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Autore: _Syn    10/08/2010    5 recensioni
Spagna/Sud Italia - SudItalia/NordItalia
Scritta per la community bingo_italia
“Niichan! Dipingi con me?” Feliciano era arrivato fino a lui, trotterellando e lasciandosi indietro i discorsi noiosi di Spagna e Austria.
Non sapeva perché quel giorno gli avesse detto di sì senza fare troppe storie, ma aveva accettato, e insieme avevano trovato un posto perfetto per osservare il panorama che si stendeva sotto di loro. Non era ancora il tramonto, perciò il sole era ancora alto nel cielo e i contorni dei luoghi erano definiti e non resi dolci e morbidi dalla luce morente della stella.
In poco tempo, Feliciano aveva già riportato sulla tela un angolo di quello spettacolo di colori, mentre Lovino era rimasto con il piccolo pennello in mano. Aveva semplicemente disegnato una macchia gialla al centro della tela. Sapeva che aveva sbagliato la posizione del sole, che non era al centro della scena che voleva rappresentare. Alla fine, senza riuscire a utilizzare il resto dei colori, aveva riempito la tela di macchie gialle. Ma quella centrale l’aveva dipinta in modo che risultasse più grande e più luminosa, perciò aveva insistito su quel punto con il pennello. Tutti gli altri soli – quelle piccole macchie gialle – non avevano nessuna importanza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autrice: alexiel_fay
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Spagna, Sud Italia, Nord Italia
Pairings: Spagna/Sud Italia - SudItalia/NordItalia
Rating: Giallo
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico
Avvertimenti: Incest accennato, One Shot, Shounen-ai
Prompt: Distanza Incolmabile

Link alla community
: http://community.livejournal.com/bingo_italia/
Link alla tessera
: http://alexiel-fay.livejournal.com/20132.html

Alcuni pittori trasformano il sole in una macchia gialla, altri trasformano una macchia gialla nel sole.

[Pablo Picasso]



Solo una macchia gialla


Spagna adorava il sole. Il pomeriggio, subito dopo pranzo, se ne aveva la possibilità usciva e si dirigeva verso i campi di grano, dove l’oro splendeva più che in una miniera. Sceglieva il momento della giornata in cui il sole splendeva talmente forte da stordire, e Lovino si era spesso detto che un giorno o l’altro sarebbe stato costretto ad andare a cercarlo per poi trovarlo svenuto lungo un sentiero.

Poteva anche essere la terra del sole, ma quella palla infuocata non risparmiava nessuno.

Il sole era più forte del solito quel giorno. I suoi raggi combattevano battaglie vittoriose contro le poche nuvole presenti nel cielo, riuscendo sempre a trafiggere quel biancore e rendendolo accecante.

Lovino si schermò gli occhi con una mano, la schiena poggiata al tronco di un albero e una piccola tavola da disegno sulle ginocchia; il pennello era insicuro tra le sue dita e le labbra piegate in una smorfia imbronciata. Era stato suo fratello a regalargli quella tavola – in realtà ne aveva portate a decine. In realtà erano anni che era subentrato l’uso delle tele, ma Feliciano aveva detto che il legno si associava meglio al carattere di suo fratello. Be’, in mancanza di ispirazione artistica, Lovino aveva già pensato all’uso che avrebbe potuto farne. E Spagna doveva aver intuito qualcosa, perché cinque minuti dopo era scoppiato a ridere e aveva messo un braccio intorno alle spalle di Feliciano, portandoselo a spasso per le sue terre.

Ci aveva allegato dei colori a olio, soprattutto colori caldi: rosso, giallo, arancione e tante variazioni. Fino a quel giorno, però, Lovino non aveva neanche preso in considerazione l’idea di prendere in mano una di quelle tavole per disegnare – dipingere, l’avrebbe corretto Feliciano – qualcosa. Avrebbe dovuto usare un supporto su cui poggiare la tavola, ma aveva preferito nascondersi in uno dei campi di pomodori per starsene tranquillo, contro un albero, alla ricerca di un solo motivo per cui fosse lì. A dipingere.

Non aveva neanche idea di quale sarebbe stato il suo modello. Aveva semplicemente preso la tavola dalla stanza in cui l’aveva rinchiusa, minacciando Spagna di morte violenta se solo avesse osato prenderla, ed era uscito, senza prendersi il disturbo di dirgli dove aveva intenzione di andare.

Sbuffò. Non aveva neanche neanche scelto con quale colore cominciare. Non che avesse molta scelta.

Non aveva voglia di usare il rosso. Avrebbe cominciato a disegnare pomodori e gli sarebbe venuta fame.

Neanche l’arancione era una buona scelta. Lo trovava un colore troppo cangiante.

Restava il giallo. Con quel colore avrebbe potuto dipingere un limone, una banana, i capelli di Francia e tante altre cose che non gli piacevano. Comunque intinse il pennello nel colore, senza sapere cosa fare.

Dannato sole...” borbottò, cercando di rintanarsi ancora di più sotto l’albero, alla ricerca di un punto più in ombra. Senza successo, Lovino si rese conto di aver cominciato a sudare e che nonostante il vento che frusciava debole tra le foglie, la calura non ne voleva sapere di dargli tregua.

Anche il sole era giallo. Un giallo talmente acceso che sarebbe servita un’abilità di certo più grande della sua per riportarlo sulla tavola. Lui non era bravo come Feliciano, non aveva il tocco. Feliciano riusciva a far splendere ogni cosa nei suoi disegni e anche a disegnare il buio. Solo che non gli piaceva più di tanto, infatti cercava sempre di mantenersi allegro. Probabilmente si teneva i disegni cupi e tristi per sé, senza permettere a nessuno di scovarli. O almeno così credeva Lovino. Anche se si rendeva sempre ridicolo quando si trattava di guerre e ritirate – quella faccia da schiaffi – anche lui doveva sentire il peso di quella situazione. Dopotutto, lui non era solo Feliciano. Lui era anche tanta altra gente oppressa dal peso della guerra, che con le scelte importanti non c’entravano nulla. Ed essere una nazione significava anche inglobare quelle sensazioni, emozioni e farsene carico. Magari, Feliciano le disegnava, quelle emozioni, ma non permetteva a nessuno di vederle continuando a fuggire e a disegnare conigli e campi fioriti.

Lui non aveva bisogno di scappare. Ormai era parte di qualcosa e, anche se a volte non gli stava totalmente bene, non aveva mai seriamente provato a scappare. Semmai, erano stati gli altri quelli che avevano provato a portarlo via da Antonio. Non è che stare con lui lo entusiasmasse a tal punto, ma Francia l’avrebbe fatto girare nudo anche per strada se avesse messo le mani su di lui.

Looovi, cosa fai?” sobbalzò e il pennello gli cadde di mano. Perché diavolo doveva sbucare fuori in quel modo? Lo fulminò con lo sguardo e lo mandò al diavolo.

Sparisci.”

Come se fosse diventato improvvisamente sordo, Antonio lo raggiunse sotto l’albero e poggiò la testa sulla sua spalla. Lovino guardò con nuovo interesse il pennello che aveva in mano e pensò qualche secondo al posto in cui avrebbe potuto infilarlo.

Non hai ancora dipinto niente?”

Lovino fece scattare la spalla, costringendo Antonio a sollevarsi.

Vuoi usare il giallo?” insisté Spagna, notando la punta del pennello. L’aveva intinta almeno dieci minuti prima, ma ancora non aveva deciso cosa fare. Il sole continuava a ferirgli gli occhi, mandando a fuoco il piede che non era riuscito a riparare.

Non c’è tanta scelta.” rispose brusco Lovino.

Avresti potuto chiedermi di prestarti i colori che ti servivano.”

Lovino lo guardò di sottecchi, senza voltarsi troppo.

Non ti ho mai visto dipingere, che ne potevo sapere.” replicò. Spagna rise.

Non sono bravo come Feliciano.”

Sempre Feliciano. Non passava mai il tempo quando Spagna lo nominava, era come se cominciasse a desiderare di essere da qualche altra parte. Aveva provato tante volte a non farsi pesare quella situazione, il fatto che non fosse mai abbastanza, ma non sapeva se il suo impegno fosse poco o semplicemente inutile. Feliciano era tutta un’altra scelta. Fuggiva come lui, era un fifone e finiva in guai sempre peggiori, ma piaceva più di lui. Persino Austria era riuscito a farselo piacere, o almeno era riuscito a tenerselo. E Spagna aveva cercato di prenderlo, senza mai riuscirci. Lui era stata la seconda scelta, o comunque la scelta obbligata.

Vai via. Ti avevo detto di non seguirmi.” disse Lovino. Non gli piaceva parlare di suo fratello con Spagna, era come ammettere il suo essere inutile. Era come ricordarsi che non sarebbero bastati tutti i colori caldi del mondo per rassicurarlo e non fargli sentire la mancanza di quell’idiota di Feliciano. Alla fine, per quanto fosse irritante e capace di attrarre l’attenzione di tutti, era suo fratello. Un fratello, ironia della sorte, da cui era sempre stato diviso.

Volevo vedere i tuoi disegni.” disse Spagna.

Non era solo una nazione avida, capace di invadere pure gli angoli più sperduti del mondo semplicemente per far vedere quanto fosse forte, ma era anche invadente.

Non disegno.”

E perché sei venuto qui con quella tavola, il pennello e i colori?”

E perché non ti fai gli affari tuoi, bastardo?”

Scrollò le spalle e lasciò cadere il pennello sulla tavola, macchiandolo appena di giallo. Piegò le gambe in avanti e la tavola ricadde sulle ginocchia. Il pennello invece rotolò in avanti, macchiandogli le gambe lasciate nude fino al ginocchio.

Dannazione! Feliciano ha detto che questi colori non vanno via!” urlò Lovino. Antonio rise e gli avvolse il collo con un braccio, costringendolo a piegare la testa di lato per poggiarla sulla sua spalla. “E mollami! Devo pulirmi prima che il colore si asciughi!”

Si dimenò con forza, cercando di liberarsi, ma Antonio, gli schioccò un bacio sulla tempia e gli disse di non preoccuparsi.

Andrà via.” gli assicurò “E poi a me il giallo piace.”

A me no! Lo odio!” ribatté Lovino, mollandogli un pugno nello stomaco, abbastanza alla cieca considerando che muovendosi la sua testa era andata ad affondare nel petto di Spagna.

E perché lo stavi usando?” chiese Antonio, allentando la presa. Questo permise a Lovino di sollevarsi e liberarsi. Aveva il fiatone.

Guardò prima lui e poi la macchia gialla sulla gamba.

Forse proprio per questo.” sussurrò. Non sapeva se Spagna l’aveva sentito o aveva fatto finta di non sentire, ma un secondo dopo, senza curarsene, si alzò in piedi e prese tavola e tutto il resto, andando via.

Avrebbe voluto dipingere il sole e poi distruggere la tavola, forse, ma non avrebbe cancellato niente. Il sole sarebbe rimasto lì, al solito posto, pronto ad accecarlo e sconfiggere le ombre nelle quali cercava rifugio. Antonio sarebbe tornato sempre, nella sua solitudine, e l’avrebbe fatto fuggire ancora. Una fuga inutile e senza strade sconosciute, una fuga che l’avrebbe riportato al punto di partenza. Al sole. Ad Antonio. Ai suoi occhi rivolti altrove.

Alla loro distanza incolmabile. E poi ricordò.



Non era la prima volta che il piccolo Italia veniva a far loro visita. Più che altro si trattava di incontri politici, niente di più.

Quella volta Feliciano aveva portato con sé tele e quadri terminati, alcuni dei quali avevano lasciato Spagna a bocca aperta. Lovino ricordava che Antonio aveva preso in braccio suo fratello, sotto lo sguardo allarmato di Austria, e gli aveva detto che poteva passare tutte le volte che voleva per mostrargli i suoi dipinti. Ci era mancato poco che Feliciano scoppiasse a piangere e accecasse Antonio con un pennello, cosa che aveva fatto esultare il diavoletto che c’era in Lovino. Poi era tornato a pulire l’ingresso di casa.

Niichan! Dipingi con me?” Feliciano era arrivato fino a lui, trotterellando e lasciandosi indietro i discorsi noiosi di Spagna e Austria.

Non sapeva perché quel giorno gli avesse detto di sì senza fare troppe storie, ma aveva accettato, e insieme avevano trovato un posto perfetto per osservare il panorama che si stendeva sotto di loro. Non era ancora il tramonto, perciò il sole era ancora alto nel cielo e i contorni dei luoghi erano definiti e non resi dolci e morbidi dalla luce morente della stella.

In poco tempo, Feliciano aveva già riportato sulla tela un angolo di quello spettacolo di colori, mentre Lovino era rimasto con il piccolo pennello in mano. Aveva semplicemente disegnato una macchia gialla al centro della tela. Sapeva che aveva sbagliato la posizione del sole, che non era al centro della scena che voleva rappresentare. Alla fine, senza riuscire a utilizzare il resto dei colori, aveva riempito la tela di macchie gialle. Ma quella centrale l’aveva dipinta in modo che risultasse più grande e più luminosa, perciò aveva insistito su quel punto con il pennello. Tutti gli altri soli – quelle piccole macchie gialle – non avevano nessuna importanza.

Era il sole, niichan?” aveva chiesto Feliciano, una volta tornato in braccio ad Austria. Lovino era, in maniera più difficile, in braccio a Spagna, ma sembrava sul punto di staccargli la testa a morsi.

Era solo una macchia gialla.”



Lovino si fermò in mezzo ad un campo con la tavola di legno in mano. La macchia che si era formata quando il pennello era caduto somigliava a quelle mille macchioline gialle che aveva disegnato tanti anni prima, priva di importanza. Improvvisamente, non sapeva perché e non voleva neanche chiederselo, si sentì terribilmente triste. Non arrabbiato, no. Non aveva voglia di andare da Spagna per picchiarlo, non aveva voglia di urlare e abbuffarsi di pomodori per poi andarsi a cercare compagnia da qualche parte.

Si rese solo conto che, in quella immensa tristezza, non era stato in grado di disegnare una macchia gialla che ricordasse il sole come aveva fatto da bambino. Si rese conto, mentre il sole tramontava, che non era più in grado di trasformare una macchia gialla nel sole, ma che il suo sole, quello che odiava ma a cui doveva restare aggrappato, era diventato una macchia gialla insignificante. Di fronte a quel “dipinto” Feliciano non gli avrebbe più chiesto “Era il sole, niichan?”. Solo: “E’ una macchia gialla, niichan?”

Solo una macchia che non andava via. Solo la distanza tra lui e il vero sole, quello che avrebbe voluto davvero vedere, sentire e osservare insieme a suo fratello. Quello che valeva la pena dipingere senza sentirsi stupidi. Senza sentirsi soli.

Sì... si sentì davvero, terribilmente, triste.



Quando tornò a casa, come fosse l’unica cosa da fare – alternative non ce n’erano – all’ingresso trovò una tela vecchia di anni, un pochino rovinata dalla polvere, e ricoperta di macchie gialle. Al centro, brillante e luminoso nonostante il grigiore della polvere, il sole brillava come non mai.

Bastardo...”sussurrò mentre gli occhi bruciavano. Era stato lui a cacciare fuori quel quadro. Respirò un po’ più velocemente quando pensò che doveva averlo conservato per tutti quegli anni, che non l’aveva buttato via perché credeva fosse un insulto all’arte e sicuramente non all’altezza delle opere di suo fratello.

Sfiorò con un dito la tela ed era calda, quasi rassicurante, e aveva anche il profumo di Feliciano. Un secondo dopo sentì la sua mancanza come se fosse all’inferno e dopo, quando prese la tela tra le mani, lo sentì un po’ più vicino. Quello stupido...

Sentiva che era una cosa stupida da fare, più stupida di Antonio, ma non riuscì a pensarci troppo a lungo prima di fermarsi. Abbracciare un quadro era davvero da pazzi.

Sentiva le ginocchia tremare e la distanza farsi dolorosa come una spada conficcata nel petto, ma quel sole lo stava riscaldando come non aveva mai fatto.

Rimase immobile, lì, per quelli che sembrarono anni. E poi aprì gli occhi, lentamente, e sentì la mano di Spagna poggiarsi sulla sua spalla e accarezzargli la schiena.

Delicato, come se si stesse trattenendo. Di un calore piacevole, come se stesse impedendo alle fiamme vere di avvolgerlo. Come se lo amasse davvero ed esistesse solo lui, in quel momento.


Spagna adorava il sole.

Lovino ne amava uno diverso.


  
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