!
-ehi bella io non stavo impalato. Sei tu che sei completamente ceca- ok
adesso è davvero troppo, capisco che lui era LUI. Si, lui era Guido Romano, un
giocatore del Lecce. E capisco anche che era un figo assurdo. Alto, moro,
capelli corti con una leggera cresta e occhi castani molto intensi, ma io ero
una persona e non il suo zerbino.
-senti bello io non sono ceca, vedi di non offendere-
-mio dio vedi se in questo sputo di città mi doveva capitare l’unica
rompicoglioni- e no questo è davvero troppo, non basta che offende me, ma pure
la mia città. Questo non aveva idea con chi aveva a che fare.
- senti brutto stronzo in due secondi sei riuscito a offendere sia me che la mia città, sarai pure bravo in quello che fai, ma nessuno ti da il diritto di comportarti da imbecille, e ora se non ti dispiace andrei a lavorare-
Lo vedo evidentemente sorpreso e me ne vado fiera di me stessa, non capita tutti i giorni di litigare per strada con il giocatore più forte della tua amata squadra.
Entro nel locale pronta all’ ennesima sfuriata della giornata. E infatti
subito dopo mio padre comincia – Giorgia sei in ritardo. Mio dio ma quando
imparerai a prendere seriamente qualcosa?-
Eccolo qui il mio amato papà. Si chiama Silverio, ha quasi sessant’ anni
ed è ancora un eterno bambino. È serio solo quando si tratta di lavoro, per il
resto è peggio di mia sorella Monica.
Mi mette subito al lavoro. Fortunatamente decide di farmi fare la
cameriera e non la lavapiatti, almeno è un passo avanti.
Ho trascorso le quattro ore più pesanti della mia vita, non pensavo che quei poveri camerieri dovessero affrontare tutti questi casini. Non ho mai visto persone così esigenti che solo se porti un piatto con due secondi di ritardo ti fanno una ramanzina quanto oggi e domani.
Mi precipito fuori dal locale non ho nessuna voglia di restare lì più tempo del dovuto. Mi infilo nella mia mini- cooper e sfreccio per le strade trafficate di Lecce, finchè non lascio il centro e mi dirigo verso la periferia, dove abito. È una delle zone più in voga della mia città, ci sono tante villette, ma possiamo anche dire villone, con tegole rosse, tanto giardino e piscine.
Arrivo a casa poso la cartella, e noto mia madre leggere un libro sul divano, ma appena si rende conto della sua amata figlioletta, alza il capo e mi concede uno dei suoi meravigliosi sorrisi, si la mia mamma a volte sa essere anche dolce, e mi chiede – tesoro come è andata la giornata? Lo so che non sei molto entusiasta della scelta che io e tuo padre abbiamo preso, ma è necessaria e in fondo lo sai anche tu. – ok mi rimangio tutto non è assolutamente dolce.
- si mamma lo so. Ho sbagliato. Ora se non ti dispiace vado a fare i compiti, che se n’è già andato molto tempo, a causa di impegni improrogabili. – sottolineo volutamente quell’ a causa di impegni improrogabili per farle capire che se quest’anno, che tra le altre cose ho anche la maturità, andrò male, sarà esclusivamente colpa sua e di quella specie di peter pan un po’ troppo cresciuto di suo marito.
Me ne salgo col morale a terra, conosco mia madre e so che non me la farà passare liscia, questo vuol dire che probabilmente rimarrò a lavorare lì in eterno.
Entro nella mia stanza e mi butto sul letto, non ho nessuna voglia di fare i compiti, li rimando a più tardi e decido di chiamare la mia migliore amica, Federica, anche detta Ica, la conosco dalla tenera età di due anni e siamo nate praticamente insieme, solo con dodici ore di differenza, solo lei mi può ascoltare e dare giudizi. La chiamo e le racconto tutto dalla sigaretta nel bagno alla mia esemplare punizione. Evito solo di raccontarle di Romano, lei non ne capisce molto di calcio, e probabilmente non sa neppure chi è quindi meglio lasciar stare.
- cazzo certo che la zia Claudia a volte esagera un po’- lei mia madre
la chiama zia visto il tempo che ci conosciamo, e la stessa cosa faccio io con
sua madre. – ma davvero ti ha messa in punizione?- ma non mi ascolta quando
parlo?
- no guarda Ica abbuecchiu, certo che mi ha messa ai lavori forzati mica
mi invento storie. Senti un favore siccome sono stremata non è che mi passi una
versione?- ecco era arrivato il vero motivo per la chiamata.
-certo scroccona! Quale vuoi latino o greco?-
- latino è più lunga. Greco la inizio mo che attacco al telefono. Me la
invii per e-mail oppure me la detti?- io opterei decisamente per la seconda,
per non perdere molto tempo ma faccio finta di lasciare a lei la scelta.
- si si fai domande a cui sai già la risposta, te la detto te la detto,
ormai ti conosco da troppo tempo per non sapere dettagli così frivoli.- eh
brava la mia Ica, capisce al volo.
Dopo un cinque minuti buoni di dettatura chiudo il telefono e cerco di
concentrarmi sulla versione di greco, ma la mia testa è altrove, chiudo i libri
e mi ristendo sul letto, trovandomi a pensare alla litigata di quello stesso
pomeriggio.
*abbuecchiu è una tipica espressione salentina, la traduzione più simile all’ italiano è per finta
E questo è il primo capitolo! Spero che vi piaccia per qualsiasi domanda
o chiarimento sono a vostra completa disposizione
Un bacio giulla