Chi
no juujika
Croce di sangue
*
L’aria è gelida, il vento che sbuffa inclemente contro i
presenti aliti pestilenziali di smog e benzina, fumi neri attorcigliati
all’odore sporco di inquinamento da città e al sale di un mare lontano.
Sudore ghiacciato, una scia indistinta, quasi inconsistente come la pioggia che
non sta piovendo, ma appiccicosa ad imperlare fronte e schiena, rivoli e gocce
di nebbia fredda che gli si è sciolta addosso e che nulla ha di vischioso.
No,
no.
Il sudore non ha nulla di vischioso, proprio no.
E’ semplice acqua traspirata dalla pelle, fluidi
corporei rilasciati perché in eccesso.
Il sangue,
quello sì che è vischioso.
Una sostanza simile alla gelatina, ma priva della
sua densa compattezza.
Il sangue dopotutto è liquido.
… gelatina. Quella ai lamponi che sua madre gli
preparava da bambino era rossa. Sì, era rossa, ma ricorda fosse particolarmente
buona. Il gelso scendeva giù per la gola insieme allo zucchero cristallizzato,
un groppo dolce e melenso che scacciava via ogni pensiero amaro o triste. Era
deliziosa e aveva anche un buon profumo. Sapeva di more, lamponi, gelso, ma non
ribes. Quello non gli è mai piaciuto e lei lo sapeva. Ha sempre saputo tutto, sempre, sempre.
Rosso, rosso, rosso.
Vischioso lo smalto che Sonoko le aveva regalato l’ultimo
Natale trascorso insieme.
La
boccetta costosa di vetro iridescente, il pennellino di vernice laccata rosa
pesca. Ran non l’aveva mai usato quel colore seppur fosse il suo preferito. Il
sorriso di lei sfumava nelle ombre che ne avevano adombrato lo sguardo
impercettibilmente a quel rosso che aveva stretto con dita tremanti di paure
sopite e ricordi dai volti spettrali ora risvegliati e urlanti. Scivolava via
come il vestito azzurro sui fianchi che si era ritrovato a osservare.
Aveva
distolto lo sguardo, arrossendo e con una scusa l’aveva portata fuori, in
terrazza, a scrutare il cielo e la neve che cadeva come stelle cieche piante
dalla volta notturna, volteggiando altera e soffice intorno a loro, coriandoli
di nuvole fatte a pezzi lontani dal grembo materno che le cullava amorevolmente.
Ricorda di averle stretto la mano in quell’occasione, la scusa fosse gelata. Bugiardo.
Rosso, rosso,
rosso.
Copriva ogni cosa come una macchia indelebile e non
andava via, mai, mai.
Ad
ogni caso che risolveva, ogni appuntamento saltato o promessa infranta, Ran lo
perdonava sempre.
Come quella volta in cui l’aveva aspettato sotto la
pioggia per ore e ore. Era stato lui a chiederle di andare a vedere insieme quel
nuovo film di Yukiko, il Filo del destino e lei aveva accettato con una gioia che
le aveva illuminato il viso e riscaldato il cuore, cancellando ogni imbarazzo.
Rosso, rosso.
Le guance di Ran la mattina dopo erano rosse. Rosse
di febbre, di lacrime singhiozzate e sonno perso a sussurrare il suo nome tra
le coperte fredde del letto.
Le labbra – rosse- morse a sangue.
Sangue,
sangue.
Il sangue era rosso
e vischioso.
Shinichi aveva visto tanto sangue in vita sua.
Sangue di medici e avvocati, di assassini e ladri, di
poliziotti, di ricchi e poveri. Donne e uomini bruciati dalla stoltezza bramosa
di un solo avido.
Sangue rosso sempre,
comunque.
Ceti diversi, linfa uguale e vischiosa.
La vita sgorgata via a fiotti, rifiutata da menti
già assopite, corpi assuefatti alla morte.
Conosceva a menadito ogni tonalità di sangue, aveva
dimestichezza con ogni sfumatura di quel rosso funesto, il colore vivo, caldo,
pulsante di quei casi ancora tiepidi
e irrisolti.
L’adrenalina infiammata, braci ardenti, fuoco rosso
sangue ad infiammargli il petto, ma non la ragione. Quel nodo soffocante alla
gola che gli strozza il respiro e gli stritola con un laccio di seta
inestricabile il cuore, è però qualcosa di nuovo, fastidioso.
Rosso, rosso
dappertutto.
Sulle mani e sui vestiti, sui polsi e tra i capelli,
sul viso diafano di lei riverso sull’asfalto e sempre più stanco, sempre più
pallido.
Sangue di innocente versato ad inzuppare l’altare
dell’ingordigia eterna d’insoddisfazione.
Conosce il rosso. Gli è usuale, proprio, come l’azzurro
limpido degli occhi di Ran quando gli ha detto di amarlo. Baka ha sussurrato e lo ha chiamato eroe. Gli ha sorriso Ran senza
rancore, con il sangue ad imbrattarle la bocca e le guance rigate di lacrime non
sue. Erano sue, sue maledizione!
Il sangue di Ran… Fa male -fa un male atroce ed
insopportabile anche solo pensarlo- è diverso da qualsiasi altro abbia mai
visto, l’occhio critico di analisi deduttive e associazioni per ricostruire
scena del crimine e movente. Adesso tuttavia non sa, non vuole pensare a nient’altro non
sia la vittima.
Il sangue di Ran è doloroso e quella ferita non sua brucia più di tutte quelle che si
è procurato in quegli anni, visibili e non.
E’ diverso.
Sa di sogni rubati, di amore innocuo e speranze profumate di una primavera appena
sbocciata, di un’attesa che si è conclusa solo nel momento in cui ha smesso di
essere necessaria e che ora si è spostata ad altri.
E’ un rosso cupo e traslucido, petali di rose calpestati
e stritolati. Il sangue di Ran sa di ribes e lui lo ha sempre odiato il ribes.
Una croce liquida a marchiarle il torace, lì dove sta la firma d’inchiostro cremisi
e nero della fine.
E’ rossa, vischiosa. E’ come il sangue. Il rosso che lei
ha sempre amato e ora le fa da vestito mortuario. L’agonia del tramonto cinabro
incornicia la figura immota e la pena straziante che la circonda, la non morte infame e
incandescente che bolla come vivi gli spettatori dell’omicidio di una colomba
innamorata.
“La
paura della morte tormenta l'uomo più della morte stessa.”
Non
ne aveva mai avuta, mai temuta per sé.
“I fiori sono delicati e fuggevoli... Se coperti troppo per proteggerli dal vento e dalla pioggia, appassiscono desiderando il sole.
Quando arriva la tempesta,
un fragile riparo non offre scudo... Non lo sai? Kudo?”
Ora lo sapeva.
Note
esplicative:
Bene…
cercherò di rendere quello che avete letto appena comprensibile. Non so cosa
abbiate capito, ma si è arrivati all’ultimo scontro, quello frontale e
diretto con l’organizzazione degli uomini in nero e il risultato è stata la
morte di qualcuno. Ci tengo solo a precisare Shinichi sia ritornato
momentaneamente – come al solito- diciassettenne grazie ad un antidoto provvisorio preparato da Ai. La morte a mio avviso in ogni guerra ricade sempre
su chi c’entra meno o appare come il più candido e meno coinvolto nel mezzo.
Ho
voluto giocare, parola grossa e male
utilizzata in questo contesto, in modo macabro e sadico col colore rosso. Le
ripetizioni, i tratteggi… beh, penso di aver calcato la mano e forse di esserci
andata giù pesante, ma sta soprattutto a voi lettori dirmi la vostra ed
esprimervi. Era mia intenzione rendere i pensieri di Shinichi ingarbugliati, dare l'idea fosse disorientato come un bambino che ha perso la madre nella folla. E’ il primo tentativo in questo fandom e quasi mi spiace sia così
triste l’argomento che ho trattato, ma che posso dire in mia difesa? Erano
le due di notte e avevo appena finito di vedere un horror con mia sorella – in realtà
ad esser sinceri ho visto poco e molto nulla dato che chiudevo gli occhi
praticamente ogni due secondi anche per il minimo scricchiolio- ma la sensazione di paura, disgusto, disagio,
confusione è rimasta e questo ne è stato il risultato. Spero di avervene
trasmesso un po’, ma soprattutto che questo scritto vi abbia dato qualcosa, un
saluto a tutti e un grazie sincero a chi leggerà, a presto ^^
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