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Autore: nitro    13/08/2010    3 recensioni
Spugna si destò e, come ogni mattina, osservò a lungo la porta del Capitano. Da molti anni, nemmeno lui aveva il permesso di varcare quella soglia.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! È la prima fanfic che pubblico su questo sito, di solito mi limito a leggere le meravigliose storie che gli altri autori inventano su Harry Potter. Spero che qualcuno la legga ma soprattutto che vi piaccia. Vorrei sapere se vi piace il mio modo di scrivere; sin da piccola è stata una mia passione…quindi, se qualcuno ha qualche critica da muovermi la accetterò di buon grado. Da soli è difficile migliorare!

Dunque…questa fanfic è nata dal grande amore che ho sempre avuto per Peter Pan, ho visto tutti i film su di lui e ho letto moltissime volte il libro di James Barrie. Questa ff prende ispirazione dal suo libro e dal film “Hook”; ho immaginato cosa potesse provocare nel Capitano Uncino l’assenza di Peter (solo che nella mia storia Peter sta via soltanto una decina d’anni…)

Spero che Barrie non si rivolti nella tomba per questa mia storia…

 

PS: Ovviamente il personaggio di Uncino è una mia libera interpretazione..

Mi ha sempre affascinato come personaggio e ho sempre creduto che Barrie non gli rendesse giustizia, arrivando anche a ridicolizzarlo..io me lo vedo più come un bel pirata nel fiore degli anni..affascinante e meschino..una specie di Jack Sparrow..

………………………………………………………………………………...

 

Un’altra scura alba si affacciava sull’ Isolachenoncè. Un altro giorno era giunto a svegliare gli abitanti dell’isola. Un’altra buia giornata ridestava la baia ghiacciata dove riposava il Jolly Roger. Da molto tempo ormai l’imponente nave non solcava i mari dell’arcipelago. Da oltre un decennio era incagliata nello spesso strato di ghiaccio che incrostava mare e terra di quel paradiso.

Il galeone sembrava un fantasma abbandonato alla malinconia dei tempi d’oro che non sarebbero mai tornati. Il ponte era completamente deserto, molti barili di rum, molte cime e molte spade giacevano dimenticate a terra; tutti i pirati che solevano rallegrare l’atmosfera del Jolly Roger si erano da tempo rintanati sottocoperta e non osavano mettere fuori i rossi nasi, colorati dai fiumi di rum che riempivano le loro tediose giornate.

L’aria del grande salone sottocoperta non era meno ghiacciata di quella che sferzava l’Isola da anni. Un silenzioso gruppo di pirati si stava risvegliando con lentezza. Sarebbe stata un’altra buia, gelida e tediosa giornata. Fiumi di rum sarebbero scorsi e interminabili giochi d’azzardo avrebbero intrattenuto quei pallidi ricordi di pirati che si ostinavano ad attendere. Attendevano un ordine del capitano. Attendevano anche solo di vedere la figura del capitano. La porta della stanza di Uncino non si apriva da quasi un decennio, congelata come lo scafo del galeone.

Spugna si destò e, come ogni mattina, osservò a lungo la porta del Capitano. Da molti anni, nemmeno lui aveva il permesso di varcare quella soglia.

Dalla parte opposta della porta, adagiata su un letto a baldacchino, riposava una pallida e triste figura.

Uncino aprì gli occhi. Rabbrividì sentendo l’aria gelida sferzargli le guance. Si alzò in piedi e si vestì svogliatamente. Indossò i pantaloni di velluto nero e calzò gli stivali di pelle. Prese una candida camicia da una sedia e se la butto sulle spalle senza abbottonarla. Il candore di quell’indumento si confondeva quasi con il pallore del suo incarnato. L’unico elemento che risaltava sulla stoffa bianca erano i tre tatuaggi che giacevano incisi sul suo petto muscoloso. Un galeone, il suo amato galeone, un macabro teschio e un appuntito uncino.

 Il suo sguardo si posò sul vero uncino d’oro, da quanto non lo metteva? Provò un moto di rabbia per quell’oggetto da lui tanto odiato. Era il simbolo della sua sconfitta ma, allo stesso tempo, rappresentava la prova del vuoto che sentiva dentro. Era la testimonianza che mai, mai avrebbe potuto avere la sua vendetta!

Casualmente i suoi occhi si posarono sulla sua immagine riflessa in uno specchio polveroso. Ciò che vide lo infastidì a tal punto da indurlo a lanciare violentemente il suo uncino contro la parete di legno della sua stanza.

Due profonde occhiaie cerchiavano i suoi altrettanto profondi occhi castani, una barba folta e lasciata incolta incorniciava un viso magro ed emaciato. I capelli, un tempo lucenti e rigogliosi, erano una massa di riccioli bruni poco curati e crespi. Il Capitano James Hook era diventato la caricatura di se stesso. Nulla avrebbe fatto intendere che quell’uomo era stato un grande pirata dei sette mari, il valoroso capitano del Jolly Roger. Persino i tratti fieri del suo viso da trentacinquenne,  non erano più quelli di una volta. Sembrava un vecchio.

A quel pensiero James rise amaramente.

“Vecchio! Io sono diventato vecchio! Accidenti a te Pan! Mi hai sempre canzonato chiamandomi ‘stoccafisso’, ‘vecchio’, ‘anziano’! Mi vedi ora? Sei soddisfatto? No, non puoi vedermi, non puoi sentirmi! Tu non sei qui!

Per tutti i Pirati! Non ti ho mai dato retta, fastidiosissima pulce volante! Non ho mai dato peso alle tue parole; ma ora…come può un pirata nel fiore degli anni sentirsi vecchio??! Mi infastidisce solo la parola! Eppure è esattamente come mi sento in questo momento! Dannato spiritello in calzamaglia! Sei riuscito a rovinarmi la vita anche stando lontano da qui! Mi hai fatto diventare un fantasma! Un parassita! Una brutta caricatura!

Quanti anni sono ormai che non ti fai vedere? Hai abbandonato tutto e tutti qui sull’isola..hai abbandonato amici e nemici. Ci hai dimenticati tutti! Per tutto il rum del mondo, ormai sarai cresciuto Peter, stai diventando vecchio anche tu! Se il tempo di quest’isola non mi inganna ormai dovresti avere più di vent’anni! Non sei più un bambino neanche tu! Dovrei sentirmi felice di questo? NO! Te ne sei andato Pan! Non tornerai! Non avrò mai la mia vendetta non riuscirò mai a darti in pasto al coccodrillo che tu stesso hai nutrito con le mie carni! Non potrò sbudellarti con la brutta protesi che mi costringi a portare! Che tu sia dannato spiritello volante! Ti sei divertito con me, hai giocato con me e la mia ciurma! Era finzione per te, un fottutissimo gioco! Ti svelerò un segreto caro Pan, perdere un arto non è divertente! Codardo! Sei scappato, non hai avuto il coraggio di affrontarmi!

La cosa che ho sempre odiato in te, quelle che più mi fa imbestialire è il tuo egoismo! Non ti sei mai preso le tue responsabilità, la responsabilità delle tue azioni,mai! Che tu sia maledetto cane! Mi hai mutilato ancora una volta! Mi hai mutilato della possibilità di farti provare di persona tutto il dolore che mi hai causato! Vigliacco!”

Il Capitano si riempì un bicchiere di rum e lo scolò tutto d’un fiato. Se ne versò un secondo e poi un terzo e molti altri ancora.

Una piccola finestrella che dava sullo stanzone principale si aprì e fece entrare un vassoio con la sua colazione. Il cibo era l’unico contatto con il mondo esterno che gli restava. Nonostante il gravoso silenzio che aleggiava per la nave, Uncino era sicuro che i suoi pirati erano ancora tutti lì. I suoi fedeli bucanieri erano in attesa di un suo ordine.

Si alzò faticosamente dalla sua sedia a dondolo, chiedendosi quando si fosse seduto lì, e barcollò fino al suo vassoio. Quando vide la sua colazione, fu preso da un conato di vomito. Tentò di girarsi in fretta ma perse l’equilibrio e cadde.

Rimase disteso a terra per molti minuti, forse ore, finché si addormentò.

Un bagliore improvviso fece svegliare di scatto il Capitano.

Una fitta allucinante alla testa lo costrinse a richiudere gli occhi. Improvvisamente sentì un dolce tepore sul dorso della mano che giaceva abbandonata al fianco del suo capo.

Riaprì gli occhi di scatto.

Incredulo, vide un pallido raggio di sole che gli accarezzava la mano e piano piano tentava di allungarsi prima sul suo viso, e poi sull’intera stanza.

Con fatica si mise in piedi e si trascinò fino al grande finestrone ghiacciato che dava sulla poppa della nave. I vetri, che fino a poco prima erano stati ricoperti dalla brina, ora erano percorsi da tante goccioline. Con stupore, James vide stagliarsi di fronte a sé uno spettacolo meraviglioso. L’Isola si stava letteralmente sciogliendo sotto i suoi occhi. I raggi del sole stavano piano scoprendo il paradiso che era stato celato così a lungo dai ghiacci. L’Isola stava tornando in vita.

Il viso di Uncino si distese in un sincero sorriso. Quello spettacolo poteva significare soltanto una cosa. Peter Pan era tornato a casa! Peter Pan era tornato all’Isolachenoncè.

Il Capitano si alzò e con un potente calcio aprì la porta della sua camera.

Dozzine di facce lo fissarono a lungo increduli. Molti di loro tremarono, credendo di trovarsi di fronte al fantasma del capitano morto. Nessuno, però, osò muoversi o fiatare. Soltanto Spugna osava mostrare la sua immensa felicità, osservava il Capitano con un sorriso che, se li avesse avuti ancora tutti, sarebbe stato a trentadue denti!

James li fissò per un istante stupito da tanta assenza di vitalità, ma decise di darsi e dare una scossa definitiva a quella ciurma di bucanieri dimentichi del loro passato.

- Bucanieri! È ora di svegliarsi! È ora di far risplendere il Jolly Roger degli antichi fasti! Voglio che rimettiate a nuovo questa bagnarola!- e proprio in quel momento la nave si disincagliò dai ghiacci, riprendendo il suo moto ondulatorio, come se anche lei avesse voluto rispondere al richiamo del suo padrone. -Spugna! Prepara i miei vestiti più belli, pulisci la mia camera ma soprattutto rispolvera le tue forbici e il tuo rasoio, anche il capitano ha bisogno di una bella rimessa a nuovo!- un ghigno sghembo increspò le labbra carnose di James mentre pronunciava: - Pan è tornato!-

 

   
 
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