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Autore: _Syn    13/08/2010    1 recensioni
Ri-pubblico questa storia perché è in arrivo un prequel e, probabilmente, un piccolo sequel.
TykixLavi
“Affascinante come l'acqua possa andare via e al tempo stesso restare.”
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Rabi/Lavi, Tyki Mikk
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questa one shot partecipa all'iniziativa: “Ovosodo Challengecon i seguenti sei prompts:

Liberazione, Ombrello, Città, Panchina, Rifiuti, Quadro.

Note di Alexiel: Alcuni ricorderanno questa storia *forse*. La ripubblico qui perché sto scrivendo un prequel che, credo, conterà due capitoli, e un mini sequel - non so ancora se si tratterà di una one shot o di una flashfiction. 

Grazie per l'attenzione e buona lettura ^_^

Alexiel.



Immagini da panchina


Dettagli. Dettagli e momenti possibili da prevedere così da evitare spiacevoli sorprese, compresa un'influenza causata da un temporale non preso in considerazione.

Erano quelle le componenti fondamentali su cui si basava la filosofia quotidiana di Lavi. Se non avesse fatto attenzione ai dettagli – cosa che ormai faceva naturalmente, senza pensarci – avrebbe fatto fatica a mandare avanti la sua vita senza restare ingarbugliato nei suoi e nei problemi degli altri.

Ombrello, fascia, chiavi, portafogli.” elencò a bassa voce, mentre si avvicinava alla porta per poter finalmente uscire. Anche se era buio riuscì a evitare il portaombrelli a forma di mano gigante cava che Allen gli aveva regalato un mese prima, per il suo compleanno, dicendogli che l'aveva trovata macabra al punto giusto e quindi perfettamente abbinata alla benda che gli copriva l'occhio. Il tutto detto con un sorriso sincero e privo di intenzioni scherzose: non l'aveva preso in giro neanche per un attimo. Forse, per quel motivo a Lavi piaceva così tanto quel ragazzo.

Era ingenuo al punto giusto, a tanto così dal non entrare a far parte degli ingenui idioti. Allen era ingenuo e basta. Un ingenuo educato, con le sue sane e buone abitudini inglesi.

E a proposito di abitudini inglesi... erano le cinque del pomeriggio, ora di massima importanza per chi ha bisogno di gustare un ottimo tè al limone con biscottini al burro per far sì che il pomeriggio prosegua nel migliore dei modi. Per Lavi, le cinque del sabato pomeriggio coincidevano semplicemente con la passeggiata quotidiana per la città, quella che gli permetteva di incamerare nuovi dettagli, respirare smog a pieni polmoni e magari andare a trovare Kanda in ufficio per chiacchierare e chiamarlo “Yuu-chan” davanti a capo e colleghi.

Cominciò a fischiettare un motivetto che aveva sentito una volta in un bar, durante una sfida a colpi di karaoke e estrasse l'ombrello dalla mano cava. Le fece “ciao ciao” con la mano libera e quasi si aspettò che quella cominciasse a chiudersi a pugno e aprirsi e chiudersi ancora per rispondere.

Sarebbe stato divertente.




Quel giorno avrebbe piovuto, ecco perché Lavi si era portato dietro l'ombrello. Niente di personale contro i meteorologi che invece avevano previsto una giornata di sole e una sera tranquilla, stellata e appena umida. Nah, Lavi sapeva perfettamente che quel giorno di settembre avrebbe piovuto e che quell'ombrello gli sarebbe stato utile per non incappare nelle infernali cure dell'infermiera che viveva proprio al piano di sotto e sembrava avere il vizio di controllare gran parte dei vicini per assicurarsi che stessero bene.

Prendeva il suo lavoro talmente seriamente che Lavi aveva imparato a rabbrividire, riconoscendo i suoi passi affrettati all'ingresso, quando sapeva – a nessuno era dato sapere come – che stesse male, o che si fosse accidentalmente ferito. In verità non si feriva quasi mai, tranne quando Allen e gli altri andavano a trovarlo e, durante la festosa baldoria, poteva capitare che si tagliasse con i piattini di plastica oppure si bruciasse contro il forno che Lenalee aveva lasciato acceso senza accorgersene. Tanto, la bolletta del gas era sua.

Odore di pioggia, sì.” disse, camminando per le strade affollate della città facendo dondolare l'ombrello lungo il fianco destro. Il cielo era macchiato solo da poche nuvole, ma Lavi poteva quasi vedere il grigiore minaccioso all'orizzonte, pronto a nascondere il sole caldo e luminoso che, per ora, rendeva allegro quel panorama.

Gente che correva perché in ritardo per il turno pomeridiano al lavoro, bambini urlanti diretti al parco con palloni, aquiloni e macchinine telecomandate. Le ragazze si rintanavano nei cinema, invece, oppure nei negozi dotati di aria condizionata per godere di quegli ultimi giorni di vacanza, prima che ricominciassero gli studi. Altri affollavano le gelaterie, osservando golosi le vaschette piene di delizie alla fragola, al limone, al cioccolato...

Era tutto come al solito. La commessa del negozio accanto alla gelateria urlava sottovoce al telefono, attenta che nessuno entrasse e pronta a esibire il migliore dei sorrisi se fossero arrivati clienti. La pasticceria di fronte, invece, mostrava la torta del giorno e il paffuto commesso alla cassa lanciava occhiate avide a quel capolavoro alla crema.

Sì, ogni cosa procedeva come sempre, a volte con frenesia, altre con calma. Era routine, ma Lavi aveva imparato ad apprezzarla nonostante fosse sempre tutto identico. Era divertente, dopotutto, poter immaginare cosa sarebbe successo se una cliente fosse entrata nel negozio della commessa urlante, beccandosi improperi senza che li meritasse; oppure, sarebbe stato esilarante ritrovare il cassiere paffuto spiaccicato contro il vetro nel tentativo di lanciarsi contro la torta.

Erano scenette divertenti, anche se sempre uguali.

Lavi rise tra sé e sé, fermandosi automaticamente al semaforo. Conosceva quelle strade a memoria, ci viveva da sempre; ma, nonostante certe cose fossero abitudinarie e continuamente viste, Lavi si stupiva sempre nel trovare novità. Purtroppo, anche se riusciva a ricordare ogni dettaglio con facilità estrema, ancora non era riuscito a sviluppare capacità divinatorie. Quindi, così come il mese prima era stato trascinato da Lenalee al concerto di chissà quale pop-star arrivata in città da pochi giorni, quel giorno si ritrovò a bocca aperta – non appena attraversò la strada – davanti a un cartellone pubblicitario che annunciava l'apertura di una galleria d'arte, dedicata a un pittore esordiente ma che sembrava aver estasiato già tanti critici.

Lavi restò qualche secondo davanti al cartellone, ricalcando con lo sguardo la scrittura elegante e raffinata del nome dell'artista e il titolo della mostra.

Tyki Mikk: Immagini da Panchina.


Nome d'arte, forse? Lavi non ne aveva idea. Una mano in tasca e l'altra stretta intorno all'ombrello, il guercio si chiese se non fosse il caso di andare a dare un'occhiata. E poi, il titolo della mostra aveva un che di... magnetico. Dopo averlo letto, Lavi si sentì improvvisamente incompleto. Sapeva bene cosa vedeva nei pomeriggi estivi o invernali che fossero se sedeva su una panchina al parco; ma non aveva idea di cosa ci vedesse quel Tyki. Magari sarebbe stato interessante e avrebbe avuto un luogo in cui ripararsi dalla pioggia.

Ormai, mancava davvero poco. Il vento era più forte e le nuvole correvano l'una dietro l'altra per arrivare prima e scatenarsi, donando alla città schegge d'acqua in cui riflettersi.


Dopo aver letto l'indirizzo e aver scoperto che la galleria non era neanche così lontana, Lavi si mise in marcia, ripescando vecchi ricordi riguardo i suoi rapporti con l'arte. Non che non gli piacesse, però non era mai stato in grado di capire come facesse certa gente a tenere in mano una matita o un pennello e a riprodurre fedelmente quello che vedeva, senza sbavature. Se queste c'erano, allora rendevano il tutto più affascinante e personale.

Il vecchio Panda – praticamente l'aveva cresciuto e insegnato tutto ciò che sapeva – gli aveva sempre detto che lui non era il tipo adatto per dipingere qualcosa, quando a dieci anni aveva provato a disegnare quello che vedeva fuori dalla sua cameretta come compito per la scuola. Non ne era venuto fuori nulla di buono, nonostante la sua maestra gli avesse detto che il suo disegno era bellissimo.

Panda gli diceva sempre che lui era il tipo adatto a osservare, uno di quelli che con il proprio sguardo attira quello degli artisti, i quali finalmente, scrutando nelle iridi curiose e pensose, trovano il luogo adatto per creare capolavori.

Ecco, lui era tramite dell'arte, qualcosa che, pur non avendo un ruolo attivo, concorreva alla creazione di opere d'arte.

Non aveva capito, all'epoca, se il vecchio Panda glielo avesse detto per tirarlo su di morale o perché lo pensasse davvero. In quel momento, ritrovando quel ricordo ricoperto di polvere, Lavi pensò che era così. E poi, Bookman non diceva mai qualcosa tanto per dire, men che meno a lui.

Però, dovette ammettere che quel vecchio disegno era inguardabile.


La galleria avrebbe aperto alle sette in punto. Ormai erano le sei e mezza e non mancava molto; alcune persone si erano già riunire di fronte all'ingresso, vestite elegantemente, con dépliant alla mano e paroloni altisonanti sulla lingua per definire la bravura eccelsa dell'artista.

Guardandosi dal basso, Lavi si rese conto di aver indossato una semplice felpa nera, un paio di pantaloni bianchi che avrebbero avuto bisogno di una stiratina e una sciarpa arancione. Di fatto, il suo abbigliamento strideva enormemente rispetto a quella folla elegante.

Ma non vi fece troppo caso, sedendosi su una panchina lì accanto, in attesa. Diede un'occhiata all'ingresso e notò un altro cartellone.

L'occhio verde di Lavi fu immediatamente catturato dal contrasto luce-oscurità che avvolgeva l'immagine. C'era una farfalla nera, circondata da un'aura viola scuro, e dietro di lei si poteva scorgere lo zampillo luminoso, limpido di una fontana. Ma era visibile solo il delicato e sottile getto d'acqua che finiva nell'aura violacea della farfalla. Tutto intorno c'erano solo macchie confuse di colore. Forse quel blu che sfumava nel rosso in un modo che Lavi reputò geniale era il cielo e le chiazze verdi-nere erano cespugli, prati...

Comunicava qualcosa che non poteva essere immediatamente spiegato a parole. Sta di fatto, però, che quell'immagine attirava, affascinava a modo suo. Non era il soggetto ad attirare l'attenzione – una farfalla era piuttosto banale – ma il modo in cui tutto era dipinto. Lo zampillo che incrociava il volo della farfalla, il modo in cui luce e ombra convivessero perfettamente nei colori e nelle emozioni.

Lavi rimase in silenzio per qualche minuto, così, in muta contemplazione del quadro. Era solo una trasposizione su di un poster... si chiese cosa avrebbe provato una volta entrato e visto l'originale.

Intanto, proprio mentre distoglieva l'attenzione dal poster, il suo olfatto fece suonare l'allarme pioggia. L'odore era sempre più forte, ormai chiunque avrebbe dovuto capire che l'acqua stava per scendere dal cielo.

Controllò l'orologio: sei e quarantacinque. Mh, sarebbe stato consigliabile aprire con qualche minuto di anticipo la galleria per evitare calche sotto balconi e cornicioni per non bagnarsi a causa del temporale.

Lui non avrebbe avuto problemi. Aveva portato l'ombrello, quella panchina su cui era seduto era lontana da alberi, possibili bersagli di fulmini, e in ogni caso la pioggia non lo disturbava più di tanto, fin quando se ne restava all'asciutto ed evitava malanni.

E poi era una tiepida giornata di fine estate, non avrebbe rischiato nulla. Al massimo avrebbe pasticciato un po' sul pavimento della galleria una volta entrato. Si chiese divertito se il suo ombrello avrebbe accettato di essere riposto in un banale e assolutamente normale porta ombrelli, rinunciando per una volta alla gigantesca e macabra mano cava.

Era difficile, dopotutto, passare da uno stato di anormalità ad uno di normalità. Così come lo era il contrario.

Ancora pochi secondi e deboli tuoni e lampi avrebbero annunciato la tempesta. Lavi si sfiorò la benda nera che gli copriva l'occhio destro e si sistemò la fascia verde sulla fronte facendo risalire la mano. Ormai era ora di aprire l'ombrello. Si alzò dalla panchina.

Posso approfittare?” chiese una voce, mentre Lavi apriva l'ombrello. Proprio in quel momento, il primo lampo, quasi invisibile nel cielo non completamente scuro, comparve, subito seguito dal tuono.

Davanti a lui, elegante come la maggior parte della gente lì riunita – ma con qualcosa nell'aspetto che Lavi definì stridente rispetto a qualunque cosa avesse mai visto, non per questo spiacevole – c'era un uomo. Sorrideva lievemente e guardava lui.

Non è che lo stesse solo guardando. Era uno sguardo... nello sguardo. Era una sensazione che si prova solo quando ci si trova davanti a qualcosa di così meravigliosamente bello che ti viene naturale pensare che l'oggetto che ha colpito la tua attenzione abbia voglia di guardare te per ringraziarti di tanta attenzione e stupore.

Una collisione di sguardi, come lo zampillo d'acqua che era finito nell'aura oscura della farfalla, contaminando la purezza senza necessariamente risultare meno interessante.

L'ombrello aperto in mano, ma non ancora sulla sua testa, Lavi indicò prima quest'ultimo e poi lo straniero – perché non gli pareva fosse di quelle parti – ed egli annuì, senza levarsi dalla faccia quello strano sorriso.

Grazie.” disse, accomodandosi sotto l'ombrello che Lavi aveva finalmente sollevato. Non pioveva ancora a dirotto, solo qualche lieve e rada goccia aveva reso l'asfalto maculato, allarmando la folla.

Di niente.” rispose Lavi, senza aggiungere altro. L'uomo accanto a lui pareva perfettamente a proprio agio. Non sembrava aver fatto caso all'abbigliamento di Lavi, non l'aveva guardato con aria di sufficienza di fronte a quella mancanza di raffinatezza.

Egli, invece, pareva essere uscito da un quadro. Gli occhi sottili e dorati – un colore che Lavi non ricordava d'aver mai visto – scrutavano davanti a lui, verso un punto non definito. Pareva stesse osservando l'entrata della galleria, ma Lavi sentiva – solo una sensazione, niente di certo – che quell'uomo stesse guardando il vuoto, come scavando nell'atmosfera per trovare qualcosa di insolito, impossibile, che nessun altro avrebbe mai potuto notare.

Non si soffermava sui dettagli, come faceva Lavi, ma li spiegazzava come fossero fogli di giornale, per cercare una notizia non esattamente lampante, evidente, ma nascosta. Una notizia che avrebbe potuto trasformarsi in qualcosa di più, nonostante non fosse in prima pagina.

Magari cercava qualcosa che in realtà non c'era. Forse vedeva il futuro.

Lavi creò quei pensieri all'improvviso, senza neanche riflettere più di tanto sul perché lo stesse facendo. E intanto il tempo passava e l'uomo sotto il suo ombrello sembrava non avere intenzione di rivolgergli la parola o andare da nessuna parte.

La pioggia, però, non avrebbe smesso di scendere entro breve.

E' qui per la mostra?” chiese Lavi, guardando le gocce di pioggia – ormai sempre più frequenti – scivolare sull'ombrello e ricadere, come a formare una prigione intorno ai loro corpi. Brillavano se colpite dalla luce dorata del lampione alle loro spalle.

Diciamo di sì.” fu la risposta enigmatica dell'uomo ancora senza un nome. “Anche tu?”

Il fatto che gli stesse dando del tu lo infastidì solo all'inizio, ma si rese conto che l'aveva fatto in maniera naturale, senza mostrare l'intenzione di essere scortese.

Già.”

Potrebbe essere interessante, non credi anche tu?”

Finalmente si voltò, guardandolo ancora una volta. Aveva davvero, ma davvero davvero, gli occhi più strani che Lavi avesse mai visto. Inoltre, la pelle chiara e i capelli scuri e ondulati e quell'aria nobile, quasi, enfatizzata dalla forma delle labbra, lo rendevano davvero – ancora davvero, davvero – un personaggio che avrebbe potuto essere uscito da un dipinto.

Lavi era abituato, dopotutto, a cogliere ogni dettaglio. Non era colpa sua se di fronte a qualunque cosa – animata o inanimata – dovesse attivare la funzione di “scansione completa”. Eppure, davanti a quello sguardo luminoso, frastagliato sicuramente da ombre (gli tornò alla mente una frase di Bookman: dove c'è luce, lì troverai sicuramente anche più ombra di quanto possa pensare), Lavi credette che non fosse semplicemente per causa di quella sua abitudine che i suoi occhi stessero osservando così attentamente l'uomo.

Sì, credo di sì.”

L'altro sorrise e, chissà per quale motivo, sfilò il guanto bianco dalla mano e allungò il braccio fuori dalla protezione offerta dall'ombrello. Alcune gocce colpirono la pelle chiara, scivolando via e lasciando una scia bagnata.

Affascinante come l'acqua possa andare via e al tempo stesso restare.” sussurrò, ma Lavi colse esattamente ogni parola e, automaticamente, il suo sguardo si posò ancora sul poster della farfalla e dello zampillo.

Il nastro sottile d'acqua non era completamente unito. Alcune gocce, che aveva notato anche prima – ma che ora comprendeva meglio grazie alla frase pronunciata dall'uomo – si allontanavano, pronte a ricadere oltre, a sparire, se non fosse stato tutto immobile. Nonostante ciò, pochi secondi prima quelle gocce dovevano far parte dello zampillo. Ora non più.

Quindi cos'era successo all'acqua? Restava la stessa... si privava di alcuni frammenti... cambiava, dunque?

Solo domande, solo riflessioni improvvise che avrebbe voluto comunicare al suo “compagno d'ombrello.” Ma quando si voltò, non c'era più. Era scappato dalla prigione di pioggia.


§ § § § §


Quando, cinque minuti dopo, Lavi si ritrovò al calduccio nella galleria, circondato da gente che pareva conoscere a memoria l'Enciclopedia dell'Arte oppure ignorare persino il significato della parola “pennello”, pensò che non era mai stato in un luogo del genere.

Solo una volta, durante una gita scolastica alle medie, aveva visitato un museo – ma era il museo di storia naturale, perciò non faceva testo. Era strano che proprio lui, che osservava ogni cosa, studiando i dettagli, non fosse mai entrato in una galleria d'arte.

L'arte, forse, non doveva essere osservata. Ma sentita, percepita e considerata da un punto di vista – di anima – che Lavi non aveva sviluppato a pieno. Oppure non ce l'aveva quell'anima adatta a comprendere il sentimento di una macchia di colore.

Le mani in tasca e i capelli rossi arruffati per l'umidità che si era beccato là fuori, Lavi cominciò a guardarsi intorno, per decidere dove girare. Andare dritto? Cosa c'era davanti a lui? Uno stuolo di studentesse, probabilmente, tutte intente a prendere appunti di fronte ad un quadro che neanche riusciva a vedere completamente. Negativo.

A destra c'erano vecchi signori che parevano essere presi più dalle loro argute (noiose) discussioni che dal quadro che coprivano con la loro disinteressata presenza.

A sinistra, infine, c'era un vuoto, in un angolo quasi nascosto della galleria. Bastava svoltare e ci si ritrovava in un minuscolo corridoio appena illuminato, celato da un drappo color panna. Chiunque avrebbe pensato che quella strada portasse ai bagni, oppure alla stanza dell'artista o in un luogo che a nessuno sarebbe venuto in mente di visitare. Era come se quel quadro non dovesse essere visto. Ma Lavi era abituato a notare i dettagli più insignificanti, perciò fu in grado di individuarlo. Era un vuoto strano, Lavi neanche se ne rese conto, poiché il suo sguardo era stato catturato dal quadro che, quel vuoto, lo riempiva peggio di un pugno nello stomaco, ma di quelli che ti lasciano un dolore allucinante e ti fanno lacrimare finché non ti accasci a terra, le ginocchia distrutte e il fiato in viaggio per Haiti.

No, Haiti non c'entrava affatto con quello che la semplice cornice racchiudeva.

Incuriosito, colpito, il guercio si avvicinò alla parete su cui il quadro era appeso e si fermò. Da qualche parte c'era sicuramente anche il quadro dello zampillo e della farfalla, ma in quel momento Lavi sentì di dover vedere, sentire, respirare... quello. Non che avesse l'espressione di chi sta andando in estasi, di chi potrebbe svenire sul posto, colto dalla sindrome di Stendhal.

Solo, si sentiva come se qualcosa, finalmente, avesse smosso gli ingranaggi che facevano funzionare la routine quotidiana. Era novità, qualcosa di bizzarro a cui non c'era neanche bisogno di dare un nome.

Sulla tela – non era importante capire se fossero colori a olio, a tempera, acquerelli o anche pennarelli – era rappresentata una delle scene più semplici ma al tempo stesso ambigue che Lavi avesse mai visto.

C'erano le ombre di due persone, uomini per la precisione, che occupavano gran parte dell'immagine. Erano vicini, talmente vicini che potevano toccarsi e, sicuramente, sentire il profumo l'uno dell'altro. Anche se le loro labbra erano invisibili poiché si trattava di semplici ombre, Lavi parve intuire che non stessero parlando.

Erano in perfetto silenzio. La mano di uno dei due, se il suo occhio non l'ingannava – oppure la sua anima bambina – sfiorava quella dell'altro, con un gesto che sapeva di malizia. Una malizia che a Lavi fece sentire l'odore del bianco e del nero. Perché, se da una parte si sentì quasi imbarazzato – come se una delle ombre fosse lui – contemporaneamente avvertì il bisogno doloroso di sentire, toccare a stringere quell'ombra di carne e sangue. Voleva che comparisse, che gli svelasse il suo volto e portasse entrambi nel luogo del quadro.

Solo due ombre, due ombre vicine.

Restò a guardare quel quadro forse per minuti interi, o un'ora, non avrebbe saputo dirlo con certezza. Più lo guardava e ne respirava i colori, più sentiva l'anima liberarsi. Era una liberazione poter osservare qualcosa e non riuscire a coglierne ogni particolare. Lui, proprio lui che aveva il dono dell'osservazione e del dettaglio.

Sapeva di liberazione, proprio così. Qualcosa che si poteva stringere esattamente come si stringe un'ombra. Qualcosa che c'è sulla tua mano, la vedi, eppure fugge via, lasciando come frammento solo un brivido.

Affascinante come l'acqua possa andare via e al tempo stesso restare.”

Le parole di quell'uomo... Gli tornarono alla mente perché ciò che valeva per l'acqua, valeva per quella sensazione che stava lentamente accarezzando ogni parte del suo corpo. I suoi occhi non riuscivano a staccarsi dall'immagine, dalle ombre vicine.

Che cosa strana.

E' il mio preferito.”

La stessa voce, la stessa eleganza nelle parole e la stessa, stessissima dissonanza. C'era luce e oscurità in quella voce, ma Lavi mentre si lasciava invadere dal suo suono non seppe dire quale delle due parti prevalesse, e forse era anche questo che affascinava l'anima.

Anima bambina, anima dilettante... Vieni da me.

L'ho dipinto solo qualche giorno fa.”

Lavi sgranò l'occhio sano, abbandonando finalmente l'immagine per guardare lui.

Tyki Mikk.

Sei tu l'artista?”

Esatto. Ma sono in incognito, guercino, perciò...” mentre lo diceva, sollevò un braccio e portò davanti alle labbra il dito indice, mormorando un: “Shhhh”.

Artista in incognito. E lui cos'era, allora? Gli venne naturale chiederselo, visto che l'artista aveva deciso di rivelarsi proprio a lui.

Nah, non mi convince.” replicò Lavi, rendendosi conto, alla luce soffice e chiara della galleria, quanta bellezza oscura risiedesse in quelle iridi dorate. Ombra... C'è luce, quindi c'è ombra.

La luce è solo il mezzo per finire nella trappola delle ombre. La luce mostra le ombre, ma non per questo ne svela l'essenza. E tu, anima bambina, hai bevuto le mie ombre.

Non credi che sia io l'artista?” rise in maniera pacata, gonfiando il petto e portando una mano su di esso, per poi leccarsi le labbra e restare un po' a guardare lui, Lavi, mentre il dubbio si faceva strada.

Perché rivelarsi?” domandò Lavi, incrociando le braccia. La gente intorno a loro non faceva caso a quella discussione, erano tutti estremamente presi dai colori, dalle immagini e dalle ombre luminose. Anche gli uomini che prima chiacchieravano senza far caso a nulla ora sembravano presi da quell'arte magica.

Ho notato che la musa di questo quadro ha riconosciuto la sua ombra.” rispose semplicemente, con una sicurezza e una convinzione che spiazzarono Lavi.

Musa. Sua ombra.

Schiuse le labbra, come per formulare una muta domanda. Non era possibile che avesse capito male. Ma non poteva essere così. No, era tutta una presa in giro. Quel tipo non l'aveva neanche mai visto.

Aaaah, ti piace attirare ammiratori e, mah-”

Saresti un mio ammiratore?” lo interruppe Tyki. E Lavi, in verità, gli fu immensamente grato, dato che stava per sparare una grossa sciocchezza.

Tuttavia, in quel modo la situazione si faceva, se possibile, ancora più imbarazzante. E le ombre, sinuose come serpenti, stavano lentamente prendendo possesso delle facoltà mentali di Lavi. Quegli occhi... Dannati.

Non l'ho detto.”

Quindi questo quadro non è di tuo gradimento, dico bene?”

Ancora quel mezzo sorriso, quelle labbra piegate in quello che magari, a qualcuno, sarebbe sembrato un ghigno canzonatorio. Ma Tyki non aveva intenzione di prenderlo in giro, almeno non nel senso comune del termine.

C'era decisamente qualcos'altro.

Forse avrebbe dovuto stare al gioco, forse fingere. Ma non era certo che avrebbe funzionato.

Si strinse nelle spalle e sollevò gli avambracci, facendo un movimento fluido e rotatorio con le mani.

Non è male.” rispose, restando sul vago. Neutro. Forse ne sarebbe uscito vivo, in quella maniera. Ma, ancora, non ne era del tutto sicuro.

Infatti, Tyki sorrise e si volse a guardare il quadro, avvicinandosi poi a Lavi. Gli sfiorò la spalla ed in quel modo erano nella stessa posizione in cui si trovavano le due ombre del dipinto. A Lavi, in quel momento, parve di vedere una di quelle farfalle scure, avvolte dal viola, svolazzare proprio davanti a loro, mentre pensieri simili a zampilli d'acqua si frammentavano, diventando semplice confusione.

Forse ho dimenticato l'ombra di...” voltò appena il busto e toccò con la mano, di nuovo fasciata dal guanto bianco, un ciuffo di capelli di Lavi “questi, nel dipinto.”

Lavi sentì il suo respiro sulla pelle e rabbrividì ancora. Deglutì.

Ma sai, quel giorno riuscivo a vederti solo di spalle, non sono riuscito a cogliere ogni... dettaglio. E, uhm, sì, penso me ne manchino molti altri.” continuò, sussurrando e piegando le labbra nello stesso sorriso. Creava luce e intrappolava Lavi nelle ombre, con quelle labbra.

Chi diavolo era Tyki Mikk?

Un pedinatore? Un pittore? Un pazzo?

Lavi rimase in silenzio, affogando nell'ombra di quel quadro e scorgendo la verità che era insita nelle parole di Tyki. Sì... quello era lui. Sfiorò ancora una volta la spalla dell'artista, ricordando i brividi che aveva avvertito solo pochi minuti prima, quando si era ritrovato davanti a quel quadro. Erano gli stessi.

Tyki, senza dire nulla, osservava quelle due ombre insieme a lui. Guardava nello specchio. L'ombra sospesa nella bellezza nascosta di quel dipinto, la luce ipnotica incastonata nell'oro di quegli occhi che, seppur concentrati altrove, non gli donavano pace.

E Lavi guardava se stesso. Un passato neanche troppo lontano, un passato in cui, in piedi dietro la panchina di un parco, osservava il sole dietro le chiome degli alberi. Un passato in cui, insieme ai suoi dettagli, respirava, rendendosi conto che essi non bastavano. Il respiro tramontava insieme al sole, disegnando ombre confuse intorno a lui. Il sole moriva e uno sguardo curioso, attratto da quella solitudine appena compresa, dipingeva piano la basilare essenza di quel ragazzo.

Non c'erano dettagli da scolpire, da dipingere, da ricordare.

Cosa vuoi da me?”

Tyki parve ignorare la domanda di Lavi e, frugando nelle tasche della sua pregiata giacca, estrasse un pacchetto di sigarette e un accendino.

Guarda che è vietato fumare, qui dentro.” obiettò Lavi, osservando con disappunto quelle sigarette – lui odiava le sigarette, proprio non poteva sopportarle. Eppure, mentre l'artista ne metteva una tra le labbra, tenendo l'accendino in mano, senza osare accenderlo, Lavi provò una punta – invisibile, eh – di insano desiderio dentro. Qualcosa di assolutamente folle, neanche si fosse trattato della pazzia del secolo.

Oh. Allora temo che dovremo uscire di qui. Tu che ne dici, Lavi?”

Non è la tua mos... Ehi, un momento! Come diavolo sai il mio nome?!”

Ancora un po' e l'avrebbe aggredito. Non gli importava che fosse un artista, probabilmente ricco sfondato a giudicare dall'aspetto, pieno di avvocati e anche amici poco raccomandabili; Lavi voleva solo levargli quell'assurdo sorriso – ghigno, o quello che era – dalla faccia, e cercare di capire cosa volesse da lui. Anzi no, voleva solo andare via – ma prima riempirlo di botte – e tornarsene a casa con il suo ombrello.

Il tuo amico albino ti ha chiamato così. Il suo nome non l'ho sentito.” aggiunse, come a sottolineare il fatto che a lui interessasse solo Lavi, niente e nessun altro. Il che, a dirla tutta, rendeva la situazione più inquietante di quando già non fosse.

Bene.

E rispondendo alla prima domanda,” riprese, prima che Lavi potesse replicare di nuovo “non mi interessa affatto ciò che questa gente pensa dei miei quadri. Né avevo intenzione di concedere la mia arte al pubblico. Ma sai... sorprenderti qui, davanti a tutta questa gente, ha reso le cose molto più interessanti.”

La sua spiegazione sarebbe potuta uscire da uno di quei romanzi thriller, pieni di quella suspense che ti ammazza fino a che non arrivi alla fine del libro e scopri che il protagonista che ti piaceva tanto in realtà è un pazzo psicopatico.

Tuuu sei pazzo.” tre parole che riassumevano alla grande ciò che pensava dell'artista. Lui non sprecava parole né costruiva discorsi articolati e pieni di allusioni e pause per creare chissà quale atmosfera. Lavi, al massimo, prolungava le vocali.

Probabile. Non ho mai detto di essere un normale essere umano. Ma a me piacciono le cose interessanti.”

Buon per te. A me piacciono i martelli.” non era partito con l'intenzione di far suonare quella frase come una minaccia – anche se non gli sarebbe dispiaciuto prendere il martello gigante che aveva a casa e spaccarglielo sulla testa* – ma a lui piacevano davvero i martelli.

Un giorno, allora, mi farai vedere la tua collezione di martelli, magari. Ora... perché non andiamo?” la sicurezza ostentata da quel tipo, mentre teneva ancora quella cazzo di sigaretta tra le labbra – e nessuno sembrava accorgersi di nulla – era incredibile. Era ovviamente convinto che Lavi sarebbe andato con lui, che alla fine si sarebbe risolto tutto con un assenso da parte del guercio e una soddisfazione per l'artista.

Comodo. Lavi, dunque, non aveva scelta?

Non esco con gli sconosciuti.” avrebbe anche potuto raccontare una barzelletta pessima e ballare come un invasato per la galleria, facendo scappare tutta la gente riunita, ma non avrebbe ottenuto niente. Anzi, semmai, facendo fuggire tutti, gli avrebbe facilitato il lavoro; e davvero, non era il caso.

Non pensi di conoscermi abbastanza?” la sua voce carezzevole, di velluto, scivolò lungo tutto il suo corpo come una coperta di ghiaccio.

Non esisteva. Non si sarebbe lasciato abbindolare da quel maniaco. Ma chi stava pensando? La sua ombra, ormai, era un fascio di brividi pronti a saltare nella luce, per morire e tornare ancora una volta. L'importante, pensò quell'ombra, era che ci fosse qualcuno accanto a lei, a tenerle la mano. Lavi scosse il capo.

Non sono io il pedinatore.”

Ti ho visto per caso, è ben diverso.”

E mi hai attirato qui, per... perché?”

Effettivamente, era la domanda più ovvia da fare, nonostante Tyki gli avesse già fatto capire dove volesse arrivare.

Se non vieni con me non te lo dico.” rispose, muovendo un ulteriore passo verso di lui. I loro visi erano vicini e la sigaretta incastrata tra le labbra dell'artista sfiorava quelle di Lavi.

Era stato furbo a posizionare il quadro in quell'angolo nascosto. E lui ci era cascato con tutte le scarpe.

Potresti ammazzarmi.” ma Tyki fu bravo a cogliere un pizzico di insicurezza nella voce di Lavi. Fu bravo a manovrare quella situazione e a continuare la sua ascesa verso il successo dell'impresa.

Ne sei sicuro?” sibilò, a voce talmente bassa che Lavi si chiese se fosse stato solo un respiro. Profumava di antico, di una nobiltà antica a dire il vero. Profumava di fascino, di potere e bellezza. Profumava di un dolce pericolo violaceo. Ecco perché quel “potresti ammazzarmi” a conti fatti non pareva così insensato.

Il punto, ciò che non capiva, era il fatto che non fosse la prospettiva di essere ucciso a spaventarlo, quanto più l'idea di perdere quell'ombra. Di non sentire più l'altra ombra accanto a lui. Era cominciato semplicemente guardando il quadro.

Lavi tremò. Un flebile sospirò fuoriuscì dalle sue labbra, colpendo il volto vicinissimo di Tyki. Piano, il ghiaccio che gli era sembrato di percepire prima cominciò a trasformarsi in fiamme. Erano ancora tiepide, ma era proprio quel loro essere ancora in quella fase che lo preoccupava. Ormai Tyki aveva messo in moto qualcosa e avrebbe continuato fino a quando quel fuoco non avrebbe prodotto un incendio in piena regola.

E forse non gli dispiaceva... Allora perché stava esitando? Sorpresa? Oppure c'era dentro quanto Tyki e ancora non l'aveva capito?

Lavi...” pronunciò solo il suo nome, niente di più. Poi prese la sigaretta tra il dito indice e il medio e avvicinò più di quanto avesse già fatto le labbra al viso di Lavi. Non puntò alle labbra del guercio. Cercò prima la guancia destra, lasciando baci leggeri, colmi di quel profumo, fino a raggiungere la benda nera. Non la toccò, ma portò le labbra verso la tempia di Lavi, sollevando con una mano la benda verde che gli fasciava la testa; con un movimento lento la lasciò scivolare lungo il suo volto, attento a non spezzare quello strano incanto.

Ne approfittò per sfiorare con le dita il collo del ragazzo, mentre la bocca accarezzava la tempia. Lavi respirava a malapena, quasi totalmente succube del potere di Tyki. Era davvero stato sufficiente che pronunciasse il suo nome? No. Era bastato entrare in quella galleria e superare il drappo color panna per cadere nella sua trappola. Era bastato danzare nella luce che colpiva la folla ed entrare nelle tenebre. Ciò che Lavi aveva fatto, era stato cercare la propria ombra.

Chiuse l'occhio, cercando una dannata risposta dentro di sé, ma vedeva solo farfalle. Volavano intorno a loro, avvolgendoli con il loro potere.

Percepiva perfettamente le mani di Tyki abbandonare il suo collo e risalire per annegare nel rosso dei capelli. Vi si aggrappò, per poi lasciare che il capo di Lavi ricadesse all'indietro, in modo da baciargli il collo.

Ti basta, oppure devo continuare?” chiese, proprio mentre la lucidità del guercio andava a farsi benedire. Rispose con qualcosa di vagamente simile a un gemito, o un sospiro o qualcosa che, comunque, non poteva essere cercato sul dizionario.

Ma a Tyki bastò.

Bene.”


§ § § § §


Lavi aveva sempre creduto che la casa di un artista fosse disordinata, piena di macchie di colore sui muri ed era certo che ogni mobile dovesse essere coperto con quei lenzuoli bianchi che possono essere usati per impersonare fantasmi. Inoltre, credeva che in ogni angolo dovessero esserci pennelli ammucchiati, come rifiuti, insieme a tubetti di colore incrostati e inutilizzabili.

Invece, la casa di Tyki era stranamente ordinata, buia come l'anima del proprietario e brillava, in un modo strano, dello stesso pericolo che aveva percepito nel suo profumo.

Non che avesse fatto caso a tutti quei particolari la sera prima – d'accordo, forse qualcosa aveva notato – ma quando quella mattina si era svegliato, sotto una di quelle lenzuola che credeva dovessero essere usate per altri scopi in una casa simile, Lavi si era messo ad analizzare i dettagli nascosti della stanza.

A quanto aveva capito, Tyki la usava come studio, come salotto e come camera da letto. Infatti, c'era un cavalletto nascosto in un angolo, un tavolo in mogano – almeno così pareva – su cui faceva bella mostra di sé un vaso di fiori che sembravano orchidee e un candelabro a quattro braccia su cui durante la notte avevano bruciato altrettante candele.

La parete alla destra di Lavi era occupata da una immensa vetrata ricoperta da una tenda verde scuro spessa e pesante. Mancava un portaombrelli a forma di mano gigante, però.

Infine c'era il letto, il pezzo dell'arredamento che aveva conosciuto meglio e da cui si sarebbe alzato solo se fossero comparsi Bookman e Kanda insieme, minacciandolo di martellarlo a morte. O forse no.

Non che la presenza di Tyki, apparentemente addormentato accanto a lui, l'avesse tranquillizzato del tutto – ancora lo definiva uno stalker psicopatico – ma quel letto era talmente comodo e caldo che sarebbe stato da pazzi alzarsi.

Sospirando a lungo e cercando di ripescare qualche ricordo, Lavi affondò il volto nel cuscino, per ricercare le tenebre e ritrovare una piccola luce nella mente. Ricordava l'arrivo a casa, la propria mente ottenebrata dallo strano potere che Tyki sembrava esercitare su di lui. Ricordava, ancora, che le candele sul tavolo erano già accese quando erano arrivati – non voleva sapere come, gli bastava quello che aveva vissuto quella sera, altri misteri l'avrebbero condotto sull'orlo della pazzia. E di pazzo ne bastava uno.

Gli pareva, poi, che Tyki l'avesse baciato mentre i suoi polpacci sbattevano contro il materasso alle sue spalle. Non l'aveva baciato per nulla sulle labbra da quando erano usciti dalla galleria. Perciò aveva temporaneamente perso tutto il poco respiro che gli era rimasto, spiazzato da quelle labbra morbide e assolutamente capaci di meraviglie.

Un po' il sapore della nicotina l'aveva infastidito, però. Forse proprio per quello aveva acconsentito a perdere totalmente il controllo della mente per concedersi a lui. Nah, tutte scuse.

Lavi deglutì e prese un ultimo respiro prima di giungere alla verità. Tyki, così come aveva pensato la sera prima, aveva solo dipinto un quadro in cui aveva riversato le loro ombre. Poi l'aveva visto, sentendo il bisogno oscuro di abbracciarla, quell'ombra, anche se significava rischiare grosso. Non che fosse uno stupido completo, disposto a farsi ammazzare come se nulla fosse.

Se davvero quel quadro e quegli occhi non avesse significato nulla, probabilmente Lavi non avrebbe neanche replicato alle parole di Tyki e sarebbe tornato indietro, alla sua panchina.

L'aveva voluto sin dall'inizio, dal momento in cui aveva letto il nome dell'artista su quel poster. Ancora di più quando l'aveva visto la prima volta – solo poche ore prima – sotto la pioggia leggera.

Magari, grazie ad un gioco di tenebre e luce, oppure di semplici reazioni chimiche, aveva deciso di sua spontanea volontà di concedersi a Tyki. Lavi non era il tipo che si lasciava abbindolare da chiunque. E seppure il pericolo che aleggiava tutto intorno a Tyki non fosse svanito del tutto, Lavi seppe che, mentre osservava l'ombra della mano di lui sul lenzuolo, sarebbe stato inutile tentare la fuga. Quel dannato, le loro ombre, le aveva legate.


Il resto era abbastanza confuso. Più che immagini, Lavi ricordava sensazioni e...

Non credevo potessi urlare così tanto.”

Sobbalzò sotto le lenzuola e rischiò di cadere dal letto. Fulminò con l'unico occhio disponibile il padrone di casa e si ritrovò poi a fissarlo, senza una ragione precisa.

Sono stato in un coro, alle elementari.”

Non sapeva perché dovesse per forza uscirsene con battute idiote quando Tyki lo provocava in maniera così aperta, ma non poteva farne a meno.

Sei divertente, coniglietto.” mormorò Tyki, sollevandosi con un braccio e chinandosi verso le labbra di Lavi.

Coniglietto?”

Non ti piace?”

Bah.”

Accontentandosi di quella risposta, Tyki lo baciò – lentamente – muovendosi così da finire sul corpo di Lavi, petto contro petto, calore contro calore.

Le orchidee significano fascino e sensualità, pensò Lavi mentre ritornava a quello stato in cui gli era possibile solo avvertire, non vedere. Non faceva una piega, pensò ancora, ma non era sicuro che le orchidee indicassero un fascino ottenuto dalla somma di pazzia e anormalità.

Magari non gli importava, altrimenti sarebbe fuggito di lì volando dalla finestra – anche nudo – per tornare alla sua panchina. Forse, se l'avesse fatto, avrebbe cercato un'altra ombra accanto alla propria e sentito lo spasmodico bisogno di stringere la mano di qualcuno. La stessa sensazione che aveva avverto alla galleria, quando aveva visto il quadro.

Perciò, per fare in modo che non finisse così, strinse la mano di Tyki sul cuscino, intrecciando le loro dita, prima che l'artista sorridesse lascivo contro il suo collo, come per esultare.

Sì, magari – forse – aveva vinto.


Non è che attiri una musa al giorno?”

Tyki rise. No, non sorrise. Rise e basta, divertito e ancora esultante per la schiacciante vittoria ottenuta.

Già geloso, coniglietto?”

Cazzo.

Allora aveva vinto sul serio...


e aveva anche lasciato l'ombrello alla galleria.


















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*Ovviamente, scena comune ripresa dall'anime ^^

  
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